Storia di una palla di mare

Storia di una palla di mare
di Chiara Baù
(già pubblicato su www.imperialbulldog.com il 25 agosto 2017)

Lettura: spessore-weight*, impegno-effort**, disimpegno-entertainment**

Era una mattina di maggio, in una località di mare in cui mi trovavo per lavoro, d’obbligo la passeggiata all’alba lungo la spiaggia, la necessità di  respirare con la cadenza delle onde prima di una giornata di lavoro chiusa in sala meeting. Pochi passi e mi accorgo dell’incredibile attività che anima il litorale fin dalle prime ore della giornata. Schiere di piccole ruspe intente a raccogliere masse di alghe, addetti agli stabilimenti balneari occupati a lisciare la sabbia come un campo da golf.

Posidonia oceanica

A malapena affiorava qualche conchiglia sfuggita all’intervento di pulizia ordinaria che lasciava una spiaggia pulita ma vuota, priva di tutto ciò che il mare aveva depositato; sembrava lo stesso processo di livellamento che avviene d’inverno in montagna per la preparazione delle piste da sci.

Certo raccogliere i rifiuti è un dovere, ma ciò che quei piccoli gatti delle nevi da spiaggia stavano eseguendo era qualcosa che mi diede subito la sensazione di totale estraneità a quel luogo.

Poche ore dopo schiere di ombrelloni e lettini posizionati a distanza centimetrica avrebbero animato la zona. Non un’alga, non un’impronta, non un frammento di conchiglia. Solo una distesa di sabbia, talmente uniforme da suscitare timore a calpestarla. Dopo aver vagato per mezz’ora  tornai al lavoro, stranita da quella frenetica attività mattutina. Abituata fin da piccola a correre libera lungo spiagge selvagge e incontaminate, capii di essere incappata in qualcosa che non mi apparteneva.

Passano i mesi, finalmente sono in vacanza, torno nel mio mondo, sulla costa ovest della Sardegna, un‘isola dove imperversa il maestrale, il vento predominante che dal golfo del Leone fa sentire la sua voce, scolpendo le spiagge e lasciando sul bagnasciuga i doni più belli.

Solo un vento così espressivo poteva farmi assaporare lo stato più selvaggio e vero del mare. Nessuna ruspa, nessun bagnino con rastrello; le dune disegnate dal vento seguivano linee più armoniose e regolari di qualsiasi spiaggia rigorosamente livellata.

Grossi tronchi trasportati dal mare sembravano fondersi con la sabbia come fossero entrati in simbiosi. Chissà da quale lontano paese arrivavano; chissà quali storie nascondevano le loro venature. Nuove saghe di Moby Dick sarebbero state scritte se solo quei pezzi di legni avessero potuto parlare. La spiaggia sembrava una mostra d’arte, probabilmente nello stesso stato in cui l’avevano scoperta i pirati approdati dal mare centinaia di anni prima.

Cornici di posidonia oceanica si erano depositate sull’arenile rendendo non facile l’accesso al mare. L’accumulo delle foglie morte di posidonia sui litorali è tale da simulare una seconda linea di costa, un po’ maleodorante per il normale processo di decomposizione, ma significativo in quanto buon indice della biodiversità marina.

Si tratta di una pianta acquatica, endemica del Mar Mediterraneo, appartenente alla famiglia delle Posidoniacee. Ha radici, un fusto rizomatoso e foglie nastriformi lunghe fino ad un metro e unite in ciuffi di 6-7.  Fondamentale nel consolidamento delle coste, funziona da nursery per i piccoli di molte specie animali, a partire dai pesci. La leggenda vuole che Poseidone avesse ricevuto in custodia il mare da Giove. 

