Metadiario – 233 – The Dream of White Horses (AG 2001-003)
All’inizio dell’estate 2000 avevo ricevuto una lettera da Ken Wilson che sostanzialmente si proponeva di riallacciare i contatti con me dopo i quasi dieci anni di silenzio. Gli avevo risposto il 10 luglio mettendolo al corrente delle cose più importanti che mi riguardavano: “[…] Purtroppo, dopo due fantastiche figlie (Petra di 8 anni ed Elena di 6), le cose con Bibiana sono andate male e alla fine abbiamo diviso le nostre vite. La tua lettera mi ha ricordato alcuni momenti magici, ma ora è tutto finito. Il che non significa che sia impossibile che io venga in Inghilterra, come hai detto tu, saltando su un aereo”.
Lui mi aveva risposto nella stessa giornata: “Mi dispiace molto che tu e Bibiana vi siate lasciati, ma avete due figlie e questo è una buona cosa. Congratulazioni. Spero che entrambi abbiate un rapporto abbastanza buono per condividere la loro educazione. I figli sono il grande conforto e la grande ansia. Come andare in un grande viaggio molto impegnativo che non finisce mai. […] Dovresti venire in Gran Bretagna a provare le nostre arrampicate. Posso mettere insieme un gruppetto adeguato di arrampicatori di alto livello per mostrarti com’è, senza scadere nella stupida competizione. Potrei anche fare qualche classica con te. Ti ho detto che ho fatto la Fox-Stenico alla Cima d’Ambiez con John Bragg? E’ stato bello, grande parete”.
Loquace era loquace, ma Ken Wilson era soprattutto uomo di fatti, non solo di parole. Il 5 gennaio 2001 mi scrisse:
“Caro Alessandro, con Doug Scott, attuale Presidente dell’Alpine Club, ho suggerito di invitarti a parlare all’Alpine Club. In aprile e maggio ci sono sere libere. Potresti combinare un viaggio a maggio, magari abbinato a un giro di arrampicate per visitare il gritstone e l’Anglesey. Non è previsto alcun compenso, ma potremmo darti un contributo alle spese. Potresti parlare delle tue grandi scalate alpine, in particolare della parete sud delle Grandes Jorasses, del Naso di Zmutt, della Val di Mello, della cresta di Peutérey Integrale in inverno e Marmolada parete sud, o anche delle tue varie spedizioni in Himalaya. Magari impressioni su coloro con cui sei andato… Messner e Kosterlitz.
Che ne dici? L’inglese stentato (fractured) è accettabile e immagino che si possa trovare un traduttore adatto. Ho proposto l’idea all’Alpine Club e ne sono entusiasti. Se sei d’accordo, può seguire un invito ufficiale e possiamo pianificare le tue arrampicate in base alla visita.
Quanti anni hanno le tue figlie? Forse potrebbero voler venire anche loro. Potreste stare a casa nostra. Gloria e io… Ti ricorderai di Gloria dal 1972 (quando siamo venuti a trovare te e Ornella a Milano): lei si ricorda bene di te.
Fammi sapere al più presto se sei interessato, perché il programma delle conferenze deve essere completato al più presto”.
Dopo una settimana, il 12 gennaio, la mia risposta:
“Caro Ken, ho meditato per qualche giorno sulla tua idea e poi ho deciso che era buona. Ti ringrazio molto per questo. Il problema più grande per me è preparare la conferenza, perché non vorrei essere tradotto. Se leggo o imparo a memoria il discorso, il mio inglese potrebbe essere un po’ meglio di “fratturato”, quindi, per favore, considerami per un programma relativo a maggio.
Presto potremo discutere di ogni dettaglio, compresa l’arrampicata. Penso di venire da solo. Spero che il trasferimento aereo sia pagato dall’Alpine Club. Un saluto a Doug. Ciao, Alessandro”.
13 gennaio 2001
“Caro Alessandro, meraviglioso. Per quanto tempo puoi rimanere? Ho inviato la tua e-mail a Doug Scott e a Henry Day in modo da poter individuare il giorno migliore. Probabilmente ti chiederanno di fare due conferenze (a Londra e al Peak) e credo che ci sia una cena del Club in quel periodo.
Devi anche dare spazio a una gita a Gogarth e ad altre località del Nord del Galles, gritstone e magari Cornovaglia o Pembroke. Potresti conoscere Pat Littlejohn o qualche altro top climber britannico con cui magari arrampicare”.
Ken passava poi a suggerire un primo elenco di ciò di cui avrei potuto parlare, ma “la prima cosa da fare è fissare la data effettiva, poiché so che ormai hanno occupato alcune delle date che ho indicato”.
16 gennaio 2001
“Caro Alessandro, tutti gli spazi per le serate di marzo sono pieni. Aprile è interrotto dalla Pasqua, quindi la soluzione migliore che posso suggerire è una conferenza a Londra (presso l’Alpine Club) martedì 22 maggio, nonché una conferenza nel Peak District a Longlands (un negozio/caffè di arrampicata che prende il nome da Jack Longland, che è stato all’Everest nel 1933) il 16 maggio e una breve mini-conferenza di 20-30 minuti alla cena dell’AC di sabato 20 maggio (sempre al Peak).
Si tratterebbe di piccoli raduni di 30-70 persone. Si tratterebbe di soci dell’Alpine Club vecchi e nuovi e di personaggi locali (molti dei nostri attuali scalatori vivono nell’area di Sheffield).

