Gran Sasso, il ritrovamento dopo cinque giorni dei corpi di Luca Perazzini e Cristian Gualdi: i due alpinisti romagnoli sono stati recuperati nella parte alta del Vallone dell’Inferno, quasi ai piedi del Canale Moriggia-Acitelli.
Un errore non perdonato
(anche se non imperdonabile)
La mattina di domenica 22 dicembre 2024 Luca Perazzini (42 anni) e Cristian Gualdi (48 anni), di Sant’Arcangelo di Romagna, assieme agli sciatori più mattinieri, si servono della prima corsa della funivia che da Fonte Cerreto (Assergi, AQ) 1115 m sale ai 2130 m di Campo Imperatore.
Loro intenzione è di salire alla vetta del Gran Sasso d’Italia, più precisamente alla Vetta Occidentale del Corno Grande 2912 m per la cosiddetta via della Direttissima.
Nella guida di recente pubblicazione Gran Sasso, alpinismo invernale in Corno Grande e Corno Piccolo, di Gabriele Di Falco, questo itinerario così è definito:
“E’ sicuramente l’itinerario più frequentato in inverno per raggiungere la Vetta Occidentale del Corno Grande, la più alta del gruppo. Oltre ad essere una meta molto ambita per gli appassionati di piccozze e ramponi, è anche un itinerario classico per gli scialpinisti, essendo parte integrande della Traversata Alta. Pur essendo privo di particolari difficoltà, bisogna fare molta attenzione perché, data la sua esposizione a sud, è necessario affrontarlo con il manto nevoso assestato, in quanto si possono creare delle condizioni valanghive”.
Nei complessivi 782 m di dislivello, raggiunta la Sella di Monte Aquila 2335 m e poi la Sella di Corno Grande 2421 m, si procede verso il caratteristico Sassone 2570 m; dopo una cinquantina di metri c’è il cosiddetto Bivio 2620 m, segnalato da un cartello. Non si deve scendere a destra (est) in direzione dell’ex bivacco Bafile, bensì occorre proseguire a sinistra in un largo canale, la cui pendenza si accentua gradualmente, mentre il canale stesso si restringe. Due strozzature, una a 40° e l’altra a 45°, permettono di salire al pendio finale e quindi alla vetta.
Le previsioni del tempo sono confortanti: “Avvio di giornata con il cielo poco nuvoloso ovunque. Nel corso del pomeriggio da ovest arriverà della nuvolosità sempre più compatta” recitano le previsioni del centro meteo AQ Caput Frigoris, molto utilizzate da escursionisti e alpinisti in Abruzzo. Altre previsioni danno un peggioramento del tempo previsto per le 19.30.
Insomma, i due alle nove di mattina possono contare su una “finestra” di bel tempo di una decina di ore. I tempi previsti di salita della Direttissima variano, a seconda delle condizioni della neve, dalle 4 alle 7 ore: ma in questo caso sembra che l’ipotesi delle 4 ore sia la più probabile.
Non sappiamo se i due abbiano o meno raggiunto la vetta, ma è un particolare di secondaria importanza, che magari verrà chiarito in seguito con l’analisi delle tracce sui cellulari o anche con la consultazione del libro di vetta. Ciò che sappiamo è che verso le 12.30 si è scatenata improvvisa la tempesta, con enorme anticipo sulle previsioni: una cosa che purtroppo non è rara sul Gran Sasso, data l’esposizione di questo massiccio alle influenze meteo di ben due mari.
Il vento soffia a oltre 100 km/h e la visibilità ben presto diventa praticamente nulla. I due compagni ripercorrono la Direttissima in discesa ma, giunti al Bivio 2620 m, nel white-out più totale, commettono l’errore che costerà loro la vita. Invece di scendere a destra, faccia a valle, sulle loro orme della mattina, comunque ormai cancellate dalla furia del vento, si avviano in discesa a sinistra sull’itinerario per l’ex bivacco Bafile che comunque, prima dello smantellamento e d’estate necessitava di circa 50 minuti per raggiungerlo dal Bivio 2620 m, figuriamoci d’inverno.
Luigi Tassi riporta che la segnaletica posta sul Bivio 2620 m fino a tarda estate 2024 era errata e che lui non è a conoscenza se questa è stata sostituita o tolta recentemente. Tassi denuncia che il cartello indica il toponimo “Il Sassone 2610 m”, ma questo masso in realtà (come anche riferito più sopra nella descrizione dell’itinerario) si trova a 2570 m (cioè una cinquantina di metri più in basso). Dunque il cartello non è apposto nel luogo giusto. Normalmente dal vero Sassone è molto meglio scendere leggermente a destra (faccia a valle) dell’enorme masso erratico. Anche dal Bivio 2620 m si deve scendere sulla destra prima in diagonale poi verticalmente fino al vero Sassone.
La presenza di questo cartello in posizione errata potrebbe aver tratto in inganno i due alpinisti? Purtroppo la risposta la conosce solamente chi non può più rispondere.
Tassi aggiunge che l’errore di posizionamento, come molti altri peraltro, era stato segnalato almeno 6 anni fa agli organi competenti.
Nei pressi dell’inizio delle corde fisse per il bivacco, e prima di rendersi conto dell’errore, uno dei due scivola, fermandosi dopo una quarantina di metri. Il compagno lo raggiunge in condizioni ormai drammatiche. E per di più colui che era scivolato in quella ripida scarpata di roccia, neve e ghiaccio, nella caduta aveva perso uno scarpone.
Sono ormai quasi le 15 quando Luca e Cristian lanciano l’allarme, riuscendo a comunicare concitatamente più o meno dove si trovano.
A cose fatte si può essere concordi nel dire che il decesso sia avvenuto per assideramento nella notte tra il 22 e il 23 dicembre. La temperatura a -20° senza saccopiuma è stata loro fatale.
Di tutto questo i soccorritori non sanno ovviamente i particolari, la comunicazione telefonica già la sera della domenica era difficoltosa, soprattutto appariva chiaro che i due non erano più in grado di connettere con chiarezza.
Ovviamente il mattino del 23 c’è ancora una speranza che i due siano sopravvissuti.
Uomini e donne del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza si mettono in moto subito, ma appare chiara l’impossibilità totale di raggiungere i due, a causa della violenza del vento, della neve fresca in accumulo e della visibilità nulla.
Il 24 dicembre i soccorritori rimangono fermi a Campo Imperatore: la bufera costringe al blocco della funivia, costringendo lavoratori della funivia stessa e dell’Ostello, nonché gli uomini del CNSAS e del SAGF, a pernottare a Campo Imperatore. Riescono a scendere con l’impianto la mattina di Natale. Di fare una sortita a piedi verso l’alto non se ne parla proprio.
Le ricerche riprendono giovedì 26 dicembre, alcune squadre raggiungono finalmente la Valle dell’Inferno a piedi, ma senza trovare Luca Perazzini e Cristian Gualdi.
La mattina di venerdì 27, con un tempo finalmente splendido, gli elicotteri riportano in quota le squadre del CNSAS e del SAGF.
Daniele Perilli, responsabile del Soccorso Alpino e Speleologico dell’Abruzzo, racconta: “L’antenna Recco che abbiamo in dotazione in Abruzzo è in revisione, il presidente del CNSAS Maurizio Dellantonio e la guida alpina Roberto Misseroni ne hanno portata un’altra dal Trentino, viaggiando in auto per tutta la notte” . L’antenna era stata montata sull’Écureuil di Eliabruzzo, ma a scoprire il corpo di Cristian, visibile in buona parte nella neve, è stato però l’occhio attento del pilota.
Gli uomini del SAGF e del CNSAS quindi raggiungono e recuperano Cristian, poi proseguono le ricerche di Luca, con l’aiuto di quattro cani da valanga e con i sondaggi. Le operazioni si svolgono però nel costante pericolo di caduta valanghe dai pendii superiori.
E’ la guida alpina Marco Iovenitti, con la sonda, a trovare il corpo del secondo alpinista, sepolto dalla neve, a sei o sette metri da Cristian.
La giornata si conclude con il trasporto in elicottero delle salme all’Ospedale di Teramo. Sono Alessandro Marucci del CNSAS e Francesco Mastropietro del SAGF a raccontare la ricerca e il ritrovamento dei dispersi ai giornalisti.
I due sfortunati alpinisti (che certa stampa disinformata si ostina a chiamare “escursionisti”) erano amici da tempo e avevano fatto molte ascensioni assieme. Entrambi senza figli, Cristian era proprietario della Top Infissi di Savignano sul Rubicone, mentre Luca era elettricista per la Nuova CEI di Santarcangelo di Romagna.
A giudizio dei soccorritori entrambi erano correttamente equipaggiati con piccozza e ramponi: non erano legati in cordata, ma quella salita è normale affrontarla in quel modo. Ogni inverno centinaia di persone percorrono la Direttissima così. Erano vestiti in maniera “corretta ma leggera”, perché non avevano con loro né giacca di piumino né telo spaziale per bivacco imprevisto. L’equipaggiamento rispondeva dunque alle esigenze di una veloce salita in giornata. Le cinque notti prima del ritrovamento non avrebbero dato chance neppure avendo a disposizione giacche imbottite e teli.
Ciò che poteva forse salvarli sarebbe stato l’immediato scavo di una buca nella neve in cui rintanarsi, ma questo non è stato fatto. E non si sa per quale motivo, se per la mancanza di una pala, se per neve inconsistente o altro.
“Parlare di un’imprudenza delle vittime non ha senso” ha spiegato al Giornale Radio RAI Giampiero Di Federico, guida alpina e tra i migliori conoscitori del Gran Sasso.
Attizzato da ben cinque giorni di suspence, già il giorno dopo del recupero il popolo del web non ha più alcun freno e s’infiamma in discussioni che in qualche caso hanno un che di morboso. I temi sono delicati e complessi, ma ciò che più fa discutere è l’eventuale responsabilità delle istituzioni locali nel garantire la sicurezza di chi pratica attività ad alto rischio in ambienti montani.
Riportiamo due tra gli articoli più significativi.
Montagna killer o istituzioni negligenti?
di Angelo Ruggieri
(pubblicato su meteoweb.eu il 29 dicembre 2024)
La tragedia che ha coinvolto i due alpinisti sul Gran Sasso potrebbe ora avere anche risvolti giudiziari. Marco Perazzini, fratello di Luca, una delle due vittime, ha espresso l’intenzione di presentare un esposto alla Procura di Teramo, ponendo interrogativi sulla gestione della sicurezza in montagna. “Mi chiedo perché non hanno impedito l’accesso a Luca e Cristian. Se le condizioni erano proibitive e c’erano rischi legati al maltempo, non dovevano farli salire“, ha dichiarato Perazzini, sottolineando le sue perplessità sulle eventuali omissioni delle autorità competenti.
Il caso solleva un tema delicato e complesso: la responsabilità delle istituzioni locali nel garantire la sicurezza di chi pratica attività ad alto rischio in ambienti montani.
