Sciescursionismo in Sila

Foreste innevate e a perdita d’occhio, laghi sferzati dal vento, pianori solitari e severi: riscopriamo con gli sci un angolo segreto di Mezzogiorno ricco di suggestioni e di sorprese, una “wilderness bianca” con pochi paragoni in Italia.

Sciescursionismo

Da sempre gli scialpinisti guardano con spocchia lo sci-escursionismo. Dai “veri” utilizzatori delle pelli, gli sci da fondo sono sempre stati considerati come robette, perché esili come stuzzicadenti e al massimo venivano giustificati per soddisfare la “cissa” (=impallinamento) di chi voleva fare gare. Oggi, con la diffusione delle competizioni specifiche di scialpinismo, questa considerazione è completamente obsoleta.

I vasti pianori davanti al Monte Botte Donato

Purtroppo lo sci- escursionismo, specie nelle regioni alpine, si porta dietro la tara di essere un sottoprodotto dello scialpinismo. Ai su e giù collinari si dedicano solo quelli che non ce la fanno a spararsi dislivelli titanici o a volteggiare nella powder fino al ginocchio, così implicitamente si pensa. Ovviamente mai idea fu più errata: lo sci-escursionismo è tutt’altro che il Calimero della stagione innevata, perchè risponde a esigenze ed obiettivi completamente diversi dallo scialpinismo. L’esplorazione dei luoghi, la scoperta individuale, l’inoltrarsi in foreste da profondo Nord sostituiscono le performance cronometriche e la danza sinuosa in discesa.

Pensare che lo sci è praticamente nato come sci-escursionismo. Nelle ondulate regioni della Scandinavia gli sci servivano come mezzo di spostamento, salendo e scendendo le colline innevate. Il tallone libero serviva per i tratti di salita/piano: fu la tecnica di discesa a doversi adeguare. Nacque il Telemark che prende il nome dall’omonima regione norvegese.

Con gli sci lungo le rive del lago Arvo, a 1280 m di quota. Sullo sfondo, boschi di pini larìci del Monte Carrumango.

Prima che il Telemark fosse riscoperto e nobilitato come un’autonoma tecnica di discesa (oggi molto raffinata sia come esecuzione sia come presupposti ideologici), negli anni ’70 e ’80 chi, come me, dedicava scampoli collaterali allo sci-escursionismo, lo praticava con utilizzo di sci di fondo un po’ più larghi e dotati di scaglie sotto al piede. Si aggiungevano pelli di foca tagliate su misura e spesso ottenute riutilizzando le pelli da scialpinismo “serio” ormai consumate e destinate alla pensione. Con tale approccio ho effettuato numerose splendide escursioni che mi hanno permesso di visitare, in versione innevata, zone collinari e di media montagna, come ad esempio le vicine Langhe: zone non adatte allo scialpinismo in senso stretto, ma proprio per questo con un sapore di “esplorazione” senza paragoni neppure con le più blasonate gite in alta quota.

Le sagome bizzarre di un gruppo di pini larìci coperti di neve nei pressi del Monte Curcio (Sila grande)

Negli anni ’80 la riscoperta della tecnica Telemark si stava appena affacciando sul palcoscenico e noi la ignoravamo del tutto. I tratti in discesa noi li affrontavamo sostanzialmente con la “vecchia” raspa: bastoncini uniti in mezzo alle gambe, come freno, e giù per la massima pendenza. Divertimento “tecnico” pari a zero, ma come ho detto il profondo significato di tale disciplina è completamente diverso.

Oggi con l’attrezzatura da Telemark si può unire l’utile al dilettevole e sbizzarrirsi in aree ondulate più che pendenti, cogliendo qua e là qualche virtuosismo in discesa dove il terreno lo poermette.

Dove si può dirigere lo scialpinista che desidera vivere un’esperienza aggiuntiva alle salite “mordi e fuggi” oggi dominante?

Passaggio sotto un grande tronco abbattuto nel bosco di Fallistro

Lapponia? Regione del Telemark? Vosgi? Vercors? Tutte località di grande richiamo turistico, specie in veste innevata. Tuttavia non è necessario imbarcarsi in spostamenti così lunghi e costosi. Possiamo trovare altipiani e foreste dietro casa anche nelle regioni alpine. Anche in Italia ci sono poi alcune zone di particolare wilderness che, specie se innevate, sembrano appartenere davvero al grande Nord.

