Tessera sanitaria a punti
(le trappole cognitive nella sanità lombarda)
di Noemi Sacchi
(pubblicato su ilpunto.it il 2 maggio 2024)
Quasi cinque mesi fa l’assessore della Regione Lombardia al Welfare, Guido Bertolaso, a margine del Forum della Sanità organizzato dalla Consulta nazionale di Forza Italia a Milano, ha avanzato la proposta di introdurre la tessera sanitaria a punti [1]. Un sistema per premiare comportamenti salutari, come la partecipazione agli screening preventivi, e per incentivare la responsabilità individuale nella gestione della propria salute.
Trascrivo integralmente l’intervento:
“Sapendo bene quello che succederà tra 5,10,15 anni, credo che non si debba lavorare solamente nel quotidiano (i pronto soccorsi li stiamo ancora migliorando, le liste di attesa le ridurremo moltissimo, i problemi di gestione e di attenzione agli anziani li seguiamo con estrema cura) ma anche guardare nel medio-termine, se vogliamo davvero rendere un servizio concreto a tutti i cittadini, e questo significa fare molta più prevenzione. L’idea che dobbiamo portare avanti, studiare e vedere se è praticabile, è quella di una tessera sanitaria a punti in modo che, se tu porti avanti uno stile di vita il più corretto e salutare possibile, puoi guadagnare dei punti che poi ti permettono di ricevere degli incentivi che possono essere diverse modalità di premialità. Se fai gli screening contro il tumore al seno, oppure contro il cancro alla prostata o per quelli che riguardano i tumori del colon, tutte quelle che sono le malattie prevenibili, oggi gli screening sono ampiamente sotto il 50 per cento delle persone che ne hanno diritto; noi invece vogliamo arrivare al 100 per cento, perché questo significherebbe dare maggiore salute a tutti i cittadini e ridurre di molto i costi economici della sanità. In prospettiva sappiamo che i costi della sanità, se noi non interveniamo con qualche azione finalizzata a migliorarli, non saranno più sostenibili; non sarà un problema nostro ma noi dobbiamo lasciare a chi ci sostituirà la possibilità di fare una programmazione e di gestire una sanità che sia la più corretta ed equa possibile”.
All’apparenza, quindi, buoni propositi (finalmente la centralità della prevenzione), buone finalità (maggiore salute per le persone e contenimento dei costi della sanità), un certo senso di lungimiranza (una visione a medio-lungo termine nell’interesse delle future generazioni), la conferma di alcuni tra i valori fondanti del nostro sistema sanitario. E un accattivante modello di tessera sanitaria a punti per incentivare i cittadini a uno stile di vita sano e sicuro. Una proposta innocua se non intrigante.
Ma è davvero così? Tralasciando le considerazioni di carattere morale, si potrebbe opinare che lo Stato dovrebbe tuttalpiù educare la popolazione nel suo complesso senza valutare il singolo individuo a posteriori, secondo un giudizio di merito. Tralascio anche le questioni di diritto, legate al trattamento dei dati, alla privacy e ai confini democratici che si potrebbero erodere ogni volta che una società cerca di registrare e dividere i cittadini in buoni e cattivi.
Utilizzando e approfondendo alcuni spunti forniti dal libro di Nerina Dirindin È tutta salute. In difesa della sanità pubblica [2], vorrei provare invece a svolgere un’analisi critica della proposta dell’assessore lombardo per dimostrare come dietro a una puntuale proposta di politica sanitaria possano celarsi diverse trappole cognitive che condizionano strategicamente la stessa idea di salute, distraendo i cittadini e disimpegnando la politica in favore di interessi privati di mercato.
1. È vero, prevenzione e stili di vita sono determinanti importanti, a lungo sottovalutati, dello stato di salute.
