In alpinismo e all’aperto, avere successo non è solo questione di forza e resistenza. È una combinazione di preparazione fisica specializzata, tecniche adeguate e un approccio psicologico che prepara gli alpinisti d’avventura sulla via per la vetta. Cara Sur ha messo insieme il puzzle e ha messo a punto un metodo di allenamento evoluto.
Un rivoluzionario allenamento per gli alpinisti
a cura della Redazione di cumbresmountainmagazine.com
(pubblicato su cumbresmountainmagazine.com il 29 giugno 2023)
Quando si tratta di allenarsi, prepararsi a scalare alte vette, scalare pareti di ghiaccio o percorrere in bici i sentieri più selvaggi, è fondamentale chiarire che non basta andare in palestra.
L’allenamento tradizionale che un personal trainer può fornire, o andare a correre di tanto in tanto, non è sufficiente. Anche l’allenamento per altri sport ad alte prestazioni potrebbe non essere sufficiente, o adeguato, per quello che l’attività in montagna richiederà: terreno irregolare, condizioni meteorologiche avverse, gestione di elementi specifici di ogni attività, il corpo deve adattarsi all’altezza. E, soprattutto, capire responsabilmente i rischi e le misure di sicurezza da adottare, perché in montagna da un momento all’altro tutto può cambiare.
Per tutti questi motivi, è evidente che per raggiungere le proprie mete è necessario qualcosa di più dell’allenamento tradizionale. Cara Sur ha deciso di affrontare questa sfida: sviluppare la migliore metodologia di allenamento che riunisca tutto ciò di cui l’alpinista ha bisogno.
L’azienda ha riunito il suo team di specialisti in varie attività, che insieme hanno progettato un proprio sistema, che ha dato i suoi frutti nel corso degli anni, sempre basato sugli archetipi universali del movimento.
Metodologia non convenzionale
Questa metodologia è la scelta migliore per attività come trekking, arrampicata, traversate, spedizioni, alpinismo in alta quota, arrampicata su roccia, arrampicata su ghiaccio, kayak, canottaggio, mountain bike, equitazione, ecc. poiché unisce concetti e strumenti di diverse discipline, per creare un sistema unico, diverso da qualsiasi altro.
Tra queste discipline, possiamo citare tra l’altro callistenia, l’animal flow di Mike Fitch, spartan training 360, navy seal basic training, bootcamp (addestramento di tipo militare), percorsi a ostacoli (ocr), cross training. Ciò include l’uso di trx, mazze, kettlebell, battle rope, ecc.
Le sessioni non prevedono la solita routine in palestra, e neppure esercizi di gruppo in montagna, ma le attività si suddividono su piani diversi mese per mese, con elementi e fasi differenti, sempre però adattati a obiettivi particolari che sono fissati in relazione al tipo di attività che si svolge.
Alcuni benefici fisici di questa metodologia sono:
postura corretta, acquisto di energia e vitalità, aumento e miglioramento della mobilità, riduzione del dolore: ma anche aumento di resistenza e stabilità, miglioramento della composizione corporea, rilascio delle aree rigide, incremento del recupero post attività.
“Dimentica di andare a correre, come succede nella maggior parte dei gruppi“, dice Gabriela Peke Innamoratto, diplomata, insegnante, guida, istruttrice e proprietaria di Cara Sur.
Il metodo, chiamato “allenamento simultaneo”, combina costantemente forza e resistenza aerobica, senza correre chilometri quando non è necessario. Per chi pratica trail running o sky running, vengono applicate metodologie un po’ più tradizionali e aggiornate, come elemento specifico dell’attività.
Oltre alla preparazione fisica generale, vengono eseguiti interventi specifici: lavoro con lo zaino, pendenze di diverse gradazioni e terreni, allenamento in circuiti tecnici, ecc. Sono invece esplicati la preparazione dello zaino, i modi di camminare in montagna (con lo zaino, su neve, ecc.), l’uso di bastoncini, piccozze, ramponi, ecc.
Neurotraining: un fattore decisivo
Sotto l’aspetto psicologico, all’interno del gruppo gli stimoli lavorativi sono forniti a livello psicofisico. “Quello stimolo rappresenta ciò che spesso proviamo quando stiamo facendo, ad esempio, un’ascensione e sperimentiamo il tipico ‘non ce la faccio più’. Quella frase, purché non dipenda da un fattore ambientale o fisico che ci impedisce di proseguire con l’attività, è la resa psicologica che dobbiamo imparare a superare”, spiega Gabriela a tal proposito.
Le cosiddette neuroscienze sono la disciplina che rafforza la preparazione fisica e allena meglio per affrontare situazioni decisive in un’attività all’aperto. E quella che ci permette anche di comprendere le relazioni tra il cervello e le possibilità motorie del corpo.
Verso l’alto
Da quest’anno l’arrampicata sportiva fa parte dei contenuti di Cara Sur. Si pratica in ambiente urbano su altezze brevi, ma si può fare anche in ambienti naturali. L’obiettivo è la ricerca della difficoltà, a prescindere dai metri percorsi, che a volte possono essere davvero pochi.
Il materiale utilizzato è quello dell’alpinismo classico: imbrago, casco, corde, calzature adeguate, attrezzatura tecnica, ecc.
Chiunque può arrampicarsi. È uno schema di movimento arcaico, legato alla sopravvivenza dell’essere umano fin dall’antichità. La spinta a salire è radicata nell’ipotalamo e nelle esperienze motorie. Ecco perché un bambino può scappare dalla sua culla, quando non è ancora in grado di camminare.
Progettazione personalizzata
Ogni membro del team Cara Sur ha un piano personalizzato in base al proprio livello, obiettivo, tipo di attività outdoor svolta, esperienza, trattamento degli infortuni, età, caratteristiche individuali, ecc.
Ciò consente un lavoro individuale e un follow-up personalizzato, senza perdere il senso del gruppo, poiché un obiettivo comune è determinato dalla condivisione dell’esperienza. Inoltre, è inclusa l’assistenza virtuale per rispondere a qualsiasi domanda e accompagnare il processo di apprendimento.
Mettere in pratica
Affinché quanto appreso non venga riservato solo all’allenamento, Cara Sur gestisce mese per mese un programma di attività combinato al piano di allenamento, strategicamente distribuito in diverse zone dell’Argentina, per mettere in pratica quanto si è imparato.
Le attività sono molto diverse: kayak, arrampicata, ascensioni, spedizioni multi-avventura. Tour in bicicletta, trail running, esercitazioni per il raggiungimento di vette, sono tra le varie iniziative per mettere alla prova tutto ciò che si è appreso.
L’importanza del gruppo
Cara Sur si caratterizza per stringere stretti legami con coloro che aderiscono alle diverse attività. È che l’obiettivo non è solo allenarsi per raggiungere la condizione fisica, ma anche divertirsi, divertirsi e condividere esperienze di montagna con altri appassionati.