In presenza di condizioni meteorologiche avverse previste sulle montagne, il controllo dell’accesso alle aree montane diventa un aspetto cruciale per garantire la sicurezza dei visitatori e la tutela del territorio. La responsabilità di adottare misure preventive, inclusa la proibizione dell’accesso ai turisti, spetta principalmente al sindaco del comune interessato. Attraverso specifiche ordinanze, i sindaci possono interdire temporaneamente l’accesso a sentieri o aree montane ritenute pericolose, soprattutto in caso di frane, smottamenti o condizioni meteorologiche avverse.
A livello locale, il comune gioca un ruolo determinante nella gestione e nella manutenzione dei sentieri, considerati beni pubblici. Tuttavia, in aree protette come i parchi nazionali, gli enti gestori possono intervenire con misure specifiche per limitare l’accesso. Un esempio emblematico è il Parco Nazionale del Circeo, che in alcune circostanze ha imposto l’obbligo di essere accompagnati da guide esperte per percorrere determinati sentieri, al fine di garantire un’esperienza sicura e controllata.
Un altro attore rilevante nel contesto montano è il Club Alpino Italiano (CAI), che, pur non avendo l’autorità di vietare l’accesso, fornisce un contributo fondamentale segnalando condizioni critiche dei sentieri e suggerendo precauzioni in attesa di interventi ufficiali. Anche la Protezione Civile ha un ruolo strategico: attraverso l’emissione di allerte meteo, può sensibilizzare enti locali e turisti sull’urgenza di adottare misure preventive, che talvolta portano alla chiusura di aree a rischio.
Nonostante l’importanza delle misure istituzionali, è essenziale che gli escursionisti assumano una responsabilità personale, informandosi sulle condizioni meteorologiche previste e rispettando divieti e avvisi ufficiali. In alcune regioni, come il Piemonte, sono previste disposizioni normative che trasferiscono i costi del soccorso alpino ai turisti che ignorano indicazioni o divieti, sottolineando la necessità di un approccio consapevole e rispettoso alla montagna.
La vicenda evidenzia anche il sottile equilibrio tra la libertà individuale di chi affronta la montagna e il dovere delle autorità di garantire la sicurezza pubblica. Mentre le montagne attraggono per la loro bellezza e il senso di sfida che offrono, le condizioni meteorologiche avverse e i rischi naturali possono trasformare l’avventura in tragedia, rendendo necessaria una riflessione su eventuali lacune nella gestione e nella prevenzione.
La sicurezza in montagna è dunque un impegno condiviso tra istituzioni locali, enti gestori, associazioni di riferimento e visitatori. Solo attraverso un’azione coordinata e responsabile è possibile preservare l’integrità del territorio e garantire un’esperienza sicura a tutti coloro che scelgono di esplorare questi splendidi ambienti naturali.
“Farò un esposto: dovevano fermarli”
a cura della Redazione de Il Resto del Carlino
(pubblicato su ilresto del carlino.it il 29 dicembre 2024)
Hanno sperato fino all’ultimo in un miracolo. Aggrappati a quella speranza che, ora dopo ora, giorno dopo giorno, si affievoliva sempre di più. E adesso, per i famigliari di Luca Perazzini e Cristian Gualdi, i due amici alpinisti riminesi dispersi da domenica pomeriggio sul Gran Sasso e ritrovati morti l’altro ieri, c’è spazio solo per il dolore.
Un dolore misto a rabbia. Perché in questi giorni terribili i parenti di Luca e Cristian hanno sentito la vicinanza e l’affetto di mezza Italia, ma hanno anche letto – soprattutto sui social – parole che “ci hanno fatto molto, molto male”. Qualcuno è arrivato anche a scrivere che “Luca e Cristian se la sono cercata”. Che sono morti per la loro imprudenza… “Tutte stupidaggini, scritte da chi non conosceva mio fratello e Cristian”, dice con un filo di voce Marco Perazzini, fratello di Luca. Che era il più giovane dei due, con i suoi 42 anni, mentre Cristian ne aveva 48. Entrambe le vittime abitavano a Santarcangelo, nella frazione di San Vito, dove ieri in serata si è tenuta una fiaccolata in loro ricordo.
Quando ha visto l’ultima volta suo fratello?
“Sabato. Ci siamo parlati poche ore prima che lui e Cristian partissero per andare sul Gran Sasso. Sono arrivati là sabato sera e domenica al mattino sono partiti per l’escursione. Poi è successo quello che è successo…”
Luca era un alpinista esperto: da quanti anni andava in montagna?
“Da molti. Il suo curriculum parla per lui (Perazzini era stato anche sul monte Bianco e sul monte Rosa, NdR). Né mio fratello Luca, né Cristian erano inesperti o sprovveduti, come qualcuno ha scritto invece in questi giorni. Amavano la montagna, ne conoscevano i rischi. Purtroppo è accaduta una disgrazia. I soccorritori hanno fatto quello che hanno potuto e li ringraziamo per tutto l’impegno. Ma penso che questa tragedia si poteva evitare”.
Come? Impedendo loro di salire, visto le previsioni meteo?
“Sì. Avrebbero dovuto impedire l’accesso a tutti gli alpinisti, come avviene in altre località. Luca e Cristian, purtroppo, sono stati colti di sorpresa dalla bufera e non hanno potuto fare nulla per salvarsi. Se avessero vietato a loro e ad altri escursionisti di salire, forse a quest’ora non staremmo qui a piangerli. Siamo distrutti. È dura, durissima… Non mi vengono nemmeno le parole”.
In queste ore gli amici e i colleghi di Luca hanno speso bellissime parole di ricordo per lui: era un ragazzo speciale.
“Lo era per davvero. Ma in questo momento non me la sento di parlare di lui. Arriverà il momento del ricordo. E quando saremo più tranquilli faremo i nostri dovuti passi. Perché non si può morire così”.
Cosa intende?
“Ho intenzione di presentare un esposto alla Procura di Teramo. Io continuo a chiedermi perché non hanno impedito l’accesso a Luca e Cristian. Se le condizioni erano proibitive e c’erano dei rischi legati al maltempo, non dovevano farli salire”.
Il commento
della Redazione
Purtroppo è normale che siano ricorrenti le proteste, a volte intrise di rabbia, da parte dei parenti di alpinisti morti in montagna. È evidente che si tratta di esternazioni condizionate dal dolore del momento, determinate spesso da visioni non congrue di cosa significhi davvero andare in montagna. I media poi vanno a nozze con questi risvolti che sanno esser succulenti per una gran massa di lettori, quindi la connessione all’effetto gran cassa è assicurata.
Occorre che tutti noi abbiamo un occhio di riguardo per la sofferenza di queste persone, ma questo fenomeno socio-culturale è così invasivo da rischiare l’involuzione culturale dell’intera società.
“Vogliamo giustizia!” o similari (in questo caso: “Dovevano fermarli!”) sono affermazioni che si sentono sempre più spesso. Tutti ricordiamo il modo in cui sono rimbalzate sui media al tempo della tragedia della Marmolada (luglio 2022), salvo poi dover riconoscere che non v’era alcuna responsabilità di alcuno.
Vorremmo asserire che al momento dell’inizio dell’ascensione, al contrario di quanto afferma Marco Perazzini, le condizioni erano tutt’altro che “proibitive”; e che per ciò che riguarda i rischi legati al maltempo, le previsioni erano favorevoli pur rivelandosi poi drammaticamente sbagliate.
Dunque in questo caso, non potendosi parlare di condizioni meteorologiche avverse previste sulla montagna, il controllo dell’accesso alle aree montane non poteva essere neppure preso in considerazione.
E’ vero che per molti è “aspetto cruciale il garantire la sicurezza dei visitatori e la tutela del territorio” (ma che c’entra la tutela del territorio?). Sappiamo che spetta principalmente al sindaco del comune interessato la responsabilità di adottare misure preventive, inclusa la proibizione dell’accesso ai turisti, attraverso specifiche ordinanze. Ma non possiamo confondere i manufatti di interesse comune (in prevalenza le strade carrozzabili) con le aree pubbliche per definizione assolutamente selvagge, dunque non garantite, dove è pura scelta degli interessati se esserne frequentatori o meno.
Lo riconosce anche Angelo Ruggieri quando scrive che “è essenziale che gli escursionisti assumano una responsabilità personale, informandosi sulle condizioni meteorologiche previste e rispettando divieti e avvisi ufficiali”.
Occorre anche liberarsi dell’illusione che possano davvero essere utili le disposizioni normative che trasferiscono i costi del soccorso alpino ai turisti che ignorano indicazioni o divieti: è dimostrato che l’approccio consapevole e rispettoso alla montagna non si ottiene con la minaccia di sanzioni pecuniarie.
A nostro avviso non c’è alcun “sottile equilibrio tra la libertà individuale di chi affronta la montagna e il dovere delle autorità di garantire la sicurezza pubblica”. Per il semplice fatto che, limitandoci a questo caso, la Direttissima del Gran Sasso non è “cosa pubblica”, ma rientra invece nella sfera della libertà individuale di movimento sul territorio, garantita dalla Costituzione. Non è un’opera pubblica per la quale si sono spesi dei soldi e che quindi debba essere necessariamente tenuta al riparo da incidenti.
Dissentiamo anche quando Ruggieri afferma che “Solo attraverso un’azione coordinata e responsabile è possibile preservare l’integrità del territorio e garantire un’esperienza sicura a tutti coloro che scelgono di esplorare questi splendidi ambienti naturali”. Per avere più sicurezza nelle proprie esperienze outdoor è altrettanto vasto il campo dell’esperienza personale, dei paletti che ciascuno deve imporsi da solo, della responsabilità acquistata di anno in anno. Ma nessuno lo sottolinea. Eppure è un campo così vasto da poterlo considerare il nostro alleato numero Uno, al posto delle finte sicurezze determinate dai divieti che si traducono sempre in maggiore de-responsabilizzazione.
Siamo costretti a dire a Marco Perazzini che non esistono “altre località dove avviene che possa essere impedito l’accesso agli alpinisti”, fatte salve certe restrizioni temporanee per la protezione dell’avifauna. La sua minaccia di un esposto in procura contraddice la sua stessa affermazione per la quale si trattava di due alpinisti “esperti”: se erano esperti (e di ciò nessuno dubita) conoscevano i rischi che comporta l’alpinismo: dunque sarebbe stata violenza nei loro confronti se qualcuno non altrettanto esperto li avesse fermati d’autorità.
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[…] Sono certo, però, che domenica scorsa molti amici aquilani, che pure conoscono il Gran Sasso a memoria, a causa delle previsioni meteo hanno rinunciato a un’uscita verso il Corno Grande per ripiegare verso una vetta meno esposta, per esempio il Terminillo e il Monte Ocre.Per due uomini arrivati dalla Romagna in Abruzzo, rinunciare a un’ascensione al Corno Grande desiderata e programmata da tempo sarebbe stato più duro. E invece saper fare dietrofront in tempo, sul Gran Sasso come sul Monte Bianco o sull’Everest, è la prima garanzia di salvezza. Anche la fine di Giorgio Lanciotti, l’escursionista scomparso a settembre sulla Vetta Orientale, ci ricorda che sul grande massiccio abruzzese quando il tempo peggiora è bene rinunciare ai sogni e pensare a mettersi al riparo. L’ultima, tragica avventura di Luca Perazzini e Cristian Gualdi, come quella di Mario Cambi e di Paolo Emilio Cichetti, ci ricorda l’importanza di saper tornare indietro prima che sia troppo tardi. Vale per gli alpinisti, per gli escursionisti, per mille altre attività della vita”.