In Italia, con la legge 833/1978 si iniziò a trattare la questione preventiva, per lo più in merito alla salubrità degli ambienti di vita e di lavoro e alla sicurezza rispetto al rischio di infortuni. L’espressione “stili di vita”, di genesi più moderna, non compare mai nel testo di legge [3]. In effetti, nei decenni successivi, il Servizio sanitario nazionale (Ssn) fu ampiamente sviluppato e sostenuto nel suo pilastro ospedaliero, meno negli altri due pilastri che dovrebbero garantire la globalità delle cure: medicina del territorio e prevenzione. Oggi il nostro Ssn riconosce, almeno a livello teorico, l’adozione di uno stile di vita sano come fattore determinante per la salute dell’individuo e della collettività. È effettivamente stato dimostrato che la riduzione di fattori individuali, come il tabagismo, l’uso eccessivo di alcol e droghe, la sedentarietà, l’obesità, diminuisce la mortalità, sia in Italia che negli altri Paesi industrializzati [4].
2. La salute non dipende solo dal comportamento individuale: esistono dei determinanti sociali dello stato di salute e la politica ne è responsabile.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce lo stile di vita sano come: “il comportamento di un individuo che descrive l’interazione tra le caratteristiche personali, l’interazione sociale e le condizioni di vita socioeconomiche e ambientali che sono tese a mantenere o anche migliorare lo stato attuale di salute” [5]. I determinanti sociali dello stato di salute individuati da Oms sono in totale dieci: reddito e protezione sociale; educazione; disoccupazione e precarietà del lavoro; condizioni di lavoro; insicurezza alimentare; condizioni abitative, servizi di base e ambiente di vita; sviluppo dell’infanzia; inclusione sociale e non-discriminazione; conflitti strutturali; accesso a servizi sanitari di buona qualità.Fare leva e in modo così marcato ed esclusivo sulla responsabilità individuale, premiando i comportamenti virtuosi con una tessera sanitaria personale a punti, rischia di distogliere l’attenzione dalle incombenze di governo, deresponsabilizzando la politica dall’eliminare quei fattori che impediscono agli individui, loro malgrado, di essere inseriti in un ecosistema che favorisca l’adozione di uno stile di vita sano (vedi figura qui sotto).
Come scrive Antonio Bonaldi: “I più importanti problemi che minacciano l’umanità, quali la salute, il clima, la biodiversità, l’energia, le migrazioni, la finanza, sono tutti problemi interdipendenti, che vanno affrontati in modo integrato, interdisciplinare” [6]. La logica dell’individualismo favorisce il mercato ma sottende una visione miope della salute e del benessere, che sono invece beni comuni e sistemi complessi, da affrontare pertanto in seno a dinamiche collettive, socio-politiche e non relegabili al solo comportamento individuale.
La misura proposta dall’assessore Bertolaso prevede “diverse modalità di premialità” per chi adotta stili di vita sani. Il rischio è che questi incentivi e premialità vadano più facilmente a chi ne ha meno bisogno.
3. La povertà fa male alla salute, ma non è colpa dei poveri.
La domanda da porsi adesso è: chi conduce una vita meno sana e perché? Per provare a rispondere prendiamo a titolo di esempio due determinanti dello stile di vita sanoindicati da Sir Michael Marmot come individuali: la dieta e lo stress [7].
È dimostrabile che:
– i percettori di bassi redditi si nutrono con alimenti e diete di qualità peggiori rispetto ai redditi elevati. Questo vale non solo negli Stati Uniti, ma anche nel nostro Paese, dove “oggi i più ‘poveri’ [per risparmio e/o per scarsa istruzione, NdR] acquistano i generi alimentari soprattutto in supermercati e discount andando alla ricerca di quelli meno costosi e che purtroppo sono anche quelli di peggiore qualità. A tutto questo si deve poi aggiungere un’altra componente ‘moderna’, il cosiddetto junk food il ‘cibo spazzatura’ gustoso ed economico che attrae in particolare bambini e ragazzi” [8];
– i lavoratori a basso reddito (oltre ad alcune categorie specifiche, come i professionisti sanitari, le forze di difesa, gli amministratori delegati di grandi gruppi finanziari) sono mediamente più esposti a rischi psicosociali con conseguenti effetti sulla salute mentale (burn-out, ansia, stress, depressione, intenti suicidari) e fisica (malattie cardiovascolari e disturbi muscolo-scheletrici) [9]. L’opportunità di scelta di tali lavori è davvero libera o è dettata da condizioni socioeconomiche che vanno oltre l’autodeterminazione del comportamento individuale?