Le attività sono adatte a tutti. Nessuno è escluso o relegato, ma si cerca di favorire quel senso di gruppo che sarà fondamentale quando si va in montagna. Lì, l’apprendimento di ogni individuo sarà messo alla prova, così come le capacità del gruppo di servire al singolo.
Nella pratica dell’arrampicata succede la stessa cosa. L’attività è solitamente molto meno solitaria e i risultati sono sempre condivisi con chi si trova dall’altra parte della corda.
Come partecipare?
Le lezioni si tengono a Palermo, nel Parque Chacabuco, nella città di Buenos Aires e a Vicente López, in provincia. Con orari, costi e modalità diversi, anche online per chi si trova in altre parti del Paese o non può partecipare.
Per saperne di più e seguire Cara Sur, i suoi canali di comunicazione sono:
Whatsapp: +54 9 11 6167-1219
Instagram: @carasur.expediciones
Facebook: spedizioni sulla parete sud
E-mail: carasur.info@gmail.com
Web: www.carasur.com.ar
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Regattin. Visto che è notte e siamo fuori della fascia protetta posso parlare chiaro, tipo generale Vannucci 😀 ma certo, quello era un camminatore matto, animato da una tenacia indistruttibile e forse non solo quella. Non si fanno test antidoping sistematici in certi eventi. Perché è meglio non farli. Dovevi vedere l’abbigliamento, l’attrezzatura e il resto. Si riferiva al fatto che non aveva fatto gare di trail ma chissà cosa aveva fatto da solo. La volontà e la capacità di soffrire possono essere ferree, anche in uno fuori di testa, anzi, essere un po’ fuori di melone aiuta e a volte può permettere di fare cose incredibili. Il crinale è sempre molto sottile. Anche la storia dell’alpinismo è piena di tipi simili, border line. Ma pure il business e tanto altro. Pure i social. A volte eccelono in qualcosa di particolare, a volte si perdono, a volte rimangono confinati in piccole nicchie nascoste dove sopravvivono. Internet ad esempio è un rifugio ideale. Ci sono poi attività ed eventi che attirano come il miele certi tipi umani. Io ne ho visto un campionario abbastanza vasto, anche per lavoro, a volte ben mascherati anche per lungo tempo. Indistruttibili nella loro sostanziale fragilità. Ciao e buona notte.
Pasini. Circa teatrino estivo di Torino non è una questione di soldi in senso stretto, alquanto piuttosto di potere. Il messaggio in codice è: “se ho la forza di screditare pubblicamente la mia possibile prossima moglie, rendetevi conto – cari destinatari del messaggio – che posso dire davanti a tutti cose che riguardano voi”. Di più non mi sbilancio per non rischiare querele per diffamazione. Cerea.
Pasini, tanto per chiacchierare sul finisher del Tor con 25 km di allenamento. Chi arriva a Courmayeur la domenica, praticamente cammina sempre, i tratti in cui corre sono limitati a qualche leggera discesa su sterrata, ammesso di averne le forze. Credo che il soggetto abbia avuto nelle gambe almeno qualche trekking con un impegno discreto quanto a lunghezza e dislivello. Altrimenti da zero non vai avanti per oltre 300 km e non so quanti (25000?) metri di dislivello, sono balle. Poi puoi essere particolarmente dotato per natura, ma se Ondra invece di arrampicare avesse fatto altro, forse il 6b come prima via della sua vita, magari a 18 anni portato da un amico, l’avrebbe anche fatto. Ma non un 8a. Non so se mi sono spiegato.
Dimenticavo che nei trail c’era sempre chi tagliava, negava se era stato beccato e poi si vantava d’essere arrivato bene.
Qualche anno fa c’è stata pure una poco chiara vicenda al Tor.
Enri. Tu non hai idea di quanti personaggi particolari attirino questi eventi super sfidanti da 1000 partecipanti dove la parte competitiva riguarda i primi 200/300. È in modo più intenso, brutale e duro un po’ quello che succede nei grandi “cammini” mistici. Grandi catalizzatori moderni di un pubblico composito e di variegate emozioni e motivazioni. È roba diversa dal mondo dell’arrampicata, che anche lui non scherza come catalizzatore, ma manca questa dimensione di evento collettivo di massa. Ora basta e chiudo. Domani dovrebbe essere un altro giorno.
Ehi, Roberto, sono solo chiacchiere e io sono l’ultima a metter etichette.
Grazie, Enri, per la condivisione!
Io davvero per le gare di corsa non mi sono mai allenata granché. Raramente ho partecipato a quelli che vengono definiti “lavori” in pista perché mi piaceva correre senza pensieri, seppur in città.
E credo fermamente che uno dei segreti dei miei buoni risultati sia stato che correvo per la gioia di correre, non per ottenere un dato risultato o un premio (ho regalato tutte le coppe all’oratorio e per ricordo tutte le medaglie non realizzate in materiali naturali).
Per l’arrampicata è diverso perché l’incremento della forza è indispensabile.
Roberto,
io non credo a quelli che finiscono il Tor o cose simili e dicono di non essersi allenati. E ne conosco. E mi fanno pure un po’ irritare perché mica siamo dei cretini… ma soprattutto non vedo cosa ci sia di male a dirlo. In ogni caso contano i risultati: per il momento non siamo ancora arrivati a valutare le vie fatte anche sulla base di quanto ci si è’ allenati.
Ciao Grazia,
l’allenamento in palestra e ancor più su strutture artificiali è’ arrivato dopo il boom dell’ arrampicata sportiva. Prima ci si allenava in casa. Prima ancora ci si allenava su massi e comunque chi viveva in città’ e voleva fare fiato e gambe di certo faceva quello che il luogo permetteva. Qui a Genova tutti gli alpinisti hanno sempre sgroppato su per i monti, un esempio per tutti Gianni Calcagno che, con un lavoro “normale”, si allenava a tutte le ore possibili salendo su e giù’ dalla città’ ai forti ecc ecc.
Se si vuol fare cose impegnative bisogna allenarsi, per qualsiasi specialità. Non ho mai creduto a coloro che dicevano di non allenarsi, per avvalorare ancor più le loro prestazioni. Poi li vedevi di nascosto sporchi di magnesite fino alle orecchie o di notte sui sentieri sperando di non essere visti. Per le salite in montagna, se hai la possibilità’ di andare molti giorni alla settimana, allora la gran parte dell’allenamento te lo fai andando, intendo il fondo. Ma non si scala diciamo sopra il 6c senza allenarsi in modo specifico. Scalare bene dal 7a in su, su tutti i tipi di vie implica una dedizione importante in termini di allenamento che non può’ essere sostituita dal solo andare tutti i we o comunque andare solo a scalare e non allenare separatamente le varie componenti. E questo vale non solo sulle vie di falesia ma anche in montagna dove vie impegnative su roccia richiedono preparazione ed allenamento. Non è’ che vai sulla sud della Marmolada dopo che hai fatto 10 volte la Trenker alla prima torre di Sella. Si tratta di diventare più bravi e poter salire in relativa sicurezza vie più impegnative, e’ un allenamento a volte di anni che va fatto in modo specifico. E non c’è da vergognarsi, anzi è’ una bella parte del gioco, almeno per alcuni.