(Stefano Ardito, ilcapoluogo.it, 28 dicembre 2024)
Conosco abbastanza bene il Corno Grande. La riflessione di Carlo mi appare senz’altro condivisibile. Persino in piena estate lassù ci sono giornate in cui non si può svolgere nessuna ragionevole attività alpinistica. Venti fortissimi spazzano il suolo, lanciando piccoli sassolini sul viso e negli occhi.
abito da qualche anno al mare nelle marche non troppo lontano dal gran sasso . se posso dare un piccolissimo contributo il venerdì precedente la tragedia il meteo locale dava come previsioni vento forte per i prossimi giorni . rimasi stupito perchè sia venerdì che sabato era giornate fredde sì ma soleggiate e senza vento . la domenica invece alle 10 di mattina si è alzato e a mezzogiorno era già tutto coperto . ora io ho fatto alpinismo per anni sulle Alpi marittime e cozie e conosco bene bene alcune vie a memoria , non conosco il corno grande bene invece e sopratutto il meteo da che parte arriva . fossi stato lì ci sarei rimasto sicuramente , il cambio repentino non mi avrebbe dato scampo e se non si conosce a menadito la montagna specifica e una possibile via di fuga pianificata diventa impossibile sopravvivere . talvolta è difficile farlo anche se la si conosce bene . un grosso abbraccio alle famiglie .
E rimane un gran dispiacere, e anche dolore, per la loro morte.
Anche io penso che i due romagnoli, pur avendo espresso le mie perplessità sulla loro scalata al Corno Grande, fossero alpinisti rispettabili.
Io credo che sia i romagnoli che questi due inglesi fossero alpinisti rispettabili.
.
Alla lunga check list di comportamenti e misure per evitare di trovarmi in situazioni – limite , mi sa’ che aggiungero’ 300 fottuti euro per un Garmin in reach per le zone non coperte.
.
https://www.ilgiorno.it/cronaca/dispersi-adamello-3d7f0bcf
C’è la gara a chi la combina più grossa, diversamente non si è considerati e non si campa.
Ho lasciato sedimentare ciò che ho letto e i miei pensieri. Le previsioni del tempo non erano confortanti, perché già nel pomeriggio era prevista una nuvolosità molto compatta. La finestra di bel tempo dunque non sarebbe stata di dieci ore. Gli alpinisti sono partiti alle nove (un po’ tardi). È stato ipotizzato che in quattro ore sarebbero saliti in vetta. Quindi si può ipotizzare che sarebbero scesi in quattro ore. Otto ore in tutto, forse poche. In discesa si può essere più stanchi, può essere più difficile procedere. Decidiamo per le otto ore. Vuol dire che sarebbero comunque arrivati all’ostello con il sole già tramontato, a quella quota, in inverno, con abbigliamento leggero. Era la vigilia del giorno più corto dell’anno. Non condivido il fatto che, anche se più coperti, sarebbero morti comunque. Invece, se ben protetti avrebbero affrontato meglio la tempesta e la loro emotività, sicuramente compromessa dalla paura, mantenuta una maggiore lucidità e agito in una maniera più consona alla situazione. Così forse non sarebbero precipitati. Poi in un momento in cui si fossero alzate le nubi, avrebbero deciso il da farsi. Un alpinista esperto non rischia sbrigandosi a salire in vetta perché dopo qualche ora arriverà un perturbazione severa. Basta un incidente o un contrattempo minimo per fallire. Non bisogna far passare l’idea che equipaggiarsi non salvi la vita. Chi può dirlo? L’affermazione del soccorso alpino mi sorprende. Se erano vestiti in maniera corretta, perché aggiungere ‘ma leggera’? Il ma introduce il concetto di inadeguatezza. C’è una contraddizione. Dissento anche da Giampiero di Federico, il quale asserisce che non sono stati stati imprudenti. Ripeto, non possiamo giudicare intenzioni e coscienza, ma i fatti concreti si. Negli Anni Settanta e Ottanta, gli alpinisti consideravano il ‘maltempo’ una dimensione della montagna e dell’alpinismo. Così veniva conosciuto, valutato, affrontato o evitato a seconda dei casi. Oggi si cercano finestre. Purtroppo i colpi di vento le chiudono a insaputa degli alpinisti, perché non si sanno leggere i segni e le leggi del tempo.
Buongiorno Buzz, ho letto con attenzione e interesse il tuo commento, molto più esaustivo del mio. Volevo solamente puntualizzare che l’assimilazione del Gran Sasso alla Patagonia fatta da Bonatti, riguarda esattamente la questione meteorologica e in special modo il vento. Grazie.
@Marco Angelo forse hai letto troppo velocemente quello che ho scritto a proposito del vento sul GS
Riguardo al commento di Buzz (81), vorrei precisare che l’aspetto patagonico del Gran Sasso non concerne una questione puramente estetica, ma i venti, le bufere violentissime (anche prolungate per giorni) e il motivo per cui esse si originano (si può consultare questo stesso blog alla voce ‘Le Torri del Vento’). Per il resto condivido l’intervento. Negli Anni Ottanta ho prestato soccorso a cinque alpinisti venuti giù dalla parete nord-est del Terminillo, per via di una valanga a lastre di grande spessore da loro stessi provocata. Li ho visti precipitare mentre tagliavano il pendio stando troppo ravvicinati tra loro. Poi ho partecipato a un incontro sulle valanghe presso la mia sezione del CAI e ho esposto quanto vissuto. Le reazioni dei relatori sono state sconfortanti. Sembrava loro che stessi raccontando fanfaluche. In un’altra occasione ho passato, con un amico, sempre sul Terminillo, dodici ore in balia di una formidabile tempesta invernale non prevista dal servizio meteorologico per quella notte, cosa confermata da un componente del soccorso alpino locale: venti a oltre cento chilometri orari, temperatura tra i sette e quindici gradi sotto lo zero, copiosissime nevicate, temporale matto sopra la tenda. Essa tenne l’urto, pur essendo superleggera, perché come di consueto avevo eretto muretti di neve a sua protezione e l’imbracai con un cordino di trenta metri. Così non venne sradicata né esplose. L’invernale sullo sperone centrale sfumò, mentre sulle creste i pennacchi di neve non erano inferiori ai cento metri di altezza. Anche questo è il Terminillo, il quale conta moltissimi infortunati, un certo numero di dispersi e non pochi morti. Eppure rimane ‘la mite montagna di Roma’.
Penso che molti alpinisti, anche con un buon bagaglio di esperienza, tendono a sottovalutare gli effetti del vento sul gran sasso
In realtà, la sua quota non è particolarmente elevata in termini assoluti, ma se si riflette che in un raggio di diverse centinaia di km non c’è nulla che ostacoli le masse d’aria in movimento, si capisce che sotto questo profilo è una montagna molto particolare pur essendo meno di 3000 mt
Tralasciamo l’altro aspetto “patagonico” dovuto alla vicinanza con il mare e all’ umidità dell’aria, visibile quando il ghiaccio ricopre le pareti verticali, che è più estetico che altro, e’ il vento, la vera particolarità di questa montagna che la rende così pericolosa d’inverno.
Sul gran sasso, in determinate condizioni, si muore a 20 minuti dalla stazione della funivia e dagli impianti di campo imperatore E nessuno può fare nulla per te.
Ma ogni volta che accadono fatti come questi, se ne parla, si dicono le cose, ma se non ti ci trovi, non capisci che significa.
Semplicemente, non ci credi, che in un punto in cui d’estate giocano i ragazzini e passano migliaia di escursionisti, dove sei passato chiacchierando due ore prima, improvvisamente possa diventare un inferno.
Non ci credi. Non ci pensi. Ti concentri su altro.
Ogni tot di anni qualcuno non sopravvive alla curva di apprendimento. Qualcuno impara da loro e per qualche anno fa tesoro della triste esperienza. Poi si ricomincia.
Chi frequenta questa montagna da decenni ha ben chiaro nella testa i punti in cui ci sono delle lapidi virtuali, e perché.
Se racconti che sentiero che va dagli impianti alla sella di Monte Aquila si può morire sotto una valanga, perché è successo, ti guardano perplessi. Se dici che alla sella del corno grande si può morire di freddo leggi l’incredulità nei volti.
E così via.
Facciamo errori, se siamo fortunati impariamo, ne facciamo altri. Pensare di capire dove gli altri hanno sbagliato perché così a noi non potrà succedere è il peggior errore che si possa fare.
Non è fatalismo. È consapevolezza che il confine fra tornare a casa e restare lì è sottile a volte. Così sottile da essere impalpabile.
@77:
Sono punti che abbiamo gia’ discusso, ma comunque:
– Anche un equipaggiamento di tipo himalayano (giacca e pantaloni di piumino, sovrapantaloni, ghette pesanti ecc.) avrebbe forse permesso di sopravvivere alla prima notte, ma certo non per 5 giorni.
– Il GPS serve a ben poco in condizioni di whiteout.
– L’ ARTVA non sarebbe servita a nulla. Il problema dei soccorritori non era trovarli, ma raggiungere la zona dove si sapeva erano.
– Dopo la caduta/scivolata, i due non sono nemmeno riusciti a tornare assieme, pur trovandosi a pochi metri. Scavarsi una truna era fuori discussione, anche se la neve lo avesse
permesso (cosa che non credo).
Buonasera a tutti. Dopo molta incertezza ho deciso anch’io di fare le mie umili considerazioni. Occorre distinguere tra le intenzioni degli alpinisti romagnoli e i fatti oggettivi relativi alla loro scalata. Le intenzioni non posso essere giudicate, perché riguardano la loro coscienza di cui non possiamo avere una vera contezza. I fatti concreti, se conosciuti, possono essere giudicati con retto giudizio per trarne un vantaggio. Le montagne sono un mondo estremamente complesso, alcune più di altre e Il Gran Sasso d’Italia fa parte di queste ultime. La loro complessità è vissuta, da noi alpinisti, con la complessità della nostra interiorità. Qui nasce il problema degli incidenti. Il Gran Sasso era considerato da Walter Bonatti ‘una montagna vera’ e di esso disse che è ‘l’unica montagna europea ad essere assimilabile alla Patagonia’. Per scalare il ‘Paretone’ in inverno ci vuole lo stesso abbigliamento che si adopera in estate sulla Brenva. Le montagne abruzzesi e il Terminillo sono sottovalutati. Si tende a scusare le vittime quando esperte. La tragedia della Marmolada non costituisce un monito; si può attraversare un ghiacciaio nell’ora di punta con temperature eccezionalmente alte. Si può salire in alta montagna d’inverno con spedizioni veloci, scarsamente equipaggiati e senza corda, utilizzando ‘finestre di bel tempo’. Poi, cosa vuol dire esperto? Esperto inoltre non è sinonimo di prudente. Si può essere esperti e non prudenti. Ho visto cose molto diseducative come, a mio avviso, il reality show ‘Monte Bianco – Sfida verticale’. I nostri due alpinisti morti hanno affrontato una grande e severa montagna con abbigliamento inadeguato e senza corda, utilizzando questa deplorevole categoria falsamente alpinistica detta ‘finestra di bel tempo’. Essa ha senso in condizioni di emergenza. Questi sono i fatti conoscibili.