Si potrebbe andare avanti dimostrando la relazione tra l’abuso di alcol, fumo e droghe e reddito, o tra reddito, livello di istruzione e attenzione allo stile di vita. Chi conduce stili di vita insani è solo più “cattivo” o è più in difficoltà? A mio avviso, non si può ignorare l’evidente svantaggio nel punto di partenza: per i diversi ceti sociali cambiano le opportunità economiche, di istruzione, di possibilità di scelta di stili di vita sani, così come la capacità di resistenza alle pressioni degli interessi di consumo.
La misura proposta dall’assessore Bertolaso prevede “diverse modalità di premialità” per chi adotta stili di vita sani. Il rischio, dunque, è che questi incentivi e premialità vadano più facilmente a chi ne ha meno bisogno e a cui, peraltro, è richiesto meno sforzo (economico ma anche culturale e intellettuale) per adottare tali comportamenti, colpevolizzando e penalizzando, invece, chi dovrebbe ricevere premi per vivere meglio proprio perché già vive peggio. Dunque, principio di equità non verrebbe rispettato.
Chi conduce stili di vita insani è solo più “cattivo” o è più in difficoltà?
4. Induzione al consumo sanitario, punti fragola ed Esselunga: la bulimia sanitaria in un contesto di asimmetria informativa.
La legge 833/1978 individua come primo obiettivo del Ssn “la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità”.
La mercificazione della salute si realizza anche tramite l’egemonizzazione culturale e del linguaggio.
Se è vero che le parole hanno un peso (e le suggestioni che esse forniscono a livello subconscio ne hanno uno ancora maggiore), trovo facilmente smascherabile la logica del supermercato nella citazione di una tessera a punti. L’educazione passa anche da qui, e in sanità, luogo teorico di compimento di enormi asimmetrie informative tra i detentori del sapere scientifico (o presunti tali) e gli individui (sani o malati che siano), la responsabilità rispetto all’uso del potere evocativo e simbolico di parole, mezzi e azioni deve essere ancora maggiore. I mercati e i supermercati usano i sistemi dei punti, dei bollini, dei gratta e vinci per aumentare i consumi, per premiare i consumi. Ecco, dunque, che la mercificazione della salute si realizza anche tramite l’egemonizzazione culturale e del linguaggio: contaminare un’area semantica che nulla dovrebbe avere a che fare con la cultura dei consumi con elementi che alludono al mercato, che rimandano all’equazione più consumo, più sono virtuoso, più vengo premiato, pur senza sapere cosa esattamente verrebbe premiato e perché.
È proprio ciò che fa l’assessore: non informare né educare rispetto al contenuto, all’appropriatezza e all’utilità di un determinato comportamento sanitario, ma lanciare un’idea come si lancia un prodotto.
5. Sull’appropriatezza dei test di screening: cosa è vero e cosa no.
È certamente vero: l’adesione ai test di screening in Italia e in Lombardia non è ottimale. Tuttavia l’assessore comunica dati imprecisi. L’Osservatorio Salute, per il triennio 2016-2019, indica dati lombardi di adesione decisamente più elevati rispetto al 50 per cento: 84,8 per cento per lo screening mammografico (media nazionale 74,8 per cento); 74,7 per cento per lo screening colorettale (media nazionale 47,6 per cento) [10].
