Sicurezza dentro o fuori?
(scritto nel 2003)
In questi tempi la preoccupazione che andare in montagna provochi incidenti e vittime è in forte aumento rispetto al passato, quando forse prevaleva più un senso di fatalismo e di rassegnazione alla sventura. Di fronte alla tragedia e accanto al dolore umano c’era anche una sorte d’accettazione che l’andare per montagne richiedesse talvolta il pagamento di un tragico tributo che comunque si riteneva colpisse alla cieca. Così si giudicavano inevitabili guerre, guerre mondiali, genocidi, carestie, malattie e quant’altre sventure e lutti immaginabili.
Una consolazione a questa sofferenza umana era fornita dal naturale spirito religioso, cui però oggi si ricorre sempre meno. La fiducia nel benessere proprio della seconda parte del XX secolo, i progressi enormi della medicina, i piaceri consolatori e materiali dei consumi per tutti, unitamente alle gioie sostitutive e virtuali di una società sempre più incollata ai video dei computer hanno portato anche l’incapacità, da parte del singolo e della collettività, ad accettare dolore e sofferenza. La fiducia in uno sviluppo senza fine delle potenzialità della scienza, della ragione e della tecnica hanno fatto il resto.
La maggior parte delle persone dunque si adagia nell’ottimismo di una crescita morale e materiale della società che neppure segnali importanti come guerre nei Balcani e terrorismo internazionale riescono a scalfire. Mentre si registra il massimo dell’audience in televisione quando si parla di Padre Pio ecco che dall’altra parte i disperati, gli esclusi dall’apparente benessere e felicità, ricorrono a maghi ed a stregoni, più spesso agli imbroglioni, per tentare di sollevarsi dalla loro condizione: e in entrambi i casi assistiamo al fallimento di quella Chiesa che dovrebbe essere scuola di spirito. Ugualmente la montagna e la natura in generale non sono più viste come palestra di vita, rifugio, o tempio religioso: al contrario la maggior parte le vede come hobby, gioco, passatempo, vacanza con gli amici, sport. Dunque, pure montagna e natura hanno fallito e nella nuova ottica sportiva le disgrazie non sono più considerate inevitabili danni collaterali bensì fastidiosi quanto “evitabilissimi” difetti in un meccanismo che unisce ormai a filo doppio vacanza e danaro.
Giustifichiamo dunque la diminuzione degli alpinisti che salgono le vie classiche con la mancanza su di esse di adeguate e moderne attrezzature; assistiamo alla proliferazione delle vie ferrate di vetta e di valle, alla sponsorizzazione di richiodature, a segnaletiche esagerate, alla plurinformazione di vie e di itinerari escursionistici, alla caccia all’ultimo itinerario selvaggio, viaz o canyon per poterlo domare con funi e scalette; assistiamo alle cause civili e penali che pretendono di fare giustizia là dove ci sono stati solo errori. E così ai ristoranti girevoli in quota o al golf sul ghiacciaio della Marmolada si aggiunge la graduale e spietata convinzione che tutto prima o poi sarà finalmente innocuo, depurato e confezionato. Si potrà scendere e salire ovunque su ogni metro quadro di roccia, con gli sci, a piedi, d’inverno, su neve che non è più neve, in inverni che non sono più inverni.
Di fronte a questo scenario c’è chi si ritrae spaventato e che si chiede se non stiamo sbagliando qualcosa. Da una parte sappiamo che è giusto aver abbandonato rassegnazione a sventure e fatalismo, dall’altra assistiamo sbigottiti ad una serie di tragici incidenti; come il passaggio, da una circolazione automobilistica su strade strette e pericolose, allo scorrimento su larghe e moderne autostrade e superstrade munite di guardrail non ha rallentato il tasso d’incidenti, così, come prima, la gente cade dai sentieri, viene colpita dai sassi sulle vie ferrate, perde l’appiglio su una via di montagna o viene seppellita da una valanga in una gita di scialpinismo.
Personalmente credo che la causa degli incidenti sia più da ricercare nel nostro disequilibrio interiore e nella mancanza di relazione con l’ambiente esterno, che infatti è vissuto più come sfondo alle nostre prodezze o al nostro divertimento che come reale e potente partner della nostra natura interiore. L’escalation di misure e attrezzature di sicurezza non fa che allontanare ciò di cui abbiamo più bisogno e che temiamo di dover affrontare per via della fatica necessaria: la vera sicurezza che nasce dentro di noi nella contemplazione della nostra stessa serenità. Forse il compito più difficile.
