Il 3 gennaio 2019 GognaBlog ha pubblicato il Manifesto TTT: contemporaneamente Alpinismo Molotov ha pubblicato sullo stesso tema un’intervista a uno degli ideatori, Alberto Peruffo, che vi proponiamo qui di seguito, preceduta da un’introduzione inedita dello stesso Peruffo.
Lettura: spessore-weight(4), impegno-effort(4), disimpegno-entertainment(1)
Proletario o del Nucleo Alpinisti senza Patacche: NAsP?
(Da non confondere con i NAp Nucleo Alpinisti patafisici)
Preludio a Togliere, togliere, togliere (Meridiano di fuoco) dopo i primi 150 commenti su GognaBlog al Manifesto dei TTT
14 ottobre 2018, Trissino (VI). «Si può fare opposizione seria, rigorosa, ferma, creativa, non violenta. Sia in città, sia in montagna». Manifestazione contro i crimini ambientali durante l’inaugurazione del Leone Marciano, a pochi passi dall’epicentro della contaminazione da PFAS e dalla Superstrada Pedemontana Veneta. Archivio PFAS.land, organo di informazione dei “movimenti territoriali” ideato e diretto dall’autore (visibile al centro nella foto).
Accolgo con piacere questo rilancio in GognaBlog. Sia chiaro, nessuna verità, ma molta serietà creativa nel tentare di portare alla luce un problema. Accendere un cataclisma. Per arginare una frana. Aggiungo questa precisazione di preludio, dovuta al notevole numero di critiche arrivate per la parola “proletario” suggerita ai ragazzi. Specie da alpinisti che conosco e che rispetto, alcuni delle mie zone. Un preludio che va proprio contro il tempo “libero” e la gravità negata da chi invece è troppo presente nei commenti. Se non si ha volontà di approfondire, e conseguentemente, di agire, se ne eviti di ulteriori, soprattutto per quello che segue.
Innanzi tutto viene davvero da sorridere per il “timore” verso questa parola. Proletario. Un timore non certo reverenziale, ma esistenziale. E per la relativa ignoranza – o presunta conoscenza – in cui tutti navighiamo, neppure a vista. Ma teleguidati. Non vorrei infatti essere accusato – in fatto di ignoranza – di riduttivismo metaforico da Bookchin, che considero un maestro, non solo sul lessico specifico, ma trovo necessario sottolineare che la “classe” – come ogni categoria, teorica o concreta – è un’invenzione sociale, utile, o deleteria, a vari scopi. Anche quello di creare élite. O facili patacche. Da demolire. Visto i danni che fanno. Per questo ci siamo appigliati alla metafora del proletario. La non-classe.
Nessuno ricorda più – chi studia al giorno d’oggi, specie il significato e l’uso storico delle parole? – che lo stesso Marx profetizzò – qui vale la pena scomodare il “Mostro” – che tutti noi saremo diventati proletari – una non-classe interclassista, l’ultima – di fronte alla incommensurabilità delle grandi produzioni, dei grandi e pochissimi capitalisti, della finanza e delle banche, dei burocrati e delle burocrazie, degli omologatori delle città e, per restare a noi – alpinisti o supposti tali – delle montagne. Eppure è così. Anche se la parola non piace per la sua crosta comunista e libertaria, che proprio quelle classi voleva demolire e che certe allitterazioni “violente” degli anni Settanta portarono fuori strada. Ma siamo o non siamo proletari in senso di ultimi rispetto a quei pochissimi primi della classe o aspiranti tali? Voi tutti, forse, non lo siete? O appartenete a uomini di classe superiore che nell’antica Roma inventarono la “prole”, gli stessi uomini di classe che oggi vogliono diventare protagonisti – a tutti i costi – della modernissima Nuova Venezia, le stesse Nuove Dolomiti, patrimonio indecoroso dell’Unesco, per allargare la metafora alle terre devastate dove viviamo. Almeno io. Non so voi. Ed è proprio in questo essere ultimi e controelitari, fuori dalle classi, contro le facili etichette, le patacche, le primizie a priori, magari sulla strada per combattere i crimini dei primi della classe, che quell’essere proletario fa paura, perché la maggior parte di noi/voi non lo è. Guido Rossa, come cito in calce a questo preludio e all’intervista, lo intuiva. Motti, lo viveva. Anzi, avrebbe voluto viverlo. Ma non ci riuscì.
La critica, invece, preferirebbe noi, alpinisti non allineati, no so, patafisici, piuttosto che proletari. Come se avessimo tempo da perdere in pensieri meno gravi o non avere niente di meglio da fare. È vero il contrario. Non lo dico io, ma lo dite voi, commentatori, nei commenti. E lo ribadiscono i fatti.
Lo dimostra il bailamme di critiche gratuite arrivate proprio da chi ha molto tempo per commentare, lo dimostra chi critica senza argomenti o per ragioni, diciamolo pure, di classe. In senso lato e in senso stretto. Costoro – per lo più – sono uomini di classe. Che sanno cosa significa divertirsi. Contenti della loro patacca – magari pure meritata, legittima, professionale – contenti della loro classe, del loro savoir-faire, della loro bella montagna da scalare, mentre tu, misero finto proletario, dilettante, perché credono che non conosci il fetore della fabbrica, ti tacciano per ridicolo, o per terrorista, proprio perché ti chiami proletario e nel farlo hai colto la debolezza di tutte le classi e con questa provocazione vorresti richiamare alla lotta civile per i diritti primari, ambientali, tutti gli amici che vanno in montagna. Che volenti o nolenti, producono prole o saranno seguiti da essa. Anche se non faranno figli propri. Peggio. La prole stessa potrebbe non rispettare il dettame di padri che non meritano di essere tali. Perché generatori di “percorsi” imbrattati. Perché generatori di risibile critica. Anche se ostentano una patacca. I quali, o gli affini, risibili, che è la variante nichilista di ridicoli, ci cascano come previsto. Nel gratuito bailamme. Adescati da una semplice e potente parola.
Così viene da ridere a me, un riso amaro, quando tra questi che criticano non ho mai visto nessuno degli stessi – non di GognaBlog, ma del mio paese e delle mia provincia, a mo’ di indagine statistica – tra le 10.000 persone – viste tutte faccia a faccia, vis-à-vis, in questi 5 anni di lotta civile e non violenta, ma rigorosa – nelle lotte per la difesa dell’acqua, degli operai, delle famiglie delle mie valli. Ripeto, nessuno di questi alpinisti. Nemmeno uno che sia uno. Altro, che aver niente di meglio da fare… noi, di grave. Ora parlo personalmente, anche se non dovrei. O non vorrei. Ma questo è il rischio della scrittura pubblica. Per difendere la mia terra, su 10 volte che “dovevo” andare in montagna, pur sapendo la bellezza e la ricreazione di tutto ciò, ho rinunciato 8 volte. Forse 9. Ragion per cui – pur amando la critica e chi mi critica a ragion veduta – di questi critici che non hanno mai messo i piedi nel fango, nella concia, nella melma che loro stessi in parte producono, inconsapevoli, ma solo sulla roccia luminosa delle pareti, oltraggiate spesso da trapani selvaggi, di tutti questi non posso che mandarli creativamente a quel paese. E dire TTT. Che – attenzione – non sarà mai il loro paese. Poiché se ne fregano del loro stesso paese. Guai a chiamarli proletari. O a chiamarci. Per loro è tutto un Luna Park, una ricreazione continua. Come Arco. Guai «scendere al piano». Guai a toccare il loro «pianeta senza problemi sociali, fatto di lisce e sterili pareti». Magari da bucare. Questi sono signori, istruttori, alpinisti, di classe, di gran classe. Molti dei quali drogati da quei buchi, ossessionati dall’arrampicata come unica ragione di vita. Se non saranno i figli a rivoltarsi contro loro, lo saranno le montagne. Tanto si sa, la natura distrugge ogni classe. E il clima cambia. Anche contro il volere di chi non vuole sentire e vedere.