Ed è anche vero che uno degli obiettivi della prevenzione è innalzare tale percentuale, perché è dimostrato che l’adesione ai programmi di screening migliora la mortalità dei pazienti e riduce i costi sanitari [10]. Ma quello che l’assessore non dice è che ciò va fatto con accuratezza, sobrietà, competenza, precisa selezione della popolazione analizzata e solide basi statistiche [6]. Semplificare facendo credere agli individui che più screening ricevono meglio è, in realtà potrebbe incentivare i consumi di tali prestazioni aumentando la spesa sanitaria senza un vantaggio in termini di mortalità o addirittura peggiorando le condizioni di salute della cittadinanza [11]. Chi ci guadagna, dunque? Per ipotesi, se questi test venissero commissionati dalla Regione a fornitori di prestazioni privati in convenzione con il Ssn o eseguiti privatamente mediante l’intermediazione finanziario-assicurativa, l’implementazione a tappeto dei test di screening, così come di generici check-up, potrebbe aprire ampi spazi di guadagno per il mercato della sanità privata, che trova la sua linfa nella quantità di prestazioni erogate e non nella accurata valutazione di appropriatezza delle stesse. Il dubbio di conflitto di interesse è quantomeno legittimo.
6. Il gioco della redistribuzione delle politiche sanitarie lombarde: non da ricchi a poveri, ma dal pubblico al privato. La visione “tra 5, 10, 15 anni”.
Non è mistero che la sanità lombarda sia un formidabile esperimento di progressiva privatizzazione del settore [12]. Nel caso specifico qui affrontato, sono due gli elementi critici che leggo tra le righe dell’intervista, entrambi riconducibili alla trasformazione di beni pubblici in capitali privati.
Del primo ho già accennato nel paragrafo precedente: il disegno sotteso di favorire il settore privato come fornitore sempre più centrale di prestazioni al di fuori dell’area dell’emergenza-urgenza. Scrive il prof. Pallante: “Di fatto quello che sta accadendo è il rapido scivolamento verso una situazione in cui il Ssn manterrà essenzialmente il compito di presidiare la fase emergenziale, mentre tutto ciò che rientra nella fase post-acuzie sempre più diverrà terreno di intervento dei privati. Il che è una plateale violazione di quel principio di globalità delle prestazioni previsto dalla legge 833/1978” [13].
Il secondo punto è, ancora una volta, sistemico. Rispetto alle premialità citate, dice Bertolaso: “Penso, ad esempio, ad ingressi nei nostri centri termali di altissima qualità dove effettuare cure o alla possibilità di offrire skipass gratuiti sui nostri comprensori montani che, proprio fra 2 anni, ospiteranno le Olimpiadi. Stiamo anche pensando a come coinvolgere gli organizzatori dei grandi eventi che ogni anno ospitiamo in Lombardia in modo tale da mettere a disposizione premialità di questo genere” [1].
Quella della tessera a punti, con i suoi premi, potrebbe essere una trovata di marketing eccezionale. Solletica l’idea di gioco, con il suo immaginario d’innocenza, divertissement, frivolezza, ricreazione, svago. La connivenza di Regione Lombardia con i grandi interessi privati potrebbe trovare nascondiglio perfetto, dietro l’angolo della tessera a punti. Nel frattempo, i benefit previsti andranno ad arricchire gli indotti (e incanalare i consumi) di quei settori industriali, commerciali, turistici, finanziari, la cui sostenibilità è quantomeno dubbia, e che di fatto contribuiscono pesantemente a deteriorare proprio quei determinanti sociali e ambientali dello stile di vita sano che si starebbe premiando, in un capzioso cortocircuito. Verrebbe da chiedersi: quale stile di vita sano? Vantaggioso per chi?
La minaccia che senza una precisa responsabilizzazione individuale dei cittadini non ci sarà più possibilità di sostenere la sanità è l’ultima e più formidabile trappola cognitiva.
7. Le persone non devono rimanere sane per contenere i costi della sanità.
È certo: la prevenzione è uno dei modi per contenere i costi sanitari, e la pianificazione della spesa pubblica sanitaria è un’incontestabile necessità. Ma la minaccia che senza una precisa responsabilizzazione individuale dei cittadini non ci sarà più possibilità di sostenere la sanità è l’ultima e più formidabile trappola cognitiva che trovo presente nell’intervista.