La Sila, in Calabria, è una di queste. Gli appassionati di ciclismo l’avranno apprezzata vedendola, ovviamente senza neve, durante la tappa del Giro d’Italia (ottobre 2020) vinta dal piemontese Filippo Ganna con una fuga solitaria in salita. Già dalle immagini televisive traspariva una foresta fitta e selvaggia, poco antropizzata, decisamente fuori dal mondo. Immaginiamocela con la neve e il silenzio invernale…

Circa la Sila con gli sci, trafficando nella mia libreria sono riuscito a riscoprire un articolo scritto nel 1988 dal noto pubblicista romano Stefano Ardito. Lascio a lui il compito di descrivere le meraviglie della Sila innevata. Ma precisato che, per chi eventualmente fosse interessato a recarvici con gli sci, le sue indicazioni operativa vanno ricontrollate, considerato che sono trascorsi trent’anni abbondanti. Ma il contesto generale non pare mutato radicalmente e si rivela ancora irresistibile per chi ricerca silenzio e solitudine innevata (Carlo Crovella)

Cartello indicatore del Parco nazionale della Calabria, dove si svolgono alcuni dei nostri itinerari con gli sci: suo simbolo è il lupo che qui è protetto.


Sciescursionismo in Sila
di Stefano Ardito
foto di Stefano Ardito
(Itinerari collaudati da Stefano Ardito, Francesca Bonavoglia e Andrea Gulli)
(pubblicato su Airone Montagna 1988)
(I numeri di telefono e altri dettagli sono stati aggiornati, NdR)

Tra i monti del Mezzogiorno c’è un angolo di Scandinavia. Lo Jonio e il Tirreno sono a un’ora di strada, la quota non è eccelsa neppure per l’Appennino. Pure, d’inverno, la Sila è un mondo selvaggio, una “wilderness bianca” con pochi paragoni in Italia. Un paradiso per il fondo, a livello di Cogne, dell’altopiano di Asiago e della val Pusteria. Non la conosce nessuno: la Sila è una grande sorpresa.

  Ci vivono il lupo, e molti animali del bosco. La foresta è antica, grande, ricca di suggestioni. In tempi lontani, il legno dei suoi pini è servito a costruire le navi della Magna Grecia e di Roma, poi molte chiese della capitale dei Papi. Vent’anni or sono, in quella primavera del 1968 che il mondo ricorda per altri motivi, due pezzi della Sila sono diventati protetti.

Qui si possono ammirare i “giganti della Sila”, 56 pini vecchi di almeno cinque secoli e già ricordati in un documento del 1430. Questa zona è protetta da una riserva naturale che è stata istituita nel 1987.

Da sempre, la Sila ha attirato i viaggiatori del Nord. Nel 1784, nei suoi viaggi in Calabria, Déodat de Dolomieu la sfiorò solamente. A descriverla come “un altopiano granitico, dolcemente ondulato, con le cime delle montagne occupate da boschi” dove “si potrebbe pensare di essere in Scozia”, fu l’inglese Norman Douglas, innamorato del Sud e residente a Capri, nel 1911.

Con gli sci lungo il margine della faggeta spruzzata di neve seguendo l’itinerario che collega monte Curdo 1758 m con il monte Botte Donato 1928 m. È il più elevato dei vari percorsi di fondo sulla Sila. Anelli molto più brevi si snodano invece tra Fallistro e Croce di Magara.

Da nord a sud, in linea d’aria, l’altopiano silano si estende per più di 40 chilometri. Almeno 30 ne misura da oriente a occidente. Grandi distese di boschi sono interrotte da catene parallele di monti che arrivano ai 1700 metri di quota, e raramente oltre. Dolce, ma micidiale per l’orientamento quando calano la notte o la nebbia, la Sila è una montagna divisa in tre parti.

Al centro, la Sila grande è la più frequentata, e insieme la più alta. Strade e funivie puntano ai 1928 metri del Monte Botte Donato, tre grandi laghi artificiali (Arvo, Ampollino, Cecità) movimentano il paesaggio e fanno di questa parte della Sila il più grande serbatoio di acqua e di energia del Sud.

Uno dei rari cartelli indicatori con i percorsi delle principali piste da fondo. Per non perdersi è sempre bene munirsi di bussole e carte.