Supponendo che tu riesca a impegnare una settimana, potrei anche riuscire a organizzare un piccolo raduno nel Nord del Galles, visto che in ogni caso andremmo lì per arrampicare. Ti potrebbe funzionare? Una settimana a partire dal 15 maggio con ritorno il 23 maggio.
La cosa positiva di tutto questo è che ci sarebbe un sacco di tempo per arrampicare, secondo me il motivo più importante del tuo viaggio.
Fammi sapere se ti va bene. In caso contrario, dovremo fissare per fine settembre/inizio ottobre, quando il tempo è però meno affidabile, anche se sono sicuro che potremmo fare qualcosa di buono anche in quel periodo”.
Ancora Ken qui indulgeva sugli argomenti da trattare, ma per la prima volta accennava alla “pulizia dell’Everest, citata nelle recenti Mountain notes”.

17 gennaio 2001
“Caro Ken, questo significherebbe una vera e propria full immersion nella lingua inglese! Sono entusiasta di quest’idea. Ti prego di considerarla realizzata. Va bene dal 15 al 23 maggio. Presto lavorerò alla conferenza, scegliendo gli argomenti, le immagini e scrivendo gli appunti. Poi qualcuno tradurrà”.
17 gennaio 2001
“Caro Alessandro, questo per ora è provvisorio, in attesa dell’invito formale da parte dell’Alpine Club. Che, per l’Alpine Club (Londra), arriverà da Henry Day, quello che ha guidato la spedizione che ha compiuto la 2a ascensione dell’Annapurna; mentre, per la cena, arriverà da Rupert Hoare e, per la conferenza infrasettimanale al Peak, da Martin Wragg”.
Nel cercare di definire maggiormente quelli che sarebbero stati i miei temi, facendo precise distinzioni tra le varie serate ormai in programma, Ken mi dava tante di quelle informazioni sui tipi diversi di pubblico da far somigliare la sua mail a una specie di “vademecum” del perfetto conferenziere straniero in suolo britannico, sia pur zoppicante per il suo inglese “fractured”.
Per esempio, al riguardo della serata con cena, scriveva:
“Suggerisco di parlare della spazzatura sull’Everest ma di concludere con qualcosa sul cibo e sul vino italiano. In questo modo, se qualcuno ne rimarrà schifato, poi gli tornerà l’acquolina in bocca”. E inoltre: “Le persone avranno avuto una giornata in falesia e una cena, quindi vorranno essere intrattenute. Al fine dell’intrattenimento, qualsiasi cosa divertente o stravagante sarà ben accetta. Pagheremo il biglietto aereo: l’ideale sarebbe che tu volassi a Manchester o a Liverpool, ma potrebbe essere Stanstead, Heathrow o Gatwick, in quest’ordine di preferenza (cerca di evitare Gatwick). La migliore sarebbe Manchester, che è la città più vicina a me”.
In effetti il 18 gennaio 2001 mi arrivò l’invito ufficiale di Rupert Hoare. Ma già il 22 gennaio 2001 Ken tornava all’attacco:
“Lindsay Griffin dice che hai scoperto diverse aree di roccia interessanti nel versante meridionale delle Alpi e qualche cenno a queste sarebbe prezioso (1).
Ho anche organizzato una conferenza a Llanberis dove sono presenti molti dei principali soci. E’ la Madonna della Campiglio della Gran Bretagna. Uno o due di questi ragazzi sulle scogliere di Anglesey, a seconda di quanto sarai in forma, ti condurranno o ti indirizzeranno su alcuni dei percorsi più belli.
Sono sicuro che arrampicherai come sempre ad un alto livello, molto più alto del mio, quindi devo assicurarmi che ci siano arrampicatori all’altezza dei tuoi standard (2).
Doug Scott ritiene che parlare solo di “spazzatura” dopo una cena non funziona. I partecipanti alla cena potrebbero anche partecipare alla conferenza di Londra del martedì successivo, quindi puoi dare loro una versione abbreviata o forse svolgere un piccolo tema himalayano, magari il K2, ponendo l’accento sui rifiuti accumulati (3).
Credevo che tu avessi effettuato la prima salita invernale della cresta integrale di Peutérey, ma vedo che è stata attribuita a Audoubert e compagni. Tu che cosa hai fatto? Prima ripetizione? Una ripetizione parziale (4)?
Fammi anche sapere cosa esattamente hai fatto in Himalaya o altre catene extraeuropee in modo che tutti siano informati.
Lindsay Griffin, Martin Wragg, Mike Mortimer e Pat Littlejohn, per nominare solo quattro alpinisti appassionati e di calibro, sono molto entusiasti della tua visita.
Il tono delle conferenze dev’essere molto rilassato e colloquiale (Llanberis e Longlands), rilassato ma un po’ più formale (la Cena), leggermente più formale e autorevole (l’Alpine Club)”.

Seguiva una lista di temi, che si concludeva così:
Cerca di concentrarti su alcune figure chiave, e ricorda che gli ascoltatori britannici non sapranno un granché dei tuoi compagni: mentre Gian Piero Motti, Grassi, Troillet, Bournissen e Messner sono conosciuti. Se uno o due dei tuoi compagni sono davvero importanti, concentrati per farli conoscere davvero bene. Machetto, Cerruti, Rava? Chi sono, cosa hanno fatto, quali sono le loro caratteristiche? C’è voglia di “caratteri”. Se qualcuno dei tuoi compagni è un personaggio, cerca di farlo capire con una storia bizzarra.