Abbiate perciò “paura” dei proletari. L’ultima classe. Io e i ragazzi facciamo parte di essa. Senza patacche. Senza la necessità di essere riconosciuti. Senza necessità di essere violenti. Ma fermi, rigorosi, risoluti, di fronte a chi devasta tutto.
“Uno spettro si aggira tra le crode”, ha titolato, lungimirante, una rivista. Di frontiera. E se non sarà proprio tra le montagne, quello spettro si aggirerà tra le vostre/nostre coscienze. A volte è sufficiente un turbamento per disinnescare il peggio. E cambiare in meglio.
Poiché, non c’è più tempo. Completamente libero. Buona lettura.
Luglio 2018, Cordillera Blanca (Perù) | L’autore fotografa il compagno Edwin Juan Pascual in esplorazione sulla cresta sud-ovest del Nevado Huantsan. Dettagli della spedizione su Planetmountain.
Togliere, togliere, togliere
(Meridiano di fuoco)
Domande/dialogo raccolte dai NAP [Nucleo Alpinisti Proletari] durante la stesura di TTT – 21 dicembre 2018
(già pubblicato il 3 gennaio 2019 su http://www.alpinismomolotov.org/wordpress/2019/01/03/meridiano-di-fuoco-la-nascita-del-nucleo-alpinisti-proletari-auto-intervista-collettiva/)
«Non fermatevi di fronte alla metafora rivoluzionaria del nostro linguaggio: la prole, siete voi; la falce, le spighe del bene comune, super partes; il martello, il suono armonioso dei nostri chiodi e del nostro cuore (NAP)»
Lungo la SP 246, che porta da Montecchio a Valdagno, verso le Piccole Dolomiti vicentine, compare questo cartellone ricolonizzato da autori poco-noti. Siamo nel cuore dei territori devastati del Veneto, tra la Superstrada Pedemontana Veneta e la Fabbrica Miteni di Trissino, celebre per l’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche responsabili della più grande contaminazione dell’acqua potabile d’Europa, che ha messo a rischio la salute di 350.000 abitanti. Quell’acqua – un bacino grande come il lago di Garda – scende dalle montagne di Recoaro. Da questa foto Archivio CCC deriva la rielaborazione grafica TTT nell’articolo del Manifesto pubblicato su GognaBlog.
Che cos’è questo manifesto e chi sono i NAP?
TTT è presa di posizione, un manifesto sui generis, certamente forte e molto fuori dal normale, dalle norme. Sia di comportamento, sia di linguaggio. Ci tirerà addosso un sacco di critiche. Ma abbiamo passato un limite e bisogna porre un argine. Siamo stanchi di gente che spitta a destra e a manca, senza conoscere la geografia e la storia dei luoghi, senza preparazione, senza percorso e senza fatica – anche cognitiva – sulle montagne che vanno ad usurpare. Solo perché hanno uno strumento devastatore in mano. Di cui non conoscono le conseguenze.
I NAP sono un gruppo di preparati giovani alpinisti fuori dalla norma, appoggiati da meno giovani e altrettanto – usiamo questa parola, perché legittima, nello specifico certamente – ribelli. Appaiono e scompaiono, anche a casa mia. Rispettano la natura delle pareti e spingono al massimo l’arrampicata libera, le loro singole possibilità declinate a quelle dei territori, l’originario free climbing che in montagna sarebbe dovuto diventare il più possibile clean climbing, per riprendere le vecchie definizioni californiane, spesso incomprese, fraintese o forse, solo semplicemente, trattenute. Ciò che leggerete è frutto di una solida scrittura collettiva che è stata voluta fortemente da loro.
E tu che c’entri e cosa significa questo nome?
Mi sono trovato in mezzo, senza volerlo, perché ho aperto vie che hanno ripetuto o di cui hanno sentito parlare, in particolare la Via Dei Montecchiani Ribelli – raccontata su AM e su GognaBlog – e Alpinismo Radicale. Vie indubbiamente di valore locale, ma dense di contenuti. O forse la via con il Caro Potente Mass sulla Pala di San Martino, usando 1 chiodo di protezione su 750 m. O perché vent’anni fa con i miei amici ferraresi istituimmo – sempre informalmente e provocatoriamente – la prima area no-spit delle Alpi Orientali, in Lagorai, per evocare le intuizioni pionieristiche di Ivan Guerini. I titoli, gli scritti di quelle vie, lo stesso mio vecchio progetto di rete – Intraisass – come altri miei scritti su GognaBlog o presenza in altri spazi culturali, tutto ciò ha aperto il loro immaginario. Mi hanno quindi contattato e abbiamo fatto delle riunioni, diciamo, segrete. Li ho ascoltati e dopo un periodo di riflessione collettiva abbiamo cercato di esprimere al meglio la “nostra” voce, che riflette pure i miei, i nostri tanti anni di alpinismo esplorativo in giro per il mondo. Pescando nella mia esperienza di agitatore culturale – diciamo così, per abbassare i toni e rispettare una definizione normata, visto quello che segue – ho suggerito alcune parole chiave e un nome immaginifico: NAP, Nucleo Alpinisti Proletari. Seguito da una ripetizione inequivocabile: togliere-togliere-togliere: TTT. Poi tutti insieme abbiamo partecipato attivamente alla scrittura collettiva dei documenti che esprimono questa presa di posizione.
In estrema sintesi, di cosa si tratta?
Estremissima? Fare sparire i trapani dalle montagne e sentirsi legittimati ad usare falce e martello – per richiamare l’immagine potente che pesca da un ramo della metafora NAP – quando vediamo spit nei luoghi dove non dovrebbero esserci. Articolando il discorso, abbiamo cercato di valorizzare al massimo l’alpinismo trad, per dire, alla Massarotto-Verri, e, anche se diverso dal nostro sentire, di comprendere la ricerca “sportiva” per quello di buono che ha portato nel “liberare” l’arrampicata dagli eccessi dei mezzi artificiali, chiodi a nastro compresi, negli anni delle perversioni dell’artificialismo spinto. Per fare dei nomi che hanno segnato la storia dell’’arrampicata sportiva, multipitch, sulle grandi pareti, abbiamo cercato di capire e di dare valore alla ricerca sul modello Larcher-Oviglia, dal basso, che cercava di passare dove il trad non poteva esistere, spingendo al massimo le difficoltà obbligatorie, e quindi la preparazione, in arrampicata libera. Chiaro: questo rappresenta e rappresentava una chiara rottura con i limiti dell’alpinismo che io chiamo radicale, rispettoso delle pareti, il clean climbing e il trad, ma che poteva – a quel tempo – fare capire l’importanza di questi limiti. Per portare nuova linfa all’alpinismo di ricerca, che non altera le pareti. Altra cosa, ovviamente, rispetto all’arrampicata sportiva. Invece, con l’evolversi della tecnologia, del trapano per tutti, siamo arrivati alla seconda ondata di perversione, dopo gli anni delle direttissime artificiali. Spit à gogo. Perciò dopo gli anni Settanta, le successive sperimentazioni degli anni 80/90, siamo giunti a un nuovo scarto.