A mezzogiorno del lago Ampollino, la Sila piccola ripete le forme della sua sorella maggiore. La quota rimane elevata, una notevole presenza di faggi interrompe (al contrario rispetto alla Sila grande) la foresta di pini. Al di là del Monte Gariglione, ripidi valloni tagliano la montagna, scendono verso Catanzaro e il mar Ionio. A nord, la Sila greca è una presenza minore: crinali tormentati, paesi di etnia greca o albanese, come Spezzano Albanese e Rossano, laghi cristallini, fiumare che si allargano verso la costa di Sibari.

Uomini del corpo forestale in perlustrazione con una motoslitta, necessaria in caso di forte innevamento per grandi distanze.

Il Parco Nazionale della Sila è nato nel 1968, ma ha una storia più lunga. Proposto nel 1923, ha visto la luce con una forma peculiare, una sorta di “lottizzazione” fra le tre province calabresi. Dei 16.000 ettari totali, 7.000 (Sila grande) sono in territorio di Cosenza, un po’ meno di 6.000 (Sila piccola) in provincia di Catanzaro, un po’ di più di 3.000 (Aspromonte) in quella di Reggio. Simbolo del parco è il lupo, ma forse dovrebbe essere un albero: il pino larìcio, sottospecie del pino nero d’Austria che vive nel nostro Paese solo in Calabria e in Sicilia.

A Fallistro, non lontano da Camigliatello Silano, un gruppo di 56 piante supera i 50 metri di altezza e i cinquecento anni di età: sono i cosiddetti “Giganti della Sila”, che una piccola riserva naturale protegge dall’estate 1987. Piante colossali, però, esistono un po’ ovunque sulla Sila, e in particolare nei boschi di Gallopane, Gariglione e Fossiata. L’odierno Parco della Sila comprende una piccola parte di un demanio forestale di enormi dimensioni, che lo Stato italiano ha in buona parte ereditato dal Regno di Napoli.

Uno dei cervi provenienti dal vallone dell’Orfento che sono stati reintrodotti sulla Sila.

Ci hanno affibbiato per anni l’etichetta di ‘parco fantasma’“, sostiene Michele Laudati, direttore del Parco della Sila (Oggi è Domenico Cerminara, NdR). “A farci dimenticare, però, è stata la mancanza di scontri, di polemiche come in Abruzzo o nel Gran Paradiso: questi sono i motivi per cui la stampa si interessa ai parchi. Per noi che lo amministriamo, questo è un parco ideale“. La spiegazione sta in due cifre. Del territorio del Parco, l’86 per cento appartiene al demanio dello Stato, il resto ai comuni. Non ci sono proprietà private, zone abitate, impianti di risalita. Mancano, insomma, i motivi dei conflitti che hanno sempre opposto, nelle aree protette italiane, le popolazioni alle amministrazioni dei parchi.

Una guardia della Forestale, che gestisce il Parco nazionale della Calabria, pone sulla neve provviste di foraggio per consentire agli animali di superare l’inverno.

I visitatori sono pochi (all’incirca 300.000 ogni anno per la Sila) e concentrati per lo più nelle zone servite da strade asfaltate. I bracconieri sembrano essersi estinti prima dei lupi, che invece godono di buona salute. Per opera della Forestale, sono stati reintrodotti cervi, daini e caprioli, con il metodo più semplice del mondo. Gli animali vivono nei recinti durante quasi tutto l’anno. D’inverno, quando la neve raggiunge a volte i due metri, possono tranquillamente uscire: a loro, poi, la scelta tra il ritorno alla sicurezza del recinto e l’avventura della libertà nella foresta.

Dai 16.000 ettari attuali, il Parco potrebbe tranquillamente passare a 100.000 semplicemente inglobando altre aree demaniali“, continua Laudati, che conclude citando un ennesimo dato a sorpresa: sommando al Parco nazionale le nuove riserve dell’Orsomarso, del Raganello, di Fallistro e del Lao, si arriva al 3 per cento del territorio regionale, un record tra tutte le regioni italiane a mezzogiorno del Po (quest’affermazione è datata, in quanto due anni dopo fu istituito il Parco Nazionale del Pollino, NdR). È questa Calabria sorprendente e selvaggia, ricca di problemi ma anche di natura, che consigliamo ai lettori di Airone di esplorare con gli sci ai piedi. Nel folto del bosco e sulle rive dei laghi, la Sila offre itinerari da fondo di straordinario interesse, e di ogni misura. Dai brevissimi anelli battuti di Magara e Fallistro alle grandi traversate di 30 chilometri e oltre, c’è spazio per tutte le gambe.

