L’industria dello sci vuole costruire nuovi impianti a quote sempre più elevate. Ma sono investimenti miopi e antieconomici. Meglio puntare su offerte outdoor alternative.
La salvezza delle nostre montagne non passa dallo sci alpino
Turismo bianco, futuro nero – 1 (1-17)
di Maurizio Dematteis
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)
C’è un momento preciso in cui capisci che qualcosa sta cambiando. Ma cambiando davvero. Sei nato e cresciuto pensando che sarebbe sempre stato così, anno dopo anno, stagione dopo stagione, generazione dopo generazione, e poi un giorno ti svegli e capisci che anche la «tradizione» a volte è costretta a cambiare, ad innovarsi. Perché come spiega bene Albert Camus, «girando sempre su sé stessi, vedendo e facendo sempre le stesse cose, si perde l’abitudine e la possibilità di esercitare la propria intelligenza».
Sono nato e cresciuto a Torino con l’orizzonte delle Alpi, tutte le mattine, al risveglio. Bianche d’inverno e verdi d’estate. Appena scendeva la prima neve di novembre, tutti i weekend erano sulle piste della Val di Susa, con fratelli, compagni di scuola, vicini di casa e amici. Praticamente la città, una parte della città, la mia parte della città, si trasferiva a scivolare sulle montagne. 30 anni dopo mi trovo a ragionare allo stesso modo con i miei figli, perché come ho imparato io a sciare è giusto che imparino anche loro, che poi se lo ritroveranno, e non si sa mai nella vita.
Sci da discesa, rito insostenibile
La differenza è che oggi in Italia il clima è cambiato e la neve non c’è più, bisogna crearla per poter portare avanti il rito dello sci da discesa, con costi economici in aumento, per noi sciatori; ambientali e sociali difficilmente sostenibili, per i territori montani. E lo sci da discesa, attività che da sempre mal si accompagna allo sviluppo sostenibile delle montagne, da sport di massa sta scivolando sempre più verso un’attività elitaria. Con buona pace dei miei figli.
In Italia, tra Alpi e Appennini, abbiamo 219 stazioni sciistiche attive, contando solo quelle con almeno 5 impianti di risalita, tutte sovvenzionate con denaro pubblico, 100 delle quali con il proprio domaine skiable sotto il livello dei 2000 metri di altitudine. Sono sicuramente troppe, molte antieconomiche, mantenute in vita artificialmente per evitare un ulteriore spopolamento e abbandono delle valli su cui insistono. Soprattutto quelle a quote più basse, che vedono ridursi ogni anno i giorni di apertura a causa dei cambiamenti climatici in atto, e hanno di fronte un futuro che sembra segnato.
Sempre più in alto!!!
L’assessore valdostano Luigi Bertschy, amministratore di una regione in cui il core business è ancora lo sci da discesa, attività che ogni anno fa girare circa 85 milioni di euro, all’inizio della stagione 2019/2020 ha dichiarato: «In Valle d’Aosta le quote medie di caduta neve sono al di sopra dei 2100 metri. Per questo, è opportuno ragionare nella logica di progettare nuovi impianti se possibile tra 2.000 e 3.100 metri».
Maurizio Beria, presidente dell’Unione Montana via Lattea, realtà della Valle di Susa che vive per l’80% di turismo, in prevalenza legato al sistema neve, spiega che «ormai i cambiamenti climatici e gli scenari che si prospettano ci impongono di adeguarci». E il primo «adeguamento» è che le società di gestione private non investiranno più un euro nell’indotto neve al di sotto dei 2000 metri. «Stiamo concentrando gli investimenti nel potenziare l’area sopra i 2000, compreso, se ci verrà consentito, attraverso la costruzione di bacini idrici per l’innevamento artificiale».
In buona sostanza, per le grosse stazioni di sci da discesa sopra ai 2000 metri il futuro, in linea di massima, sarà spingere sull’acceleratore della costruzione di infrastrutture, inseguendo un turismo di lusso e la scomparsa progressiva della neve, con un orizzonte temporale di business che potrebbe aggirarsi, in funzione dei diversi casi, dai 10 ai 20 anni. Mentre per molte delle piste al di sotto dei 2000 metri, anche qui facendo le dovute distinzioni, i prossimi 5 anni potrebbero essere fatali.
Una terza via tra nuovi impianti e abbandono
Ma allora «la domanda sorge spontanea»: siamo sicuri che l’unica strada per scongiurare la morte di centinaia di località che ospitano stazioni sciistiche sia quella del rilancio o della lenta agonia? Non sarebbe più saggio cominciare a proporre offerte outdoor alternative accanto alle piste da discesa, dal momento che, secondo i dati, calano gli sciatori ma aumentano le persone interessate alle attività sportivo-ricreative nella natura in montagna? Forse è arrivato il momento di rifletterci.
Maurizio Dematteis è giornalista, ricercatore e videomaker. Si occupa di temi sociali e ambientali e di tematiche legate ai territori alpini. Attualmente dirige l’associazione Dislivelli ed è direttore responsabile della rivista web mensile Dilsivelli.eu. Tra le sue pubblicazioni: “Avem fach en sumi. Dall’alta Valle di Susa alle Valli Monregalesi 14 coppie raccontano il loro sogno, realizzato, di abitare la montagna”, Chambra d’Oc 2009; “Mamma li turchi. Le comunità straniere delle alpi si raccontano”, Chambra d’Oc 2010; La frontiera Addosso (di Luca Rastello), editori Laterza 2010; Nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo, Terre Alte-Dislivelli, Franco Angeli; “Via dalla città. La rivincita della montagna”, Derive&Approdi 2017; “Montanari per forza. Rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana”, Terre Alte-Dislivelli, Franco Angeli Editore 2018.