La sanità è un diritto costituzionale fondamentale, pertanto non finanziariamente condizionato. Lo dice chiaramente la Corte Costituzionale: “È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. La prevenzione è parte della cura, non un modo per evitarla. Minacciare i cittadini che se non faranno i bravi potranno perdere il diritto ad essere curati, potrebbe sottendere un’altra più fine strategia: mettere le mani avanti sul fatto che la sanità pubblica inevitabilmente scomparirà, in favore del privato, e non sarà stata una precisa scelta politica di sottomissione alle spinte del mercato e dell’industria sanitaria, ma ce la saremo cercata noi, con i nostri stili di vita insani. Vietato lamentarsi, dunque.
Conclusione: la strategia della gradualità
Scrive Noam Chomsky: “Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. È in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove furono imposte durante i decenni degli anni ’80 e ’90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta” [14].
Analogamente, la tesi di fondo proposta nel testo e nelle lezioni di Nerina Dirindin è che da anni la sanità pubblica sia sotto assedio e che tale assedio, in quanto tale, non avvenga attraverso misure drastiche e improvvise, ma in modo subdolo, per piccoli e apparentemente innocui o addirittura accattivanti passi, atti – tra l’altro – a insinuare false credenze in merito alla qualità e alla sostenibilità della sanità pubblica e a minare i valori di fondo che hanno ispirato la costituzione del nostro Ssn in favore di interessi privatistici e di mercato.
La proposta dell’assessore Bertolaso è un esempio concreto di una delle modalità con cui avviene questo assedio alla sanità pubblica: attraverso passaggi minuti di (dis)orientamento dell’opinione pubblica. Quella della tessera a punti è una misura simpatica, circoscritta, puntuale. E proprio per questo insidiosa: un punto alla volta e alla fine la tessera potrebbe non essere più nostra.
Noemi Sacchi
Master in etica medica, deontologia, politica ed economia sanitaria
Università di Torino. Questo articolo nasce come relazione per un esame al Master in etica medica, deontologia, politica ed economia sanitaria di Torino.
Note bibliografiche
(1) Sanità, Bertolaso: “Tessera a punti per premiare i corretti stili di vita”. Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2024.
(2) Nerina Dirindin – È tutta salute. In difesa della sanità pubblica. Torino: Edizioni Gruppo Abele, 2018.
(3) La legge 833/1978 “Istituzione del Servizio sanitario nazionale”, pubblicata su Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 360 del 28-12-1978, La legge si limita ad accennare, nelle Usl, generiche competenze anche rispetto alla “prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche” e a raccomandare ai medici di partecipare a “programmi di prevenzione ed educazione sanitaria”.
(4) Rapporto Osserva Salute2022, sezione “Fumo, alcol, alimentazione, eccesso ponderale e prevenzione”.
(5) The World health report 2002. Reducing risk, promoting healthy life.
(6) Antonio Bonaldi – Salute, medicina e dintorni. Palermo: Edizioni Torri del Vento, 2023.
(7) Michael Marmot – La salute disuguale. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2016.
(8) Ilaria Sesana – In Italia i “poveri” mangiano male, il rapporto tra basso reddito e cattiva alimentazione. Altreconomia 29 agosto 2023.
(9) Esposizione ai rischi psicosociali ed effetti sulla salute mentale dei lavoratori europei con basso status socioeconomico. Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, 4 dicembre 2023.
(10) Rapporto Osservasalute 2022, sezione “Malattie oncologiche”. Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, 2023.
(11) È quanto è stato dimostrato con il test di screening Psa per la prostata (vedi Associazione italiana ricerca sul cancro) o con l’ecografia della tiroide in Corea del Sud (vedi So-dam Park et al. Association between screening and the thyroid cancer “epidemic” in South Korea: evidence from a nationwide study. BMJ 2016: 2016; 355: i5745.)
(12) Maria Elisa Sartor – La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al covid-19. Un’analisi critica. Independently published, 2021.
(13) Francesco Pallante – Il diritto alla salute. Sopra tutto. Saluteinternazionale, 15 settembre 2023.
(14) Noam Chomsky – Le 10 leggi del potere. Requiem per il sogno americano. Milano: Ponte alle Grazie, 2018.
