Sotto l’acqua. Per ricordare
di Fabio Balocco
Correva la metà degli anni Ottanta quando ottenni dall’ENEL il permesso di accedere all’invaso di Agàro, nell’Ossola, quando esso veniva svuotato. Per me era un’occasione unica per vedere ciò che rimaneva dell’antico borgo. Di quella malinconica visita mi rimangono le diapositive che scattai nel fango del bacino. Fu questa l’ultima tappa di un piccolo viaggio che intrapresi per raccontare la storia dei borghi dell’arco alpino occidentale che erano stati sommersi per realizzare invasi a scopo di produzione di energia idroelettrica: occorreva alimentare soprattutto l’industrializzazione della pianura.
Fu l’inizio della colonizzazione delle Terre Alte, che io scrivo con le lettere maiuscole per sottolinearne importanza e dignità. Il viaggio prese le forme di un reportage che realizzai per la rivista Alp, diretta da Enrico Camanni, a cui piacque molto il tono appunto malinconico che permeava la scrittura. L’idea di riprendere quel tema, approfondirlo e ampliarlo mi è sempre frullata nel cervello, e ha ripreso forma quando in questi ultimi tempi si è ricominciato a parlare di invasi, vuoi a scopo di produzione di energia, vuoi a scopo idropotabile, vuoi a scopo di alimentazione delle produzioni agricole.
Così ecco il progetto mille dighe sostenuto da Coldiretti, ENEL, ENI e CDP, e più di recente ecco riprendere vigore almeno tre progetti di dighe, due in Piemonte (Combanera e Val Soana) e una a cavallo di Veneto e Trentino (Vanoi).
Nasce così Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi (LAR Editore, 2024), nel quale confluiscono le testimonianze indirette, ma anche in un caso dirette (Valgrisenche) dei cinque invasi che sommersero borghi montani: partendo da sud, Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche e Agàro. Storie che hanno in comune la dinamica realizzativa delle grandi opere, ma che si distinguono per le diverse popolazioni vallive, per gli aneddoti, ma anche, talvolta, per la tragica inutilità: all’invaso di Osiglia non fu mai collegata una centrale di produzione; in Valgrisenche lo sbarramento fu realizzato su una paleofrana e l’invaso dovette essere ridotto a un decimo della sua capienza.
Sono storie minime, se vogliamo, ma che meritano di essere conosciute, prima che se ne perda completamente la memoria. Il libro si conclude con la vicenda dell’invaso di Badalucco, in Valle Argentina, Alpi Liguri, che invece non fu realizzato a causa della ferma opposizione della popolazione locale. Un po’ come accadde in Francia a Tignes e a Chervrigny (la vicenda confluì nel libro Il silenzio e la collera di Pierre Lemaitre), dove però gli invasi furono ugualmente realizzati. Non vi è opera dell’uomo che non abbia un impatto su territorio e ambiente, ma, nel caso degli invasi, tragicamente anche sui suoi simili.
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E pensare che l’energia proveniente dall’idroelettrico è superficialmente detta “energia pulita”
Assolutamente da leggere. Comprato adesso.
Un argomento a me totalmente sconosciuto, ma che in effetti merita di essere approfondito.
Grazie per la pubblicazione.