Datevi al “rooftopping”

Datevi al “rooftopping”
di Claudio Genoria

Ontheroofs è un profilo che tra YouTube e Instagram conta più di un milione follower. È gestito da due ragazzi, Vitaliy Raskalov e Vadim Makhorov, la cui specialità è il cosiddetto rooftopping, che significa letteralmente salire in cima ai tetti, solo che nel loro caso si tratta del tetto dei grattacieli. Li scalano sprotetti, ed è illegale. Puntualmente, documentano le loro gesta con foto e video che raccolgono migliaia di visualizzazioni e like. Il rooftopping è, decisamente, un fenomeno social: nasce per la strada, certo, ma l’obiettivo è quello di scattare una foto e postarla. Nutre il medium e da questo viene amplificato. La pratica si diffonde, per emulazione, tra gli utenti.

È grazie a questa dinamica che, in breve tempo, si è formata una comunità social di rooftopper che si seguono, e promuovono, a vicenda. E non è una sorpresa scoprire che, tra i 63 account seguiti su Instagram da ontheroofs, vi sia anche quello di un tipo noto tra gli appassionati di arrampicata: Alex Honnold. È, questo, un primo indizio delle non poche cose che hanno in comune due mondi così all’apparenza lontani come l’alpinismo e… il rooftopping. A cominciare, naturalmente, dal rischio.

Città del Messico. Foto: @EM1T.

La pericolosità del rooftopping è confermata dal fatto che, spesso, le sue stelle muoiono. È accaduto, per esempio, al francese Remi Lucidi, precipitato da un palazzo di Hong Kong poco dopo aver postato su Instagram un’ultima foto. È accaduto al rooftopper cinese Wu Yongning, volato giù mentre faceva le trazioni appeso all’esterno di un grattacielo di Changsha, in Cina.

Va da sé che la cronaca di questi incidenti sia infarcita di paternalismo. Anche nei pochi, miracolosi casi dove la pericolosità di queste pratiche è presentata come dato oggettivo, senza fare la morale, ci pensano poi i commentatori a rimettere le cose a posto. È il caso, ad esempio, di un articolo apparso sul quotidiano online il Post, a cui ha fatto seguito, tra gli altri, il commento molto stringato di un utente che si firma Roberto Rivera: “Ma perché!!!????”.

Tre punti esclamativi e quattro punti interrogativi non sottintendono, probabilmente, curiosità. Sottintendono disapprovazione. L’utente Rivera sembra volerci dire questo: rischiare la vita per un selfie è stupido. È la conquista dell’inutile, concetto ben noto tra gli alpinisti, e lo so che si fa fatica a digerire il paragone tra il proprio nobile inutile e un post di Instagram, ma la realtà è questa: la visibilità social, che pure un valore economico ce l’avrebbe, è tanto inutile quanto il riconoscimento inseguito da un alpinista presso la propria comunità di riferimento. Così come è parimenti inutile scalare la cima di una montagna o quella di un grattacielo.

Cosa renderebbe la scalata di un monte più nobile della salita in cima a un grattacielo? Escluso il rischio, che per l’appunto è presente in entrambi i casi, restano pochi altri argomenti da tirare in ballo. La bellezza, per esempio? e chi lo dice che una torre di ferro e cemento non possa anche essere una forma di bellezza? Per non parlare delle viste spettacolari che la sua cima può offrire.

Uno potrebbe a questo punto obiettare che l’essenza dell’alpinismo è l’avventura. Avventura, esplorazione, incognite della natura. Ma anche il rooftopping è avventuroso, anche solo per il fatto di essere una pratica illegale, e pertanto soggetta all’intervento potenziale delle forze dell’ordine. E certamente è anche una pratica esplorativa. Nasce infatti come derivazione dell’urbex, cioè l’esplorazione urbana di luoghi in stato di abbandono, o il cui accesso è vietato, o arduo.

ll rooftopper sceglie peraltro sempre la via più facile, una sorta di via normale, e fin dove può usa le scale: se non è costretto, non va sui cornicioni o sulle vetrate, all’esterno degli edifici. Quest’ultima sarebbe in realtà una forma di scalata più acrobatica e sterile, finanche esibizionistica o talvolta usata come forma di protesta: naturalmente ha un nome, buildering, e tra i suoi interpreti ci sono personaggi come Alain Robert. Il rooftopping sembra essere, in senso lato, un fenomeno più complesso del buildering e, se non altro, più democratico.