Un aiuto a essere prudenti in montagna ci può venire dal pensare che, se siamo persone che hanno fatto determinate altre scelte nella vita, ci sono persone a valle che abbiamo scelto di amare e dai cui desideriamo essere amati, magari per sempre. Questa sì che una bella ‘finestra’ alla quale affacciarsi.
Interessante articolo che dovrebbe essere letto da tutti quelli che hanno scritto un sacco di sciocchezze sul recente dramma sul Gran Sasso. Mi sorgono spontanee alcune domande a chi propone di impedire la partenza verso la montagna nell’ipotesi, ovviamente fondata di imminenti pericoli oggettivi, da parte dalle varie autorità che potrebbero essere preposte. Se domattina qualcuno decide di partire prestissimo (mettiamo alle 3) per raggiungere una qualsiasi cima, chi, come e dove può essere sul posto giusto della partenza per impedirla? A parte situazioni o previsioni avverse evidenti e ben documentate, chi può assumersi il dovere, o se si preferisce il diritto, di stabilire che in un determinato posto non si può andare a causa di un supposto rischio di incidente? Come si possono evitare i numerosissimi incidenti mortali che capitano in montagna, a causa di molteplici cause diverse, spesso anche a persone espertissime e ben equipaggiate ? Chi stabilisce se una persona è idonea all’esercizio di un’attività come l’alpinismo e a quale livello di difficoltà ?I problemi sono molti, complessi e spesso irrisolvibili, salvo la privazione parziale o totale di qualsiasi libertà. La mia non vuol essere retorica, solo un contributo a far capire che non sono i divieti ma l’educazione e l’idonea formazione che possono evitare molti incidenti o per lo meno diminuirne la frequenza dovuta all’ormai inevitabile invasione della montagna in qualsiasi stagione. Questo però vale per tutte le attività, apparentemente meno a rischio di quelle in montagna dove, solo nel 2023, si sonoi registrati oltre 3000 morti per incidenti automobilistici, 400 morti per annegamento tra mari, laghi e fiumi, oltre 1000 morti sul lavoro, centinaia di decessi tra pedoni investiti, ciclisti, incidenti domestici e persino nella navigazione da diporto. Grazie per l’attenzione.
Con i MA E SE, si cerca di dare una spiegazione personale all’accaduto. Ormai non serve più, per i fatalisti ERA GIUNTO IL LORO MOMENTO! E’ certo che viene spontaneo pensare che se: AVEVANO UNA BORRACCIA CON ACQUA CALDA? UN PIUMINO CONSIDERATA LA STAGIONE INVERNALE ED ALTA QUOTA? (quando hanno richiesto aiuto hanno detto che non avevano un abbigliamento per sopportare il freddo) – LA BUSSOLA? UN OROLOGIO CON IL GPS? E L’ARTVA OBBLIGATORIA? – (Il 1° gennaio 2022 è entrato in vigore il decreto legislativo che introduce l’obbligo di artva, pala e sonda, anche nelle attività escursionistiche, incluse ciaspolate, in condizioni di presenza di un pericolo valanghe) – I RAMPONI E LA PICOZZA, SONO STATI RITROVATI? La prima regola che si consiglia a chi frequenta la montagna con la neve è come fermarsi con la piccozza in caso di scivolamento – E LO SCARPONE PERSO? Poi con il senno di poi, avevano studiato l’itinerari con una possibile VIA DI FUGA? Raggiunta la vetta, in discesa si consiglia IL CANALE BISSOLATI, FORSE ANCHE IL CALDERONE, MA CON LA NEVICATA ABBONDANTE SI POTEVA CREARE UNA VALNGA – Se sono tornati indietro sulla direttissima, potrebbe significare che NON HANNO RAGGIUNTO LA VETTA… UNA SUPPOSIZIONE… SOLO LORO LO SANNO! Insomma, ora si cerca di dare la colpa, A CHI? AL PADRETERNO?
@75
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Pensieri come quello di attribuire ad un “grande fratello” la responsabilità di tutto cio’ che accade in montagna, di solito vengono a parenti affranti dal dolore e a persone che per scarsità di esperienza montana non hanno nemmeno idea del numero di variabili in gioco da cui potrebbe scaturire un evento infausto.
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Dell’ipotesi che qualcuno lo faccia per un indennizzo non voglio neanche parlare.
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Se per gioco proviamo ad ipotizzare che un “grande fratello” vieti l’accesso ai pendii innevati quando il bollettino del pericolo valanghe segna 5 sulla macroarea , allora bisognerà decidere come comportarsi quando un.alpinista viene travolto da una valanga quando il rischio è 4 o 3 e i parenti chiedono perché non è stato fermato.
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Lo stesso quando il vento non soffia a 120 kmh , ma solo ad 80 , e qualche poveretto viene trascinato da un lastrone.
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E’ un determinismo che a volte non è possibile nemmeno nello stabilire se fare funzionare un impianto dove gestore ed impianto sono altamente standardizzati , figuriamoci in un gruppo di spiriti liberi come gli alpinisti.
@74:
D’accordo, ma nel caso specifico non mi sembra che si possa parlare di assenza di cervello; penserei piuttosto al dolore che prevale sulla razionalita’ e fa dire cose insensate. Un paio di commenti hanno ipotizzato motivazioni diverse, che pero’ non vorrei nemmeno prendere in considerazione.
Esiste pero’ il ben concreto rischio che qualcuno, alla ricerca di facile popolarita’ mediatica e magari di un salto di carriera, si butti a pesce sulla vicenda. Ci sono gia’ stati dei casi di interventi del genere in passato, appunto in relazione a incidenti in montagna.
In quelle condizioni il Gran Sasso, ma qualsiasi montagna Dare la colpa alle istituzioni non ha nessun senso… è impossibile e senza logica chiudere dei sentieri; mettiamo delle guardie ad ogni bivio per tutta Italia? Chi fa una proposta del genere è francamente una persona senza un minimo di cervello.L’alpinismo è una attività rischiosa di per se ed in alcune situazioni può essere fatale. Spesso il bivio tra la morte e la vita è segnato da qualche centimetro o anche semplicemente essere fermi e guardare dalla parte sbagliata.Alpinisti esperti, o comunque consapevoli della loro situazione, quindi non semplici escursionisti, si assumono sempre la responsabilità delle proprie scelte; nel profondo del loro inconscio sanno che c’è sempre in agguato l’incidente o l’errore. Purtroppo, come ha detto “qualcuno”: …l’alpinista bravo è quello che alla fine diventa vecchio…Questa frase racconta tutto, e sarà sempre così.W la montagna e W gli alpinisti
@Buzz: grazie per i chiarimenti.
@bonsignore l’altra mia risposta è in moderazione perché contiene link a delle foto che spiegano alcune cose.
in generale, posso dirti che dalla Direttissima si esce a poche decine di metri a destra dalla cresta da dove più o meno sarebbero caduti/scesi i due alpinisti.
Per arrivare a un terreno simil pianeggiante occorre scendere di quota per almeno 300 mt.
Mai e poi mai incontrerai il Duca degli Abruzzi.
Ma, per la mia esperienza in condizioni simili, devi scendere stando lontano dalla cresta, dove il vento raddoppia di intensità e cercare di orientarsi quando aumenta la visibilità.
Essendoci vento forte, la nebbia non è un muro impenetrabile. Sono nuvole che passano velocissime. Un momento non vedi nulla, quello dopo hai sprazzi magari di 100/200 metri.
Non puoi orientarti con le pendenze. Non ci riesci. Se finisci troppo a destra, dentro Campo Pericoli, è un casino di gobbe e avvallamenti, con la nebbia fitta giri in tondo. Trovare il Garibaldi è un colpo di culo da lotteria.
Devi cercare di tenerti parallelo alla cresta, ma almeno a 50 metri, anche più, di distanza, poi tagliare in diagonale un po’ dopo il Sassone. Sfruttando i buchi fra una nuvola e l’altra. E correre, perché se arriva il buio sei morto. E nessuno sarà in grado di venirti a salvare.
Questo è.
Ma stiamo dissertando di uno spazio di alcune centinaia di mq con quelle specifiche particolari condizioni. E’ un tipo di conoscenza che ti viene solo da lunga frequentazione di quello specifico ambiente. E’ del tutto normale e logico che i due alpinisti abbiano cercato di seguire il percorso più ovvio: quello che percorre la cresta per un centinaio di metri lineari.
In primo luogo perché è quello di salita. Se avevano una traccia gps avevano quella.
In secondo perché la cresta è un punto di riferimento in condizioni di scarsa visibilità.
Venti anni fa avrei fatto lo stesso. Senonché ero con chi aveva molta più esperienza di me e fece scelte diverse. E grazie a lui tornammo con le nostre gambe.
@Bonsignore.Da quel punto, il percorso verso il Bafile è quello “estivo” che appunto, per un certo tratto, quando si è su roccia, è assicurato da un cavo. Ma mentre senza neve c’è un sentiero, nel resto del percorso, con innevamento importante è tutto da inventare. Con quelle specifiche condizioni poi è veramente problematico.
Io per andare al Bafile d’inverno sono sempre passato da sotto, scendendo appena possibile, quando le cornici lo permettevano, dopo la sella fra corno e monte aquila per poi tagliare risalendo in diagonale. In questo modo il percorso è su neve e decisamente più comodo. Su questa foto si intravede la traccia del percorso invernale: https://vocialvento.altervista.org/bafile/slides/IMGP2846.html considera che invece quello “estivo” ovvero con la ferrata, passa sopra, almeno 200/250 mt di quota, su roccia. (scorrendo le altre foto ti puoi fare un’idea dell’ambiente invernale)
E comunque, ripeto, il tratto su cavo è minimo, rispetto alla lunghezza del percorso.
Se erano solo un poco esperti del Gran Sasso è inimmaginabile che possano aver pensato di andare al Bafile.
…
Uscendo dalla Direttissima in discesa, con quel tipo di condizioni meteo, la cosa migliore da fare è scendere diagonalmente verso destra, lasciandosi il Sassone a sinistra.In questa foto: https://vocialvento.altervista.org/gransasso/centrale/nonsiamodispersi0.jpg di 23 anni fa, con condizioni simili (quando eravamo in cima, ma avevamo bivaccato, ci aveva “sorpreso” la perturbazione in anticipo) siamo scesi dalla direttissima e ci siamo sposati a destra, faccia a valle, perché sulla cresta volavi via e finivi … nel versante della valle dell’inferno.