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Destra sinistra, pubblico, privato…..Quando soffre di una patologia grave la maggior parte dei pazienti vuole scegliere il medico e i tempi. Personalizzazione e rapidità. Provare per credere. I sistemi pubblici in tutto il mondo non riescono a soddisfare pienamente questa esigenze. A maggior ragione quelli di tipo diciamo “sovietico”. Ecco perché si sono sviluppati i sistemi privati anche nei paesi dove esisteva un buon sistema di sanità pubblica. La loro competitività si basa su bisogni profondi delle persone, che non si possono comprimere, al di là delle belle parole e degli ideali astratti di eguaglianza. Un po’come il possesso della propria casa/tana. I sistemi sanitari convenzionati sono una soluzione intermedia: consentono al paziente un accesso personalizzato a costi contenuti perché una quota significativa del costo è coperta dal SSN. Qui sta la ragione della loro diffusione e del loro successo. In realtà il privato puro dove il paziente paga integralmente il costo è un segmento piccolo e residuale e non opera su patologie importanti il cui costo pieno sarebbe sostenibile solo da un segmento molto ristretto della popolazione. In Italia oggi si è di fatto configurato un sistema misto, pubblico, privato convenzionato, privato non convenzionato. In realtà anche il pubblico ha aperto un canale “privato” che permette in regime di solvenza un ingresso privilegiato. Spesso si pagano le prime visite o gli esami in tempi rapidi per poi passare a carico completo del SSN. Buona parte dei costi che i cittadini affrontano personalmente è in realtà coperto da assicurazioni personali o di categoria, che stanno avendo uno sviluppo notevole negli ultimi anni e le ragioni sono evidenti. Ci sarebbe poi da parlare del sistema retributivo e premiante dei medici che operano nei tre sotto-sistemi, a volte con i piedi in due o tre scarpe, ma qui si aprirebbe un altro discors0. Chi ha cercato di metterci mano, vedi Rosy Bindi, ci ha lasciato la pelle. Il sistema che si è di fatto configurato garantisce buoni livelli di prestazione media, con punti locali di eccellenza internazionale, ma è pieno di storture, iniquità e disuguaglianze. Mettere ordine è un compito davvero sfidante. Quello che serve è una forte dose di realismo e di conoscenza organizzativa. Approcci ideali ma astratti e magari anche un po’ demagogici non portano da nessuna parte o meglio fanno il gioco di chi vuole mantenere uno stato di confusione organizzata nel quale ha tutto da guadagnarci. More italico.
E comunque la prevenzione ovviamente non garantisce che la patologia non possa insorgere.
Le due cose (prevenzione e diagnosi precoce) devono andare a braccetto.
Si , è corretto , ma secondo me prevenzione e diagnosi precoce sono parenti strette.Spesso il pericolo occulto che gli screening diagnostici cercano di portare alla luce è addirittura sconosciuto alla gran parte dei pazienti , che non conoscendo il problema ignorano anche la prevenzione.
“Per quello che posso capirne io , la prevenzione e’ cercare di afferrare gli impalpabili primi sintomi delle malattie piu’ diffuse , prima che diventino gravi.”
Direi proprio di no Espo, questa è diagnosi precoce.
Prevenzione è mettere in atto comportamenti e azioni che possano minimizzare l’insorgere della patologia e/o viceversa (non mettere in atto comportamenti che possano)
Voglio dire usare la maschera verniciando e evitare l’uso di vernici tossiche, per esempio.
Mettere il casco anche in falesia, evitare le rocce marce.
Ovviamente la parte veramente difficile è bilanciare…se per evitare l’effetto tossico della vernice vivo in un posto pieno di muffa posso ottenere l’effetto opposto
@ Balsamo
3 familiari su 3 colpiti ed affondati e io in forse.
Quello che ho visto e’ veramente leggerissimo , e tutti continuavano a fare i cazzi loro facendo finta di non averlo.
I tamponi positivi pero’ li ho visti.
@ Grazia
Ma secondo te , quello che chiamiamo :”Scienza medica” , esiste , o e’ tutto un teatrino per alimentare un colossale giro di soldi ?
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Per quello che posso capirne io , la prevenzione e’ cercare di afferrare gli impalpabili primi sintomi delle malattie piu’ diffuse , prima che diventino gravi.