Per salire in cima ai grattacieli non servono attrezzature particolari, né specifiche qualità atletiche. Sono imprese alla portata di quasi tutti. E la ricompensa, per chi ha il fegato di provare e la fortuna, o l’abilità, di riuscire, si misura nei termini della visibilità social, con annessi e connessi: fama, sì, ma anche guadagni facili, un po’ di lusso e di bella vita. E qui si torna al punto di partenza.

Certo gli alpinisti si possono illudere di essere parte di un mondo di duri e puri, gente che non cede alle lusinghe della fama e del lusso. È un fatto, però, che già in un’epoca precedente l’era digitale vi fossero personaggi come Thomas Bubendorfer, uno scalatore bello e audace che non faceva niente per nascondere le proprie ambizioni di successo. E del resto al giorno d’oggi, se uno scalatore vuole vivere di sponsorizzazioni, contano non solo i suoi risultati in roccia ma anche, se non soprattutto, il numero di follower che riesce a raccogliere, e coltivare, dai suoi canali social.

Non è facile, in definitiva, provare a rispondere al perché? Dell’utente Rivera, posto peraltro che l’utente Rivera sia interessato a una risposta. Magari gli si potrebbe consigliare di guardarsi allo specchio, o di guardare comunque, e in retrospettiva, alla propria vita. Io, se lo faccio, trovo in me molti validi argomenti a giustificazione di tutti gli slanci, anche di quelli più stupidi, o inutili, e certo anche di quelli che mi sono costati qualche passaggio al pronto soccorso, o comunque qualche bello spavento.

Ed è consolante il fatto che, in tutte queste occasioni, non sia intervenuto nessuno a farmi la predica, a dire “ma chi te lo ha fatto fare”. Però di tutte le mie disavventure ce n’è solo una che non abbia avuto come sfondo la montagna, lo sci, o l’arrampicata. Gli sport di montagna sono socialmente accettati, o almeno è certo che lo siano dove vivo io, e in buona parte ne sono accettate anche le conseguenze.

L’unica mia disavventura che non sia legata alla pratica degli sport di montagna è stata proprio la scalata sul tetto di una casa semiabbandonata, a margini del paese dove vivevo, all’età di otto anni. Sono un antesignano del rooftopping.

Frequentavo, allora, un bambino di nome Matteo. Erano gli anni Settanta. Con Matteo ci arrampicammo un pomeriggio sopra il tetto di questa casa, salendo lungo la grondaia. Della salita ho un ricordo vago, ma non credo sia stato complicato. Ricordo che sul tetto passammo un po’ di tempo, forse un’ora, poi decidemmo di scendere e Matteo andò giù per primo, tenendosi con tutte due le mani alla grondaia, e puntando i piedi. Qualcosa però andò storto: si fece un piccolo taglio sul palmo di una mano, poiché in un punto la grondaia era aperta, e un lembo di lamiera, tagliente, sporgeva di un centimetro. Matteo, da terra, guardandosi la mano, mi disse di passare comunque di là, che non era niente di grave.

Io partii deciso e, chissà perché, anziché puntare i piedi li lasciai scivolare, e così feci con le mani, stringendo forte la grondaia. In questo modo, intercettai a gran velocità quel lembo di lamiera, che mi lacerò la pelle dell’anulare destro per tutta la sua lunghezza, e in profondità. Corsi a casa. Non ricordo che i miei abbiano avuto qualcosa da rimproverarmi: sembravano più spaventati, e forse mio padre si preoccupava, un po’, anche per il sedile posteriore della 128 nuova, dove facevo sgocciolare sangue, nonostante cercassimo di tamponare la ferita con fazzoletti di tessuto, mentre andavamo all’ospedale.