Mike Kosterlitz ha frequentato l’Università di Cambridge con Henry Day e altri che saranno presenti alla conferenza di Londra potrebbero gradire qualche riferimento a lui (credo che tu abbia scalato con lui) (5).
Le battute che vorrai fare su di me vanno sempre bene. In Gran Bretagna sono considerato un fanatico eccentrico, quindi qualsiasi battuta tu voglia fare su di me, per esempio sfinito e appeso come un salame sul Gross Bielenhorn, ma ancora in grado di parlare a raffica e a borbottare sugli spit, farà ridere. Dunque sarebbe un’ottima idea. Solo come veloce intermezzo per rompere la scena, se hai bisogno di alleggerire alcune parti pesanti.

Doug Scott sta cercando di convincere i giovani scalatori a iscriversi all’Alpine Club, per cui ogni evento, come questa tua visita, che rifletta su quanto sia valido l’Alpine Club e quanto sia vicino ai giovani, sarà d’aiuto. Questa tua visita sarà trasversale alle generazioni e quindi darà un’ottima opportunità per sottolineare questo punto. La nota che riferisci nel tuo commento sul Cervino riguardo alle storie di Mummery e Penhall richiama l’attenzione sulla grande storia iniziale dell’Alpine Club (dove Mummery fu inizialmente respinto perché ritenuto un “mercante” e non un “commerciante” piuttosto che un gentiluomo o un professionista): ma in quella nota potresti sottolineare che magnifica tradizione hanno gli alpinisti britannici e quanto sia importante valorizzarla e sostenerla (6).
Devi capire che l’Alpine Club è un’organizzazione elitaria. Non è come il CAI. Non chiunque può iscriversi. All’Alpine Club possono aderire solo alpinisti “provetti” o scalatori che abbiano fatto spedizioni. I nostri presidenti sono selezionati per le loro qualità alpinistiche e per le loro capacità politiche.

Quando ho visto Bonatti l’anno scorso ho detto che secondo me è un peccato che il CAI non sia un’organizzazione in grado di fare questo. Se fossero stati in Gran Bretagna, Comici, Detassis, Soldà, Desio, Cassin, Mauri, Messner, Bonatti, “tu”, Buscaini (sia Gino che Silvia) e molti altri sarebbero stati presidenti o vicepresidenti.
In questo modo il carattere corporativo dell’istituzione e la necessità del grande scalatore di servirla (come i suoi predecessori) avrebbero avuto un valore unificante che sarebbe servito ad attenuare le dispute e a sottolineare l’unità e il servizio, nell’interesse dell’alpinismo.
Ti invio l’elenco di tutti i nostri Presidenti e Vicepresidenti, in modo che tu possa vedere quale magnifica tradizione abbiamo, cui teniamo molto. Molti di questi nomi di certo li conosci già.
Questo non vuol dire che ci sia qualcosa di speciale negli alpinisti britannici. Anche nel resto dell’Europa ci sono alpinisti di grande spicco che potrebbero costituire liste di scalatori di pari prestigio se solo i vari Paesi avessero istituzioni come l’Alpine Club. I francesi ne hanno una simile, ed è il GHM (7)”.
Ciò che ho risposto (23 gennaio 2001) ai vari punti numerati:
(1) Griffin è ben informato. A me e ad Angelo Recalcati sono serviti 17 anni per completare, per la “Guida dei Monti d’Italia”, il volume Mesolcina-Spluga. Questa regione si trova a 80-130 km da Milano, ma era quasi sconosciuta e davvero selvaggia. Niente rifugi, niente sentieri, ogni volta che noi ci andavamo dovevamo camminare e arrampicare per quasi 20-24 ore. Abbiamo prodotto circa 50 vie nuove, molte delle quali davvero belle. Due di esse sono piccoli capolavori su roccia friabile, che sai che adoro. Penso che in questi tempi di sport e competizione imperativi, l’idea di (cattiva?) roccia è una delle poche possibilità per salvare l’idea di roccia selvaggia e non protetta.
Il pericolo rimane lo stesso, sia che amiamo sia che odiamo la roccia friabile. Georges Livanos ha scritto che non esiste cattiva roccia, esistono solo cattivi scalatori… Questo ovviamente solo Livanos poteva dirlo con il suo senso dell’umorismo… Forse in inglese potrebbe suonare un po’ provocatorio, ma in italiano è un buon modo per sorridere e imparare!

(2) Sono terrorizzato da ciò che mi possono proporre. Non sono così allenato come undici anni fa, ma comunque anche questo fa parte del mio destino!
(3) Normalmente offro tre serate diverse. La prima è ovviamente sulla mia attività alpinistica (la mia storia va di pari passo con l’evoluzione dell’alpinismo). La seconda si intitola Montagna: vissuta o usata? e la terza Il tramonto dell’Everest. Sia la 2 che la 3 sono focalizzate sul cattivo uso che facciamo delle montagne, spazzatura compresa ovviamente. Non voglio parlare di questo soggetto, se tu e Doug preferite, ma alcune immagini sono davvero scioccanti e fanno riflettere. Se vuoi posso portarle con me, le vediamo in privato, solo per le persone sensibili. Per il 2002 (anno internazionale della montagna) sto progettando di pulire contemporaneamente i campi base delle 14 vette degli Ottomila. Con più budget è possibile spingersi oltre, fino ai campi in quota.