Purtroppo la montagna si sa che può fregarti in ogni momento,da una giornata di sole può diventare un inferno di ghiaccio vento e non visibilità.succede continuamente.non si scherza con la natura…..😞
Due sole considerazioni, ininfluenti ai fine dell’accaduto, in primis, se ti avventuri in terreno ostile, e la montagna, fuori albergo o rifugio lo è. Con un l’ostilità che aumenta di pari passo con l’ambiente e le condizioni che lo circondano,vale sempre e comunque, quanto espresso da Buzz, se esci di casa devi sapere il perchè, dove vai, come ci vai, dove ti trovi, e che a casa ,così come ci sei uscito, ci devi rientrare, più o meno in condizioni, non è una manchevolezza capire dubitare e rinunciare. Secondo i gps da cellulare non servono a niente. Serve un garmin satellitare dove si traccia una salita e una discesa, in questo caso il sistema ti avverte se sei fuori traccia. Senza neccessità di avere campo. Certo con venti estremi e situazioni particolari sapere dove sei se non puoi muoverti, serve a poco, ma in condizioni accettabili ti risolve alcuni problemi. Quanto accaduto è una lezione che serve a nulla. Qualche anno fa alla Cabanne de Vignettes, più o meno uguale con tanto di guida. L’anno scorso idem alla Tete Blanche. Con il senno di poi ci si può riempire i vagoni. Denunciare le autorità, da ridere se non ci fossero di mezzo dei deceduti. Chiunque viene coinvolto in un incidente stradale, dovrebbe denunciare tutta la catena di autorità, più o meno pubbliche che hanno partecipato al costruire una rete viaria con vettori annessi. L’unico pregio dell’articolo e fornire elementi maggiori sulla dinamica.
@Franz, @Buzz:
Era venuto in mente anche a me che, non sapendo che il Bafile non c’e’ piu’, potrebbero forse aver cercato di ripararsi li’. E’ vero che il percorso e’ piu’ impegnativo della discesa verso Campo Imperatore e la funivia, ma con visibilita’ zero potrebbero forse aver pensato che una ferrata quanto meno impedisce di perdersi – basta seguire il cavo d’acciaio.
Pero’ anche come scelta d’emergenza non ha molto senso. In condizioni analoghe, e assunta l’impossibilita’ di scendere diagonalmente a sinistra per trovare alla cieca la funivia, io avrei semmai cercato di scendere sino alla base della Direttissima, cioe’ sinche’ il terreno e’ piu’ o meno pianeggiante, per poi seguire una leggera salita davanti a me, senza perdere quota ne’ a destra e ne’ a sinistra, in modo da andare per forza a sbattere contro il Duca. Sarei molto interessato a sapere se Buzz condivide questo punto.
@Franz
il Bafile non c’è più da un paio di mesi. Chi frequenta il Gran Sasso lo sa.
Ma in primo luogo, da quel punto, con qualsiasi tipo di condizione, fai prima a tornare a campo imperatore che a arrivare dove si trova(va) il bivacco, un percorso alpinistico di difficoltà superiore alla stessa “direttissima”.
Cornice? Vento? ogni ipotesi è valida, ma se scendi (o cadi) in quel punto, sei abbastanza protetto dal vento da ovest (sei sotto cresta), quindi è possibile che abbiano deciso di attendere i soccorsi, anche perché risalire può essere complicato, dati i cumuli di neve polverosa che viene portata dal vento e che scende dal Moriggia-Acitelli.
Le ipotesi sul perché un corpo sia stato trovato sotto molta neve e l’altro no, potrebbero essere molte. Ma potrebbero anche non essere affatto significative.
Quello che invece è strano, è perché non siano riusciti a riunirsi.
Come dicevo, quel canale, è leggermente ridossato dal vento da ovest e nelle pause fra le raffiche, ci deve essere stato qualche momento in cui hanno comunicato fra loro.
E’ pur vero però che risalire anche pochi metri nella neve polverosa può essere una fatica di Sisifo e se pensi che stiano arrivando i soccorsi, rimani dove sei.
Non che sarebbe cambiato qualcosa, con tutta probabilità se fossero stati vicini.
Ottimo articolo, concordo in particolare con le riflessioni di chiusura.
ci sono 2 domande che nessuno ancora ha posto e si cui sarebbe curioso indagare:
-sulla caduta: e se invece avessero deciso di raggiungere il bafile per avere riparo di più giorni ed aumentare le probabilità di sopravvivenza? o se invece scendendo nel white-out, incapaci di valutare a causa della visibilità ridotta, fossero finiti su una cornice sopra al canalone che poi ha ceduto? dubito che non avessero una app con gps sullo smartphone, ormai i gps sono su tutti i dispositivi.
-sul ritrovamento: perché solo 1 dei 2 corpi era allo scoperto dalla neve, mentre l’altro sotto 7 metri di neve dopo quasi 5 giorni di bufera? com’è possibile?
Concordo in pieno con l’analisi finale della redazione, rinadendo che l’alpinismo è una attività che comporta dei rischi non azzerabili anche se si è esperti e men che meno può essere vietato, fa parte delle libertà di movimento personali garantite appunto dalla carta costituzionale.
Non tiriamo in ballo i politici che poi se la prendono a cuore e fanno le leggi e i divieti alla carlona.
La responsabilità è sempre personale in questi casi, visto che anche la scelta dell escursione lo e stata.
Il dramma poi c è!
Ma la libertà di scelta e anche di sbagliare è un “diritto” che non va messo in discussione.
Diverso è la gita organizzata, ma non e questo il caso.
“È questo, che dovrebbe stamparsi nella testa degli alpinisti: o ne esci da solo o non ne esci.”
Questa è la riflessione più sensata di tutte.
Grazie Buzz
Ottimo articolo, purtroppo sarà letto solo da appassionati, che non hanno bisogno di essere convinti dell’assurdità di cercare delle colpe Istituzionali. Ma nel nostro paese, purtroppo, il concetto di libera responsabilità personale, non passa.
Grazie
Rileggendo i commenti, sono particolarmente d’accordo con quello di Luigi Trippa e Vincenzo Brancadoro.
Relativamente alla questione “cartelli” trovo che sia assurda.
In primo luogo, come è stato detto, non è con i cartelli che ti orienti in alpinismo invernale.
In secondo, li, con quelle condizioni, la prima cosa da fare è tenersi lontano da quel punto in cui c’è il bivio Bafile (sentiero estivo, perché d’inverno ci si va da sotto) Direttissima, per il semplice fatto che è una cresta, e il vento che viene da ovest, se 50 mt a destra soffia a 80 kmh li raddoppia.
Lì il vento ti prende e ti porta via.
Non escludo che sia quello che è capitato.
In quelle condizioni, non si deve andare sulle creste. Altro che cartelli.
Io ho 85anni e montagna ne ho fatta tanta ma anche il gran sasso in estate bella montagnaa come tutte c’è sempre l’imprevedibile.non si può proibire di andare su una montagna ma si deve sapere che e s proprio rischio evitando al massimo gli errori .le critiche dopo sono sempre noiose e non è importante “erano esperti quella è una passione come una bella donna che può essere irraggiungibile
A me, come penso a molti che hanno frequentazione di decenni sul gran sasso, è capitato di trovarsi là con quelle condizioni.
Il vento da ovest che spazza tutto campo pericoli ha delle raffiche che letteralmente ti sollevano. Quando le senti arrivare l’unica è buttarti a terra. Non ti senti con i compagni a distanza di braccio. Non respiri se guardi verso il vento, ti strappa la pelle con i cristalli di ghiaccio. Non respiri se ti giri spalle al vento: si forma un effetto che ti fa uscire l’aria dai polmoni, anziché farla entrare. A momenti intravedi il percorso, in altri nulla.
È MOLTO facile nel whiteout perdere l’orientamento. Paradossalmente l’unica guida è il vento, che più o meno viene sempre dalla stessa direzione e in quel punto devi averlo a destra e stringerlo.
Sempre però stando ben attenti a tenersi almeno a qualche metro dalle cornici, in quel punto e poi più avanti dopo aver superato monte aquila.
Meglio scendere verso destra in diagonale, anche se poi si dovrà risalire un po’, anche perché l’unica facilitazione che quel vento porta è che la neve su campo pericoli viene spazzata via e resta solo il terreno gelato, facile da camminare.
Tuttavia loro sono finiti nel canale, che a quel punto è strapieno di neve, essendo relativamente sotto vento, e difficile da risalire.
Non sapremo mai come e perché.
Quello che so, e che tutti dovrebbero sapere, è che una volta che ti trovi in queste condizioni o ne esci con le tue forze o non ne esci.
Affidarsi al Soccorso è mentalmente disarmante. Anche perché la prima cosa che ti dicono se riesci a contattarli è di non muoverti dal punto noto.
Anni fa, un altro amico è morto lì, alla sella di Monte Aquila, nelle medesime condizioni. Avevano fatto la direttissima, la perturbazione ha anticipato, erano nel whiteout e hanno chiamato i soccorsi. Hanno aspettato. Inutilmente. Non li trovarono, anche se gli passavano accanto.
Ovviamente, proprio perché conosco quella montagna, so perfettamente che i soccorritori NON POSSONO fare altro.
Il problema è solo che quando riesci a contattarli, in qualche modo smetti di provarci. Aspetti.
Questo, in quella situazione, con abiti e attrezzatura da normale salita di alcune ore, è mortale.
È questo, che dovrebbe stamparsi nella testa degli alpinisti: o ne esci da solo o non ne esci.
Ma credo che sia inevitabile “dimenticarlo”.
Relativamente al concetto di vietate l’accesso… bisogna solo capire il dolore dei parenti, che cercano un perché e un colpevole. È umano.
Sono certo che Luca e Cristian non sarebbero stati d’accordo.
Interessante.
Ecco, ora bel processo alle istituzioni per aver impedito la salita e relativa condanna.
Finirà che ci ritroveremo strade di montagna sbarrate e fine delle discussioni.
Ce lo meritiamo alla grande!
54. Questo virgolettato conferma solamente che le previsioni erano davvero buone, altrimenti “l’esperta guida” avrebbe rinunciato da subito alla salita. Dopodiché non si sa sa nulla altro di questo incontro. A che distanza dalla cima erano? A che ora? Sì sono parlati o solamente incrociati e magari a distanza? Tu le sai queste cose?
Ma a parte questo è il tono, legittimo per carità, del tuo commento che ho trovato fuori luogo.
Abito nella zona di provenienza dei due ragazzi e chissà, magari sarei potuto esserci io al loro posto. Ho cercato per diversi giorni informazioni più precise e meno faziose sull’accaduto, senza i coliti commenti “da bar”, ma senza successo. Questa sera, invece, ho letto con estremo interesse l’articolo ed i commenti. Adesso ho le idee più chiare. Grazie per il servizio reso. Tralascio ogni considerazione personale, è già stato detto tutto.