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Io sono contento che la regione abbia fatto uno screening agli over 50 sul “sangue occulto nelle feci” come previsore del tumore al colon.
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Perche’ non dovrei partecipare ?
@15 “La tessera a punti la lascio a quelli come Crovella, che potranno tenersela cara per andare in rifugio con la funivia di lusso con i lacchè, mentre io continuerò a salire in montagna a piedi, perdendomi tra boschi e esplorando nuovi cammini come ho fatto in tempo di deliriocovid.”
Se scrivi così NON HAI CAPITO UN BELINO delle mie tesi. Sulla tessera sanitaria sono complessivamente contrario, nel senso che sono a favore di una sanità pubblica efficiente e uguale sull’intero territorio nazionale (appartengo alla Destra SOCIALE e non alla Destra affaristica alla Briatore…). Sulla montagna, scrivo da decenni che sono a favore di una montagna “severa, scabra e spartana”, che c’entrano i lacchè???… Mi sa che il delirio ha coinvolto la tua “cabeza”, non il covid… Buon weekend.
“deliriocovid” che prosegue, a quanto pare 🙂
Pensare che andare in strutture sanitarie ogni due secondi renda più sani è tra le follie più disparate mai udite in vita mia.
Io sono, senza dubbio, una di quelli che avrebbe credito pari a zero (e non potrà andare in crociera insieme agli informatori farmaceutici!), visto che dal medico o a fare qualunque esame non ci va mai e, anche per questo, non pesa per nulla sul sistema sanitario, cosa che invece fa chi diligentemente va a subire tutti gli screening consigliati.
Chi è favorevole agli screening sistematici mi potrebbe spiegare perché hanno sempre la precedenza su chi, invece, accusa qualche malessere e, per ridurre i tempi, ricorre al privato?
La tessera a punti la lascio a quelli come Crovella, che potranno tenersela cara per andare in rifugio con la funivia di lusso con i lacchè, mentre io continuerò a salire in montagna a piedi, perdendomi tra boschi e esplorando nuovi cammini come ho fatto in tempo di deliriocovid.
@5 NON intendo che SOLO i governatori di sinistra hanno smantellato la sanità pubblica. Certo che lo hanno fatto anche quelli di destra, ma sorprende molto di più che lo abbiano fatto quelli di sinistra. E’ non sono casi isolati, ma diffusissimi a molte (forse tutte) regioni
Se fosse cosi’ andremmo a farci le visite specialistiche a Novara , ad Alessandria , a Piacenza , a Genova.
Tutto a 1 h di treno.
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Ma e’ cosi’ ?
“Io credo che anche aumentando i soli stipendi dei medici di base e degli ospedalieri , parte delle carenze le copriremmo.”
E invece noi astuti lombardi tagliamo il numero di medici e infermieri.
Comunque vorrei sfatare il mito che i medici di base sono pagati poco, visto che prende da un minimo di 52500€ a un massimo di 105000€ lordi annui.
Piuttosto direi che negli anni il lavoro del medico di base è quello del passacarte, dello scrittore di ricette e compilatore di rapporti, ovvero un lavoro di merda, a causa dell’aumento insensato e gratuito appositamente inventato per complicare la vita a medici ed esasperare i pazienti.
Esempio banale: ho male, vado dal medico, mi prescrive degli esami (meglio: deve prescrivermi degli esami anche se sa già cosa ha), l’esito consiglia la visita specialistica e io devo tornare dal medico con referto che lui deve richiedere.
Il tutto condito per il paziente dai tempi persi per prenotare o in anticamera.
A questo si sommano ovviamente i tempi di attesa: settembre scorso non c’erano posti disponibili prima della fine dell’anno, ma non erano ancora aperte le liste di prenotazione per l’anno successivo per una visita dermatologica.
Ma a pagamento, però…
Sisì, in Lombardia abbiamo una situazione ideale, un vero polo di eccellenza…di imbecillità!