Non piansi mai. Mentre mi facevano i punti strinsi i denti. Ero tutto preso da quello che avevo fatto e da una certa rispettabilità che stavo per guadagnare, nella mia cerchia di coetanei. C’era stato solo un attimo di imbarazzo quando avevo dovuto spiegare, a un tale all’ingresso del pronto soccorso, la dinamica dell’incidente. Lui mi guardava ed io guardavo i miei, incerto: “glielo devo proprio dire?”, pensavo, temendo di avere violato qualche legge.

Tornai a casa col dito immobilizzato: per un mese non potei scrivere, disegnare, o andare in bici. Però ne era valsa la pena. Per un’oretta eravamo stati lì sopra, in quel posto esclusivo. E adesso avevo una storia da raccontare.

Non so se questo valga solo per me, o se valga anche per altri, ma la mia motivazione ad andare, per quanto rischioso o faticoso possa essere, è una combinazione di questi due fattori: l’esclusività della meta, e il fatto che al ritorno ho una storia da raccontare. Ma allora forse i rooftopper non hanno tutti i torti. Perché in fondo, credo che alla cima del Paterno, in mezzo a una folla di ferratisti, io potrei probabilmente preferire il tetto di un grattacielo in splendida solitudine, nell’“attimo in cui / le macchine e i palazzi / le nostre giustificazioni / cessano di essere quello che sono / e diventano macchie / e poi punti / e poi niente”.

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Datevi al “rooftopping” ultima modifica: 2025-01-02T05:14:00+01:00 da GognaBlog

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28 pensieri su “Datevi al “rooftopping””

  1. La maggior parte degli alpinisti di punta (non dico tutti ma quasi), fa uso controllato di droghe.
    Credere il contrario è assai ingenuo.
    Tanto per precisare.

  2. La società sicuritaria spesso vituperata dal Crovella è la stessa a cui lui stesso aderiva orgogliosamente quando si scagliava contro chi andava da solo a passeggiare nei boschi durante il Covid19. Idem per quanto riguarda l’imposizione del green pass tanto acclamato dallo stesso.
    .
    Io penso che ci sia una differenza abissale fra il comportamento di due alpinisti che mettono in pericolo “solo” la loro vita ( sul rischio a cui deve esporsi la squadra di soccorso in conseguenza delle valutazioni errate degli alpinisti, la valutazione è piu’ complessa) , ed atteggiamenti , per esempio la diffusione colposa di epidemie , gli eccessi di velocità alla guida di veicoli , etc … , che possono danneggiare sia il soggetto che mette in atto il comportamento a rischio , che molte altre persone che non c’entrano nulla , e che sono giustamente sanzionati dalla “società sicuritaria”.
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    Banalmente dubito che qualcuno sanzionerebbe un base jumper che rischia di schiantarsi in un canalone senza danneggiare o uccidere nessuno se non lui stesso , ma vedrei come sensato un intervento “sicuritario” su chi , per esempio percorre deliberatamente tratti di strada contromano per ebbrezza personale.
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    Ieri ero su un volo passeggeri, ed in cabina la maleducazione e la coglioneria di un gruppo di giovani ha causato trambusto , e gli assistenti  di volo faticavano a contenere le persone che non intendevano seguire le direttive.
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    Alla fine sono intervenuti i piloti quando gia’ volava qualche spintone , ma la differenza fra interventi “sicuritari” che proteggono persone terze dalle conseguenze degli atti di personaggini vari e alpinisti in difficoltà, mi sembra piuttosto ovvia.

  3. “ma non mi sembra che l’alpinismo o il mondo della montagna abbia molto a che vedere con lo stordimento da alcool”
     
    Oh cazzo e chi glielo dice adesso a Mauro Corona! 🙂

  4. L’accostamento tra alpinismo e rooftopping lo trovo azzeccato, così come anche la ricerca su se stessi con le droghe. In fondo tutti questi attori sono alla ricerca di sensazioni gratificanti..Penso che tutta l’umanità sia istituzionalmente alla ricerca di sensazioni gratificanti , ma non mi sembra che l’alpinismo o il mondo della montagna abbia molto a che vedere con lo stordimento da alcool o stupefacenti.