Grazia. Non mi va di essere considerato uno che formisce informazioni false. poi il tizio può anche avermi detto una balla ma la moglie me lo aveva confermato prima nelle ore in cui è stata con noi ad aspettare insieme al figlio all’arrivo e l’abbiamo confortata.con coperte e bevande. Certo una famiglia non “ordinaria”.
dal regolamento 2023TOR330 – Tor des Géants® e TOR130 – Tot Dret
Possono iscriversi tutte le persone, uomini e donne, che abbiano compiuto i 20 anni al momento dell’iscrizione (categorie da Seniores a Veterani), tesserati o no. Non ci sono limitazioni specifiche per l’iscrizione, ma è vivamente consigliato aver già partecipato ad altri trail lunghi (100km o più), di più giorni.
Ciao Enri,
anch’io quando arrampicavo d’inverno mi allenavo in palestra.
Ma mi viene da pensare che sia qualcosa che riguardi i tempi moderni, mentre in passato, forse, l’allenamento al di fuori delle pareti non era contemplato.
Che ne pensi?
Roberto, le “gare” come il Tor sono da un pezzo a sorteggio, come da un pezzo vengono richiesti requisiti e mi stupirei che un’organizzazione come quella non lo facesse.
E aggiungo che, per quanto ognuno di noi possa avere doti nascoste, che qualcuno che abbia corso appena 25 km possa cimentarsi in un’esperienza come quella.
Mi sembra più probabile che, con i fumi della stanchezza (e qui uso un eufemismo, visto che i lunghi asciugano nel vero senso del termine), siano saltati fuori i 25 km 🙂
Poi c’è il capitolo di coloro che hanno sempre detto di non essersi mai allenati e che i risultati raggiunti erano frutto solo del loro talento naturale, della loro forza mentale e che mai e poi mai si sarebbero abbassati ad allenarsi, visto che questa è una pratica necessaria solo ai quei poveracci, poco talentuosi, che devono sopperire alle loro mancanze con pesanti zaini e pesanti dischi da sollevare al trave.
…. qualcuno di questi fu però’ scoperto in atteggiamenti sconvenienti, appeso ad una sbarra o a correre come un forsennato su per i bricchi liguri…
Anche questo sarebbe un bel capitolo.
Certamente c’è’ chi e’ un po’ più portato e chi meno, ma io in montagna o in falesia su vie dure gente che non si allenava non ne ho mai vista.
Grazia. In quell’edizione del Tor des Giants si andava per sorteggio. I requisiti erano solo consigliati, da regolamento. Erano obbligatori solo per il Tor des Glacier. E te credo….
Crovella. Che delusione! Sempre sui soldi si finisce. Era così intrigante. Quasi come le storie sentimentali che racconta Gogna ogni tanto nella sua autobiografia. Non ci sono più le corna di una volta. Era bello anche il film con Mastroianni ricavato dal romanzo. Un bel ritratto di ambiente. Si fa ma non si dice.
Grazia, io sono un tipo abbastanza spartano, del resto nel precedente commento parlavo di metodo, non di scarpe. Per danni intendo crampi e svenimenti, e senz’altro il Tor des Geants citato da Pasini è più impegnativo e rischioso di una maratona – che a sua volta è più impegnativa di un trail medio /corto – ma il concetto è uguale. Dal mio punto di vista – e qui chiudo – questi restano pur sempre surrogati dell’alpinismo “vero”, che ho praticato, in passato, con meno problemi di adesso: forse ha ragione Regattin (42), è l’età 🙂
Buona montagna anche a te!
Pasini al 28. Vado fuori tema per alleggerire un po’. Il teatrino che si è consumato quest’estate a Torino, con connotati per nulla sabaudi (i veri sabaudi liquidano partner, collaboratori e dipendenti nel totale silenzio e nell’assoluta risetvatezza), non ha niente a che fare con la faccenda delle corna. Quello è solo il pretesto di facciata per fare una piazzata. In realtà la piazzata pubblica è stata un messaggio in codice, rivolto a uno o più soggetti del mondo degli affari (o addirittura al mondo degli affari in generale). Non so chi di preciso. Ma di certo ci sono sottostanti interessi economico-industriali molto rilevanti e che, con il clima da delitto d’onore della piazzata, non c’entrano un fico secco. Quanto meno non c’entrano in modo diretto. Leggere “La Donna della domenica” per comprendere la vera e profonda atmosfera torinese. Nessuno dei personaggi di quel libro avrebbe fatto una pagliacciata del genere. Se è stata fatta, c’erano dei messaggi da “recapitare” e gli interessati li hanno ricevuti. Cerea, neh
Roberto, se ci si muove presto o tardi qualcosa accade – ma pure se ci si muove poco!
Va bene andar per gradi, ma senza esagerare!
Impossibile che il tipo abbia corso non più di 25 km, poiché per partecipare alle gare di lunga distanza viene richiesto un curriculum con crediti di altre gare, proprio per arginare gli incidenti.
La sicurezza non esiste e non ci sono standard o regole buone per tutti: ognuno fi noi ha una diversa forma fisica, svolge una vita più o meno sedentaria, segue una fata alimentazione, ha forma mentis e spirito di prontezza diversi.
Al mio primo trail (30 km, +1000 m) sono arrivata quarta a 25 secondi dalla terza donna che si è sempre stracciata d’allenamenti. Per di più calzavo un paio di Asics di tela con appena una suola più robusta e non avevo camel back, ma un piccolo zainetto da cui traevo mezzo litro d’acqua e mezzo con sali.
È vero che Dio vede e provvede.
Segnalo questo link a un programma disegnato da Steve House. Mi pare un esempio intressante di approccio serio e ben fondato su basi fisiologiche solide.
https://uphillathlete.com/mountaineering/training-for-mountaineering/
31. È vero che con l’avanzare dell’età ci si trovi a disagio quando ci si allontana anche di poco dall’ultima protezione, ma ciò non è dovuto solo alla mancanza di abitudine, ma in gran parte anche alla percezione del rischio, che in età giovanile è inferiore a quella che ci caratterizza da quasi sessantenni. Personalmente continuo ad arrampicare anche su vie lunghe, ma oggi non ripeterei (da capocordata) molte delle vie salite a venti e trent’anni, a parità di livello in falesia. D’altra parte è anche grazie a questa caratteristica che si sono compiute, in tutte le direzioni, grandi imprese che hanno fatto progredire la nostra specie. Nella nostra attività, un misto di incoscienza, azzardo, desiderio di superare l’asticella, sogno, e tanto allenamento fisico.
Ciao Claudio,
quasi tutti cambiano scarpe ogni tot km perché qualche casa si è inventata l’importanza di una suola ben ammortizzata, ma questo non significa che sia giusto.