A quel tempo la grande distesa d’acqua era troppo affollata e ci si viveva male a causa dei numerosi predatori. I pesci piccoli non avevano vita facile, faticavano a rimanere in vita non riuscendo a respirare perché l’acqua non conteneva a sufficienza ossigeno. A questo si aggiungeva il persistente lamento delle sirene. Poseidone meditò a lungo finché chiese a sua figlia Posidonia, la più bella e generosa creatura di tutti gli oceani, di sacrificarsi per il bene di tutto il mare. Posidonia accettò e sciolse i suoi lunghi capelli verdi distendendoli lungo tutte le coste, circondò le isole e creò una barriera di protezione davanti agli arenili. I capelli della figlia di Poseidone si trasformarono in una pianta marina, la Posidonia oceanica che creò nuovi habitat e protezione per tutta la popolazione del mare. Le sconfinate distese dei suoi capelli formano ancora oggi una barriera subacquea oltre a costituire una notevole riserva di cibo per l’ecosistema marino.

Quando dall’alto di un promontorio si osserva il mare nella sua tavolozza di colori ricca di sfumature ecco che la posidonia fa da padrona con il suo blu intenso. Si estende infatti in praterie sottomarine che possiedono una notevole importanza ecologica ed esercitano un’indiscutibile azione nella protezione della linea di costa dall’erosione.
Era la posidonia che mi stava proteggendo dalle onde più impetuose.
La presenza di formazioni sferiche color marrone disperse lungo il litorale attirarono la mia attenzione. Sembrava che qualcuno si fosse divertito a giocare a biliardo. Inizialmente mi domandai  cosa potessero essere e soprattutto di quale materiale fossero fatte. Abituata ad osservare e analizzare in esperienze precedenti gli escrementi di orso, pensai fossero da imputare a qualche animale, vista la somiglianza di forma, o, forse, che si trattasse di strane forme vegetali sconosciute.

In realtà dietro a tanta perfezione si nasconde uno dei segreti del mare. Complici le onde. Avviene, infatti, che le piante morte della posidonia si accumulano nelle aree depresse dei fondali e sotto l’azione rotatoria delle onde, grazie alle nervature delle foglie e le fibre del rizoma che resistono alla decomposizione, si aggrovigliano tra loro appallottolandosi in masse di alcuni centimetri di diametro di color marrone.

Vengono chiamate Egagropili, o più comunemente palle di mare. Tale termine deriva dal greco aigagros, cioè capra selvatica e pilos, peli ammassati.

Così il moto ondoso dopo aver scolpito le sfere, le coinvolge in una sorta di moto browniano, tra fluttuazioni perpetue e apparentemente casuali, provocandone la dispersione e il rilascio in spiaggia quasi a scopo ornamentale. Un  amico sardo mi rivelò come la mamma da piccolo gli chiedesse ripetutamente di andare a raccogliere le cosiddette polpette di mare per riporle poi in vasi di vetro impreziositi da canne di bambù. Dal fondo del mare all’elegante soggiorno di una casa in riva al mare. Le sfere di posidonia continuavano a vivere.
Le palle di mare insieme ai banchetti spiaggiati sono uno specchio del fondale marino e la testimonianza delle parti più forti della pianta da cui provengono.

Come una palla di neve, ogni sfera del mare ha la sua forma ed è diversa da tutte le altre. Il moto ondoso e le condizione nivologiche sono sempre talmente differenti da plasmare oggetti unici e irripetibili. L’origine di tali formazioni sferiche era così affascinante da cristallizzarsi subito nei miei pensieri.
Al mare non impera il silenzio della montagna, è l’infrangersi delle onde che accompagna ogni secondo, ma da quel giorno fui contenta di imparare qualcosa che fino ad allora mi era sfuggito.

Se il fascino dell’incontro con un animale selvaggio mi colpisce sempre, scopro ora che anche quello con semplici formazioni vegetali può incuriosirmi, forse non così immediato come l’impatto con un grizzly, come mi é ripetutamente accaduto durante i miei studi, ma certamente suscettibile di approfondimenti.

Proprio in quei giorni le ceneri del Nobel per la pace Liu Xiaobo venivano disperse nell’oceano, ultimo sfregio alla memoria di questo prigioniero politico .

Hu Jia, l’amico dissidente disse che l’avevano cremato perché nulla potesse ricordarlo in terra cinese. Forse proprio il mare è stata la tomba migliore perché solo laggiù si può trovare il senso di libertà a cui tanto anelava Liu Xiaobo.