  5. Arguto, ma così arguto che se era appena un po’ più arguto era un povero imbecille!

  6. Bello il calcio di rigore di Bagnasco, con Crovella che si tuffa dalla parte sbagliata e crede pure di aver fatto una bella parata (e scusate la banale metafora).

  7. Appunto, la società sicuritaria, specie italiana, con la piega che ha preso da alcuni decenni in qua, NON accetterebbe esibizionismi del genere. L’ho espresso in modo ironico facendo il verso al sindaco di Milano (in effetti ci vuole arguzia per afferrare il concetto…). Per le autorità fenomeni come questi sono solo dei gran “torroni”, come dice Sala.

  8. L’accostamento tra alpinismo e rooftopping lo trovo azzeccato, così come anche la ricerca su se stessi con le droghe. In fondo tutti questi attori sono alla ricerca di sensazioni gratificanti.
     
    La società sicuritaria spesso vituperata dal Crovella è la stessa a cui lui stesso aderiva orgogliosamente quando si scagliava contro chi andava da solo a passeggiare nei boschi durante il Covid19. Idem per quanto riguarda l’imposizione del green pass tanto acclamato dallo stesso.
    In una parola: inaffidabile.

  9. @claudio genoria
    lungi da me voler polemizzare, ma “…un primo indizio delle non poche cose che hanno in comune due mondi così all’apparenza lontani come l’alpinismo e… il rooftopping…” era a mio parere un po’ estremo.
    Questo è il mio punto di vista. In fondo anche camminare sul filo è simile come gesto all’esercizio alla trave della ginnastica.

  10. Paragonare l’alpinismo o l’arrampicata con queste pratiche spericolate mi sembra … altrettanto spericolato, anche solo per il banalissimo motivo che scalare i grattacieli é vietato dalla legge.

  11. Francesco (15), non sono un giornalista 🙂
    Ho fatto una proposta ad Alessandro Gogna e lui, bontà sua, ha deciso di pubblicare: una mia maniera di contribuire – lo avevo già fatto, del resto, ma in forma anonima – perché il blog fa parte della mia quotidianità.
     
    L’accostamento di rooftopping e alpinismo è spericolato e certamente discutibile, me ne rendo conto, ma non ho paragonato “questa gente” ad Alex Honnold (dove lo hai letto?): semmai mi era venuto in mente Thomas Bubendorfer, per una questione di narcisismo (comunque, se vogliamo, discutibile).
     
    Per quel che riguarda, infine, l’incolumità dei miei figli, direi che più che da (improbabili) rooftopper in caduta, sia meglio che si guardino da loro stessi: hanno quell’età che le bravate pericolose le fanno da soli.

  12. La sfiga volle che i più bei passaggi al coperto e comodi(ricordo l’arco di sassi a 2 mt da terra con torsione del braccio per allungarsi all uscita del tetto e presa d uscita sulle soprastanti scale e quando pioveva si rischiava la scossetta per dei fili che scaricavano evidentemente male)fossero sul municipio di Pieve in pieno centro,e visto che si arrampicava sopratutto la sera  anche tardi spesso si finiva davanti all appuntato giù in caserma tirando notte a spiegare che non era nostra intenzione visitare anagrafe o catasto,non era cosa semplice e nemmeno tanto legale a sentire loro , mai smesso comunque…!

  13. Mi piacerebbe chiedere al giornalista che paragona Alex Honnold a questa gente cosa direbbe se uno di questi personaggi precipitando si schiantasse su sua figlia che rientra da scuola e cammina sul marciapiede. Honnold, precipitando, al massimo potrebbe spetasciare la cacca di un grizzly.
    Mi sembra fosse Kant a sostenere che la propria libertà finisce dove inizia quella degli altri.
    Quindi che vadano a scalare montagne i signori rooftoppers, ma probabilmente non ne sarebbero capaci e non per mancanza di capacità fisiche, ma mancanza di capacità intellettive.