Non so cosa tu intenda per “danni”, ma io so per esperienza che ogni giorno è a sé: ci sono momenti in cui mi sento leggera come una farfalla e altri in cui mi sembra di portare pesi enormi. Queste condizioni dipendono da un miliardo di fattori – alimentazione, riposo, umore – eppure sempre io.
Per correre gare lunghe, certo il fisico deve accompagnare, ma ancor più importante è là mente o, se preferisci lo spirito.
Sono certa che dando la giusta attenzione alle tue paure, riuscirai a metterle da parte per fare ciò che ami, se davvero desideri fare alpinismo.
Buona montagna!
Grazia. Sai bene che dislivelli e lunghezze diverse richiedono preparazione specifica, che di per se’ non protegge dagli incidenti ma aiuta. Anch’io mi sono fatto male quando ero in gran forma, ma il recupero è diverso se hai una buona base. Se poi vuoi fare il Tor des Glacier è un conto, il Tor des Geants è un’altro, un altro ancora il Tor Dret e un altro il Tor de Malatra’ , per citare quattro percorsi che hanno parti in comune ma impegno fisico/tecnico/mentale ben diversi. Poi è successo che facendo qualche anno fa presidio agli arrivi a Courmayeur ho incontrato un tizio che è riuscito a portare a termine il Tor des Geants quando si andava per sorteggio senza aver mai fatto più di 25 km. Tranquillo e papale mi disse abbracciando in lacrime la moglie che lo aspettava di notte al freddo col figlio in braccio “Io sono partito e ho detto se arrivo arrivo altrimenti mi ritiro”. E ho anche visto come ci arrivava qualcuno che si era preparato per un anno e dovevamo portare in infermeria. Non siamo robot. Ci sono però delle buone pratiche che hanno una probabilità di efficacia. Poi ognuno è arbitro del suo destino e può sempre contare sulla protezione divina.
Grazia, hai scritto più in basso che “ad un certo punto nelle gare di trail è cominciata ad arrivare gente abituata a correre sull’asfalto”. Io ho fatto esattamente il contrario: anni fa, dopo essermi trasferito a vivere in un posto senza montagne degli Stati Uniti, mi sono iscritto alla mia prima maratona. Avevo alle spalle un paio di gare trail di oltre 50 km ciascuna, che avevo affrontato senza allenamento specifico, ottenendo risultati decenti, probabilmente grazie al fatto che all’epoca trascorrevo tutto il tempo libero in falesia e in montagna. Immaginavo dunque che la maratona, piana e molto più corta di quelle gare trail, non dovesse essere per me un problema, e in effetti fin quasi alla fine fu una specie di marcia trionfale. Poi andai in crisi e nei pochi km che mancavano al traguardo letteralmente strisciai. Fu lì che imparai l’importanza dell’allenamento. Ovviamente si può anche fare come dici tu: “per arrivare a fare lunghi, si deve semplicemente correre e l’allenamento vien correndo” (tipo Forrest Gump). Questo però, nel caso delle maratone, vale solo per i partecipanti senza pretese, che si accontentano di arrivare senza danni alla fine. Tutti gli altri si allenano con metodo. La mia storia finisce così: tre anni fa sono tornato a vivere a Belluno e ho pensato che, forte dell’acquisita coscienza atletica, sarei tornato a fare l’alpinista come ai bei vecchi tempi. E qui mi si è presentato un altro ostacolo imprevisto: la fottuta paura. Ci sto ancora lavorando, ma a questo punto credo che anche la mente sia allenabile. Almeno spero…
Mi sono piaciuti e sono d’accordo con gli interventi ultimi di Marcello e Umberto.
L’allenamento va intensificato al procedere dell’età.
I V+ di Vinatzer, Messner e Carlesso… richiedono pelo sullo stomaco che si traduce in buon allenamento psico-fisico, scioltezza e abitudine alle vie in montagna.
La falesia e il boulder servono per sviluppare e/o mantenere la forza ma poi in montagna salta fuori l’abitudine e l’esperienza ma dita forti e braccia che stringono aiutano molto. La resistenza conviene svilupparla in montagna e se aumenti la forza, aumenti anche la resistenza.
Insomma da giovane facevo il 6b in falesia e Dolomiti ed ora per fare il 6b in Dolomiti ho dovuto alzare al 7a in falesia ed in montagna faccio più fatica pur continuando ad alternare arrampicata sportiva ed alpinismo dolomitico.
Conosciamo tutti i fenomeni dell’indoor o della falesia che poi vedi rantolare sul V o V+ in montagna, magari old school.
Si aggiunga pure che i V+ citati da Marcello potrebbero essere 6a o 6a+ nelle palestre indoor e la confusione aumenta!
Trovo saggio il comportamento di Marcello che da guida deve allenarsi per garantire sicurezza a tutta la cordata: un ragionamento che a mio avviso va esteso a tutti gli alpinisti, guida, istruttori e semplici appassionati.
Per fare il Pilone servirà anche stringere il 6b e partire dal IV grado a giugno dopo aver fatto tanto sci-alpinismo mi sembra una gran cazzata o un gran rischio. Vabbè meglio non legarsi con questi sabaudi!
Roberto, per arrivare a fare lunghi, si deve semplicemente correre e l’allenamento vien correndo.
E non si evitano i malesseri solo se si è allenati. Io mi sono presa una storta nel 2014 che ancora sento a volte. Naturalmente una delle infinite storte della mia vita!
Quando ho corso la mia prima maratona – la supermaratona dell’Etna, 42 km /+3000 m – ho cominciato ad allenarmi tre mesi prîma, raggiugnendo 30 km in piano e appena 1,45 h in salita.
La fame vien mangiando!
Concordo con Pellegrini che in arrampicata sportiva si possano ottenere risultati soddisfacenti allenandosi molto anche da non più giovani. Ma si tratta di incremento di forza di dita e di resistenza che in arrampicata frontale possono sopperire alla venuta meno scioltezza dovuta all’età. L’esperienza aiuta tantissimo e tutto insieme fa superare anche gradi alti. Purtroppo, se ci si dedica anche all’alpinismo, si scopre subito che questo serve relativamente e che vanno allenati altri aspetti. Quello mentale soprattutto perché i rischi aumentano e non devono condizionare negativamente la prestazione mentre la stiamo facendo. Anche la scioltezza, sembra un’eresia, serve quasi più in alpinismo che in arrampicata. Faccio un esempio: lo zaino che ingombra e sbilancia, il peso del maggior materiale appeso all’imbrago, la distanza tra le protezioni che se vissuta male ci fa contrarre e fare più fatica fisica (oltre che mentale) e il confidare nel compagno, io le chiamo scioltezza, perché sono l’insieme di fattori che determinano la nostra efficacia e la nostra velocità di progressione. E, velocità=sicurezza!