(4) Nel febbraio del 1971 ero sulla Cresta Integrale Peuterey, con Bruno Allemand, Guido Machetto e Gianni Calcagno. Non abbiamo messo né corde fisse né deposito di cibo presso il bivacco Craveri o altro. Avevamo tutto sulle nostre spalle. Abbiamo raggiunto la cima del Pilier d’Angle, abbiamo bivaccato lì alla fine del sesto giorno. La mattina dopo c’era un tempo infernale e siamo scesi al Colle Peuterey, dove siamo rimasti sotto la tempesta per altre 2 notti in una buca nella neve. Il nono giorno siamo stati evacuati in elicottero durante una breve finestra di tempo discreto. Quella era la tempesta che fermò e uccise Serge Goisseault, che era con Desmaison alle Grandes Jorasses. L’inverno successivo ero pronto a provare di nuovo la cresta a febbraio, ma Louis Audoubert, Yannick Seigneur e gli altri ci sono andati prima, a cavallo tra il 1971 e il 1972.
(5) Non ho mai scalato con Mike Kosterlitz, ma posso mostrare la prima ripetizione della sua famosa fessura in Valle dell’Orco e parlare della sua leggenda.
(6) Questo punto mi è molto chiaro e lo risulterà sicuramente anche al pubblico. La mia felicità di essere lì con te non è solo una questione di soddisfazione dell’ego: prima di tutto è un’emozione, la stessa di quando ho scritto Sentieri Verticali (la storia delle grandi salite delle Dolomiti), avendo arrampicato lungo le vie meno conosciute di Dülfer, Dibona, Comici, ecc. L’emozione di stare con la storia.
(7) Sono d’accordo con te. In Italia esiste il CAAI (Club Alpino Accademico Italiano), ma questo club non è così riconosciuto come lo sono i suoi membri.
Alla fine il programma era definito:
– mercoledì 16 maggio, a Longlands, Hathersage (organizzatori Martin Wragg e Ed Douglas);
– venerdì 18 maggio, presso The Heights, Llanberis (organizzatore Lindsay Griffin);
– sabato 19 maggio, Alpine Club Peak Dinner (organizzatore Rupert Hoare – solo una breve presentazione);
– martedì 22 maggio, all’Alpine Club (organizzatore Henry Day).
Il 23 gennaio 2001 arrivò anche l’invito ufficiale dell’Alpine Club (Londra), da parte di Henry Day. Ma, come spesso succede, ecco anche una doccia fredda.
23 marzo 2001
“Caro Alessandro, avrai sentito parlare dell’epidemia di afta epizootica che sta colpendo la Gran Bretagna. Questo significa che molte delle falesie che speravamo di mostrarti saranno off limits in quanto si trovano in terreni agricoli o in brughiera.
Non sappiamo con certezza cosa sarà disponibile… ci sarà da arrampicare, ma non sarà il meglio che abbiamo a disposizione. Speravo di poterti mostrare i nostri posti più belli di gritstone, le grandi falesie del Galles e le scogliere di Anglesey. Ma ben poco di tutto questo sarà disponibile e ciò che ci rimarrà saranno le cave, o alcune scogliere di calcare (che troverai molto modeste rispetto ai tuoi standard) e forse le scogliere di Anglesey.

È quindi il momento di decidere se vale ancora la pena che tu venga. La gente sarà contenta se verrai, perché darà loro qualcosa di cui rallegrarsi in un momento difficile. Tutti faranno del loro meglio per offrirti di scalare, ma si vergogneranno un po’ per non poterti offrire il meglio.
Cosa ne pensi? Per quanto possiamo vedere, l’epidemia è destinata a continuare per qualche tempo. Possiamo mostrarti le falesie, puoi certamente praticare un po’ di arrampicata, che potrebbe anche essere molto intensa (in particolare nelle cave di ardesia di Llanberis), ma non sarà molto elegante”.
Gli risposi il 29 marzo: “Caro Ken, è un vero peccato, ma credo che tu abbia ragione. Senza alcun problema potremmo avere la nostra settimana o più avanti nel corso dell’anno, magari a ottobre o a fine settembre, o anche l’anno prossimo. Grazie di tutto e teniamoci in contatto”.

30 marzo 2001
“Caro Alessandro, tieni presente che la mia lettera era un sondaggio non ufficiale e l’offerta formale di abortire il programma deve venire dagli organizzatori.
Può darsi che la situazione non sia troppo grave, visto che l’Anglesey si sta aprendo e varrebbe la pena di venire anche solo per vedere questo: le salite sono davvero magnifiche. Sarai stupito dalla loro grandiosità. Inoltre, stiamo avendo un inverno molto nevoso e il Ben Nevis potrebbe essere ancora in condizioni per salite di fine inverno. Quindi, se puoi, aspetta una settimana o poco più, finché la situazione non sarà un po’ più chiara. Una visita autunnale non sarebbe altrettanto valida perché il tempo è peggiore. L’ideale rimane la primavera. Un vantaggio è che il pubblico dovrebbe essere più attento perché avrebbe meno distrazioni.
Il Tremadoc è aperto. Tu hai il mio Hard Rock. Lì potresti vedere e poi fare la meravigliosa via Vector, una delle nostre vie più belle. Ci sono anche voci per la riapertura di Stanage, che è il posto migliore di gritstone”.