“Il giorno che i due si sono persi hanno incrociato un amico, una esperta guida alpina. Mentre lui, avendo deciso di rinunciare alla salita, si stava organizzando per fare dietro front, con vento crescente e maltempo in chiaro avvicinamento, loro hanno proseguito.”
Regattin, ti basta questo per capire?
P.S. La mancanza di rispetto tienila per te.
Ciò che è accaduto ai due ragazzi romagnoli sul Gran Sasso in inverno può accadere a molti alpinisti, in Scozia in inverno sul Ben Nevis (1300 mslm) se non hai una bussola molto probabilmente ti perdi o ci rimetti le penne…
l’alpinismo non è escursionismo… già il fatto che sulla Direttissima venga citato un cartello fornisce una indicazione inequivocabile sulle difficoltà del percorso , in vita mia in una salita su neve/ghiaccio non ho mai incontrato un cartello.
la salita in questione se percorsa in condizioni meteo buone o discrete non presenta difficoltà tecniche ma solo legate all’orientamento, infatti ciò che è accaduto in massima parte è dovuto al disorientamento dei due alpinisti.
Oggi si fa troppo affidamento a strumenti digitali che richiedono energia elettrica per funzionare… forse per certi terreni sarebbe più utile una bussola, un altimetro (non un orologio) e, in inverno un telo da sopravvivenza ed una pala (leggera da sci alpinismo).
Chi scrive trent’anni fa ha passato tre notti in un crepaccio razionando i viveri … in attesa che la tempesta si placasse.
Certe esperienze ed un po’ di fortuna servono a non dare per scontate le PREVISIONI meteo, che appunto sono previsioni.
Purtroppo sono dell’idea che questo eventi in realtà insegnino poco o nulla, se non nell’immediatezza della lettura e seduti sul divano. Ma quando, ad evento in corso, ti trovi a dover decidere il tuo immediato futuro in un vortice di situazioni sempre più sconfortanti, il tuo cervello non ha certo il tempo di trovare le soluzioni che troveresti dal divano. E non dimentichiamoci delle trappole euristiche. E di quante volte, prima dell’evento tragico, lo abbiamo sfiorato in chissà quante occasioni, e forse senza accorgersene.
E comunque Bertoncelli le previsioni, da quanto leggo sull’ottimo articolo, non erano così malvagie, perciò il tuo commento “si sono avventurati in montagna con previsioni di maltempo” è errata oltre che irrispettosa delle due povere vittime.
Bellissimo articolo. Non ho moltissima esperienza in montagna, quel poco che ho fatto mi ha permesso, in pieno Luglio, di assistere ad un cambio di meteo mai visto in vita mia. Erano le 14:00 e stavo facendo una pausa conn amici, tempo 3 minuti e una nuvola ha oscurato il sole, portando pioggia e vento di una forza spaventosa. Ricordo perfettamente la pioggia che non cadeva dritta viaggiava in orizzontale. Una follia vissuta in estate, non oso immaginare cosa vuol dire viverla di inverno.
Visto che si continua a parlarne, e per evitare ulteriori equivoci: i cartelli non c’entrano. Come da foto, sono piazzati dove devono essere, e cioe’ al “Bivio”, e indicano correttamente la diramazione fr la Direttissima e il Bafile. L’unico errore consiste nell’indicare la localita’ come il “Sassone”, mentre invece il Sassone, come e’ gia’ stato precisato da altri, si trova una cinquantina di metri piu’ in basso.
Non vedo pero’ come questo possa aver indotto in errore i due. Anzi: avevano per forza visto i cartelli in salita, e se li avessero rivisti in discesa con scarsa o nulla visibilita, avrebbero capito dove esattamente si trovavano e non avrebbero commesso l’errore di scendere troppo a sinistra.
Apprezzo molto l’articolo pubblicato e i commenti che sono stati inviati. Tutto quello che è stato scritto ci deve fare pensare, quando andiamo in montagna, di avere sempre un grande rispetto e di avere l’umiltà di rinunciare quanto il nostro programma viene cambiato da eventi non previsti
I due alpinisti hanno perduto la vita a causa di un errore: si sono avventurati in montagna con previsioni di maltempo. Quante volte lo abbiamo fatto anche noi?
Se vogliamo imparare qualcosa dalla tragedia, da domani con quelle condizioni non partiamo nemmeno oppure rinunciamo quando si è ancora in tempo.
Come ho già detto in un altro commento, la vita è breve. Non accorciamola.
Scusate ma capisco che i cartelli potevano generare confusione il freddo il gelo e altro possono aver inficiato ma a porterai un Garmin o altri navigatori con la traccia scaricata era troppo complicato? Ma io in montagna l’ho porto sempre con me perché se nevica o improvvisamente c’è nebbia o altre condizioni atmosferiche avverse faccio che usarlo io obbligherei tutti a portarne uno dietro con la possibilità di sos in caso di necessità
ALLA LUCE DI QUESTO TRAGICO EVENTO,VOGLIO NARRARE LA MIA ESPERIENZA SUL MONTE ACQUAVIVA MAIELLA DOPO ESSERE SALIto IN VETTA, E CON CONDIZIONI METEO ottime ,in fase di discesa c’erano dei tratti pericolosissimi da attraversare qundi concludo che con un clima cosi’ mutevole a quelle altezze anche la nebbia poteva creare seri problemi.
Penso che i due alpinisti romagnoli conoscessero bene il tema , il vento e la situazione di “White out” può sconvolgere sia le aspettative sulle temperature ( windchill ) , che la relativa banalità di un itinerario ( nessun itinerario e’ banale se lo percorri bendato e abbattuto dalle raffiche di vento ).
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Questo anche su percorsi conosciuti, immaginiamoci senza conoscerli
Da tempo non faccio più escursioni in montagna ma continuo ad andare per mare. Il problema è sempre lo stesso. Molti non consultano le previsioni. Io ne consulto sempre 3 o 4 e credo alla peggiore. Il maltempo non è mai puntuale e può arrivare con grossi anticipi. In questi casi i giornalisti dovrebbero pesantemente ricordare l’importanza delle previsioni metereologiche e di come vadano lette. E non tacere questo aspetto o ricordalo sommessamente come fatto in questo articolo. Nello stesso periodo sono morti in mare padre e figlio. Perfino in TV avevano detto che ci sarebbe stato maltempo. Concordo con chi ha scritto : esperti? Degli esperti non si sarebbero trovati lì in piena tempesta.
Mi piace l’articolo e i commenti, tutti di gente di montagna che parla di ciò che sa. Lontano dalle polemiche dei social.
Sull’episodio è già stato detto tutto quello che c’era di sensato da dire.
Spiace per il drammatico epilogo. Penso che morire facendo ciò che più ci piace fare sia un lusso che non tutti possono permettersi. Certo, si spera un po’ più in la, sempre.
Polemiche esistenti da sempre come dopo il primo incidente sul Cervino nel 1865. Il rischio è intrinseco in attività di montagna.
Personalmente sono contro tutti i divieti soprattutto se costituiti da burocrati seduti alla loro scrivania.
Bellissimo articolo, nel mio piccolo ho rinunciato tante volte per nebbia ghiaccio neve o …sete! Ma ammetto qualche volta di aver rischiato sempre però consapevolmente, ovvero andare in montagna comporta sempre dei rischi
@39
Un cartello con i tempi di percorrenza può essere utile d’estate, ma fuorviante d’inverno su un percorso del genere perchè dipende da troppe variabili.
Sicuramente un cartello che ti Indica i tempi di percorrenza oltre ché la direzione può essere di grande utilità. Nello specifico forse vitale……
A 3000 m non si va a passeggio in pieno inverno. Quindi prima di andarci devo avere coscienza di quello che posso trovare. Se poi decido di andarci comunque mi espongo a rischi di cui io e solo io sono responsabile.
Articolo che fa da antidoto ai troppi veleni che scorrono sui social e che anche risponde a quel tipo di giornalismo cinico e volutamente impreciso.
Un avvoltoio ha più cuore di certe testate.
Commento 34 da cornice!
Questo interessante articolo ci riporta alla realtà, ovvero alla capacità di fare tesoro delle nostre esperienze traducendole in saper autovalutare i nostri comportamenti, ma anche dalla imprevedibilità dei fenomeni atmosferici in ambiente montano. Pensare che devono essere altri a regolare l’accesso, e ancor peggio trovare una loro responsabilità nel gestirlo, è una cosa assurda.
Sta a noi e alla nostra capacità di autovalutare i nostri comportamenti e le nostre capacità la possibilità di capire i nostri limiti tenendo anche presenti i possibili imprevisti che possiamo incontrare sul nostro cammino.
Detto questo però, alcune cose mi hanno lasciato un po’ perplesso. Premetto che non conosco il luogo, ma la possibilità dell’errore di posizionamento delle indicazioni questo si che lascia aperta la possibilità di qualche responsabilità.
Altra cosa che mi ha lasciato un poco pensieroso è la mancanza di teli e indumenti termici. Ecco una delle prime cose che ho imparato (sin da quando portavo un fazzoletto al collo, e Alessandro lo sa) è che si possono limitare gli imprevisti cercando di portare nello zaino cose che a volte possono sembrare inutili. Io e penso tanti altri come me, hanno alcune cose che non mancano mai nonostante a volte possano essere ingombranti o appesantire il nostro cammino. Un telo termico, un piumino, un coltello, un po’ di spago, fiammiferi o accendi sigaro ed una torcia mi hanno sempre fatto compagnia e alcune volte mi hanno tolto dai guai.
Tralascio il no aver fatto una buca nella neve poiché i motivi possono esser molti.
La montagna è bella ma facciamo il possibile per poterci ritornare più volte.
Basta cazzo basta!!! Il fratello presenterà istanza ma che cazzo vuoi presentare vuoi gli euri vai a lavorare cazzo!!! Sono partiti come dice l’articolo x fare una scalata e riscendere tranquillamente il tempo lo permettevano nn portavano tanta roba di sicurezza ma l’indispensabile x quella scalata è successo che il tempo cambiasse prima del dovuto hanno sbagliato in quelle condizioni poi era inevitabile scivolare ed è successo quello che è successo ora si cerca il risarcimento x fare la bella vita vergogna🤨
In una condizione di difficoltà, al compagno caduto, l’alpinista ha scelto di soccorrerlo, consapevole che avrebbe ridotto al minimo anche le proprie speranze di sopravvivenza, sapendo che il gelo li avrebbe immobilizzati in poche ore e che i soccorsi non sarebbero potuti arrivare. La scelta dell’ alpinista esprime la sua grandezza.