Provate, se già non lo avete provato, a salire un diedro strapiombante di “solo” quinto grado superiore di una via di Vinatzer o di Messner in Dolomiti. Vi dovrete ritorcere su voi stessi inneumerevoli volte, fare spaccate molto ampie, spalmare i piedi mentre spingete su una superficie di dubbia aderenza col palmo di una mano in luogo di poter tirare una bella tacca netta anche se piccola, il tutto con la corda che a volte scivola giù per oltre 10 metri senza protezioni.
Ecco, se non vi sentite a vostro agio perché siete rigidi, per età, impreparazione, paura o stress, ve la fate sotto e se cascate c’è buona probabilità (mi ci metto anch’io, eh) di finirla in sedie a rotelle.
Eppure mica parlavamo di 8b+?!
D’accordo con Paolo.
Una delle ragioni per cui ho abbandonato il mondo delle gare di trail è che il pubblico e lo spirito a un certo punto sono cambiati: è cominciata ad arrivare gente di città, abituata a correre sull’asfalto e accompagnata ad ogni passo, sono incrementati i numeri di atleti assolutamente lontani dalla vita in montagna, sono aumentati gli incidenti e le pretese di servizi.
L’allenamento è in tutte le attività fisico, tecnico e mentale. Pellegrini giustamente sottolinea l’aspetto mentale: abitudine all’esposizione ad esempio o a protezioni lontane in particolare su placca ma non solo. Gli approcci ai tre aspetti sono diversi e si sono raffinati nel tempo. Poi ci sono gli obiettivi per i quali uno si allena. Dopo una certa età io non trascurerei l’obiettivo di prevenzione degli incidenti. L’età riduce non tanto la resistenza ma la flessibilità e la forza esplosiva. La massa muscolare inevitabilmente ad esempio degrada. Non c’è molto da fare. Basta guardare il fisico di un anziano anche molto allenato. Puoi compensare con la tecnica ma fino a un certo punto. Si può cercare di contenere il declino tirando su qualche peso e facendo stretching. È una gran rottura di palle ma può servire. Ovviamente dipende dalle motivazioni. Tutti i fisioterapisti che conosco mi dicono che dopo una certa età molti incidenti nascono proprio da qui : flessibilità e forza. E i tempi di recupero si allungano.
Cominetti, pienamente d’accordo sulle considerazioni che fai, sia relativamente al vivere la montagna sia al far prevalere gli aspetti pratici della vita su quelli teorici. E so bene che il termine “razza” usato da te non ha la valenza della stessa terminologia utilizzata da altri soggetti, politici e non. Nondimeno, “le parole hanno un peso” e non è solo una questione di ricamare la vita, ma di usare i termini nel modo corretto e non perché si è sempre fatto così.
Migheli, più approfonditamente, se ti inquieta il mio uso del termine razza, ti suggerisco di leggerti qualche mio racconto qui nel gognablog, così capirai che non sono di certo un razzista.
Ti do del teorico perché mi suggerisci di leggere saggi di genetica quando vivendo a stretto contatto con certi popoli ci si fanno delle esperienze (anche) antropologiche, notevoli. Due dei miei figli, un maschio di 34 anni e una femmina di 21, sono di madri argentine con sangue italiano , britannico, svizzero francese, spagnolo, araucano, austriaco e forse altro. Vivono a periodi alterni anche in Argentina. Questo per fare un esempio pratico.
Dove vivo è usuale chiedere a chi non è di qui “di che razza sei”? Ti assicuro che può anche essere affettuoso, oppure estremamente razzista.
Ma io la vita la vivo, non la teorizzo, per carità. Proprio l’alpinismo mi ha formato così perché la Natura (quella umana compresa), se la conosci solo in teoria e la studi molto sui libri, sottraendo prezioso tempo all’esperienza diretta, prima o poi ti schiaccia annientandoti.
Magari domani mi arriva un sasso in testa che mi fa secco, ma fino a un istante prima mi sarò sentito idoneo a fare quello che facevo. Ricami esclusi, ovviamente.
Massimo Bursi, confermo da vaghi miei ricordi le tue impressioni a caldo sul Philipp.
Concordo con te sull’allenamento tecnico alla difficoltà (saper scalare e sapersi tenere), che di fatto è il metodo più efficace di proteggersi in via, e quindi la mia posizione è molto lontana da quella di Crovella. Aggiungo però che se non si trasforma dalla falesia alla montagna il guadagno tecnico, in montagna non ci si muove con grande agio.
La mia esperienza da cinquantanovenne è: ad oggi il mio livello tecnico in falesia è fin quasi superiore a quello che avevo a 35 anni; ma a 35 anni avevo una familiarità alla distanza dalle protezioni ben più elevata, cosa che avevo allenato semplicemente praticandola, ed essendone sopravvissuto. Adesso che non scalo più in montagna, se non saltuariamente, le poche volte che lo faccio, psicologicamente sono ben più in difficoltà che anni fa.
Quindi: allenamento a muerte sì (con metodo, non come si faceva un tempo), ma allenamento anche alla tattica, altrimenti con un buon 7a si torna indietro anche sui 5c (VI+). In questo senso, estendendo l’ottimo ragionamento di Regattin sul trail, se non vai tanto in montagna, non vai tanto in montagna.
Ultima chiosa sull’allenamento: ho sempre trovato che per la montagna fosse ben più efficace l’allenamento sui massi che non sui lunghi tiri di resistenza/continuità falesistici; e mi son sempre dato come spiegazione il fatto che sulle vie difficili d’un tempo, la differenza spesso la faceva un breve passaggio più che una lunga sezione, e che quindi il 6b boulder “frequente” fosse molto meglio di un 7a falesia “frequente”. Che in termini fisiologici significa allenamento alla forza invece che alla resistenza.
Un saluto.
Migheli, sono contento di essermi spiegato.
I ricami li lascio ai teorici della vita.
Io per andare in montagna mi sono sempre allenato e continuo a farlo. Proprio perché facendo la guida alpina l’allenamento fisico si perde.
Certo che se l’obiettivo è il 4° grado tanto allenamento fisico non serve. E se vado con un cliente a fare la Walker, il pilone del Freney , la Solleder in Civetta, una via sul Fitz Roy, devo avere un bel margine per garantirmi una certa sicurezza per la cordata.
Si tratta pure di un discorso di coscienza. Ognuno di noi ha dei parametri entro i quali rientrare per considerarsi preparato.
Un problema tipico dell’invecchiamento è quello di pensare che siccome una cosa ti è sempre riuscita ti riuscirà sempre. Nulla di più sbagliato! Con l’avanzare dell’età l’allenamento va intensificato ed è anche bello sentire che conosci il tuo corpo e sai cosa puoi chiedergli (come e quando) e cosa no.
Ricordo che alle elementari studiavano che “il corpo umano è una macchina meravigliosa”. È proprio vero, e anche la mente ne fa assolutamente parte.
Sentire che la tua macchina gira bene nei posti che ti fa piacere raggiungere è una delle più belle sensazioni che si possono provare da vivi. Almeno per quanto mi riguarda.