14 aprile 2001
“Caro Alessandro, Gogarth e le altre scogliere dell’Anglesey sono ora aperte… potrai confrontarle con Finale Ligure. […] È disponibile anche Tremadoc, del quale ti parlavo a proposito della bellissima via Vector di Joe Brown.
Nel Peak District si stanno aprendo delle chicche, tra cui High Tor, con vie tipo la Marmolada di Rocca, anche se molto piccola in confronto, ma comunque molto bella. Abbiamo riaperto anche Millstone Edge, che presenta alcune belle vie di gritstone, ma si tratta di una cava e non di una falesia (le falesie sono ancora chiuse, ma pensiamo che saranno aperte per la tua visita).
Oppure, se l’inverno persiste, potremmo andare in Scozia per fare la Tower Ridge sul Ben Nevis, una delle nostre più belle vie classiche (un po’ come la Corda Molla al Disgrazia, credo)”.
30 aprile 2001
“Caro Alessandro, […] c’è un arrampicatore italiano che desidera essere coinvolto (anche per aiutare con la traduzione, ecc.). Si chiama Roberto Stocco. È sposato con una donna inglese e vive qui vicino. Fammi sapere quando arriverai e se a Heathrow/Gatwick/Stanstead/ (meglio) Liverpool o (meglio ancora) Manchester.
PS. Sei ancora dipendente dal Soave o sei interessato ad altri vini bianchi internazionali? Quando un amico di Mirella Tenderini è venuto a stare a casa nostra (un funzionario sindacale) era interessato soprattutto alle birre britanniche. In una settimana ne ha raccolte decine e decine, più di quante io stesso ne avessi mai conosciute (segue la lettera ufficiale di invito alla cena del Peak District, da parte di Glyn Hughes, Segretario Onorario)”.
1 maggio 2001
“Caro Alessandro, con mio grande sollievo Stanage Edge (il nostro luogo più importante di gritstone) è ora aperto. È unico nel suo genere: una falesia di gritstone lunga tre miglia, di grande interesse tecnico e con percorsi di tutti i gradi”.
Il carteggio procedette con gli ultimi dettagli, voli, appuntamenti con scalatori vari, materiale che dovevo portare.
L’8 maggio mi scrisse: “[…] Io porterò le corde, ma potresti voler portare la tua attrezzatura, perché i miei compagni dicono sempre che la mia è molto “vecchio stile”. Quelli con cui arrampicherai avranno un’attrezzatura molto moderna. Quindi useremo la mia solo per le vie più facili e potresti considerare il tutto (come è giusto che sia) una sfida sportiva”.
Volutamente (altrimenti chissà quali diluvi di osservazioni mi avrebbe fatto), solo il 14 maggio gli mandai il testo in inglese del mio speech: “[…] naturalmente si tratta del discorso completo (Alpine Club, Londra), che dovremo tagliare nei primi interventi (almeno credo). Le parole in rosso non sono corrette e vorrei parlarne con te”.
Il 15 maggio 2001 arrivai puntuale a Manchester, alle 18.45. Ken mi accolse sorridente. Invece di dirigere a casa sua, dove Gloria aveva fatto del suo meglio per allestire una cena per “cotanto” ospite, mi portò a Stanage Edge, dove ci aspettava il suo amico italiano Roberto Stocco. Con le ultime luci e di fretta e furia fui mandato avanti sulla Fern Crack, una lunghezza che i britannici classificano di 5a, salita per la prima volta nel 1953. Da notare che la graduazione inglese differisce di un grado netto rispetto alla francese, per cui il 5a inglese e un 6a francese e, ovviamente, un 6a/6b inglese è un 7a francese. Mi seguì Roberto, poi il buio totale impedì a Ken di prodursi pure lui. Occorre notare che a Stanage non esiste alcuna via attrezzata. Ognuno deve piazzare le proprie protezioni (nut, friend e cordini) come meglio sa fare.

Questo primo episodio di follia mi fece immediatamente capire quanto Ken si sarebbe attenuto al suo programma di “direttore di palcoscenico” e “taxista”. Nessuno sconto a nessuno. Il povero Roberto doveva esserci abituato, io un po’ meno. Con lui feci amicizia, tanto che giorni dopo mi propose di mandare a casa sua, per una vacanza, mia figlia Petra. Cosa che in effetti avvenne nell’estate dell’anno dopo. La povera Petra però era troppo bambina e non si trovò benissimo, spedita così, da sola, a casa di estranei e senza conoscere ancora la lingua se non qualche parola smozzicata. Roberto fece di tutto per metterla a suo agio, ma durante il giorno lavorava, dunque non era presente. La moglie e i figli, più o meno coetanei di lei, furono carini, ma il risultato purtroppo non fu soddisfacente. Quando atterrò a Linate fu la fine di un incubo che però, sotto sotto, io consideravo utile e formativo.
