Monte Nona
(a goccia d’acqua sulla parete sud-ovest, dalle prime vie a quelle in artificiale)
di Alberto Benassi
Alpi Apuane, Alpe della Grotta, su iniziativa di Enrico Tomasin e dell’Associazione arrampicata APEX di Lucca, sabato 15 Luglio 2023 all’accogliente (e a me caro) rifugio Forte dei Marmi, sotto le pareti dei monti Procinto, Nona e Matanna, si è tenuta la serata Monte Nona – Storia di una parete. Moderatore della serata è stato lo stesso Enrico, mentre gli interventi dei relatori Alberto Benassi, Stefano Funck, Fabrizio Convalle, Roberto Vigiani e Andrea Poli, hanno cercato di raccontare, con i loro ricordi, esperienze e passione, i vari momenti che hanno caratterizzato la storia alpinistica della parete. Tra il pubblico, giunto numeroso, c’è stata anche la bella presenza del fiorentino Giovanni Bertini, uno dei protagonisti dell’apertura delle vie in artificiale sul Nona e autore di tante altre vie in Apuane.
Dopo un simpatica e piacevole cena, gentilmente servita dai gestori ai numerosi commensali sulla terrazza d’ingresso del rifugio, appositamente apparecchiata a sala da pranzo a cielo aperto, approfittando della bella e calda serata estiva, Enrico dà inizio alla chiacchierata al cospetto del suggestivo palcoscenico della parete sud-ovest dove, le storie che cercheremo di raccontare stasera, sono state scritte e vissute. Fare la serata qui all’esterno del rifugio Forte dei Marmi, invece che al chiuso di una sala, nel luogo in cui la storia è nata e vissuta è stata un ottima idea, (bravo Enrico) credo abbia dato ancora più calore ai racconti.
La prima relazione è stata la mia, L’esplorazione e le grandi salite in artificiale. In seguito Stefano Funck e Fabrizio Convalle hanno raccontato La classica moderna: Fantastica. A Roberto Vigiani il tema che gli competeva: Rigorosamente dal basso: Nona Sinfonia. In chiusura, Enrico Tomasin ha letto il testo di Andrea Poli, impossibilitato a partecipare in presenza: Ricordo di un sognatore – Leonardo Betti e il Fantasma del Nona.
In questo post, mi limito a raccontare il mio intervento, quello sulle prime vie e quelle in artificiale. Ho aggiunto anche qualche riflessione personale sulla scalata in artificiale, oltre a qualche aneddoto, personale, di giornate vissute sul Nona. Ce ne sarebbero anche altre, ma questa è un’altra storia.
Intervento di Alberto Benassi alla serata del 15 luglio 2023 al rifugio Forte dei Marmi
Andando per ordine storico inizio per primo, lo so parlerò di cose oramai morte e sepolte, non più di moda, ma qualcuno lo deve fare giusto per la cronaca alpinistica della parete. Il mio intervento di stasera, inizia dalle prime vie che tentarono di dare una timida soluzione alla parete sud-ovest del Nona, per arrivare poi a quelle in artificiale degli anni ‘60 e ‘70, che nel puro stile delle direttissime e delle super-direttissime dolomitiche, le così dette vie a “goccia d’acqua”, permisero di salire la parte più liscia e strapiombante.
Anche le Apuane, sebbene un po’ in ritardo rispetto alle Dolomiti, videro l’avvento del piccolo ma (pre)potente, chiodo a pressione, che con un lungo e faticoso lavoro di foratura della roccia, tramite perforatore a mano e tante martellate, permise il superamento delle pareti più lisce e strapiombanti.
Gli strumenti dell’arrampicatore in artificiale di allora erano martello, chiodi a pressione e a fessura, perforatore, seggiolino, staffe, cordino di collegamento con la base per tirare su materiale e viveri, vista la lunga permanenza in parete. Oltre a tutto questo bisognava armarsi di tanta, tanta pazienza e voglia di faticare.