Ma perché parli di perversione? Termine assai appiccicoso, quasi ci fosse una purezza. Cosa intendi?
Quando il verso dell’oltranza si rivolge contro noi stessi. Questo intendo. Nessuna purezza. Che non esiste. Si tratta di pratiche di libertà che portano a vicoli ciechi. A chiusure. A un volgersi dentro, magari rovinando tutto quello che c’è fuori. In altre parole, verticali, pur capendo eventuali trasgressioni e composizioni, diciamo di genere, tra trad e sportiva, nei tratti dove non si poteva chiodare, ora si spitta tutto, senza più fare ricerca e leggere le pareti. L’uso indiscriminato del trapano sta uccidendo l’alpinismo trad e pure l’arrampicata “libera”, nella sua accezione più bella e originaria, che non è certo quella sportiva. Così accade che sotto i colpi totalitari dell’arrampicata – appunto – “sportiva”, con spit ascellari, anche fuori dai campi di gioco che sono le falesie, si portano masse di gente a fare un’attività di per sé pericolosa, un tempo pratica libertaria di grande responsabilità e rischio personale, oggi divenuta ginnastica illusoria, una specie di fittizia e trattenuta libertà outdoor, all’aria aperta: una semplicistica ricreazione per adulti viziati dalla sicurezza ad ogni costo, dove il gesto, proprio per questa sicurezza, è diventato pure esso troppo performante e muscolare. E se qualcosa va storto, arriva il soccorso. Meglio, lo si pretende. Con quali conseguenze? La morte non solo dell’alpinismo come attività libertaria, ma il degrado degli stessi territori, ora non più terreni di libertà e di wilderness, ma di conquista: sia di individui troppo sicuri di essere qualcuno da dover lasciare un segno importante, tipo una serie di spit, irreperabili, che è invece una violazione della natura; sia del mercato legato alle montagne. In due parole, la montagna usurpata dal mercato e da beoti omologatori, la quintessenza del machoman occidentale postcapitalista, salvifico e securitario, dotato di Suv anche nel cervello, omologatore e performante, che qui diventa perforante.
Giacomo Albiero, spedizione Huantsan 1981
E allora, cosa proponete di fare?
Semplice e complesso allo stesso tempo: TTT. Togliere, togliere, togliere. Ciò che usurpa va tolto. Altrimenti rischiamo di vedere rovinate le pareti e la storia delle stesse per sempre. Rischiamo che l’arrampicata sportiva fagogiti l’alpinismo, l’arrampicata di ricerca, di avventura, di conoscenza. Come? Basta tirare fuori il trapano e tutto viene risolto subito. Ti racconto un fatto. Il mio grande maestro d’alpinismo, compagno di Casarotto, Giacomo Albiero, a cui dedichiamo TTT, quando gli chiesi cosa avrei dovuto fare di fronte a uno spit che trovammo un giorno davanti a noi, su una via storica, mi disse, in tono dialettale, con vocali apertissime, senza esitazione: «Cava, cava, cava!!!» – che significa, togli-togli-togli! A parte i salti mortali nelle associazioni degli acronimi – il cava-cava-cava richiama pure il CCC di un progetto culturale per noi importante – Giacomo aveva ragione e io seguo il suo insegnamento. Scintille. Lo stesso fanno i NAP. Togliere-togliere-togliere. TTT.
Certo, che NAP, con quel proletario di mezzo, fa un po’ paura e sembra retrogrado?
Vero e falso. Vero se ti fermi a un immaginario usurato. Falso se usi quel nome per rilanciare un immaginario che da quell’usura è stato deviato, allontanato dal suo scopo originario, quello di dare il potere, la scienza, la libertà a tutti coloro che lottano per averla e difenderla, che non ce l’hanno per nascita o privilegio. E tutti coloro… sono una complessità non classificabile e riducibile a un popolo caprone, beota, securitario. Il proletario, la prole, combatte sempre per il proprio futuro. Nella sua irriducibile complessità. Se TTT è semplice al suono, gli estensori/firmatari non lo sono. Sia perché siamo un gruppo molteplice, multiforme, vario, sia perché con quel nome vogliamo esprimere la carica “sovversiva” rispetto alla spinta omologatrice tipica di ogni società servile, anche nel mondo della montagna. Per questo abbiamo voluto attingere a parole controverse. Per alcuni antipatiche o indigeste. Ma cariche, per l’appunto, di immaginario, pericoloso. Abbiamo messo come termine denominatore “proletari”, ma avremmo potuto mettere “radicali”, nel senso di rigorosi e attaccati, per così dire, alle radici: alla natura delle pareti e alla loro storia. Ai nostri corpi, individuali e collettivi. Alle nostre mani e alle nostre terre. Ma ci interessava soprattutto lasciare spazio alla prole, al futuro. C’è quindi una ragione laterale, obliqua, storica, e una centrale, riconducibile all’etimologia, che ci ha fatto scegliere questo inoppugnabile nome, per niente retrogrado, bensì importante e “portante”, che ha lo scopo preciso di porre un netto distacco da coloro che ci vorrebbero ammansire con le parole di comodo e adatte a tutti, i cosiddetti “educolratori del limine”, così li chiamo io, affascinati dal nostro agire e pensare, che dicono di stare con noi, ma poi nei fatti non lo fanno perché le nostre parole ricordano troppo l’utopia di un tempo. Oggi spenta. Utopia che passò anche per le nostre montagne. Noi abbiamo deciso di riaccenderla. Scegliendo questo nome ridaremo lustro e luce alla parola “proletario”, che diventerà ciò che era: uno dei lemmi più belli al mondo.
Potresti spiegarti meglio, partendo dalla ragione laterale di questa scelta. Sembra tutto molto interessante… e distante.