#3. Notevole il concetto di “razza argentina” del Cominetti, che credevo limitata al dogo. Gli suggerisco la lettura di qualche saggio di Guido Barbujani, forse gli servirà a modificare la terminologia agée (ad essere benevoli).
Crovella. Torino è sempre Torino. Unica. Dicono che la signora protagonista della cronache estive adottasse l’approccio crovella. Si teneva in allenamento con continuità praticando. Dato il tipo di attività praticava con chi c’era disponibile. Il futuro sposo ha equivocato ed ha scambiato per tradimento ciò che era invece adottato come allenamento sul campo. Lui avrebbe preferito un allenamento più “artificiale” diciamo “a secco” ma sarebbe andato contro le abitudini e le tradizioni locali. Praticare, praticare sempre e ovunque possibile. Scherzo ovviamente, caro Crovella, perché qui da me diluvia e il trave non fa più per me, almeno per ora, dopo che mi hanno aperto lo sterno come un pollo. Ma investo sul kajak in attesa di tornare a mettere le mani sulla roccia.
Non c’è nessuna indicazione pratica per arrivare a salire il Pilone Centrale. Innanzi tutto, per ascensioni come il Pilone o la Walker, ci vuole un talento di fondo che non è da tutti. Ho citato l’esempio di due nostri amici che sono però gli unici del nostro ampio gruppo ad esser arrivati a fare il Pilone. Gli altri, compreso il sottoscritto, hanno come exploit salite tipo la cresta des Hirondelles o la Signal o vari altri Quattromila (raggiunti non proprio dalla semplici normali, ma da vie più impegnative). Non mi risulta che nessuno del nostro gruppo abbia mai fatto specifici allenamenti a secco. A esser sincero non mi risulta neppure di altri conoscenti torinesi (cioè di Torino, ma non della nostra Scuola). Pratichiamo la montagna in tutte le stagioni, questo è il segreto. E leghiamo una stagione all’altra, praticamente non smettiamo mai, fra scialpinismo, alpinismo estivo e arrampicata autunnale. Ora abbiamo allentato un po’ l’intensità, è vero, ma fino a 10-12 anni fa l’allenamento (secondo il nostro stile) era fatto da una stagione scialpinistica con gite tutte le domeniche da novembre fino ai primi di giugno, cui si appiccicava (senza interruzioni) una stagione alpinistica da metà giusto fino a settembre. poi si passava all’arrampoica in media montagna o addirittura in palestra fino alla prima neve , quando riprendi il giro con gli sci. così per 50 anni di seguito, garantisco che l’allenamento e il fondo te lo fai e soprattutto affini l’allenamento mentale che, in alta montagna, è la componente più rilevante di tutte. Nelle ferie di agosto, condizioni permettendo, ognuno realizzava quello che poi era il suo exploit dell’anno, arrivandoci in modo crescente dalla prima via di IV di metà giugno. Come exploit dell’anno c’era chi faceva il Pilone Centrale, chi lo sperone della Brenva. Confermo che i miei due amici che han fatto il Pilone (più, in altri anni, exploit analoghi), non mi risulta che abbiamo mai fatto allenamenti specifici a secco: non credo che abbia fatto neppure una trazione a casa. probabilmente in certi tardi pomeriggi primaverili (cioè quando c’è ancora luce fino a cena) sono andati a correre, questo forse sì, ma trazioni lo escludo. Anche perché, fra 10-12 ore al giorno di lavoro impegnativo cui aggiungere una famiglia con 3 figli e relative grane ogni giorno, non hai né tempo né voglia, dopo cena, di allenarti in garage o con la trave appesa in bagno. Cmq, non saprei dire perché, ma nel nostro gruppo non credo che nessuno si sia mai allenato in modo specifico. Certo, come ho detto facciamo sport in città (chi corre, chi va in bici, chi va in barca sul Po…), ma nessuno fa trave a go-go (in vita mia, io mai fatto neppure una trazione su trave specifica da arrampicata). Piuttosto, se riusciamo a ritagliarci una giornata di ferie, andiamo ad arrampicare in falesia o a fare una gita in sci durante la settimana: questo sì.
Le perplessità evidenziate circa la nostra “(in)sicurezza” in montagna sono del tutto infondate e derivano dalla scarsa conoscenza dell’ambiente alpinisti/scialpinistico torinese, perché (dopo oltre 50 anni di scialpinismo/alpinismo) sappiamo muoverci perfettamente in montagna (tra l’altro, a turno, abbiamo gestito e diretto la scuola torinese di scialpinismo, che è la più numerosa d’Italia: se fossimo degli “improvvisati” non avremmo saputo farlo).
La resistenza di fondo te la fai andando regolarmente, questo è il punto chiave. Di questo sono convintissimo, specie dopo 50 anni di applicazione di tale metodo. Ecco perché considero i programmi come quello trattato nell’articolo solo degli espedienti per spillare soldi ai malcapitati che ci credono. Discorso diverso se gli obiettivi sono altri (sia tecnici – fare l’8c – che atletici – fare i record nei tempi) oppure, all’opposto, se vai davvero molto saltuariamente in montagna: per esempio se fai una sola uscita al mese, allora sì che devi integrare con sedute cittadine durante la settimana, sempre che tu voglia avere un minimo di tonicità in gita (se ti accontenti di fare 800 m tranquilli, allora puoi anche andare una volta al mese e non allenarti, ma questo è tutto un altro discorso). Buon proseguimento di giornata, io me ne vado a fare un bel giro in bicicletta (ma per il piacere della bici, NON per migliorare le mie performance in montagna!). Ciao!
Cerco di spiegarmi meglio. Per allenamento intendo sia la preparazione muscolare, cardio ecc. che la preparazione tecnica, per progressione intendo invece quel tipo di strategia, in genere molto personale, con cui si cerca la “tranquillità interiore” (Benassi). Capisco che un allenamento preveda il concetto di progressione, ma non nel senso che intendo io. Ho fatto gli esempi dello skyrunning e dello sci ripido, che mi sono più congeniali. E infine, l’allenamento mi diverte molto, lo faccio volentieri. Certo, non si tratta di cose nuove (posso testimoniare personalmente di come si allenasse, molto, uno come Franco Miotto, per non parlare di Benito Saviane), ma qualche articolo in tema, di tanto in tanto, sarebbe il benvenuto.
Ps. Genoria & Enri. Da quello che so io la progressione o meglio i cicli sono parte essenziale dell’allenamento. Anzi, mi dicono quelli del mestiere che l’errore del fai da te e’ proprio quello di dare poca importanza ai cicli e alla programmazione finalizzata. Tempo fa mi ero proposto di fare in solitaria la Via Valais (un trail runnning diventato famoso negli ultimi anni) e avevo comprato il programma specifico di Steve House, poi a metà mi sono fatto male e ciao ma era proprio fondato sui cicli e la progressione. Credo che su questo ci siano vari approcci tra gli addetti ai lavori. Ecco l’importanza della corretta divulgazione/informazione.