Ma già allora ci fu un vento di protesta da parte di alcuni alpinisti. Reinhold Messner fu uno di questi, dopo aver ripetuto in Dolomiti alcune di queste super-direttissime, nel 1967 scrisse il suo famoso articolo L’assassinio dell’impossibile in cui criticava apertamente questo tipo di itinerari, ritenendoli un vicolo cieco in cui l’alpinismo di allora si era cacciato. Ed auspicava un ritorno alle vie in arrampicata libera sull’esempio degli arrampicatori degli anni ‘20 e ‘30.
La parete sud-ovest del Monte Nona quanto a forma e compattezza mi ricorda una versione un po’ ridotta della parete ovest della Roda di Vael, anche questa teatro di grandi vie in cui l’artificiale ha interpretato un ruolo importante per non dire determinante e risolutivo, come la via Buhl, la via Maestri, la via del Concilio. La Sud-ovest del Nona, assieme alla parete nord del Monte Bardaiano, è stata una delle ultime ad essere salite in Apuane. Ha sicuramente rappresentato per le Apuane un limite umano impossibile da superare, come avrebbe detto il grande alpinista inglese Frederick Mummery: “Absolutely impossible by fair means – Assolutamente impossibile con mezzi leali”.
Ma si sa, il limite è solo un confine da spostare. E’ proprio l’uso del chiodo a pressione che, in quel determinato momento storico, fa la differenza. Ma andiamo all’inizio.
1926 – Canale-camino Allegri
Com’è iniziata la storia alpinistica della parete sud-ovest del monte Nona? Purtroppo non proprio nel migliore dei modi. Il 27 giugno 1926 il giovane fiorentino Giulio Allegri decide di tentare il canale-camino che delimita a sinistra la parete. Per quel periodo è l’unico punto possibile. Il giovane è un visionario e decide di tentarlo da solo. Purtroppo la fortuna non è dalla sua, precipita e muore. Una lapide di marmo posta nei pressi della base del canale, sopra il sentiero, con scolpita una frase, è degna dell’alpinismo più eroico del tempo: il modo in cui si è ricordata la tragedia mi ha sempre lasciato perplesso: “s’infranse sorridendo a 27 anni”. Da allora il canale ha preso il suo nome. Il 20 agosto 1933, dopo un precedente tentativo del 15 agosto, il camino viene salito dalla cordata apuana più forte e intraprendente di quegli anni, i fratelli Sergio e Vinicio Ceragioli, in 3 ore. In realtà sembra che i Ceragioli siano stati preceduti in solitaria da un altro fiorentino, F. Brunetti, ma i Ceragioli non ne fecero menzione nella loro pubblicazione sulla Rivista del CAI del dicembre del 1937 n. XVI.
1959 – via Simonetti-Barsi
(Itinerario n. 163eb di Alpi Apuane, Guida dei Monti d’Italia)
Il secondo tentativo di risolvere il problema della parete, lo fecero il lucchese Annibale Simonettie lo stazzemeseGabriello Barsi, lungo l’evidente fessura che incide la parte alta del settore sinistro della parete. L’8 novembre 1959 risalgono la prima metà del canale-camino Allegri, traversano a destra per una cengia, superano una parete più articolata, e raggiuta la fessura, la salgono in artificiale con chiodi e cunei. Questo aggiramento permise loro di evitare la prima parte compatta e strapiombante della parete.
La via è logica ed evidente, ma il problema vero e proprio della parete liscia e strapiombante rimase ancora irrisolto. Furono usati 30 chiodi normali di cui 18 lasciati, la via fu aperta in giornata uscendo a “notte inoltrata” come pubblicato su Lo Scarpone n. 22 dell’1 dicembre 1959. La salita fu addirittura pubblicizzata come una grande impresa con articoli sul Tirreno e sulla Nazione.
La prima ripetizione, del 1960, è dello stesso Simonetti con il viareggino Cosimo Zappelli, quello che poi diverrà il compagno di Walter Bonatti in diverse imprese sul Monte Bianco.