Com’è purtroppo normale nel Sud, di questo in Calabria non ci si è ancora accorti. Gli anelli sono piccoli e pochi, la segnaletica è scarsa, la promozione praticamente inesistente. Per chi nella natura se la sa cavare, questo può essere un bene: lo “sci d’avventura” che si pratica oggi sulla Sila richiede carta, bussola e iniziativa, ma offre soddisfazioni assai superiori a quelle prevedibili degli anelli perfettamente battuti.

Non sembra certo di essere in Calabria osservando le costruzioni rurali della Sila: colori e materiali ricordano più il mondo nordico che quello mediterraneo. Sopra: la chiesa di Croce di Magara, punto di partenza di uno dei nostri itinerari. Tutto intorno, le abitazioni di allevatori e contadini del villaggio.

Ma per la Calabria, per la gente della Sila? I boschi, l’innevamento che a volte tocca i 3-4 metri, la vicinanza della costa, l’aeroporto di Lamezia a due passi rendono lo sci di fondo sulla Sila un richiamo di valore internazionale: è un tipo di sviluppo che non richiederebbe un metro cubo di cemento in più. Avverrà? Per le montagne del Sud, sarebbe una pagina di storia non da poco.

Cinque itinerari sugli sci
La quota elevata, l’innevamento abbondante, le forme arrotondate delle montagne e l’enorme rete di strade forestali fanno della Sila un autentico paradiso per il fondista. Normalmente è possibile sciare da dicembre alla fine di marzo: il fitto bosco, però, conserva su molti percorsi la neve fino alla primavera inoltrata. Base migliore per esplorare l’altopiano è Camigliatello Silano, centro dotato di una dozzina di alberghi (la Pro loco risponde al numero di telefono 0984 452850), collegato alla città di Cosenza da una veloce superstrada e da frequenti corse di treno e di autobus.

Il Parco della Calabria ha sede in via Nazionale sn a Lorica di San Giovanni in Fiore (CS), tel. 0984/537109), http://www.parcosila.it/it/contatti.html. In montagna, l’unica stazione forestale aperta d’inverno è quella del Cupone (0984/76760), sulla Sila grande.

Uno dei villini in legno costruiti negli anni Trenta presso Silvana Mansio. Di qui inizia l’itinerario di monte Carrumango.

Come in tutto l’Appennino, gli anelli battuti sono di scarso interesse: per godere appieno della Sila invernale sono necessari un equipaggiamento adatto al fuoripista, una bussola e la carta della zona in cui ci si muove. Il fitto bosco e le dolci ondulazioni del terreno possono creare seri problemi di orientamento anche a poca distanza dai centri abitati. La direzione del Parco ha pubblicato una buona carta della Fossiata (si trova a Cosenza oppure a Camigliatello), mentre gli itinerari descritti sono contenuti nelle “tavolette” 1:25.000 dell’IGM di Lago di Cecità, Fossiata, Spezzano della Sila, Silvana Mansio, S. Giovanni in Fiore, Lago Arvo, Lago Ampollino e Monte Cariglione. Per il 1989 è in programma l’uscita della guida “ufficiale” del Parco, curata dalla direzione dello stesso per le edizioni Reda.

Sui pendii del Monte Botte Donato

1) Il bosco della Fossiata
La porzione di Sila grande inclusa nel Parco nazionale è tra le più affascinanti per il fondista. Il bosco, costituito quasi esclusivamente da pini larici, è fittissimo, mentre tre aree faunistiche consentono di osservare senza difficoltà cervi, daini e caprioli in attesa di essere liberati. Una rete di sentieri segnati (concepiti per l’estate, ma di norma visibili anche con la neve) diminuisce i problemi di orientamento. Per brevi percorsi ad anello, il punto di partenza migliore è la ex-segheria del Cupone 1159 m, a 12 chilometri da Camigliatello, a poca distanza dalle rive del lago di Cecità. È possibile sciare lungo i sentieri estivi numero 1 (2 chilometri, mezz’ora) e numero 6 (10 chilometri, 2 ore): entrambi iniziano dal Centro di visita e offrono aperture panoramiche verso il lago.

Ma la traversata più bella e completa è quella che collega il Cupone con il Vivaio forestale della Fossiata attraverso l’incrocio delle Quattro Vie 1305 m, il dosso di Colle Napoletano 1461 m e l’ampia dorsale della Serra Ripollata 1682 m. Si tratta di un itinerario stupendo, parzialmente segnato, tutto lungo strade sterrate. In totale, sono 18 chilometri, percorribili in circa 4 ore: è necessaria una seconda auto per tornare al punto di partenza.