Controscuola è un gruppo di lavoro (purtroppo “terminato” solo un anno dopo, NdR) che vorrebbe far riflettere sull’opportunità di riscoprire la nostra relazione con l’ambiente circostante piuttosto che continuare a privilegiare le sicurezze esterne e i mezzi di conoscenza della montagna che oggi ci sono offerti da ogni parte. Sicuro è ciò in cui mi muovo bene, indipendentemente dalla corda, dai chiodi, dalla bussola, dalle relazioni tecniche. E perché io mi muova bene è necessario che impari, per esempio, che pensare e sentire non sono la stessa cosa. Ma è un discorso lungo, tutto da fare e in cui confrontare opinioni e sentire diversi.
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Si è persa la capacità di accettare dolore e sofferenza, ma anche la capacità di discernere il pericolo e di prendersi la responsabilità delle proprie azioni.
Molte parole, molti concetti. Ma quanti di voi sono disposti ad agire anziché parlare e basta? Quanti, per essere espliciti, sono pronti a prendere seghetto e stucco o resina e far sparire anche la traccia dello spit? Quanti disposti alla fatica di rimuovere un bollo rosso? Pochi, altri forse per paura rimangono nell’ombra . L unione fa la forza, da soli non si va da nessuna parte. È giusto tentare di educare, ma le parole da sole non servono .
La sicurezza è come Dio. Un’invenzione dell’essere umano per fugare la paura della morte e per trovare un capro espiatorio alle proprie insicurezze. Ma non esiste nella realtà.
Esaurire nell’esperienza la fonte della sicurezza, come pure nella conoscenza di tecniche eccetera impedisce il corso della creatività necessaria a ricombinare i saperi opportuni al momento a escogitare soluzione “nuove”
Direi che stavolta Cominetti e Merlo hanno esaurito in due battute la discussione!
Alberthperth, dai retta: cambia pusher, questo ti da roba pessima!
razzismo – Ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori», destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste”.Quindi non userei il termine a sproposito, al massimo “antipatia,avversione “.
1- chi dopo aver portato materiale nello zaino, a impresa conclusa non si e’ pentito di aver esagerato , per mancato utilizzo degli aggeggi destinati a sicurezza?
2-chi non si e’ mai pentito di aver lasciato a casa qualcosa che riteneva troppo pesante o superfluo in rapporto all’impresa?(tipo reflex metallica con 3 obiettivi e una decina di rullini da 2 chilie poi si e’perso foto di…).Tra considerazioni a PRIORI e a POSTERIORIspesso non c ‘è coincidenza.
Almeno 3-a volte si e’soddisfatti di aver portato quel peso e quegli aggeggi grazie ai quali ci si è tolti dal pericolo.Magari a priori i compagni di gita ci prendevano in giro..poi impalliditi impauriti e tremolanti hanno usufruito del provvidenziale aiuto di aggeggi…compresi garze, cerotti, bende, bloccadiarrea , antidolorifici ecc.Per chi vuole scervellarsi ma considerare la questione a mente fredda senza sbroccare:https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_dello_zaino
Comunque il valore appaiato a ciascun peso dell’assortimento e’pur sempre una stima individuale…quindi ben vengano materiali ingegnerizzati che a parita’di prestazioni pesano sempre meno.La pratica e l’allenamento e l’esperienza non pesano niente, se si aggiungono al cervello, il totale di esso rimane uguale…ma meglio non mettere su panza.
Da una parte il termine sicurezza è usato ed abusato per il pubblico generico ed ignorante da parte di operatori della informazione generalisti ed ignoranti. Nessuno ‘del mestiere ‘ userebbe tale termine fuori dal suo stretto significato tecnico. Ma un secondo aspetto è più serio; gli stessi che abusano del termine sono spesso anche ‘opinion makers’ o ‘ influecer’ e complice il latitante senso critico del pubblico contribuiscono al formarsi del pensiero comune o dominante. Oggi essere un fumatore anche moderato in alcuni stati Usa può portare al completo ostracismo sociale ; bannato dal consesso civile. E’ lontanissimo o improbabile il tempo in cui un arrampicatore ( magari solo quelli senza guida ? Haha ) sarà reputato alla stregua di un disadattato o di un simil delinquente ? a meno che sia un campione affermato e riconosciuto come fuoriclasse e quindi da osannare. Il razzismo è sempre socialmente ben accettato laddove si manifesta come sistema di pensiero ed i nuovi reietti sono i fumatori gli obesi , i portatori di pensiero o comportamento non omologato… Uno scalatore che rifiuta di uniformarsi ad una idea di sicurezza condivisa dal pubblico ‘ignorante’ sarà spinto a vivere ai limiti della società? Ovvero a quando la chiusura di certi itinerari alpinistici in nome della sicurezza?