Con un profondo senso di amarezza, per due belle vite perdute, condivido poche riflessioni su questa vicenda. Vivo a L’Aquila e conosco bene il Gran Sasso, che frequento da molti anni. Questa triste vicenda non è la prima, non sarà l’ultima. Le condizioni, su quella che è da troppi considerata una montagna “mediterranea”, possono essere davvero estreme. Vi garantisco che non c’è GPS che tenga, quando il vento ti impedisce di stare in piedi, piedi che non riesci neppure a vedere. L’unica soluzione intelligente, quando è previsto un violento mutamento delle condizioni meteo, è non scherzare con la fortuna e con gli orari delle previsioni. Il giorno che i due si sono persi hanno incrociato un amico, una esperta guida alpina. Mentre lui, avendo deciso di rinunciare alla salita, si stava organizzando per fare dietro front, con vento crescente e maltempo in chiaro avvicinamento, loro hanno proseguito. Le due vittime non erano alpinisti inesperti, ma hanno drammaticamente sottovalutato l’arrivo del maltempo e la sua prevedibile violenza. Ho fatto parte del Soccorso Alpino per 25 anni e di casi come questo, in quell’area, ne ho visti tanti: se la bufera arriva da ovest ti “spinge” dritto nel Vallone dell’Inferno; se arriva invece da est ti sposta verso Campo Pericoli, dove ci si perde certamente, a meno che non si trovi – ma è molto improbabile con visibilità azzerata – il rifugio “Garibaldi” e il suo locale invernale sempre aperto. Su questa montagna il vento è padrone e signore: non si deve sottovalutare mai e vanno riconosciuti i segni di un repentino peggioramento. Soprattutto non bisogna mai sopravvalutare se stessi, la propria capacità e velocità, e lasciare sempre un ampio margine alla fatalità, considerando la pur minima sciocchezza che può rallentarti o impedirti di tornare.
Conosco bene quella zona…in discesa dalla Direttissima il Sassone viene lasciato un bel po a sinistra…se poi veramente erano a soli 40 mt dal sentiero verso il Bafile, dovevano essere di sicuro nell’ impossibilità di muoversi, altrimenti sarebbe inspiegabile restare fermi avendo probabilmente a disposizione una corda e due piccozze…inoltre proprio pochi metri a monte del sentiero ci sono, sotto la parete ssw del Corno Grande, dei grandi buchi, quasi caverne, ottimi per ripararsi e per bivaccare…
Non credo che qui ci sia qualcuno interessato a fare polemiche o a distribuire colpe e responsabilita’. Come pressoche’ sempre in questi casi, si tratta invece del bisogno psicologico di “capire” e “razionalizzare” un fatto altrimenti inaccettabile. Nonche’, in via subordinata, di cercare di imparare qualcosa dalla disgrazia altrui.
E’ vero che in condizioni normali non si scende dalla Direttissima. Ma se i due, che siano o meno arrivati in vetta, stavano cercando di sfuggire al piu’ presto al maltempo in condizioni di scarsissima visibilita’, quella era invece proprio la cosa logica da fare.
Circa l’errore fatale di tenersi troppo a sinistra, credo di capire cosa lo abbia innescato. Se i due conoscevano anche sommariamente la zona, erano ben coscienti del rischio di seguire alla cieca i facili pendii verso destra e di finire per perdersi a Campo Pericoli.
Ma una volta finiti in basso nel canalone verso il Vallone dell’Inferno, e anche senza tener conto delle probabili conseguenze della caduta, non era piu’ questione di giacche pesanti, teli, pale o quant’altro. Se meglio equipaggiati, sarebbero forse riusciti a sopravvivere alla prima notte, ma non per 5 giorni.
E’ assurdo e terribile trovare la morte così, in un punto della salita al Gran Sasso che in condizioni meteo normali è semplice e senza particolari difficoltà. Mi lascia perplesso che, visto il maltempo, fossero soli nella discesa (è anche vero che in genere non si scende dalla direttissima) e che al bivio, anche con fitta nebbia, possano aver imboccato la discesa alla valle dell’inferno che è piuttosto ripida e rocciosa. Da come è conformato l’imbocco del canale della direttissima, scendendo, devi proprio salire alla tua sinistra, lungo il costone roccioso, per raggiungere la sella. Anche il non aver cercato di rimanere uniti e tentare di risalire la sella, anche in piena bufera, fa supporre che purtroppo fossero rimasti feriti nella caduta, tanto da non potersi muovere. Una serie di avversità che si sono rivelate fatali.
Mi unisco ai commenti di molti. La montagna è imprevedibile anche a me è capitato di salire con il bel tempo e ritrovarci con visibilità nulla …. Mi chiedo se avessero pala artva e telo indispensabili ed obbligatori in inverno. Forse in quel caso un riparo lo avrebbero potuto creare, come pure le giacche pesanti…. Ma poi purtroppo in definitiva se è destino capita comunque. Le polemiche sono inutili…
Io continuo ad essere convinto che i ragazzi abbiano imboccato in discesa il canale sbagliato e siano erroneamente scesi dal Canale Moriggia-Acitelli. Arrivando dalla Direttissima, cercando il semplice, si và verso Campo Pericoli, non verso la Valle dell’inferno. Pensare che abbiano scelto di andare verso il Bafile per via del cartello, trovandosi in un delicato traverso mi sembra cosa fuori logica.
@25: si’, e’ una questione di semantica. Il Sassone in discesa si supera passando leggermente a destra, cioe’ lasciandolo alla propria sinistra. Comunque, nel caso specifico temo non avrebbe fatto una grande differenza. Se la visibilita’ scende a zero, e’ pressoche’ impossibile evitare certi errori.
Noi non eravamo certo alpinisti di buon livello, ma nemmeno cretini senza preparazione o prudenza. Eppure, abbiamo seriamente rischiato di lasciarci le penne, su un percorso elementare. Si puo’ certo dire, come per i due romagnoli, che non dovevamo trovarci li’ in quel momento. Ma noi stavamo appunto cercando di battere in ritirata al piu’ presto possibile, e credo questo valga anche per loro. Noi abbiamo avuto fortuna, loro purtroppo no.
Non sono cosi’ sicuro che la ricezione GPS funzioni bene in quelle condizioni. Se fosse davvero possibile contare sul GPS per muoversi in un “whiteout” di quel tipo, i soccorritori sarebbero arrivati subito nella zona della caduta.
Ad essere precisi, scendendo “faccia a valle” a me pare di ricordare che il Sassone si superi leggermente a destra e non a sinistra (come invece si scrive nell’articolo). Lo conferma anche la vostra immagine con traccia rossa. E allora, siamo proprio certi che valga la pena fare così i precisi sulla posizione di quei cartelli? Non si fomentano accuse e recriminazioni, come già negli articoli citati, quando probabilmente sarebbe bastato ripercorrere la traccia GPS dell’andata?!
Devo dissentire per quanto riguarda le previsioni meteo di quel giorno che mi ricordo benissimo, avendo io stesso deciso di non andare sul G. Sasso proprio in considerazione delle previsioni: (fonte Meteoblue.com che utilizzo da anni, con grande affidabilità). Sul Corno Grande erano previsti venti fino a 100 km/h, in aumento dal pomeriggio, con arrivo di una perturbazione. Mi dispiace, ma affermare il contrario, parlare di “finestre di nel tempo”, è assolutamente scorretto. Occorre essere obiettivi e dire ciò che corrisponde a verità .
Io penso che è inutile dilungarsi su commenti che non servono a nulla su ciò che è stato fatto o si poteva fare sappiamo bene se vogliamo portare avanti la nostra passione l’unica cosa che non possiamo prevedere è il nostro destino.
Esperti…..gli esperti sarebbero rimasti a casa.
#11 Lorenzo. Tu scrivi “Si è discusso molto anche della tragedia sulla Marmolada, con la ”imprevedibile” frana di ghiaccio. E’ vero che stava lì da molti anni senza muoversi, come però fanno molti muri o ponti, ma se ci passi sotto in una giornata d’estate particolarmente calda e alle ore 13, per facilitare la tragedia qualcosa di tuo ce l’hai messa“.
No, Lorenzo, per favore non mettiamoci sullo stesso piano degli “sparasentenze” che, dopo la tragedia della Marmolada, hanno appunto tirato fuori idiozie di questo tipo. Certo, in linea di principio bisognerebbe evitare di trovarsi su pendii di ghiaccio nelle ore più calde della giornata. Però la frana ha investito il percorso della via normale alla Marmolada, che viene ovviamente seguito anche in discesa non solo da chi è salito da lì, ma anche da chiunque salga in cima da altre vie o versanti. Per forza ci si trova lì alle 13 (a meno di essere velocissimi), e dove sennò?
Articolo magnifico.
Non sono ne alpinista e ne esperto di montagna, al di la di qualche camminata sui sentieri facili. Ma mio papà che la conosceva meglio mi ha sempre insegnato che la montagna non perdona ed è meglio calcolare le cose sempre tenendo conto della cosa peggiore che può accadere perché una volta che succede un contrattempo a certe altezze, non resta che contare le ore che to restano.
Je pense que chacun estime les risques d’une sortie en montagne, ou fait confiance à celui qui est le plus expérimenté en la matière.
Après, c’est le choix : y aller, ou pas ?
Et même si l’on est raisonnable, on ne maîtrise pas tous les risques.
Chance ou malchance, cela existe et se vérifie maintes et maintes fois.
Bonne année à tous, et que la chance vous accompagne !
Mi scuso in anticipo per la logorroica lunghezza di questo commento.
Per chi non ne ha fatta esperienza diretta, può essere difficile rendersi pienamente conto della terrificante violenza che possono raggiungere le tormente sul Gran Sasso, e ancor più della straordinaria rapidità dei peggioramenti del tempo – soprattutto nel caso di perturbazioni provenienti da est. In queste condizioni, a parte le temperature molto basse e i venti di eccezionale forza (l’anemometro dell’osservatorio meteo di Campo Imperatore va spesso a fondo scala a 160km/h), l’elemento davvero pericoloso, come si è purtroppo visto in questo caso, è il “whiteout” totale, con la completa perdita della visibilità. Questi fattori fanno sì che tra gli incidenti mortali che sono avvenuti sul Gran Sasso, come su tutte le grandi montagne, la percentuale di vittime causate esclusivamente dal cattivo tempo sia straordinariamente alta.
So di cosa parlo. All’ Epifania di molti anni fa, io e sei altri eravamo saliti a pernottare al rifugio Duca degli Abruzzi (allora incustodito) appunto con l’idea di salire la Direttisima il giorno dopo. Ma nella notte di levò la tormenta, ed era chiaro che potevamo solo scendere all’albergo di Campo Imperatore e alla stazione della funivia. La visibilità era zero (in condizioni normali, non solo gli edifici ma anche le singole persone sono perfettamente visibili), ma la cosa non sembrava un problema: basta scendere dritti lungo il pendio per un paio di centinaia di metri di dislivello e sì e no 500m di distanza in linea d’aria, e si va per forza a sbattere contro l’enorme mole dell’ albergo. Ma mentre scendevamo, uno di noi venne colto da una ventata più forte proprio mentre aveva alzato un piede per battere via lo zoccolo di neve dal rampone, e buttato giù lungo il pendio a sinistra (scendendo faccia a valle). Naturalmente gli scendemmo di corsa dietro per trovarlo (a forza di urla) fortunatamente illeso, ma a quel punto sapevamo solo di essere a sinistra e in basso rispetto all’albergo.