La sera a casa Wilson ci fu la pignola revisione del testo che gli avevo inviato. In generale poteva anche avere ragione su tutti i punti, ma proprio per quel motivo ne uscii distrutto. Il giorno dopo fu di trasferimento alla Longlands Eating House di Hathersage, dove era la prima serata in programma. Lì conobbi Martin Wragg ed Ed Douglas, ed ebbi la prima misura di quante birre ci si può scolare tutti assieme senza neppure aver ancora arrampicato. Per non parlare dei successivi assaggi di whisky. Il 17 il tempo era bello, Ken non voleva perdere tempo e mi portò a Craig Gogarth, una potente scogliera sul mare del Galles, dove lui aveva in testa di farmi impegnare su Gogarth, una via di cinque tiri (110 m) l’ultimo dei quali quotato (inglese) 5b. La via era stata aperta il 4 aprile 1964 nientemeno che da Martin Boysen con Baz Ingle, con un passo di artificiale. Confesso che temevo molto quell’ultima lunghezza: sulla via avevo incontrato in tutto due o tre chiodi corrosi dalla salsedine e del tutto inutilizzabili. Anche le soste bisognava fare. Non ricordo i particolari di quel trad per me estremo: so solo che ci riuscii e che quella fu davvero una gran bella soddisfazione. Il resto lo fecero l’entusiasmo di Ken (che aveva già fatto quella via, ma parecchi anni prima) e la luce particolare del sole del Galles.
Il 18 il tempo era grigio e ventoso, ma non potevamo mancare all’appuntamento con Joe Brown e Dave Alcock. C’era in programma di salire, sempre a Craig Gogarth ma assieme al MITO Joe, una delle icone arrampicatorie dell’intero Regno Unito, A Dream of White Horses. Questa via a picco sul mare agitato era stata aperta da Edward Ed Drummond e Dave Pearce, il 18-19 ottobre 1968. Data di HVS 5a (inglese) ha un dislivello di quasi 150 metri e si articola in quattro lunghezze. Ero più sereno del giorno prima, sia perché le difficoltà mi sembravano nettamente inferiori, sia per la presenza tranquillizzante di un vecchio lupo come Joe Brown. Scesero per primi Joe e Dave, noi dietro. Lo guardavo arrampicare, preciso, efficiente, sicuro. Vicino a noi c’era una terza cordata di ragazzi che facevano una via molto più difficilmente proteggibile della nostra: mi faceva impressione vedere quanti metri sarebbe stato lungo l’eventuale volo del capocordata… Giunti in cima alla scogliera, dopo la lunga e spettacolare traversata, eravamo tutti felici. Ken, come al solito, parlava a mitraglia. Magari, con un po’ più di calma, avrei potuto scambiare un po’ più di due parole con Joe, allora settantenne. Avevamo scoperto che ci volevamo bene… La sera, un po’ alticci, ci recammo al The Heights, a Llanberis. Lì c’era l’amico Lindsay Griffin, col quale mi trovavo parecchio a mio agio. E di coraggio ne avevo veramente bisogno perché, oltre a dover parlare davanti a cinque o sei decine di persone senza essere padrone della lingua, tra gli spettatori vedevo quello che per anni e anni avevo ritenuto, senza tema di essere contraddetto, uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, Joe Brown.
Il 19 maggio andammo a Stanage Edge, ma questa volta in mattinata. Il tempo nebbioso non mi permetteva di vedere tutta la lunga falesia, potevo osservare solo le porzioni vicine. Era sabato, ed erano centinaia le auto posteggiate, a perdita d’occhio. A Stanage si può vedere di tutto, forse anche imprudenze: ma quel giorno vidi tante cordate arrampicare davvero bene, come pure intere famigliole lottare per ore e ore su tiri di media difficoltà. Perché l’importante non era salire, bensì salire ben protetti. E la sistemazione delle protezioni è un’arte che si acquista col tempo. Tutti, arrivati alla sommità della falesia, dovevano comunque costruirsi la sosta per recuperare i secondi.
Legato con Ken salii l’Agony Crack (12 metri, 5a, salita da Len Chapman nel 1940) e subito dopo, con molto rispetto, affrontai The Right Unconquerable (17 metri, sempre di 5a inglese, ma ben impressionanti, altro piccolo capolavoro di Joe Brown, 1949). Qui fui facilitato dall’aver visto come altri due capicordata avevano protetto la via. In seguito feci da secondo a Mike Mortimer sul 5b di Fina (Al Parker, 1958); poi, ancora con Ken, salii il diedro di Goliath’s Groove (5a, Peter Harding, 1947); infine arrivò anche Roberto Stocco e salimmo in tre Fairs Step (4b, Alan Clarke, primi anni Sessanta).

Alla sera ci fu la tanto temuta Alpine Club Peak Dinner, organizzata da Rupert Hoare. Lì dovetti fare solo una breve presentazione di 30 minuti, per il resto ci godemmo le birre di aperitivo, la cena e poi il dopocena a whisky.
Il 20 maggio andai con Ken a Tremadog e con lui salii The Plum, una fantastica via di 50 metri, graduata molto severa. Il diedro con fessura da dita è almeno 5c e, a detta di tutti, difficile da fare on sight. Poi c’è un offwidth terrorizzante. Ma quando uno ne esce gli sembra d’aver fatto chissà cosa! Per quel giorno bastò così.
il 21 maggio, sempre a Tremadoc Rocks, finalmente mi legai con Pat Littlejohn, fortissimo e simpatico, che mi fece l’onore di salire con lui in cordata alternata su Vector, la via che salì per primo Joe Brown (con Claude E. Davies, nel marzo 1960) e che Ken voleva che io facessi a tutti i costi. Feci la prima parte della prima lunghezza, ma mi fermai al di sotto del passo chiave di 5c e giustamente lasciai andare davanti Pat. Nella stessa giornata e sempre con Pat salii Hardd, altra via di Joe Brown a Tremadog, (Carreg Hylldrem), anche quella di 5c, prudentemente tutta da secondo.