Il fatto laterale – quello della lotta per difendere i nostri diritti, anche come alpinisti – è per niente trascurabile, perché si connette al vetusto e abusato utilizzo politico della parola “proletario”, che va oltre l’etimologia, e che per noi è stato fondamentale nella scelta: noi siamo proletari e libertari per davvero. Fino al midollo, sicuramente gli estensori, poiché non vogliamo padroni e ricconi sulle montagne che fanno o fanno fare agli altri quello che loro desiderano, ad ogni costo. Compreso quello di rovinare per sempre le pareti, per quanto l’alpinismo sia solo una piccola parte e per certi aspetti minimamente determinante sull’impronta sociale e ambientale della nostra epoca. Ma non è così. Ogni nostro atto quando diventa condivisione e comunicazione – come lasciare un segno, un chiodo modificante o una scia di carburante – è un atto politico, che indica la civiltà, lo stile dello stare in società, in una comunità di persone, sia esso il semplice piantare uno spit o l’usare un elicottero o una moto per raggiungere il campo base o una cima, per rendere più facilmente accessibile e illusoriamente sicuro il proprio divertimento. Si deduce che un gesto fatto nel mezzo della nostra selva oscura, sia essa montagna, sia essa la città o i paesi dove viviamo, ha sempre un valore politico, nel senso primo della parola, anche se resta circoscritto a una comunità di semplici alpinisti o arrampicatori sportivi. Tutti possiamo scegliere e dobbiamo scegliere. Altrimenti vada come vada. Senza poi venire a lamentarsi per le conseguenze delle nostre non-scelte. Non ultimo, il clima sta cambiando, anche a causa delle cattive abitudini di chi frequenta la montagna facendola diventare un sobborgo della città, con le sue gerarchie e oligarchie. Il proletario, l’uomo che viene dal basso delle proprie esperienze e relazioni, di prossimità, non di privilegi o da posizioni a priori, remote, sceglie. Noi, con questo presa di posizione proletaria e libertaria, dal basso, scegliamo: non vogliamo che le montagne siano ridotte a delle appendici della città. Amiamo la loro complessità e irriducibilità, anche negli aspetti meno digeribili. La montagna è luogo di difficoltà e conflitti, di transizioni, non solo di poesia. Non vogliamo che la bellezza e la complessità della pratica alpinistica – ciò che una volta si chiamava romanticismo – sia ridotta a semplice, omologante, straziante prestazione sportiva, ad arrampicata sportiva iperprotetta anche dove quella protezione è un insulto alle capacità umana di affrontare la diversità, l’alterità, ciò che nasconde il difficile concetto di natura. Non so se mi spiego. Per questo lottiamo. Togliendo il superfluo. A cominciare da noi, dal nostro agire e dal nostro nome. Anche per chi voleva nomi più rasserenanti.
A questo punto il significato centrale di “proletario”, forse tanto centrale non è…
Diciamo che il fatto laterale, periferico, alimenta il centro, il significato originario, etimologico: la prole. Lo facciamo per i nostri figli e anche per i figli di coloro che si credono padroni del mondo perché hanno un po’ di denaro per comprare tutto: guide, montagne, sicurezza, media. O tempo libero illimitato da rendere tutto il mondo una palestra di arrampicata per fare party sponsorcentrici o feste devastatrici. Siamo perciò contro le guide e le associazioni alpinistiche, turistiche, di ogni ordine e grado che abusano della loro competenza e autorità: siamo contro tutti coloro che vendono le montagne per un pugno di lenticchie. Che poi lenticchie non sono, ma soldi profumati per i propri personali interessi, per quanto apparentemente legittimi. E se qualcuno ci dice – qualcuno ce l’ha detto – che siamo per niente rispettosi di coloro che piantano “chiodi a perforazione” a destra e a manca, senza riserve, noi diciamo che sono loro i primi ad averci mancato di rispetto. Modificando per sempre le montagne, smantellando la loro natura, togliendo spazio al futuro. E di fronte alla irreversibilità di certe azioni, non c’è altra soluzione. Togliere-togliere-togliere. Insomma, crediamo nella montagna by fair means, e tanto basta per meritarci tutti i nemici che ci meritiamo. O gli amici che verranno.
Renato Casarotto, Fitz Roy 1979
Tra questi, come siete messi con il CAI. La vostra sembra davvero una presa di posizione “rivoluzionaria”, rispetto agli standard vigenti?
Io credo lo sia. Nella mia durissima lotta contro l’inquinamento delle acque nelle mie valli – il caso nazionale sui PFAS – sulla quale sono e mantengo la prima linea, ho visto quasi nessuno del CAI partecipare alla manifestazioni o prendere posizione. Sottolineando questo, ho raccolto diverse critiche e qualche diffida. Pur avendo tanti amici e compagni nei CAI locali, che rispetto e che per certe cose vedo sensibili, ho trovato per lo più soci poco coraggiosi o troppo impegnati nel proprio giardino di divertimento – la montagna come luna park, come parco separato dal mondo reale – nonostante gli inequivocabili principi ambientalisti dell’associazione e certe chiare prese di posizione a livello nazionale. Guai invece esporsi localmente. Potrebbe far male alle relazioni di interesse locale. Che trovo meschine quando avvelenano i nostri figli. Così ho coniato questo discutibilissimo ma potentissimo slogan: «CAI? Figli dei fiori in montagna, figli del liquame in città». Espresso in qualche occasione. Come agli amici presenti al Teatro Olimpico di Vicenza nella serata di inaugurazione del Trento Film Festival per omaggiare Renato Casarotto. Non è vero? Dimostratemi il contrario nelle mobilitazioni necessarie quando bisogna combattere per le giuste cause, che vanno contro i grandi interessi monopolistici, che esistono dappertutto, in montagna come in città. Invece spesso molti presidenti delle sezioni locali o istruttori preformattati – “caiani”, come vengono chiamati nel giro del CAI stesso – sono paraculi – permettetemi la licenza specifica – dei sindaci del momento, al posto di essere una sana spina di critica ambientalista nei fianchi della città, del paese. TTT io credo possa rappresentare proprio per questa sua irriducibilità e informalità una presa di posizione davvero “sovvertitrice” dell’ordine costituito. Il resto lo vedremo. Il futuro è aperto, diceva Konrad Lorenz, per coloro che non siedono sulle poltrone del sapere e delle pratiche costituite.
Ossia?
Considerato il concetto di clima, oggi riemerso, TTT potrebbe generare per il mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata una specie di climate change mentale, un CCC per riprendere il cava-cava-cava di Albiero, un Climbing Climate Change che va pure contro il cambiamento climatico di cui le stesse pratiche razziatrici di risorse sulle montagne sono responsabili. Il sogno di questo cambiamento per noi resta attivo. Nonostante i venti contrari, le critiche e la disillusione, il disincanto di fronte alla terre devastate in cui viviamo, la dismissione dalle pratiche di conoscenza e intelligenza accessibili a tutti. Per fare una citazione dotta, anche se non servirebbe, ricordo sempre agli amici cosa fa dire Euripide alla terribile Elettra: «Bisogna conoscerli a fondo i fatti prima di avversare, altrimenti perché avversare?».
In conclusione?
In conclusione, non cerchiamo una massa di proseliti, ma una riflessione di massa. Veicolata da pochi, buoni, compagni che aderiscono, anche solo simbolicamente, ai NAP. Per fare passare un messaggio duro quanto l’argine di un muro compatto, liscio, di roccia improteggibile, che ostacola il cammino. Vogliamo arginare un fenomeno: l’imborghesimento delle pareti e delle montagne. L’imborghesimento, l’addomesticamento, della nostra libertà. Vogliamo lasciare una porta aperta. Respirare futuro, ignoto, diversità. Noi continueremo a togliere-togliere-togliere senza rinunciare al rispetto e alla conoscenza delle persone e dei territori che abbiamo di fronte.