Arrestato nel 2008 aveva trascorso sette anni in prigione. Nobel per la pace nel 2010, le autorità impedirono ai familiari di ritirare il premio. Tra le acque dell’oceano non dovrà più sfuggire alle costrizioni dei regimi. Tra le onde del mare non esiste la battaglia di un potere contro l’altro. L’unica forza è quel moto continuo e instancabile che concede e dedica parte della sua vigoria a sculture meravigliose come le palle di mare.

Mi piace accompagnare questa immagine con un’armonia perfettamente adeguata a questo processo e che identifico in un pezzo di Claude Debussy, l’Arabesque N. 1 (Andantino con moto).

Ignara fino ad allora dell’esistenza degli Egagropili mi consolo apprendendo dall’International Institute for Species Exploration che ogni anno vengono scoperte migliaia di specie nuove.

In particolare nel 2016 diciottomila nuove specie sono state classificate tra piante e animali mai conosciute fino ad allora. Ad esempio in India è stato scoperto un piccolo ragno che imita perfettamente le fattezze e i colori delle foglie morte accartocciate tra cui si muove. Si è nascosto così bene finora che nessun naturalista l’aveva notato. Il corpo ha la forma di un cono con la punta ripiegata all’indietro ed è identico al “cappello parlante”di Harry Potter. Così il nome linneano di questo aracnide è diventato Eriovixia gryffindori, in onore del mago Godric Grifondoro che nella saga della Rowling inventò il cappello parlante.

Chissà cosa avrebbe pensato Carlo Linneo fondatore della tassonomia moderna della domanda rivolta al giornalista autore dell’articolo sulle nuove scoperte ‘perché mai dovremmo sapere di tutte queste nuove specie‘.. la risposta è stata esemplare: dovere di conoscenza.

Un gabbiano nel suo vagare lungo la spiaggia sembra dribblare le egagropile come un giocatore di calcio intento a raggiungere la porta mentre cespugli di candidi gigli di mare assistono in tutta la loro eleganza a questo nuovo spettacolo.
E’ buffa l’interazione tra queste misteriose sfere e ciò che vi ruota intorno.
Ad un certo punto il gabbiano atterrò a pochi metri di distanza. Il suo sguardo, come il mio era diretto verso il mare, calamitato dalla grande distesa blu.

Percepivo un senso di appartenenza a quella natura che mai smetteva di stupire e incuriosire, come se il mare fosse sempre stato dentro di me.
Anche laggiù tra le onde trovano fondamenta le mie radici.
Il mare, un continuo mistero, fonte di nuovi doni da fotografare, studiare e semplicemente ammirare nelle loro mille sfaccettature.
Appagata mi sedetti su uno dei tronchi portati da una delle mareggiate ed aspettai. Quale altro regalo sarebbe arrivato?
Il mare premiò la mia pazienza, ma questa è un’altra storia ancora.

         

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Storia di una palla di mare ultima modifica: 2017-12-15T04:52:50+01:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Storia di una palla di mare”

  1. Cara Chiara,

    siamo rimasti in pochi che amano lo scialpinismo e le coste marine come Natura le ha fatte! Alla massa appecorata piacciono spiagge e piste da sci “sicure” , addomesticate e ….FALSE come loro. Così si sentono a loro agio e così, purtroppo, educano i loro figli e li crescono, con il risultato di ritrovarci tutti in un mondo di teorici e coglioni madornali, con le dita fatte a slittino adatte solo al touchscreen. Chi non è in sintonia con madre Natura vive male anche quando è circondato da ogni gadget inutilmente indispensabile -si vede lontano un kilometro- si ammala e muore infelice dopo avere reso la vita spiacevole a chissà quante altre persone. E’ triste ma è così.
    In questo tipo di società e sistema l’unica è vivere da emarginati, credendo nella decrescita economica, nella semplicità e nelle persone che meritano la nostra stima. Ci sono ma sono pochissime.
    Ora suono un po’ la chitarra, così arrivo al lavoro in ritardo! Ciao

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