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Condivido completamente: la distruzione della natura sulle montagne è quasi tutta attribuibile allo sci da pista, una pratica innaturale e per nulla sostenibile!
Condivido completamente il contenuto dell’articolo. Ormai la costruzione di nuovi impianti nelle stazioni sciistiche, o peggio in zone ancora non toccate, sono mera speculazione con ritorni a breve, incuranti delle prospettive future. Fermo restando che senza sovvenzioni potrebbero solo chiudere. Una minor miopia anche da parte dell’ente pubblico deve spingere a pianificare soluzioni alternative, come la citata Val Maira. Comprensori come il Super ski Dolomiti sono ormai dei luna park, con tavole da biliardo al posto delle piste, che potranno prosperare finché continueranno ad arrivare i nuovi ricchi dell’est europeo. Non ha più senso l’espansione degli impianti.
Per tutti quelli che pensano che ci potrà essere un ‘alternativa alla sci alpino, vi vorrei far notare che chi frequenta adesso la montagna d’ estate con passeggiate, bici ecc… Lo fa solo per moda. E come tutto le mode prima o poi e destinata a finire, mentre lo sci rimarrà sempre e comunque uno sport da praticare come passatempo oppure a livello agonistico.
Sig. Cencherle, e quando tra pochi (forse pochissimi) anni anche sopra i 2000 m. il freddo, e quindi la neve naturale e/o artificiale, scarseggerà, ci ritroveremo con milioni di tonnellate di piloni d’acciaio, tubazioni, bacini di raccolta idrica, edifici in cemento armato e relative fondazioni, strade di servizio e quant’altro, perché qualche decennio prima uno sparuto gruppo di turisti voleva divertirsi con gli sci ai piedi.
Bel modo di vedere alla natura e a quello che i nostri figli potranno semmai apprezzare imparando a vivere, se dotati di genitori intelligenti e non stupidi come Lei.
Ormai sono anni che fino a quota 1500 1700 di neve cen’e’ gran poca o addirittura nulla anche per un’intera stagione. Concordo con il potenziamento e futuri sviluppi di domain skiable sopra I 2000 metri. A tali quote anche se la neve naturale scarseggia almeno fa un po più freddo per fare quella artificiale.
Sono anni che non riesco più ad andare a sciare per più di un paio di giorni durante un inverno, sta diventando troppo caro stare una settimana sulle piste. Pensare che fino a 15 anni fa riuscivo a fare anche 2 settimane di fila….
Mah, a me piace sciare, ci vado in inverno ed in estate e spero si che investano in nuovi impianti sempre più moderni e veloci e perché no che portino a cuote più alte se necessario, viva lo sci, la montagna e la neve…
Qualche tempo fa è stato pubblicato uno studio serio e approfondito, ricco di dati, sul futuro delle stazioni sciistiche nelle Alpi. La conclusione, in sintesi, è stata questa: le stazioni sciistiche con base non superiore ai 1500 metri e con il baricentro del domaine non superiore ai 1800-1900 metri non hanno futuro. Di conseguenza, inevitabilmente, chi vorrà continuare a promuovere l’attività sciistica meccanizzata dovrà spostare verso l’alto le relative strutture. Poi c’è il problema delle sovvenzioni che arrivano soprattutto dagli enti regionali, fino a oggi relativamente generose, soprattutto in certe regioni, ma che inevitabilmente, per una serie di motivi, saranno sempre più problematiche e non facili da proporre e fare accettare. Un aspetto particolarmente critico di queste sovvenzioni concerne la costruzione di bacini di raccolta delle acque per l’innevamento artificiale, sempre necessari anche alle quote superiori a causa della crescente irregolarità e aleatorietà del regime delle precipitazioni. Infatti, in decisa concorrenza con questo tipo di infrastrutture idriche, c’è un altro tipo di infrastrutture analoghe, ma destinate a raccogliere l’acqua per supplire ai sempre più frequenti periodi di siccità nelle pianure agricole. E qui è chiaro che non ci può essere confronto, considerando anche che non ci saranno risorse per fare tutto: la scelta tra i bacini di raccolta delle acque per gli sciatori e i bacini per la difesa della produzione agricola (promossi con sempre maggior convinzione da vari paesi europei) penderà inevitabilmente a favore dei secondi. Aggiungiamo il fenomeno, ormai evidente, della perdita di terreno di quell’immagine di status symbol, di promozione sociale, che fino a non molto tempo fa veniva associato alla pratica dello sci nella stazioni più o meno alla moda, all’uscire dalla città con le paia di sci ben allineate sulla propria auto. La sensibilità prevalente nel grosso pubblico sta ormai valicando lo spartiacque, si sta portando su un altro versante, sul quale i valori prevalenti sono altri. Sono, ovviamente, in totale accordo con lo scritto di Dematteis.
Per quel che vale, condivido in pieno. Sono decine d’anni che combatto contro i nuovi impianti. È una questione di opinione pubblica, è lì che si vince la battaglia. Se cambia la domanda, l’industria turistica si “deve” modificare. In passato ho già citato la Val Maira (cuneese) come esempio di un turismo alternativo, slow, sweet, che può essere d li successo. Ci vuole anche che i residenti superino il loro timore che non ci siano alternative economiche al business dello sci di pista.