Ma per la salita del settore più compatto della parete, i tempi non erano ancora maturi, bisognerà aspettare ancora qualche anno per un cambio di mentalità e soprattutto l’avvento dell’uso sistematico del chiodo a pressione. Così tra la metà degli anni ‘60 e inizio anni ‘80, furono tracciati ben quattro itinerari che hanno tutti un po’ le stesse caratteristiche: arrampicata prevalentemente artificiale con alcuni tratti in libera e tanto vuoto sotto al sedere.
1966 – via SUCAI Genova (meglio conosciuta come via Vaccari)
(Itinerario n. 163ed di Alpi Apuane, Guida dei Monti d’Italia)
La prima via ad essere tracciata nel settore centrale della parete, è stata la via SUCAI Genova (Sezione Universitaria CAI Genova): è la linea che più si adatta alle strutture deboli, cercando di collegare diedri e fessure anche se non mancano tratti compatti su pance lisce e strapiombanti. Riprendendo alcuni tentativi, in tre giorni dal 21 al 23 maggio 1966 i fratelli genovesi Gianluigi e Eugenio Vaccari portano a termine la via. In più riprese vengono piantati nella roccia circa 180 chiodi tra normali e a pressione, più qualche cuneo su un dislivello di circa 200 m.
Ma di chi furono i tentativi precedenti alla salita dei fratelli Vaccari? C’è chi dice addirittura dei fratelli Ceragioli, perché sembra che i due Vaccari abbiamo rinvenuto in parete un sacchetto con del materiale da loro attribuito ai Ceragioli. Sarà forse leggenda? Sempre belle le leggende che alimentano i miti. Come tutti i forti arrampicatori, anche i fratelli Ceragioli subirono di sicuro il fascino della parete. Quello che è certo è che ci aveva provato il fiorentino Giancarlo Dolfi accompagnato da Marco Poggi e poi i liguri Piegiorgio Ravaioni e Piero Villaggio (il fratello di Paolo Villaggio), che erano arrivati a circa un tiro sotto la cengia posta a due terzi della parete. Forse quel sacchetto era loro?
Su questa via molti dei chiodi a pressione in realtà sono una specie di rivetti casalinghi, dei tondini senza anello, dove strozzare dei cordini per poterci attaccare il moschettone della staffa.
La prima ripetizione di Mario Verin e Giustino Crescimbeni è di pochi giorni dopo, il 2 giugno 1966; la seconda e prima femminile dell’allora rifugista Gabriello Barsi con Tullia Bertolini (di sicuro la prima donna sul Nona) è del 9 settembre 1966, sembra in 15 ore; la terza di Gianni Calcagno e Alessandro Gogna l’11 settembre 1966 in sette ore. Questa via vede anche una ripetizione del famoso alpinista trentino Marino Stenico assieme ad Aldo Gross.
1969 – Via Licia
(Itinerario n. 163ee di Alpi Apuane, Guida dei Monti d’Italia)
La via Licia è sicuramente la via con più ripetizioni tra quelle in artificiale. Dopo vari tentativi la via viene conclusa nei giorni tra il 19 e il 23 marzo 1969 da Agostino Bresciani e Mario Piottiche dedicano la via alla Licia moglie di Agostino. La via sale subito a destra parallela alla via Vaccari, toccandosi con questa sulla cengia sotto la parte terminale. Da qui la Licia con un facile tiro in libera su una placca adagiata, si sposta a destra per poi puntare direttamente alla becca più alta della parete. Con un lungo tiro arriva alla base della becca e poi esce a sinistra. Anche questa è prevalentemente in artificiale con qualche tratto in libera. Sono stati infissi 190 chiodi tra pressione e normali su circa su 220 metri di dislivello. Successivamente gli stessi Piotti e Bresciani dall’ultima sosta, superano con un lungo tiro direttamente la strapiombante becca. Per questo la Licia si può considerare la super-direttissima della parete. La prima solitaria è del livornese Sergio Lucchesi (24 ottobre 1971) e sempre nello stesso giorno i fiorentini Giovanni Bertini e Mario Verin la percorrono in discesa disarrampicando tutti i tiri iniziando dall’uscita originale, evitando la variante della becca.