Ah, dimenticavo, per parafrasare Filo Sottile di Alpinismo Molotov, i NAP sono inclusivi, ma allergici alle supercazzole, sia nel loro significato di nonsense, di mutanti spannografici con trapano in mano, alpinisti una tantum, sia nel significato di cazzuola, coloro che gettano letame e cemento, sempre a spanne, nelle fessure rocciose della nostra libertà. Noi, in Veneto, di uomini coltivati a spanne, ne sappiamo qualcosa. Ma di questo e altro vi racconterò.
Buone montagne.
Particolare del cartellone Non torneranno i prati, sulla SP 246. Archivio CCC
Prima lista aderenti al Manifesto TTT
al 31 gennaio 2019, in ordine alfabetico (primi 80)
Luca Bernardi (Monodito, CAI Montecchio), Marco Berti (Alpenverein Südtirol), Nicola Bertoldo (CAI Arsiero), Roberto Bianchetto (CAI Thiene), Giacomo Bizzi (Monodito, CAI Ferrara), Ivo Bonazzi (Valpolicella), Davide Brunello (Gruppo Roccia 4 Gatti Arsiero), Giovanni Busato (Gruppo Roccia 4 Gatti Arsiero), Giada Caldieri (CAI Thiene), Francesca Carella (Pellizzano, Val di Sole), Luca Carraro (CAI Malo), Ilario Chiarini (IAL-CAI Valdarno, Arezzo), Martina Chinello (4180mdiblablabla – alpinismo al femminile, CAI Padova), Francesco Cinti (Monodito, CAI Ferrara), Andrea Dalle Nogare (CAI Schio), Giulio Diener (Rovereto), Davide Frizzo (Gruppo Roccia 4 Gati Arsiero), Tommaso Furlani (Monodito, CAI Ferrara), Alessandro Galasso (CAI Schio), Michele Ghelli (Monodito Ferrara), Matteo Gironda (CAI Vicenza), Paolo Gorini (Monodito CAI Montecchio), Stefano Grigolo (CAI Rovigo), Heinz Grill (CAAI Orientale), Franz Heiß (UIAGM), Barbara Holzer (Alpenverein Südtirol), Guido Lanaro (CAI Vicenza), Jose Nicolas Larrea Urioste (Bergamo), Sonia Lonardoni (4180mdiblablabla – alpinismo al femminile), Gian Maria Mandelli (INA-CAAI Centrale), Roberto Mandelli (CAI Valmadrera), Marco Manfrini (CAI Rovigo), Emanuele Mannocci (Prato), Matteo Maran (CAI Montecchio), Giacomo Marangoni (CAI Montecchio), Alessio Marcantonio (Pellizzano, Val di Sole), Tommaso Marchesini (CAI Verona), Samuele Mazzolini (CAAI Orientale), Leonardo Meggiolaro (CAI Montecchio), Alessandro Meridio (CAI Dueville), Giacomo Merlante (Monodito, CAI Ferrara), Andrea Micheletto (CAI Schio), Aldo Michelin (Treviso), Anna Milanese (4180mdiblablabla – alpinismo al femminile), Roberto Moneta (Bergamo), Matteo Mulieri (CAI Malo), Valter Novello (Treviso), Paolo Panzeri (Bergamo), Cristiano Pastorello (CAAI Orientale), Alberto Peruffo (CAI Montecchio), Enrico Peruffo (CAI Montecchio), Giacomo Peruffo (CAI Montecchio), Claudia Petri (CAI Montecchio), Diego Piccinini (Monodito, CAI Ferrara), Erika Ricci (Alpenverein Südtirol), Fabiana Rossi (Monodito, CAI Montecchio), Davide Ruzzioli (Monodito, CAI Ferrara), Nicola Sandonati Piffanelli (CAI Ferrara), Giovanni Salzillo (Monodito, CAI Ferrara), Andrea Santacà (CAI Montecchio), Nicola Scapin (CAI Montecchio), Caroline Schmidt (Alpenverein Südtirol), Marcello Scopece (Monodito, CAI Ferrara), Marco Scuccimarra (CAI Montecchio), Michele Scuccimarra (Monodito, CAI Montecchio), Fabio Sgarbul (SAG-CAI Trieste), Andrea Simonini (Illasi), Luca Stocco (Rovigo), Marco Tonarelli (Exilles, Val di Susa), Mattia Trevisan (CAI Malo), Davide Birillo Valsecchi (CAI Asso), Paolo Vezzaro (CAI Montecchio), Pierangelo Verri (Valdobiaddene), Paolo Vezzaro (CAI Montecchio), Gabriele Villa (IA-CAI Ferrara), Mariana Zantedeschi (4180mdiblablabla – alpinismo al femminile, Verona), David Zappaterra (Monodito, CAI Ferrara), Daniele Zardo (CAI Montecchio), Monica Zese (CAI Ferrara), Stefano Zordan (CAI Valdagno).
Il primo incontro TTT è previsto per sabato 6 aprile 2019 presso la Sala Conferenze c/o Sporting Hotel San Felice (Località San Giacometto) – 37031 Illasi (VR), dalle ore 20 (pre-incontro conviviale e assemblea-conferenza ore 21). Per adesioni al Manifesto TTT e informazioni sulla serata scrivete a ttt.alpinismo@gmail.com. Successive liste, aggiornamenti e altro su CCC casadicultura.it.
Un importante Post Scriptum
di Alberto Peruffo
Coloro che hanno firmato la presa di posizione dei NAP stanno dando sostegno alla causa e all’impegno del manifesto TTT. Ricordiamo che in anteprima assoluta il testo era stato consegnato e pubblicato nell’ultimo numero di Alpinismo Goriziano – con il titolo Uno spettro si aggira tra le Alpi – settembre-dicembre 2018, ora in circolo, la quale è la rivista più orientale delle Alpi. Abbiamo voluto partire di proposito dall’estremo oriente. Da dove sorge il sole. E il nuovo mattino? Molti ci chiedono o si chiedono che significato ha avuto il Nuovo Mattino qui da noi. Ce lo chiedono ora, a cinquant’anni dal ’68, a 35 anni dalla morte di Gian Piero Motti. Difficile dare una risposta. Personalmente, sono troppo in mezzo per darla, essendo pure agente di connessione con le nuove generazioni. Forse potrei suggerire un’uscita. Di continuità. Dopo il fallimento di certi valori.