La sera Ken ricevette una mail da Rupert Hoare, indirizzata a me:
“Caro Alessandro, solo una breve nota per ringraziarti molto per la tua conferenza dopo la cena dell’Alpine Club nel Peak District sabato scorso. Tutti i presenti hanno apprezzato molto la conferenza. L’aspetto storico, come i cambiamenti nell’equipaggiamento e nelle difficoltà economiche, è stato particolarmente interessante. Durante il mio primo viaggio alpino, nel 1976, non potevamo permetterci di alloggiare nei rifugi, ma non siamo mai stati costretti, come te, a mangiare biscotti per cani! Personalmente, è stato un grande piacere averti conosciuto. Come ti ho detto prima della cena, ho scalato in molte zone delle Alpi italiane e ho sempre apprezzato molto la gente, il cibo e il paesaggio. Ricordo chiaramente di aver guardato il Naso di Zmutt dalla Cresta di Zmutt e di essermi chiesto come fosse possibile scalarlo, per cui ho la massima ammirazione per il tuo risultato. Grazie ancora per il tuo discorso […]”.
Il 22 maggio ci trasferimmo a Londra, per il gran finale all’Alpine Club. Entrare in quello storico ambiente, così pieno di atmosfera e di compunta eleganza britannica, naturale e per nulla snob, mi diede una grande emozione. Quanto può essere piacevole il rispetto! Quando tanti anni prima avevo letto il libro di Mummery, oppure quello di Freshfield, o di altri che sarebbe troppo lungo citare, mai avrei pensato che un giorno avrei avuto l’onore di parlare in pubblico proprio in quei locali. La presentazione che Doug Scott fece di me fu la cosa più gradita di tutto il mio viaggio, anche se dentro di me non riuscivo a credere che tutti quei lapidari giudizi a me favorevoli provenissero da colui che era tornato in ginocchio dall’Ogre o che aveva salito la Sud-ovest dell’Everest. L’organizzatore Henry Day alla fine era visibilmente felice, come pure Ken Wilson. Furono gli applausi più cari della mia carriera alpinistica.
In serata tornammo a Sheffield, a casa di Ken. Il giorno dopo, come da programma, tornai a Milano, dove giunsi puntuale alla Malpensa alle 16.55.
23 maggio 2001
“Caro Alessandro, spero che tu sia tornato bene. A Milano c’era la finale della Coppa UEFA, quindi sarà stato un casino […]. Grazie per il tuo impegno. Sarai ben stanco dopo una settimana di duro lavoro… […]”.
24 maggio 2001
Caro Ken, volo molto buono e nessun problema a Milano. Avevi ragione: è stato un lavoro. Spero che i miei silenzi non siano stati così noiosi per te. Comunque, grazie mille per il tuo impegno: è stata una settimana da ricordare […]”.
24 maggio 2001
“Eccellente. Mi sono preoccupato quando ho visto che la Coppa UEFA era a Milano, immaginando che il tuo posto a Manchester fosse occupato da qualche fervente tifoso di calcio.
La serie di conferenze è stata superba. Eventuali difetti di chiarezza sono stati ampiamente bilanciati dal tuo modo di fare e dal tuo evidente impegno premuroso. La vera battaglia contro gli spit deve ora vederci tutti uniti prima che l’intero sport venga rovinato dalle guide e dai burocrati. Bisogna far capire loro che le salite vanno protette allo stato grezzo e non “spezzettate” a spit per renderle “carine” per l’arrampicata di piacere degli “yuppie” addestrati.
Ho apprezzato moltissimo la nostra settimana. È stata particolarmente bella perché hai saputo tirarne fuori così tanto.
Fa i miei migliori auguri a Bibiana e Marco, alle tue figlie e alla tua attuale fidanzata, il nome della quale non sono riuscito ad appuntarmi. Trasmetti il mio dispiacere e le mie condoglianze alla famiglia di Glauco. Era un tipo divertente (si riferisce alla recente scomparsa dell’amico Glauco Dal Bo)”.
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Non ho (ancora… mai dire mai) avuto la fortuna di ripetere “A Dream of White Horses” (che tra l’altro è un nome magnifico per una via di arrampicata!).
Nell’attesa di farlo, segnalo questa piccola impresa: la ripetizione da parte di una persona senza un braccio (il destro, per la cronaca)!
Qui c’è un resoconto e qui un video.
Memorable quote in puro stile British:
Riferimento molto calzante.
Le condizioni ambientali della perfida Albione forgiano nei britannici, fin da piccolini, una mentalità che poi si portano dietro in tutto il mondo e in tuti i risvolti dell’esistenza, dalle montagne alla conquista di mari e continenti.
@ 11 Crovella
.
A proposito di giacche in tweed e di “Non lamentarsi mai” , di che nazione erano Irvine e Mallory , che fecero una delle più grandi “pisciate lunghe” della storia dell’alpinismo ?