P.S Ars longa Vita brevis 1968 Nice neanche il migliore ma va beh!!meglio questo sound che l’oniricopsyco alpindream che pervade queste lande povere e ripetitive di vissuti compositori dell’alpe
Oplà..la sicurezza è come Ďio il commentatore frequenta entrambi con incredibile conoscenza della loro consistenza come gli idioti termine molto usato dallo stesso che dire ? Me ne frego meglio il biliardino ..e cazzo scrivilo meglio visto che lo hai citato almeno per rispetto ha ha ha
https://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/2021/11/06/news/scivola-sulla-neve-e-rischia-di-cadere-per-sessanta-metri-escursionista-miracolato-1.40891822
la salvezza l’ha trovata…fuori, ma non e’ escluso che avesse adottato tutte le precauzioni..
Oltre alla propria esperienza ,addestramento ecc..anche la cronaca di vicende altrui puo’ far scattare un campanello di avvertimento. Anche formare equipe in cui ci si possa consigliare, aiutare e soccorrere a vicenda
.
Albert, la mia era una battuta. Un sasso può porti di fronte alle tue conoscenze (la fisica, le tecniche…), la tua esperienza (quel luogo, quelle condizioni…), o la sfiga.
L’imponderabile esiste. Bisogna farci i conti.
Esempio:la suola in gomma grippante adatta se è necessaria non sempre è sufficiente..non e’ una garanzia assoluta,quindi occhio al terreno e guardare e fotografare i panorami da fermi o ben stabili.Viceversa andare con suola di cuoio liscio e scarpa da cerimonia, non significa sicuro incidente se hai esperienza e sai studiare il terreno, ma c’e’di meglio. A volte l’attrezzatura non conosciuta a menadito e’quasi facilitante l’incidente.
Bello l argomento giuste le considerazioni che escono nella discussione .Ben piantato e radicato nella storia dell’alpinismo in ogni epoca e periodo storico , radice di ogni controversia c era vuoi o non vuoi “il materiale” al servizio della sicurezza ,ma la materia non lega con lo spirito … innescando cosi un dibattuto processo a doppio taglio in cui dopo 2 secoli e mezzo vediamo e raccogliamo frutti che non sono altro che lo specchio della società odierna dell’in vendita tutto e subito e che mai o mal si conciliera’ con i tempi dell alpinista/ismo e la sua formazione.
A meno che non pensiamo tutti di diventare recordman anche nell apprendere.
L uomo ha sempre portato in montagna come ulteriore compagno di cordata le peculiarità delle varie epoche in cui viveva, fossero giuste o sbagliate e nemmeno adesso vi si può sottrarre.
Personalmente sostituirei la vocale O con E contenuta nel titolo auspicando un alpinista che guardi il contenuto dal di fuori del contenitore imparando da ogni sua età e da quello che in montagna insegue che poi si tradurra’in sicurezza.
Sia dentro che fuori quindi.
Sanj
Bell’articolo. Gustoso. Sul tema ho già scritto molto è uno dei mie cavalli di battaglia, ma oggi non ho voglia di ripetermi, almeno qui e adesso. Imparare a muoversi adeguatamente in montagna è scuola di vita per… muoversi adeguatamente nella vita a 360 gradi.
Esaurire nell’esperienza la fonte della sicurezza, come pure nella conoscenza di tecniche eccetera impedisce il corso della creatività necessaria a ricombinare i saperi opportuni al momento a escogitare soluzione “nuove”e a sopraffare ciô che sentiamo come informazione minore o non intesa.