Appartengo alla classe 1967. Vengo dalla scuola, dall’immaginario di Casarotto. Che scuola non è. Posso dire che il “mattino nuovo”, l’alba di un alpinismo più umano e visionario, rispetto ai valori originali e originari, primigeni, di libertà e rispetto della complessità, qua ad oriente ha avuto qualche grande interprete. Renato, credo, prima di tutti, tra i conosciuti. Certo, gli alpinisti d’oriente scrivevano poco e scalavano di più. Erano visionari senza scrittura, per parafrasare Gogna. Ma troppo poco collegati con il mondo reale. Qui da noi un Guido Rossa, non esisteva. E forse questo distacco, sia ad occidente, sparito Motti, nel suo umano fallimento, sia ad oriente, nella grande tragedia alpinistica di Casarotto, irraggiungibile, fece naufragare tutto. Arrivò la montagna nei suoi aspetti più consumistici e banali. Ma qualche raggio di quel mattino è rimasto. La speranza è che questa volta, quel mattino, oramai passato, esca dalla sua lunga eclissi, e diventi un meridiano. Di fuoco. Di visione. Di consapevolezza. La società di trenta o cinquant’anni fa non è quella di oggi, dove il potenziale tecnologico mette a rischio le fondamenta stesse del nostro vivere quotidiano. Non di una sola persona – fallita, o uccisa dal sistema o dal caso – ma di un sistema intero. «Già, un meridiano di fuoco dove a brillare nella notte delle pareti, provocate dall’eclissi del Nuovo Mattino, saranno le scintille dei nostri martelli sul metallo degli spit, degli usurpatori» – potrebbero concludere i NAP nella loro metafora immaginifica, che non è solo una metafora, ma l’indizio di una scelta radicale di vita dove l’amore per la complessità, la diversità, l’alterità che la natura ci offre, sia superiore all’omologazione e alla domesticità che le illusioni potenziate dalle tecnologie dell’uomo contemporaneo hanno messo davanti a tutto. Davanti alla bellezza e alla fragilità dell’umano stesso. Rendendolo un idiota. Simile a se stesso. In vetta ad un 8000. Sulla cima della propria presunzione. Guardandosi i piedi, o l’orologio, o lo schermo di un dispositivo per dirlo al mondo. Dimenticandosi di alzare lo sguardo verso l’orizzonte. Dove alto splende il sole. Stop.
Togliere, togliere, togliere.
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Ringrazio tutti per i commenti.
Aiutano.
Diciamo che molti dicono giusto. O quasi.
Non posso scendere nei particolari.
Lo faremo magari a voce, se ci incontreremo.
Ammetto, senza riserve, di essermi lasciato trasportare dall’entusiasmo dei ragazzi.
Su questi temi. Di questi tempi. Avari.
Ovviamente, ho caricato certe parole. Con i miei rischi. Forse troppo. Per poi vedere come va e togliere, nel caso.
Tra i commenti, mi soffermo, solo su Bertoncelli.
Che dice bene, quasi tutto.
A Bertoncelli – e in parte agli altri – rispondo: purtroppo le sigle nascono dalle parole che si usano. Ho voluto suggerire “proletario” per sottolineare la figliolanza e la non-classe di tutti coloro che vorranno continuare a fare alpinismo in ambienti purtroppo oggi degradati, imborghesiti, nel senso della prima frase del manifesto, ossia addomesticati. Proletario perciò, in seconda battuta, anche come termine di contrasto all’usurato borghese. Sapevo il rischio che correvo con la sigla che stava per nascere, meglio rinascere, in caso di acronimo. Conosco la storia e non manipolo le parole. Invece ho fatto un tentativo di riconfigurare, manipolare (propriamente), quella sigla che le parole chiamavano, una volta pensate. Un tentativo rischioso. Un rischio che ho corso consapevolmente per sottolineare alcuni concetti che NIENTE HANNO a che fare con le sigla storica da altri richiamata (il nap armato), per arrivare a sigle più lontane (br)… Forse ho commesso un errore a suggerire ciò. Ingenuo, ma consapevole. Non so se lo stia facendo – allo stesso modo – anche chi fa associazioni troppo arbitrarie, seppure legittime. Perché l’equivoco, l’errore, succede per tutte le sigle. Ma caricare tutto di offese e insulti – anonimi – porta verso altre strade. Forse peggiori del mio velleitario, certo, tentativo di usare ciò che è già stato usato.
Ammesso il possibile errore, TTT è solo una prima scrittura, creata anche per questa sua prima apparizione, per togliere le parti che non vanno, pure il sottoscritto, per non essere troppo coinvolto se l’impegno non è quello desiderato da chi scrive e se le parole non hanno la forza che dimostrano. Questa è stata la ragione del mio alzare il tiro, che non è una profezia (v. Stefano). Ma un work in progress che dal 6 aprile sarà in mano completamente ai ragazzi che correvano, pure loro, i propri rischi, chiamandomi in causa, mesi fa. Poiché, nessuno ha la soluzione in tasca, specialmente io, soprattutto quando troppi fronti chiamano su pareti ben più avverse, di quelle di sola roccia. Trovo perciò altrettanto legittimo la mia forzatura, specie per il disimpegno di quasi tutti gli alpinisti che conosco – e sono molti, anche tra i giovani – sulle questioni più avverse e per me prioritarie: ambiente – territori devastati, dove vivo – in primis.
Spero che il rancore e la detrazione che ho letto qui e nel post precedente, per questa mia oltranza, NON SIANO proporzionali al disimpegno citato, di chi commenta. E che i miei rischi e miei eventuali errori non mi vengano perdonati. Ma servano da segnavia per coloro che tracceranno vie nuove. Io ci ho provato. Come su altri fronti, dove qualche risultato è arrivato o sta arrivando.
La mia umile speranza – su questo fronte – è che dal 6 aprile resti di TTT quello per cui è stato creato, «un manifesto per le montagne by fair means».
Ecco, in sintesi e come saluto, spero che alla fine, il mio sincero, per quanto tortuoso, “letterario”, contributo, resti racchiuso proprio nelle parole che lo annunciavano e che ripeto:
“Manifesto TTT per un alpinismo by fair means”.
//
[«Siamo contro l’imborghesimento delle pareti di montagna». Questa è stata la prima semplice frase nata dopo aver ascoltato i ragazzi ed esser tornato a casa. Poi una parola ha generato l’altra, fino a togliere-togliere-togliere, a TTT e alle altre parole che sono state discusse e scritte insieme. A voi ora la palla, anzi il martello, per smantellare le sigle e quello che non sta in piedi. Grazie ancora].
PS il fatto curioso – in fatto di storia – è che a tutte le persone a cui è stato fatto leggere il manifesto prima di pubblicarlo, nessuno ha mosso particolari perplessità sulla sigla NAP in quanto sigla “storica” (sembrava dimenticata da tutti). Diverse invece sulla parola “proletario”. Certo, qui su GognaBlog il pubblico è più vecchio e molto più acculturato storicamente. Vorrà dire che – grazie ai post NAP-TTT – molti dei giovani che non sapevano chi è Guido Rossa e cosa furono gli Anni di Piombo, ora lo sanno. Anni spariti dai nostri orizzonti, come molti degli ideali di giustizia e libertà democratica, popolare, che gli avevano mossi. In direzione sbagliata. Violenta. I risultati dell’una e dell’altra cosa, arrivano oggi. Ciao.
Daniele scusami, pensavo che le due “faccine” fossero sufficienti a ridicolizzare ciò che scrivevo.