  14. Ahi ahi Signora mia…e dei pochi psichiatri non ne parliamo?non di quelli che fanno dell alpinismo,non è la società sicuritaria il problema,nemmeno di quelli che la interpretano con derive suicidarie,.ne di coloro che ci petdono il tempo passandole per analisi.Più psichiatri e analisti qualificati in merito. a vagonate,non sarà un rimedio,ma almeno si sa chi parla e di che cosa.

  15. Rischio, esplorazione, fame di notorietà (e soldi)… però a me sembra che la molla principale sia il “gusto” per la bravata, un po’ come fanno i writer che si divertono a lasciare graffiti nei posti più improbabili (ma ben visibili).
    Fra le varie discipline “urbane” come il buildering e il parkour (con le quali condivide il gusto della bravata) mi sembra che il rooftopping sia quella più lontana dall’alpinismo/arrampicata.
     
     

  16. Da ragazzini ci arrampicavano sugli alberi a fregare ciliegie e duroni. Il problema erano i contadini, che ci intimorivano molto piú del pericolo di cadere da un ramo.
    Eravamo treetopper e facevamo treetopping. E non lo sapevamo.
     
    Che tempi!

  17. “Sarei curioso di verificare la “reazione” della società sicuritaria”
     
    E perché mai?
    Non ti basta la reazione della società securitaria agli arrampicatori che si spiaccicano sotto alle pareti, agli scialpinisti nelle valanghe o ai camminatori che scivolano nei burroni?
     
    E comunque sarebbe sempre la solita reazione: divieti, regolamenti, controllo e repressione.

  18. Ve la immaginate il sindaco Sala nell’interpretazione satirica di Crozza?
    “Povera Milano, ho chiesto a uno dei miei, quello che si occupa delle cose che sono nell’aria, e mi ha detto che adesso nell’aria c’è anche l’arrivo dei rooftopper… Ma non bastavano le buche, il torrone del vento che cadono gli alberi e il salone del mobile fuori salone? Tutti che pesano sul suolo di Milano. Ma come fa, povera Milano… Anche i rooftopper che si sfracellano sui marciapiedi dobbiamo avere… ma Milano non è attrezzata per aggiustare tutte le buche che creeranno quelli lì… Ma come faremo… povera Milano… ” 

  19. Corinna for presidente !
    .
    Chissa’ se a parità di esclusività e rischio , farebbero foto nelle condotte di un impianto idroelettrico in attività, come fece un giovane e coglionissimo Expo

  20. Ma per aprire una via sulla facciata di un grattacielo o su una ciminiera, c’è a chiedere il permesso?

  21. Sarei curioso di verificare la “reazione” della società sicuritaria, più opprimente in Europa che altrove nel mondo, quando qualcuno si spiattellerà sul selciato, in diretta davanti ai passanti, scivolando da uno dei grattacieli che disegnano “orgogliosamente” lo skyline di Milano…

  22. La stupidità umana non ha limiti e magari questi credono di essere bravi e intelligenti….stupidi che provocano solo danni

  23. Rooftopping e alpinismo condividono esclusivamente la verticalità del percorso. Difatti è difficile che sosia di Belen e/o Achille Lauro si avventurino in montagna per aumentare il proprio cachet, mentre sui tetti imperversano e fortunatamente cadono, a volte.

  24. Effetto collaterale del superaffollamento e della costante crescita dell’inurbamento umano?
    Certo però che le immagini dal traliccio dei grattacieli più bassi che sbucano dalle nebbie non hanno nulla da invidiare alle più belle immagini riprese in montagna

  25. Si comprende oggi come sia stata oziosa ieri una discussione sulla chiodatura in montagna. Sarebbe meglio procedere al più presto ad una chiodatura standard sui muri delle città, soprattutto per tutelare la sicurezza degli sportivi che non hanno il pregiudizio della solitudine: in discesa possono tutti prendere l’ascensore con altre decine o centinaia di passanti. Del resto lo sport ha bisogno del pubblico e non si vergogna di confessarlo.

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