L’altopiano Silano è il meno conosciuto dei paradisi per lo sci di fondo in Italia: sia sulla Sila grande sia sulla Sila piccola, sono possibili centinaia di itinerari diversi. Ne abbiamo scelti cinque di diverso impegno e difficoltà (nelle cartine): dai facili anelli quasi sempre battuti di Fallistro e monte Carrumango alle lunghe, magnifiche traversate della Fossiata e dal monte Curcio ai pendii del monte Botte Donato.

2) Gli anelli di Croce di Magara e Fallistro
A due passi da Camigliatello, i percorsi più semplici della Sila iniziano dall’albergo di Croce di Magara, sulla statale 107, e si snodano ai piedi dei pini giganti di Fallistro. All’inizio, un vistoso cartello annuncia una rete piuttosto ampia di percorsi (4 itinerari, in tutto 20 chilometri).

In pratica, però, si trova di solito battuto solo il tracciato lungo la strada che passa accanto ai pini giganti, e prosegue sul fondovalle fino alla Fonte del Colonnello e alla presa dell’acquedotto di Rossano: si può tornare al punto di partenza seguendo la riva opposta (destra orografica) del torrente di fondovalle. Dalla conca di Fallistro, complicate strade forestali salgono al crinale dell’itinerario successivo. A causa della quota modesta (tra i 1350 e i 1400 metri) e dell’esposizione al sole, l’innevamento è di breve durata.

Da Cosenza raggiunge Camigliatello Silano e San Giovanni in Fiore il pittoresco trenino che attraversa il cuore della Sila grande. Questa linea è l’ultima a scartamento ridotto delle ferrovie Calabro-Lucane. Con forte innevamento, il treno è un valido sostituto dell’auto per raggiungere alcuni degli itinerari.

3) Tra monte Curcio e monte Botte Donato
Il crinale più alto della Sila è anche il più deturpato. Due cabinovie raggiungono i suoi rilievi più alti, mentre una inutile strada asfaltata lo segue per intero. Con la montagna innevata, però, la cresta offre l’itinerario da fondo più panoramico della Sila, con magnifiche aperture verso i laghi Arvo e Cecità, e il lontano massiccio del Pollino, che appare da qui nella sua veste più imponente. Grazie alla quota, l’innevamento dura fino a tardi.

L’arrivo a Camigliatello Silano

La soluzione più classica consiste nel salire in cabinovia da Camigliatello al Monte Curcio 1768 m, raggiungere per uno stradello in discesa la strada di crinale, e poi seguirla verso sinistra (sud-ovest) attraverso i pianori del Macchione e di Macchia Sacra. Più avanti si tralasciano le diramazioni che scendono a sinistra verso Fallistro e Croce di Magara, e si resta sulla strada principale, che sale con un lungo tratto a mezza costa, gira un crinale, e porta al monte Botte Donato, raggiunto da un altro impianto di risalita che parte da Lorica. Il percorso di andata e ritorno misura 16 chilometri, e richiede 4 ore: disponendo di due auto, è naturalmente possibile effettuarlo come traversata, riducendo della metà distanze e tempi.

I puristi che preferiscono tralasciare gli impianti possono iniziare dal valico stradale di monte Scuro, toccare le due vette, e scendere al di là fino a Lorica, dopo 27 chilometri di magnifica scivolata.

Uno spazzaneve mantiene sgombri i binari presso Camigliatello

4) Da Silvana Mansio al monte Carrumango
A oriente del Monte Botte Donato, la cresta si allarga. Una bella pista battuta lo percorre ai piedi dei cocuzzoli di Monte Carrumango. L’inizio della pista, indicato da un cartello, è in corrispondenza del valico stradale 1558 m sulla strada che collega Lorica alla statale 107 e a Camigliatello, a pochi chilometri dall’albergo di Silvana Mansio. L’itinerario, a saliscendi, raggiunge un ampio pianoro, si lascia a sinistra una caratteristica costruzione di legno, poi sale per affacciarsi su un secondo pianoro, che si percorre interamente; alla fine di questo appare San Giovanni in Fiore. Andata e ritorno, 12 chilometri: circa 2 ore, se la pista è battuta.