In attesa di ricevere indicazione pratiche su come salire il Pilone Centrale senza allenamento infrasettimanale, concordo con molti concetti di Claudio (soprattutto l’importanza della progressione), di Alberto (preparazione tecnica, culturale, fisica e… buona tranquillità interiore) e con quelli di Enri (visto che siamo della stessa scuola di pensiero… allenamento alla muerte!)
Ritorno ed approfondisco il discorso del 7a se serva o non serva per il Philipp, a caldo, visto che sette giorni fa ero proprio su questa via! Penso che con Alberto ci siano piccolissime differenze semantiche che vale la pena di specificare.
Quest’anno ho fatto diversi 7a in falesia ma solo 3 a vista… uno mi ha addirittura richiesto ben 15 tentativi! (Attendo con ansia i commenti di Carlo Crovella su questo mio fare scimmiesco ed ossessionante).
Secondo una comune vulgata se fai il 7a lavorato, significa che fai il 6b a vista e sostanzialmente li fai tutti… (più o meno in quanto sappiamo bene quanto i locals cerchino di metterti i pali fra le ruote con vie assurdamente carognose per dimostrare la loro superiorità).
Ebbene considerando il Philipp con gradi moderni, non con le relazioni assurde da scala UIAA compressa ai 6 gradi, posso affermare con assoluta certezza che, escludendo i passaggi di A0 ex-artificiali, ci sono alcuni passaggi di 6b che devi obbligatoriamente fare in libera e non tirando i chiodi, uno di questi è statisticamente quasi sempre bagnato.
Ecco quindi che il 7a lavorato equivalente a un 6b “sempre e comunque” è un livello appena sufficiente per il Philipp.
Che poi i gradi “moderni” del Philipp siano ben più elevati dei IV+ e V+ gradi citati dal Kelemina e Dinoia (a mio avviso bisogna aggiungere +1 UIAA), ci sta! Altrimenti non si capisce come questa via fra le più impegnative delle Dolomiti sia solo una serie infinita di quarti e quinti gradi…
Mah …sarà che io parto sempre dall’esistente e penso con quello si debbano fare i conti. Molta gente che arrampica o va in montagna in vari modi oggi si allena con una certa sistematicità. Più che in passato. I motivi sono diversi e un’analisi richiederebbe un’altra discussione. Però è di fatto così e si tratta del pubblico “evoluto” . Poi ci sono quelli che vanno a spasso e a divertirsi al fresco e se ne fottono di tutte le proiezioni e i bisogni spirituali o di performance degli alpinisti. Allegri, vocianti e goduriosi, senza tante paturnie e grilli per la testa. Gli “evoluti” sono il target di un business non enorme ma neppure piccolo. Penso ad esempio al trail running: ormai Garmin è arrivata a vendere i suoi ultimi modelli di orologi a 1200 € . Computer da polso. O le scarpe con piastra di carbonio a 200 € ad imitazione di quelle per la maratona. Sponsorizzate dagli ortopedici, vista la quantità di traumi che possono produrre a chi corre sotto una certa velocità dove diventano un problema non una risorsa. Come ho già detto, credo che un po’ di informazione corretta in difesa del consumatore sia una cosa utile. Per esempio spiegare che non è il caso di ammazzarsi coi kilometri se il VO2 max scende visto che gli orologi lo calcolano con algoritmi proprietari spesso strani e non certo attendibili come una prova da sforzo. Per fortuna qualcuno in rete lo fa per il trail running anche se spesso e’ coperto dal marketing o dal rumore di fondo. Andrebbe fatto anche per l’arrampicata et similia. Chi lo farà avendone le competenze e senza ideologismi avrà sicuramente uno sconto sugli anni di Purgatorio.
Sono d’accordo con Enri. Posso aggiungere che, dal mio punto di vista, allenamento e progressione sono due cose diverse, entrambi importanti, in proporzioni che dipendono molto dagli obiettivi. Ovvio per esempio che se l’obiettivo è praticare competitivamente lo skyrunning, l’allenamento conta più della progressione (e a questo proposito, come Pasini, consiglio anch’io il libro di Steve House). La progressione invece ha un altro significato e cioè, come ben spiegato da uno dei più grandi di sempre, Stefano De Benedetti, “nel senso che si deve arrivare nel pieno della stagione con tutta una serie di salite facili e medie alle spalle, una specie di ricapitolazione di quella che è stata la propria evoluzione precedente, e che ti porta in maniera quasi inavvertita ad effettuare un salto psicologico che altrimenti sarebbe distruttivo”.
Molto d’accordo con Massimo al 17.
Mi sembra che si stia facendo un po’ di confusione.
Quello che è scritto nell’articolo è una proposta davvero di basso livello, indirizzata a chi, vivendo in città, vuole allenarsi tutti i giorni pur non avendo a disposizione montagne nelle vicinanze. L’articolo quindi mi sembra piuttosto inutile, parla di soluzioni molto grezze, già messe in atto da decenni, quindi nulla di rivoluzionario.
Venendo invece ai commenti precedenti e volendo mettere un po’ di ordine, dobbiamo innanzitutto porre una domanda: allenarsi per quale obiettivo? L’allenamento deve essere specifico, in ogni caso, in vista di quello che si vuol fare. E’ chiaro che chi vuole fare ascensioni in alta montagna, dove servono SOLO fiato, gambe non ha bisogno di chiudersi in un garage. Cosi come in un garage ti ci devi chiudere (e fare molte altre cose) se hai l’obiettuivo di una via su roccia difficile, per non parlare se ambisci a monotiri. Detto questo, non sono molto d’accordo con quanto dice Crovella, se ho inteso bene, circa il fatto che basti andare nel we, cosi come basti iniziare a frequentare la montagna a giungo per fare ascensioni impegnative ad agosto. Per una salita impegnativa (come quelle citate ad esempio) l’allenamento deve essere completo, programmato e realizzato mesi prima. Penso che questo sia giusto anche a livello mentale. Ricordandoci poi che la velocità in montagna vuol dire sicurezza, quindi più sono allenato a 360 gradi meglio è. Vero che si è sempre saputo che per fare certe salite ne dovevi fare prima una decina, in modo da avere percorsi a test ma in passato ho visto svariati casi di gente che ambiva a salite importanti, sostenitrice dell’andare solo nel we senza allenarsi in settimana, che poi ha passato svariate notti fuori non previste…
Qui in Liguria per esempio, siamo fortunati: tranne i mesi in cui la luce è minore, ci si può allenare sui monti nelle ore serali dopo il lavoro. Basta anche solo una volta in settimana (più il we) per aumentare di molto le proprie prestazioni di resistenza. E comunque un allenamento costante è sempre migliore per la salute del fisico (cuore, sistema muscolo scheletrico) che non andare il sabato e domenica e poi stare 5 giorni senza far nulla o quasi. Il fisico, in una settimana di inattività, arriva a perdere fino al 30% delle sue capacità. Molto meglio fare qualcosa anche in settimana.