1971 – via dei Fiorentini
(Itinerario n. 163ec di Alpi Apuane, Guida dei Monti d’Italia)
Dopo alcuni tentativi con l’aiuto di Guido Canciani, Leandro Benincasi e Valdo Verin (fiorentini), il 3 e 4 luiglio 1971 i fiorentini Emilio Dei, Michele Lopez, Mario Verin e Giovanni Bertini, aprono la via dei Fiorentini. La via sale più a sinistra della via Vaccari, sulla verticale di una specie di punta secondaria. Anche questa è una via prevalentemente in artificiale, dove vengono piantati circa 150 chiodi, tra fessura e pressione, è forse la più impegnativa delle vie in artificiale del Nona per i tratti con una chiodatura più distanziata ed alcuni impegnativi tratti in libera.
Due interessanti aneddoti sull’apertura di questa via: i chiodi a pressione della via sono artigianali, ricavati dagli stessi apritori da una barra di 8 mm; e cosa più importante, durante l’apertura della via, per poter piantare i chiodi in modo meno faticoso e soprattutto più lontani, venne adoperata una particolare staffa rigida di alluminio, che permetteva alla persona una maggiore elevazione così da piantare i chiodi più in alto. Anche questa fu progettata e costruita da loro, con il contributo di Andrea Bafile, alpinista e ingegnere abruzzese, trasferitosi a Firenze: colui che inventò il dissipatore.
La prima solitaria (autoassicurato) è di Alberto Benassi l’8 settembre 2012 in dieci ore e mezza.
1982 – Via Corrado
Si chiude un’epoca. L’ultima delle vie artificiali della parete è la via Corrado che sale al limite destro della parete, oltre i grandi e gocciolanti strapiombi neri. Venne aperta nei primissimi anni ‘80 (1982?) in più riprese dai versiliesi: Agostino Bresciani, Mario Rosi, Luciano Sigali e Alessandro Angelini. Dopo questa apertura, si chiude l’epoca delle vie in artificiale della parete. L’artificiale almeno da noi, passerà di moda e le “staffe verranno appese al chiodo…”.
Il 10 giugno 2000 Alberto Benassi la sale in solitaria. In quell’occasione, dallo stesso, venne attrezzata una nuova ed aerea linea di discesa in doppia lungo il bordo strapiombante della parete.
Riflessioni
Mi rendo conto che parlare di arrampicata artificiale oggi, soprattutto da noi in Apuane, non è più attuale, è un po’ come essere fuori dal tempo, perché è una tecnica non più praticata, caduta in disuso, a molti sconosciuta e da tanti altri criticata. Mentre tutti conoscono la via Fantastica, credo che in molti oggi non sappiano dell’esistenza di queste vie in artificiale sul Nona. O quanto meno non si prende in minima considerazione la loro ripetizione. E’ un male o un bene? Non sta a me giudicare. Questo però non deve trarci in inganno: l’artificiale, soprattutto sulle grandi pareti, sulle big wall del mondo, è ancora oggi una tecnica praticata, spesso obbligata e risolutiva. Certo lo stile, la tecnica e le attrezzature si sono raffinate, e l’artificiale di oggi non è più quello delle vie del Nona, fatto di progressione da chiodo a chiodo. Nulla a che vedere come stile e difficoltà del nostro casalingo Nona.
C’è stato un tempo in cui le vie in artificiale del Nona erano ambite e abitualmente salite, avevano un notevole fascino, non passava fine settimana che in parete ci fossero cordate a far gara a chi ci metteva di meno, mentre una nutrita folla di spettatori, dalla terrazza del rifugio, seguiva ammirata le evoluzioni acrobatiche degli scalatori. Oggi che questi itinerari in artificiale sono praticamente dimenticati, ci si potrebbe domandare se vie della nuova era del Nona, come Fantastica, Nona Sinfonia e Fantasma del Nona, sarebbero comunque arrivate se prima non ci fossero state quelle in artificiale. Se le vie in “libera” di oggi, sono o non sono state una naturale evoluzione di quelle artificiali, se gli arrampicatori di allora avrebbero dovuto avere quel senso di rinuncia, aspettando l’arrivo delle generazioni future con le loro grandi capacità in arrampicata libera e tutta un’altra visione.