Tutti quelli che fanno i “para-proletari” e che emulano le BR e altri bastardi affini meriterebbero di fare la fine di Aldo Moro, Guido Rossa, Marco Biagi e tanti altri (troppi) che sono morti per colpa di questi “talebani del cazzo”. Parola di uno che gli anni di piombo li ha vissuti e subiti in prima persona. Peruffo: vai a c….e! E lascia perdere sia la politica che l’alpinismo. Sono cose troppo più grandi di te!
Non era mia intenzione banalizzare l’argomento trattato, anzi, rispetto profondamente lo spirito che anima il gruppo di giovani che “al di la delle sigle” si impegna a preservare una sana cultura alpinistica. Volevo solo stemperare i toni del dibattito.
se non hai il senso dell’umorismo e prendi uno scherzo per una minaccia, mi arrendo. Cerca di stare meglio. Ciao
Grazie per il gentile consiglio, ma non lo seguiró. All’inferno di solito vanno tutte le persone intelligenti e sopratutto fa caldo!
Tu che sei istruito: il Petrarca scalava, ma sai come scalava?
Magari in alcune cose come consigliere era di parte e non le raccontava o le teneva nascoste. Secondo me gli spittatori, sopratutto quelli seriali, vanno in paradiso come protettori delle masse dai suicidi di gruppo.
Cosa vuoi dirmi d’altro con: consiglio al caro… di cambiare atteggiamento se non vuole finire male? 🙂 Mi minacci forse? 🙂
“fatti non foste a viver come bruti ma per servir virtute e canoscienza” , verso 119 canto XXVI dell’inferno, Divina Commedia. Con queste parole Ulisse esortava i suoi marinai ad oltrepassare le Colonne d’Ercole. Per aver osato sfidare ciò che è divino il nostro Eroe è stato relegato nell’ottavo cerchio dell’inferno tra i “Consiglieri fraudolenti”. Dopo approfondite ricerche, non avendo riscontrato tra i cerchi infernali, nessuno che contenga gli ” spittatori selvaggi” e nemmeno gli “incrociatori di vie classiche”, deduco che gli stessi sono allocati come minimo in purgatorio, pertanto consiglio al caro Panzeri di cambiare atteggiamento o in sub-ordine la citazione se non vuole finire male. Saluti a tutti.
Qualcuno scriveva, ma non so se lo scrivo bene: “fatti non foste per viver come bruti, ma per servir virtute e canoscienza “.
Ma talvolta sembra non sia stato ancora nemmeno ascoltato, dire capito è di sicuro pretender troppo 🙂
Che fatica leggere questa sequela di dogmi …è il copia/incolla della “lettera appello per la difesa della sacralità delle rocce” di cui siamo stati oggetto una quindicina di anni fa.Sembrate la (brutta) trasposizione arrampicatoria dei concetti oscurantisti del senatore Pillon!Vabbè dai,questo è il Zeitgeist e noi restiamo orgogliosamente eretici e comodamente seduti dalla parte del torto,in attesa del ennesima sentenza di questa autoproclamata santa inquisizione.
W la figa!
Gli amici del sottobosco.
Peruffo attento alle serpi in seno, almeno metá dei tuoi firmatari le va a ripetere le vie che critichi e proponi di schiodare. I boicottaggi dall’interno sono i peggiori
Siete ancora all “épater le bourgeois”.
Concordo con Giacomo Govi, aldilà dei contenuti più o meno condivisibili sono le sigle a creare imbarazzo e per quanto Alberto Peruffo si sforzi di trovarne giustificazione il loro richiamo a una brutta pagina della nostra storia finisce per vanificare anche le migliori intenzioni.
E’ talmente evidente tutto ciò che crea imbarazzo anche il solo evidenziarlo perchè ci si può domandare se dall’altra parte o ci sei o ci fai.
Ammettendo che il tema sottostante sia importante – e che alcune intenzioni siano ( in teoria ) condivisibili:
perché’ non lasciate perdere la pagliacciata del NAP, TTT e aprite una discussione con un linguaggio normale?
Questo numero 2 mi pare perfino peggio del numero 1, anche saltando a pie’ pari la parte introduttiva ( a proposito di supercazzole ) che parla di tutt’altro e sara’ forse terapeutica per chi scrive ma e’ una prova estrema per il lettore.
Per chi si propone di “togliere togliere togliere” senza chiedere permesso a nessuno la credibilità’ e’ un aspetto fondamentale. E forse qualcuno di voi, pur in buona fede, ha trovato un’occasione per dare sfogo a creativita’ letterarie, ma non vi fa un buon servizio.
In concreto, cominciare a dare riposta alle contraddizioni che Stefano Michelazzi ed altri hanno fatto notare.
E’ dura la vita del climber.
Niene alcool, niente sesso.
Solo mani sulla ruvida roccia.
Che fatica..
questi firmatari mi lasciano un pò perplesso
Potrei conoscere il nome del loro spacciatore perpiacere?
Deve avere roba buona
mi sembra di averli letti anche io alcuni di questi.
già….
Cari NAP voi in chi vi identificate, in Hainz o in Giannari Danieri? Perchè è proprio qui il nocciolo del pensiero! Vi chiedo di leggere la discussione e poi di ragionare, ancora, sulle vostre proposte!
tratto dalla discussione sul sito di Furlani
https://valledellaluce.wordpress.com/2013/01/02/grill-2/
“… Ora l’infezione si è propagata in zona Arco ed è uscita dalla nicchia dei monotiri per sbarcare sul multipitch [ ]. C’è un gruppo di “chiodatori”, e vi prego di comprendere il senso profondo di queste virgolette, che sotto la ‘guida” di tale Heinz Grill stanno rovinando chilometri di roccia nel fondovalle del Sarca (Arco): tracciano multipitch seriali, scavando appigli a go go dove le difficoltà supererebbero il 6b, disboscano, costruiscono muri di legno paramassi in piena parete, insomma banalizzano intere porzioni di roccia con un dichiarato intento: “sembrava importante, nella creazione degli itinerarì, prestare attenzione che tutti i passaggi fossero svolti armonicamente e coerentemente. Alcune zone boscose del percorso sono state disboscate e gli alberi utilizzati per il consolidamento della cengia terrosa e sono stati fatti alcuni gradini. Altresì alcune soste sono state fissate meglio con l’ausilio di rami posti trasversalmente sia per rendere possibile una sosta più comoda che per proteggere il passaggio da possibili distacchi di rocce e pietrisco. Attraverso quest’opera di ingegno le zone di roccia si collegano meglio con le cenge boscose; nella ripetizione delle vie gli eventuali fruitori sono perciò pregati di non arrecare danno a questi piccoli lavori di collegamento.”
A parte il rischio estremo che si verificherà quando la natura si libererà senza avvisare del legno marcito carico di sassi in bilico a metà parete e a parte i danni irreversibili degli scavi, ci rendiamo conto che é la morte stessa dell’arrampicata? “L’arrampicata ritmica”, come la chiamano loro, altro non é che la banalizzazione della nostra attività, lo svuotamento dal rischio di sconfitta, l’appiattimento della verticale al livello dell’andare al cinema, del fare una corsa su un percorso vita. E in nome di questo rovinano la roccia e i boschi che ci crescono in mezzo.