@ 6 Cominetti .Tutte le opinioni sono valide da parte della ragazza inglese , ma mi sembra ingeneroso malcagare le dolomiti , le montagne più belle che ho visto, in questo modo..Fra l’altro , “Tante teste , tante idee” , dove io ho trovato diversi “stringiculo” , lei ha trovato vie “perfettamente attrezzate”
Piccola precisazione: il CAI non è mai stato il ritrovo dei “forti”, non ha mai avuto come obiettivo lo sviluppo dell’alpinismo di rilievo. Fin dall’origine: Quintino Sella non era un “estremo” e ha plasmato il club secondo la sua mentalità. A tal punto che nel 1904, ovvero 120 anni fa, i “forti” hanno verificato che avevano bisogno di un “loro” spazio e hanno creato il CAAI. E’ giusto che sia così. da tempo immemore io sostengo che il CAI (con una sola A) non è il corrispondente italiano dell’Alpine Club (lo è invece il CAAI, mutatis mutandis), al massimo il CAI è il corrispondente del BMC (British Mountainering Council), che nella tradizione inglese viene considerato “sotto” all’Alpine Club. Questa è la grande differenza strutturale e chi non la focalizza chiede al CAI di esser qualcosa che non è, perché non lo è MAI stato. Precisato ciò, la vera differenza con i britannici è appunto nel fatto che essi non si lamentano mai, non solo sulla roccia, ma neppure a fare escursioni. Io non ho mai arrampicato in UK, non si è mai creata l’occasione giusta e forse non l’ho cercata io, ma in compenso ho fatto tantissime “escursioni” (sia in giornata che di più giorni) nelle brughiere tanto dell’Inghilterra che dell’Irlanda, o sul bordo delle loro coste. Escursioni in brughiera… a noi italiani viene da sorridere perché immaginiamo di camminare placidamente nella Pianura Padana. Sto piffero!. Le condizioni meteo sono diversissime dalle nostre, cambiano alla velocità della luce, ci si perde facilmente, pioggia e soprattutto vento teso sono molto provanti, i tragitti lunghissimi. Dopo un po’ mi ci sono abituato, nonostante la mia natura fantozziana (ipotizzata maliziosamente, ma tutt’altro che fondata), ma gli escursionisti anglosassoni non fanno una piega. E non sono solo scattanti 30enni, in piena forma fisica. Vedi famiglie intere, con bimbetti in calzoni corti sotto la pioggia sferzante, signore mature e cicciottelle, anziani più determinati di un maratoneta. I britannici hanno conquistato il mondo, all’epoca del colonialismo, proprio per questa mentalità d’acciaio. I militari di Sua Maestà affrontavano ogni terreno e ogni clima con la stessa divisa: giacca di lana rossa, elmo, pantaloni e stivali da cavallerizzo. Sia nel deserto del Ciad a +50 gradi che nelle montagne dell’Asia, con tremende tempeste e temperature sotto lo zero, erano sempre vestiti così, per cui è l’individuo che si deve abituarsi, senza frignare.
Gli yuppie addestrati. Bellissima definizione per i fortissimi arrampicatori di oggi.
I britannici, capirono prima di noi l’importanza dell’allenamento. Mentre qui si pensava (a parte Messner e pochissimi altri), favoriti dal malclima che dava, e da, la possibili6di affinare il gesto con tutte le sue declinazioni. Da noi si era ancora dei grezzi convinti che la forma fisica fosse cosa poco aristocratica e dedicata a manovali abbronzati.
Poi il Cai ci metteva la sua accademia prima di diventare il ritrovo dei crovelli fantozziani di oggi.
È storia, eh…non si può negare.
E i britannici non si lamentano mai. MAI!
Batman potrebbe riportare qui qualche sua impressione riguardo la spedizione a cui partecipò sulle rocce della Perfida, che fece da apripista all’uscita di Gogna. Ricordo G. Vaccari che saluto, che parlava di quella avventura inglese con toni da incubo
Stiamo dicendo le stesse cose con modalità diverse.
Accompagnai anni fa una ragazza inglese a fare qualche via in Dolomiti che alla fine mi disse: bello, ma non ci tornerò mai più. Mi sono ustionata al sole e poi qui non si arrampica, perché le vie sono già attrezzate.
Crovella, una volta portai degli inglesi ad erna , falesia superba con roccia da sballo del lecchese…non ne rimasero colpito, mi dissero che era la roccia solita che c’è in inghilterra…
Roccia ecellente, non stento a crederlo, ma a guardare le foto le pareti ‘smiu contro le boie. Tradotto in italiano: abbastanza repulsive. Chi si fa le unghie lì, forgia una mentalità che è, o almeno storicamente è stata, “avanti”.
Per quello che ricordo, la qualità della roccia sia a Craig Gogarth che a Tremadoc, per non parlare del gritstone di Stanage e dintorni, è eccellente.
E sono bei ricordi, anche se ci sono stato una volta sola.
non credo che gli inglesi siano più bravi, è che hanno una mentalità diversa, che gli fa accettare situazioni che normalmente gli altri cercano di evitare.
“Dove sta volando l’arrampicata in Inghilterra” è il titolo di copertina di un numero della Rivista della Montagna dei bei tempi che furono. il tema, seppur non nuovo, è sempre di attualità e continua a incuriosire.
Osservando queste belle foto, viene il raccapriccio a constatare la natura della roccia sui cui arrampicano i britannici (spesso in condizioni meteo tutt’altro che ottimali), ma al contempo si comprende come mai siano così bravi. Se arrampichi abitualmente su rocce così, quando passi a cimentarti sul granito protogino del Bianco o del Badile oppure sul fenomenale calcare francoprovenzale, viaggi come Speedy Gonzales.