Sicuramente gli arrampicatori che allora aprirono quegli itinerari in artificiale sul Nona erano tra il meglio che l’alpinismo apuano aveva da esprimere in quel momento. Gente come i fratelli Gianluigi ed Eugenio Vaccari, Mario Piotti, Agostino Bresciani, Giovanni Bertini, Mario Verin, Alessandro Angelini, che non dissero la loro solo in Apuane, ma anche sull’intero arco alpino, dalle Dolomiti alle Alpi Occidentali. Tento una mia timida risposta che nulla intende togliere a quei protagonisti di allora, e alle loro realizzazioni: credo che le vie di arrampicata “moderna”, che negli ultimi anni sono state tracciate sul Nona, non siano una evoluzione delle vie in artificiale, ma abbiano una strada tutta loro, una conseguenza della ricerca delle difficoltà, e di una diversa visione della parete, visto anche l’innalzamento delle capacità tecniche e sportive. In fondo una via come Fantastica non ha nulla di alpinistico (e credo non lo volesse nemmeno), quanto piuttosto, essere una serie di monotiri di arrampicata sportiva uno sopra l’altro.
La prima via in artificiale del Nona che ho ripetuto, è stata la via Licia nell’ottobre del 1981 assieme a Giancarlo Polacci: per me fu una sfida, un sogno da coronare, ma penso anche per Giancarlo. Lui era in pantaloni alla zuava e calzettoni di lana, io con i jeans, chiaramente tutti e due con gli scarponi ai piedi. Per altro fu come fare una marachella, perché nel pomeriggio avevamo un impegno al rifugio Forte dei Marmi e arrivammo in ritardo. Ci prendemmo un piccolo rimprovero, ma allo stesso tempo i complimenti. Chiaramente del rimprovero ce ne fregammo e ci tenemmo i complimenti. Sicuramente salire queste vie ha rappresentato, per me, una crescita, fare quelle esperienze che poi mi sono ritrovato sulle pareti alpine. Ma oltre ad una esigenza di fare esperienza, c’era proprio la voglia di farle, un motivo di orgoglio, di vanto, perché da noi nel primissimi anni ‘80, le vie in artificiale del Nona erano ancora assai considerate.
Parecchi anni fa d’inverno, dopo aver dormito ad Aglieta, una casetta che usavamo come nostro rifugio sotto il versante nord del Procinto, andammo a fare la via Licia, eravamo in quattro, divisi in due cordate. Uscimmo tardissimo, bagnati dal continuo stillicidio del ghiaccio che si scioglieva e belli infreddoliti per le lunghe soste ai punti di fermata. Non fu affatto una salita scontata. A causa del ghiaccio che ricopriva il quarto e il quinto tiro, di norma i più semplici, per salire fummo costretti ad un lungo lavoro di cesello per ripulire la roccia con il martello impiegando un sacco di tempo. Alla faccia delle scale per polli…
Dopo aver ripetuto tutte le vie in artificiale, sono ritornato sul Nona cercando di nuovo l’avventura, così mi son preso la briga di volerle salire in solitaria, regalandomi tante ore di vita intensa e faticosa in parete. Su queste vie non ho cercato la gestualità dell’arrampicata, o la difficoltà pura, quanto piuttosto il senso del vuoto, il gusto di vivere a lungo la parete in solitudine, in una continua salita, discesa e risalita, che l’arrampicata in autoassicurazione, tecnica piuttosto complicata, impone. La sensazione strana che ho provato durante queste solitarie autoassicurate, è stata la percezione di non arrivare mai, di vivere una progressione a fasi, perché interrotta dal dover riscendere ogni tiro appena fatto, per poi risalire al punto di prima. Specialmente all’ultimo tiro di corda quando, fuori dalla parete e finita la via, sono dovuto ritornare giù per recuperare il materiale. Sensazione che mi ha provocato più fatica mentale che fisica, tanto da dimenticarmi parte del materiale che avevo buttato lì per lì in mezzo all’erba. Il giorno dopo sono tornato sul bordo della parete a riprenderlo.