Parleremo ancora, ma per intanto sappiate che questo Grill é stato proposto (da già membri) come nuovo membro del Club Accademico Italiano, l’elite degli alpinisti italiani, quella che dovrebbe preservare la memoria e l’etica dell’alpinismo. Complimenti vivissimi (Andrea Gennari Daneri)”.
Mi ripeto, per fortuna Grill ha proseguito nella sua strada, non caschi nell’errore di diventare come il suo detrattore!
Peruffo, non cambiare le carte in tavola:
1) NESSUNO si è mai sognato di criticare l’uso della parola «proletario».
2) MOLTI invece hanno criticato l’uso della sigla NAP, perché si richiama a terroristi (rossi o neri che siano non fa alcuna differenza).
Prima di accusare il prossimo di «relativa ignoranza o presunta conoscenza», studia la storia, compresa quella degli anni Settanta. Se già la conosci, non travisarla per sostenere le tue tesi. Infine, non manipolare le parole altrui.
Dopo – ma solo dopo – potrai forse discettare di «riduttivismo metaforico da Bookchin».
Proletari.
Mamma mia quante parole su una parola.
Ed io che non ho una prole … e che non potrei essere proletario che dovrei dire? Che è un discorso molto classista 🙂
Dire “proletario”, in un’Italia che non fa figli, mi fa un po’ sorridere. Non lo dico per schernire. Sia ben chiaro. E’ un sorriso amaro.
Ed essendo di Torino purtroppo mi fa anche una mesta tenerezza sentire parlare di “operai” in una città che è stata l’epicentro dell’industria pesante italiana e che ha perso più operai che ghiacciai negli ultimi 30/40 anni.
Quanto polverone su sta parola, da entrambe le parti.
Avrei preferito un -a parer mio molto più azzeccato- “popolar*”. Sicuramente termine meno anacronistico, ed anzi ancora attuale nel Bel Paese, sempre più povero e regredito purtroppo sotto molti aspetti, non solo economicamente.
Non sto ad entrare nel merito del TTT, in fondo basta vedere dai primi 80 aderenti al manifesto, probabilmente il problema dello spit selvaggio è più sentito altrove che qui.
Qui inteso come il Piemonte Occidentale.
Forse tutto questo chiacchiericcio su parole e sigle sono solo i soliti effetti dei “social”.
Ricordo quando Adriano Trombetta (GA, buonanima) schiodò parecchio da queste parti: pulì dai chiodi tante linee in fessura. In Valle dell’Orco soprattutto.
Lo fece e basta. Senza manifesti. Sicuramente con tante polemiche nei ritrovi dei climbers.
Diceva un personaggio anni ’90: i migliori non dicono quello che fanno, lo fanno e basta. Gli altri fanno quello che possono …
E allora ripongo la fiducia nel fatto che l’eredità morale lasciata qui da Motti, Gervasutti, Grassi etc che ancora aleggia nelle nostre vallate faccia da se più di quanto non non facciano i social.
La mia è una speranza, e forse anche una velata preghiera.
Buona giornata a tutti.
Mi spiace, ma la sigla NAP mi blocca subito. NAP per me è ancora l’acronimo dei Nuclei Armati Proletari, che hanno contribuito non poco a complicare ( avvelenare) la mia vita e quella di milioni di italiani, in primis lavoratori delle fabbriche, negli anni ‘7o. Ero delegato nel CdF (Consiglio di Fabbrica, non Cacciatori di Fringuelli) e spesso non potevo andare in Grignetta ad arrampicare perché impegnato a organizzare manifestazioni, scioperi, assemblee per dissociarci e condannare chi uccideva “per il Proletariato”. Spero che la sigla NAP che avete scelto sia frutto solo di ignoranza o dimenticanza ( siete giovani, non conoscete 0 ricordate la storia degli “anni di piombo”) e non di una “provocazione”, o- peggio- di una scelta voluta. Comunque, vi consiglierei di (ri)leggere l’articolo su Guido Rossa, qui pubblicato poche settimane fa. Auguri per i vs nobili propositi.
Renato Br.
Caro Alberto, di profeti e profetucoli l’alpinismo è pieno, per fortuna poi non essendo un’attività essenziale per la vita umana, tutto solitamente torna alla normalità, gli assi si spostano si ricomincia da zero ricreando il gioco, senza bisogno di grandi rivoluzioni se non, forse, culturali ma anche qui ci sarebbe da parlare…
Paura del proletario? Non credo proprio… aldilà di termine ormai obsoleto e di una filosofia e teoria economica fallite storicamente, che non hanno saputo evolvere con l’evoluzione sociale, che mai hanno riconosciuto i propri limiti ed anzi hanno cambiato faccia per puro opportunismo (una delle umane pochezze), basti pensare alla lotta per l’industrializzazione ed il progresso (industriale ovvio…) ed oggi esattamente all’opposto la lotta per l’ambientalismo ovvero prima distruggiamo elargendo verità e poi accusiamo tutti, tirandoci indietro, elargendo nuove verità… a dimostrazione che gli estremismi sono sempre una rovina!
Ma torniamo a proletario e proletariato come paure… penso tu abbia capito ben poco dei commenti, magari alcuni hanno stigmatizzato proprio quel termine, ma la chiara e netta distanza è stata presa dal nome NAP che per rinfrescarti la memoria è colpevole di atti barbari e senza senso tra i quali l’uccisione di persone assolutamente estranee solo perché si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato…che differenza (almeno nei metodi) dalla vecchia MAFIA o dalla CAMORRA? Ti ricordo ancora poi l’accorpamento degli ultimi scampoli dei NAP a quei “compagni che sbagliano” fino alla loro fisiologica scomparsa…!
Questo da fastidio a me di sicuro!
Che dire poi dei firmatari della tua petizione proletaria?
Non trovi che vi siano alcuni i quali hanno spittato a destra e a manca nel nome della sicurezza, ricreando salite (con l’incazzo dei primi salitori), spittando le soste di altre, facendo maquillage alle salite di altri secondo il proprio gusto, ecc. ecc. ecc. ???
A me pare proprio di sì… ma probabilmente come ogni setta stile NAP, BR o i neofascisti NAR e chi più ne ha più ne metta tutto fa brodo basta che sia… la coerenza è un bene difficile da conservare…!
Ognuno certo della propria verità imposta agli altri, contestando l’oppressione (parola grossa per questo frangente ma tale da semplificare la comprensione) con altra oppressione… bel giochetto… speravo fossimo un po’ evoluti almeno in questo ma vedo come dice la filosofia spicciola dei proletari di un tempo, quelli veri, che ognuno ha ciò che si merita e sembra che attualmente questo Paese non navighi in buone acque sotto questo aspetto…
Hai accettato lo stile di Larcher? Come mai? E la via sulla Torre di mezzaluna che interseca e stravolge la linea del Feo? Ce la dimentichiamo? E poi vorrei capire perché Larcher sì ma altri no…!? Sei tu che decidi ciò che vale e ciò che non vale o lo metti in discussione all’amato collettivo?
Parli di tempo da perdere ma a quanto sembra risulti quello che ne ha di più…
Peace and love!