5) Nel bosco del Gariglione
Il percorso in sci da fondo migliore della Sila piccola inizia dalle poche case di Tirivolo 1586 m, che si raggiungono da Buturo, dal Villaggio Racise o dalle rive del lago Ampollino. Dalle case, una bellissima strada forestale attraverso un bosco misto di pini larìci e di faggi conduce alla caserma forestale del Gariglione 1656 m; andata e ritorno, 7 chilometri e un’ora e mezzo), chiusa d’inverno. Una breve salita conduce alla vetta del Gariglione 1764 m: dalla caserma, la strada prosegue verso il monte Petto di Mandra e Petilia Policastro, e rende possibile prolungare a piacere la gita.

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Sciescursionismo in Sila ultima modifica: 2020-12-19T05:13:01+01:00 da GognaBlog

5 pensieri su “Sciescursionismo in Sila”

  1. Complimenti, articolo molto bello. Chi come noi lavora e vive in Sila può solo esserne felice.

  2. Il servizio racconta in modo stupendo come la Sila era un palcoscenico bellissimo per praticare lo sci escursionismo. Oggi, purtroppo, molti dei percorsi e itinerari descritti nel servizio non sono più praticabili con gli sci perché, appena cade la neve,sono invasi da fuoristrada, quad e slitta a motore. Una grande tristezza. 
     
     

  3. Gara tra articoli: quello riguardante la Sila 2 commenti, Sentieri sulla neve 6, Decreto val d’Aosta a partire dalla stessa data 8,(ma in totale 77). Aspettiamo,  troppo presto per trarre conclusioni affrettate su  questioni “calde “e questioni marginali.Si legge,  nuovo marketing ,che attorno ad un’attivita’ ci deve essere un racconto , un  tempo si comprava una bottiglia di vino senza pensarci su troppo, adesso per lo stesso vino ci devono raccontare …sensazioni, abbinamenti, territorio, tipo di bicchiere adatto ,annata..forse sara’ cosi’anche  per consolidate o recenti o resuscitate attivita’montane.

  4. Che rivista era Airone! I miei genitori erano abbonati e ricordo il piacere con cui da bambino guardavo le fotografie e leggevo i primi articoli. Tra tutti, quelli di Stefano Ardito e Furio Chiaretta (che poi ebbi il piacere di conoscere tramite un amico dei miei genitori durante una vacanza invernale a Ceillac) erano i miei preferiti. Grazie per riproporre questo bellissimo contributo. 

  5. Finalmente! Un tempo il trofeo Mezzalama , la Pizolada delle  Dolomiti zona passo SanPellegrino, trofeo all’alpe di Pampeago”Sabino e Walter”e tanti altri, avevano 2 itinerari e 2 classifiche separate per partecipanti con sci fondo e altri con scialpinismo.I drughi dello sci fondo squadre Esercito,  Finanza, Polizia ,        Forestale  i gli atleti di  club privati facevano certi numeri, a raspa o anche con slalom   e derapate a sci stretti. Senza arrivare a virtuosismi, anche allegre comitive o singoli si dedicavano ad uno sci tranquillo e meditativo, estetico,(val Venegia, Forca rossa, e  altre zone anonime entro i paesi o boschi.) . Sarebbero da ristampare ed aggiornare le guide della Tamari editori ed il Cai ha pure il suo manuale ufficiale . Nel particolare momento che viviamo..uno sciescursionismo lento sarebbe una riscoperta.Sulle piste di sci fondo battute per doppia tecnica, qualche assembramento  da fine settimana su pista e parcheggi di servizio si e’gia’ verificato.Con lo sci escursionismo..si possono frequentare strade forestali al riparo da valanghe o le piste ufficiali sci fondo non ancora battute dai mezzi.Nel catalogo delle piu’rinomate ditte produttrici, in nicchia ci sono pure gli sci e gli scarponcelli per escursionismo, forse si trovano anche le pelli di” foca”preconfezionate, altrimenti si comprano a metraggio e si tagliano per il lungo..bruciacchiando con attenzione  i peletti.Sempre consigliabile un rotolo di nastro telato o rinforzato nello zaino. Purtroppo vietato scambiare con altri gruppetti, provenienti da varie zone..  fette di salami, formaggi, torte e vini vari.Peccato non nevichi in pianura..ci sarebbero certe sgroppate da sperientare su argini di fiumi o parchi cittadini..pero’ mai perdere la speranza.Per finire..personalmente preferirei  la raspa laterale  , quella centrale comporta pressioni non sempre  graduabili in mezzo alle gambe!
     
     
     
     

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