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Ciao Alberto
una esposizione condotta con metodo, sia della parete, che dei personaggi che hanno contribuito a renderla fruibile. Certo è che quando salivo per le mie prime esperienze di arrampicata al rifugio, la becca del Nona, era sempre lì sopra al sentiero maestosa, a ricordarmi quanto ero inesperto. Però tutte le salite (poche), tutti gli aneddoti, le discussioni e personaggi combaciano col tuo racconto e riaffiorano particolari, che mi riportano a quel tempo quando raggiungendo sempre in ritardo gli attacchi delle vie potevo sentire lo stillicidio delle pareti e il tintinnio delle staffe, assieme alle imprecazioni degli Amici.
È stato bello viverle di nuovo grazie al tuo racconto.
Grazie Alberto di questa condivisione, una bella lettura, ritengo doveroso ricordare chi ha fatto cosa, perchè conoscere la storia è il primo passo per andare nel futuro.
ciao Roberto mi ricordo di te e della bella chiacchierata che si fece tra un tiro e l’altro. Te scalavi con una ragazza che arrampicava leggera leggera. Li per li non ci diedi peso, ma poi ripensando che ti chiamavi Roberto, mi venne il dubbio che tu fossi il Roberto Pasini che scrive qui. Ma orami eri andato via.
Interessante carrellata di vie e personaggi apuani. La parete del Nona fa paura solo a guardarla, per molti ma non per tutti.
Tempo fa’ ho incrociato il Benassi in una falesia marina del levante ligure ed ho notato che “si tiene” pure sulle scogliere!
mi fa piacere di aver fatto rivivere lontani ma cari ricordi di vita verticale apuana. L’augurio è che questi itinerari possano ritornare a vivere, magari a seguito di una sistemazione della chiodatura. Sarà un lavoro impegnativo e da appassionati.
Beh Alberto , mi hai fatto rivivere alcuni momenti oramai lontani della mia “storia” alpinistica. 1° gennaio del 1972, avevo da poco finito 16 anni (sigh..), con Emilio Dei (una dei partecipanti all’apertura della via dei Fiorentini) facemmo la via Licia sotto una bella nevicata che vedevamo passare a 10 metri di distanza per la parete strapiombante. Solo all’uscita ci fu qualche difficoltà ma non ricordo particolari problemi. Altre innumerevoli volte sia sulla Licia che sulla via dei Fiorentini fino ad arrivare a farle di “conserva” in due tiri, Beh, tempi ormai andati ma che hanno segnato la storia alpinistica anche apuana. Buona Befana
Senza togliere nulla a chi in tempi diversi ha ripercorso itinerari in artificiale credo di non sbagliarmi nell’affermare che lo spirito dei primi salitori era quello di vincere una parete apparentemente inaccessibile. Per affrontare tale iniziative bisogna essere “stregati”
L’evoluzione dell’arrampicata e’ sicuramente legata anche a quella tecnologica dei nuovi perforatori elettrici. Grazie al contributo di Alberto si ricorda una storia degna di essere raccontata
Tutto cambia e pure l’arrampicata. Ho avuto la fortuna di provare un pochino di artificiale con Alberto al Procinto. La fatica e la paura a tirarsi sopra quei chiodi a pressione sono sconosciute ai piú degli arrampicatori. Senza contare che non é per niente facile utilizzare le staffe!
A maggio del 2024, insieme ad altri due ragazzi si tentò la SuperForato, sull’omonimo monte, vicino al Nona. Il secondo tiro, con la sezione iniziale di artificiale, ci fece rigirare i tacchi.
Ogni tanto provo ad impratichirmi sulle staffe, sperando di riuscire a ripetere e concludere la Superforato.
Bravo Alberto !
Ha le sembianze e i colori dolomitici, gran parete.Per i più solo un freddo sasso invece a te Alberto ha regalato ricordi indelebilmente forgiati per sempre.
Bello!
E bravo Alberto che mi riporti a gli anni 80 , a quei chiodini a pressione che oggi mi creano un brivido . Al ricordo di un acquazzone improvviso e noi li ,sotto la parete del Nona, a ripararci