@ Guido
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Si , e’ una delle ragioni , pero’ secondo me insieme ci sono bassissime prospettive di carriera , turni massacranti , e stipendi bassi.
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Io credo che anche aumentando i soli stipendi dei medici di base e degli ospedalieri , parte delle carenze le copriremmo.
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Ma non e’ un problema di facile soluzione : questi vogliono fare i medici , ma alla fine trovano condizioni di lavoro e prospettive molto migliori nelle multimediche e nelle cliniche private.
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Dovremo pagarli.
@ Expo al 9. Perché i malati non sono più quelli di una volta. Alcuni di quelli attuali ti prendono anche a schiaffi, quando ti va bene.
@ Massimo
E tu sai perche’ nessuno vuole fare il medico di base , non solo in Lombardia ma in tutta Italia ?
@7
In Lombardia ci sono servizi di livello altissimo, che causano il turismo sanitario.
E in contemporanea i tempi di attesa per le prestazioni sono divenuti biblici spingendo chi può verso il privato e gli altri a non curarsi.
Grazie alle geniali politiche sanitarie siamo senza medici di base. Sa quanto mi interessa che alcuni vengano qui a curarsi se non trovo un medico per i genitori ottuagenari?
@5
Quali sono le regioni in Italia che ricevono piu’ “turismo sanitario” ?
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Giurerei che sono quelle “rovinate” da Formigoni , Bertolaso e Zaia , con a un incollatura l’E.R
A me pare una stroncatura decisa e ben motivata della tessera a punti che mi trova perfettamente d’accordo.
Al netto delle esilaranti pisquanate (che probabilmente non sono dell’autore né della Regione Lombardia ma dell’Osservatorio della Salute):
“è dimostrato che l’adesione ai programmi di screening migliora la mortalità”
che è da capire se la migliore mortalità consiste nel morire due volte o morire contento perché si è fatto lo screening! 🙂
@ 1
Crovella in Lombardia Formigoni ha iniziato a smantellare la sanità nei primi anni 90.
Elargendo, tra le altre cose, denari pubblici ad ospedali privati . A tal proposito si ascoltino le leggendarie intercettazioni tra lui (il celeste) e Don Verzè.
Non mi sembra che il ciellino fosse di sinistra.
Purtroppo , finche’ non si trovano fornitori “aggratis” , il vincolo del bilancio e’ sicuramente piu’ forte di quello costituzionale.
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No soldi – no cure
Expo #2, la risposta è già nell’articolo:
Aggiungo che nascondersi dietro il dettato costituzionale del :”Diritto alla salute” , non evitera’ in alcun modo la crescita esponenziale dei costi sanitari.
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E’ in atto una continua espansione delle malattie ‘trattabili” e un continuo aumento dei costi relativi : se nel 2030 il morbo di Alzheimer sara’ arrestabile , come e’ diventata arrestabile l’epatite c , non e’ pensabile che cio’ sia gratis perche’ garantito dalla costituzione.
Il massimo che si puo’ fare e’ stabilire a livello europeo una quota del pil da destinare obbligatoriamente alla sanita’ pubblica , e fare una costosa assicurazione integrativa
Premesso che sono a favore di una sanità pubblica uguale su tutto il territorio nazionale, la tessera a punti sanitaria PUO’ essere una possibile soluzione, che snellisce l’accesso alla sanità privata in regime coperto da SSN. ovviamente ha il tallone d’achuille che sarà strumento per spostare ancor di più l’assistenza dalla sanità diretta pubblica a quella privata convenzionata. E’ la critica che muovono quelli che accusano la destra di “maneggiamenti” con la sanità privata.
Smonto invece questa diceria: che sia la destra a voler smantellare la sanità pubblica, specie ospedaliera. Ha iniziato ben prima la sinistra. Molti governatori regionali, precedenti al “giro” in cari oggi, (da Chiamparino in Piemonte alla Serracchiani nel Friuli al Rossi in Toscana ecc) hanno esultato quando si chiudevano ospedali territoriali, colpevoli di esser sacche di inefficienza e sprechi e corruzioni varie. Quindi la politica tutta vuole liberarsi della gestone della sanità.