5 )” L’unica sicurezza su cui possiamo davvero contare e che non ci salverebbe comunque da un sasso che cade”.Ma qualche misura si puo’adottare.Poiche’ un sasso che cade ha massa di dimensioni variabili e pure energia di caduta , sarebbe poco accorto cadere svenuti o con un foro nel cranio per un sassolino di massa ed energia entro i limiti strutturali diun casco costruito con i materiali attuali. se invece e’ un macigno di massa quintali che ci becca dopo volo di 100 metri, il nostro corpo non e’geneticamente fatto per resistere…e neppure esiste protezione. Vale anche per il casco da ciclista:aiuta per un malore e si sbatte con latesta sul bordo di un marciapiede..inutile se si ci travolge un tir. Quinidi vannobene considerazioni filosofiche ma anche lafisica e la statistica sulla tipologia degli incidenti.Poi la sicurezza e’una sensazione confortata piu’ o meno da capacita’ed attrezzature.Luigi Meneghello scrittore Veneto:”Libera nos a Malo” “ Signore,Liberaci dal luàme, dalle perigliose cadute nei luamàri, così frequenti per i tuoi figlioli”
“riflettere sull’opportunità di riscoprire la nostra relazione con l’ambiente circostante piuttosto che continuare a privilegiare le sicurezze esterne e i mezzi di conoscenza della montagna che oggi ci sono offerti da ogni parte.”
Cominetti ha ragione, la sicurezza non esiste. E personalmente ritengo che si possano affrontare i rischi connessi ad un ambiente solo se impariamo a conoscerlo.
Ho usato il termine “affrontare”, perché niente risolve la situazione di rischio se non la nostra esperienza e le decisioni che prendiamo. Per esempio: qui non va bene per me oggi, lasciamo stare; o là non è per me, quindi non ci vado, non proseguo.
Saper rinunciare è conoscenza dell’ambiente e di noi stessi. L’unica sicurezza su cui possiamo davvero contare e che non ci salverebbe comunque da un sasso che cade.
Ah, poi c’è la fifa. E anche quella serve.
Noi vecchi alpinisti (o meglio non più giovani) la gestione del rischio l’abbiamo imparata sul campo, cercando di risolvere i problemi con il buon senso e la consapevolezza dei nostri limiti.
Purtroppo,la sensazione di onnipotenza che pervade oramai la nostra società, ci priva di questa “scuola” naturale e crea generazioni di individui privi del senso del pericolo e di limitatezza dell’azione umana.
Poi, l’intelligenza artificiale completerà l’opera!
La sicurezza è come Dio. Un’invenzione dell’essere umano per fugare la paura della morte e per trovare un capro espiatorio alle proprie insicurezze. Ma non esiste nella realtà.
Inquinati dai saperi non saremo mai rabdomanti di noi stessi. Sentire la nostra condizione intima, vederne le profonde motivazioni che ci muovono richiede un’attenzione non educata in questa cultura di specialismo e nozionismo. Tuttavia, demolendo le verità che ci inducono a prestare attenzione agli elementi esterni dedicati alla produzione della sicurezza, possiamo mondarci fino sentire quanto conta l’intima dimensione. Per poi arrivare a rispettala nonostante le spinte alla vanesia competizione, fosse anche solo con noi stessi.
dentro O fuori? il connettivo logico O (vel) non esclude entrambi i fattori di sicurezza, non è un O (aut aut) escludente.
Per esempio proliferano le vie ferrate sempre piu’acrobatiche e muscolari , che certi percorrono in braghette e cannottierina e imbragatura, MA se succede che il cavo sia stato tranciato da caduta sassi , o immerso per un lungo tratto in un crostone di neve ghiacciata..un poco di attrezzatura tipo corda ,chiodi , piccozza e ramponi e tecnica ed esperienza arrampictorie e disicurezza , servono.Bisogna essere accorti e disposti ad uno peso supplementare che forse a cose fatte sarà stato inutile. Se uno e’giunto al punto tale da aver conseguito senso di sicurezza serena per se stesso..cosa esclude che debba intervenire per solidarieta’ a fornire sicurezza attrezzata ad altri magari sconosciuti fratelli incontrati per caso?OVVIAMENTE SENZA ESAGERARE!La compagnia di allegra brigata o compagna allumeuse,a volte distraggono ed accadono cadute scivolate inciampi su sassi e radici anche in tratti semplici. All’ordine del giorno di questo periodo autunnale..le scivolate di cercatori di funghi e di escursionisti che trovano tratti ghiacciati nascosti da strati di foglie…Il diavolo a volte si nasconde nei dettagli, caso ultimo di incidente mortale ad escursionista esperta (guida accompagnatrice media quota) che indossava i ramponi per attraversamento di nevaio, ghiacciato..ma..aveva forse trascurato una limatina alle punte. Al contrario altri iper previdenti confidenti in materiale al top ,hanno i ramponi acuminati ma al primo utilizzo se li piantano nei polpacci o caviglie.
Ars longa vita brevis. Attenti ad allacciare bene le calzature professional con doppio nodo, che se vi calpestate i lacci sciolti con l’altro piede fate un volo.