Cercammo per tutto il resto del giorno di “incocciare” l’albergo, ma senza riuscirci. Con il buio, divenne chiaro che bisognava bivaccare. Siamo sopravvissuti alla notte senza gravi danni perché trovammo un grosso masso erratico come riparo dal vento, e riuscimmo a organizzare una specie di ricovero con le corde stese tra la cime del masso e le piccozze e i tre teli tenda di tipo militare che, per consolidata abitudine, mettevamo SEMPRE sul fondo dello zaino quando si saliva in quota.
La mattina successiva, la tormenta continuava con estrema violenza, ma una brevissima schiarita di pochi minuti ci permise di intravedere uno dei piloni della funivia della Scinderella, e da lì risalire all’albergo. Altrimenti, non sarei qui a raccontarla.
Proprio in base a questa esperienza, non mi sento minimamente autorizzato a esprimere giudizi su questa tragedia, e men che meno a parlare di “colpe”. Se i due romagnoli hanno sbagliato strada scendendo a sinistra troppo presto, come sembra sia avvenuto, vuol dire che non vedevano più gli edifici di Campo Imperatore, o il Duca, e nemmeno la Sella di Corno davaqnti a loro; di fatto, non vedevano più nulla. Anche se fossero scesi dalla parte giusta, temo che non sarebbero comunque riusciti a ritrovare la funivia, come capitò a noi. Hanno avuto la disgrazia di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Capita, anche ai più bravi e prudenti.
Un paio di altre osservazioni:
– Niente da fare con trune o comunque ripari scavati nella neve. Se le condizioni erano analoghe a quelle che trovammo noi, come penso probabile, la neve portata dal vento era una massa impalpabile e senza fondo nella quale non si poteva scavare nulla. Il buco si riempiva con la stessa rapidità con cui lo scavavamo.
– Sembra che i due non abbiamo fatto alcun tentativo di tornare assieme dopo la caduta. Questo suggerisce che, pur se la morte è arrivata per assideramento, la caduta abbia comunque avuto conseguenze fisiche e/o psichiche piuttosto gravi.
Un articolo competente ed equilibrato.
Purtroppo con il meteo contro c’è solo una breve finestra per prendere la decisione giusta, abbandonare le ambizioni di vetta o addirittura cercare un luogo meno peggio per scavarsi una truna e sperare.
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Nell’errore ipotizzato in fase di discesa , che potrebbe essere costato la vita ai due alpinisti , probabilmente hanno giocato condizioni proibitive di visibilità.
Articolo veramente ben fatto e soprattutto l’unico che spiega in maniera approfondita come siano andate le cose durante quel triste giorno. Quello stesso giorno ero su un percorso escursionistico, dai Prati di Tivo alla Madonnina. Il tempo, la mattina, era perfetto: clima secco, temperatura di circa – 5° a 1700 metri di quota e vento assente. Ma le previsioni parlavano di rinforzo consistente dei venti già dal pomeriggio. Ed infatti, arrivato in cima, a circa 2000 metri, in tarda mattinata, il clima è decisamente cambiato ed ha cominciato a rafficare da maestrale, con punte già di 20/25 nodi da prima delle 13. Il tempo di iniziare la discesa e già il monte Intermesoli, il Corno Piccolo e il Corno Grande, dove si trovavano i due sfortunati amici, hanno cominciato a “fumare” come non si vedeva da parecchio tempo. La cosa su cui vorrei soffermarmi è, riguardo al fatto che abbiano sbagliato percorso secondo quanto scritto, ed alla luce della tecnologia che, ai nostri giorni, ci mette a disposizione strumenti che possono rivelarsi veri e propri salvavita, capire se i due alpinisti avessero portato con sé un dispositivo GPS con bussola che ognuno di noi che va in montagna dovrebbe possedere (anche lo stesso smartphone in maniera simile permette queste funzioni, durata batteria a parte) e che, caricando il percorso da effettuare, permette di visualizzare una rotta anche con il clima più ostile, oltre alla funzione di tracciamento, che comunque quel giorno sarebbe stata a dir poco inutile. A me questo dispositivo ha permesso, più di una volta, di ritrovare la via giusta in situazioni di scarsa visibilità o nel bosco, in assenza di segnaletica.
Se allora i due alpinisti hanno smarrito la via giusta ed imboccato il sentiero verso il bivacco Bafile a causa della nebbia, e questa è stata forse la causa della tragedia, l’assenza di un dispositivo di questo tipo, se così è stato, fa venire ancora più rabbia e tristezza per quei poveri ragazzi che magari si sarebbero potuti salvare.
Complimenti alla redazione per l’articolo.
Mi pare che vietare la montagna inteso come spazio pubblico sia lesivo della libertà individuale, non siamo su una autostrada che è possibile chiudere da parte dell’autorità
Condivido tutto dell’articolo. Credo però che ci sia una norma di legge che obbliga tutti i frequentatori della montagna, quando è innevata e in ambiente selvaggio, di portare con sé i dispositivi di autosoccorso; ovvero sonda, pala e ARTVA. Li avevano? Se avessero avuto una pala non avrebbero potuto scavare una truna e rifugiarsi lì? Poteva servire a tenerli in vita un po’ di più?
In Svizzera, questa primavera, non è accaduto qualcosa di simile a degli sci alpinisti? Affidarsi a finestre di bel tempo che cambiano repentinamente ed impediscono il rientro. Rischi che chi va in montagna conosce e si assume pur sperando sempre in meglio.
Translator
Se un insegnamento si può trarre dalla vicenda, abbastanza chiara, è che non bisogna fidarsi delle finestre troppo strette. L’imprevisto può sempre accadere: e a quelle quote, in inverno, si rischia la pelle.
Complimenti per l’articolo! Davvero un bel pezzo dove viene spiegato quanto accaduto e da cui si può solo imparare.
Una domanda: quel giorno quanti altri alpinisti salivano verso la vetta del Corno Grande, di solito molto frequentata nelle giornate di bel tempo ?
I due non erano della zona. In questo caso sarebbe bene informarsi sul meteo chiedendo ai locali, in particolare alle guide. ” Perturbazione in arrivo da ovest”. Se avessero chiesto, qualcuno avrebbe detto loro che le nuvole che incappucciano la Laga e, peggio ancora, quelle in Val Maone, gridano di non salire. La famosa finestra dovrebbe comprendere anche banali contrattempi. Pero’ so che spesso l’ azzardo fa parte del gioco e molte volte ho sentito le frasi ” dai, andiamo, che forse il tempo tiene” o ‘ mai poi potrebbe migliorare”. Esortazioni alle quali non ho mai dato retta, con disappunto dei miei compagni di cordata.
L’ imprudenza c’ e’ stata, come accade spesso. La tragica fatalita’ e’ il masso che si distacca o roba simile, qualcosa di non prevedibile.
Si e’ discusso molto anche della tragedia sulla Marmolada, con la ” imprevedibile” frana di ghiaccio. E’ vero che stava li da molti anni senza muoversi, come pero’ fanno molti muri o ponti, ma se ci passi sotto in una giornata d’ estate particolarmente calda e alle ore 13, per facilitare la tragedia qualcosa di tuo ce l’ hai messa.
Per finire, imprudenze ne abbiamo commesse tutti, me compreso, ma dovrebbero verificarsi assai di rado , perche’ una volta potrebbe essere quella di troppo
Pensare che le autorità debbano creare restrizioni per tutelare i fruitori, cozza pesantemente con il concetto di “esperti”. Onestamente se i due poveri sventurati hanno commesso errori, per me sta semplicemente nell’aver valutato di effettuare la salita con una finestra di bel tempo troppo ristretta. Purtroppo l’esperienza sta anche nel sapere benissimo che spesso, soprattutto in alta quota, l’arrivo del brutto tempo può anticipare anche di molto le previsioni. In questo senso, personalmente, preferisco avere un eccesso di prudenza, poi per carità, se deve capitare, come dico sempre io, puoi anche nasconderti sotto i sassi, ma se è arrivato il tuo momento, non puoi farci nulla.
Riflessioni composte e ineccepibili. Ho abitato ad Assergi più di 5 anni, ho scritto una guida e diversi articoli sul territorio e quanto ricostruito è impeccabile.
Bel pezzo di giornalismo,grazie per l’assenza di considerazioni, fatalismo, frasi scontate. Mi permetto di esprimere un parere, pur con le lacrime agli occhi : chi va in montagna sa che gli errori possono essere irreparabili, soprattutto ad alta quota. Inutile quindi invocare divieti o responsabilità altrui.La montagna non è assassina , c’era, c’è e si sarà dopo di noi, viverla comporta qualche rischio, ma è impagabile quanto ci può dare, forse anche perché siamo consapevoli dei pericoli che può comportare…. riflettiamo su questo aspetto e forse troveremo l’equilibrio necessario per affrontare queste disgrazie ieri,oggi e domani.
Un bel pezzo di giornalismo. Freddo, asciutto, analitico, senza sbavature ideologiche ed emotive, ma al tempo stesso con partecipazione umana e solidale. Anche se l’argomento è tragico e non può che toccare il cuore di tutti pensando agli errori che ognuno ha commesso negli anni, perché nessuno ne è stato esente, un buon modo per iniziare l’anno. Avanti così. Questa, a mio parere, è la parte migliore del blog. Focalizzazione e competenza. Meno colore e strepiti ma sostanza e rigore. Bravi.
Articolo molto interessante.
Purtroppo le “finestre di bel tempo” si possono chiudere improvvisamente, specie sul Gran Sasso che, come è stato descritto nell’articolo, subisce l’influsso di due mari i quali possono produrre un’instabilità quasi “patagonica”.
Capisco anche che il “beau fixe” spesso se lo possono permettere solo i pensionati come il sottoscritto. Chi lavora si deve ritagliare gli spazi montani nel tempo che si ha.
Che dire oltre a “purtroppo è capitato”. RIP.
@2… peró potrebbero nn essere arrivati in punta …
Purtroppo, e lo dico con il sangue nel cuore, i due alpinisti romagnoli hanno commesso un errore, da perdonare ovviamente senza invocare pretestuosi interventi repressivi. In inverno non si scende dal Corno Grande con la Direttissima: per non precipitare nella valle dell’Inferno conviene utilizzare il canale Bissolati verso il campo dei Pericoli. In montagna alla prudenza alla competenza o altro bisogna aggiungere la conoscenza e l’esperienza dei luoghi.
Fin dalle prime ascensioni da capocordata, ancora ragazzo, me ne sono sempre assunto la totale responsabilità.
È ovvio: io scalavo e io ero il responsabile di me stesso. E cosí certamente era per tutti coloro che partivano per i monti. Tra l’altro, si tratta di una delle piú profonde soddisfazioni dell’alpinismo: la carne dell’orso di Primo Levi.
Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di denunciare un sindaco o chissà chi nel caso in cui mi fossi trovato nei guai per essermi voluto impegnare, per mio errore, in una salita nonostante previsioni di maltempo. Era colpa mia, oppure sfortuna. Non colpa del sindaco.