Rispetto poi al fatto che stare chiusi in un garage non si sposi con l’amore, quello vero, per la montagna, può essere ma io sono un esempio che è possibile. Mi sono allenato per anni in tardissima serata chiuso nel box, dopo una guiornata di pendolare extra regionale giornaliero, se non lo avessi fatto ed avessi scalato solo nel we non avrei mai migliorato le mie prestazioni. Cosi come sono salito in cima a i monti dietro casa mia nelle ore più strane, al mattino alle 5 o alla sera con la frontale. Eppure, anzi, grazie a questi momenti, ho mantenuto vivo il desiderio di scalare anche quando molti fattori di vita te lo impediscono. E’ proprio quando fai cose strane che dimostri la passione per la scalata. Se poi questo possa essere considerato un segnale di malattia psichica, beh, ne sono certo: io sono ben felice che la scalata per me sia stata qualcosa di “ossessionante”. Tanto poi ci pensa la vita, con il passare degli anni e tutte le difficoltà di vario genere che capitano, a renderti razionale, paziente, saggio. Ma alla fine io mi ricorderò soprattutto di tutti quei momenti strani, un po’ da matto (comprese tutte le notti in garage e le sveglie in piena notte), fatti avendo nella testa una via, una salita. Nulla di più bello.
Ps
Per una volta sono d’accordo con Stefano: per allenarsi a salite lunghe, nulla di meglio che un bel po’ di bottiglie d’acqua nello zaino e via metri di dislivello (svuotandole poi in cima per preservare ginocchia in discesa).
Come ho scritto allenarmi mi sta, e mi è sempre stato sui coglioni. Questo però non vuol dire che sono contrario e che non mi sia mai allenato. L’ho fatto ma senza mai esagerare. Avrei dovuto farlo di più, ma ognuno ha il suo carattere e vive questa attività a modo suo senza schemi fissi. Com’è giusto che sia.
Come c’è la preparazione tecnica, culturale, c’è anche quella fisica. Su questo Bursi dice cose di buon senso, giuste anche per godersi un salita e non farla diventare un calvario. Poi che per fare il Philipp, ci voglia un livello da 7A , questo mi sembra un pò esagerato. Direi che ci vuole una buona resistenza fisica allo sforzo prolungato, perchè la via è lunga e sostenuta, che non vuol dire saper fare il 7A. Comunque nel più ci sta il meno e se hai margine tutto di guadagnato. Per fare le vie su una parete come la N. O. della Civetta, serve anche una buona tranquillità interiore.
E poi mi vengono a parlare di sicurezza in montagna!
(scusate per gli errori da telefonino/fretta)
Ho letto il commento 7 di Carlo Crovella e dissento completamente.
Io stento a credere che uno vada a fare il Pilone Centrale del Freney senza fare e saper fare una trazione, un piegamento o una sospensione: certo la via di IV grado puoi farla senza allenamento specifico MA in ogni caso la ritengo una pratica pericolosa anche sul IV grado e contrabbandare che si vada in montagna SENZA allenamento specifico.
Concordo sul fatto che si tratta sempre di bilanciare in maniera saggia le uscite in ambiente con gli allenamenti a secco, in indoor ed in falesia.
Leggendo la storia dell’alpinismo personaggi come Vinatzer o Carlesso si allenavano quando potevano ma comunque intensamente…
Certo che se puoi fare la Guida Alpina o comunque dedicare tutto il tempo in ambiente puoi anche trascurare FORSE (non sono sicuro) l’allenamento a secco inteso come trazioni, piegamenti, sospensioni e indoor…
Poi c’è da considerare anche l’età e la forza muscolare che fisiologicamente diminuisce.
Poichè mi sembra di capire che qui siete tutti maggiorenni over 50 vi porto il mio esempio personale. 60 anni… pur arrampicando da sempre in montagna e falesia ma abitando in pianura e svolgendo un lavoro d’ufficio per arrivare a salire il Philipp-Flamm in Civetta (forse paragonabile al Pilone Centrale) ho dovuto allenarmi duramente e con soddisfazione, alzare il mio livello in falesia al grado 7a e bilanciare vie in ambiente, corse, allenamenti strutturati per gli arti superiori, plastica, boulder…
Alla fine mi sentivo per bilanciato fra aspetti mentali e fisici. Ed inoltre è questione di sicurezza: sapevo che sarei riuscito a resistere.
Lo ammetto, non mi legherei volentieri anche su una via di IV grado, che potrei fare slegato, con un un alpinista che non cura e non da importanza all’allenamento. E se mi capitasse qualcosa? E se sbagliamo via e finiamo sul V grado? E se dovessimo salire tratti bagnati, sprotetti o friabili?
Mi meraviglio che in certi ambienti resista ancora l’idea rischiosa e assurda che in montagna non ci si debba allenare.
Pasini. Gli esempi cui fai riferimento tu sono esistiti e probabilmente anche io li ho concretizzati, seppur in modo indiretto (nel mio piccolo mi piace andare in barca sul Po, lo faccio per il piacere di fare canottaggio, ma NON come specifico allenamento per andare in montagna, ovvio che mi fa fiato e attizza i muscoli delle braccia, della schiena e delle gambe…). Però, con riferimento al tuo vissuto, un conto è correre al parco e fare trazioni alla sbarra all’aria aperta, altro conto è avere metodologie di allenamento progressivo, con tabelle e esercizi e prassi che io giudico maniacali.
Premesso che ciascuno ha i suoi legittimi balin (“pallini”, come si chiamano a Torino), io ho sempre affermato (e così insegno agli allievi) che se la montagna giunge a spingerti a chiuderti quotidianamente in garage (respirando l’aleggiante puzza di benzina…) a fare trazioni alla trave tassellata la muro, allora l’andar in montagna ha un che ti “malsano”, cioè non è più una componente sana dell’esistenza. Diventa un’ossessione, una specie di droga. E’ qualcosa di malato, di patologico: per questo me ne tengo ben distante e insegno a starne distanti. Preciso che sto facendo riferimento a individui che svolgono una vita “normale” in città (lavoro, famiglia, impegni di svariato tipo) e in più coltivano l’interesse per la montagna, cui dedicano in genere la domenica (o il sabato) e qualche giorno di ferie. Per altre tipologie di soggetti (guide o alpinisti professionisti, o gente che “deve” fare il record o il grado) i discorsi sono profondamente diversi. ma io faccio parte del primo gruppo e quindi ragiono con riferimento ai relativi standard comportamentali.
Nella miriade di miei interessi anche io dedico molto tempo alla montagna pur nelle giornate cittadine. Ma con altre finalità: studio, analisti, verifica della cartografia, ricerche bibliografiche. Dedico molto tempo a queste attività e quindi la montagna è costantemente presente nella mia esistenza. Anticipo una obiezione: perché consideri il tuo modo “cittadino” di vivere l’interesse verso la montagna come “sano”, mentre definisci “malsano” chiudersi in garage a fare trazioni? Non so dare una risposta oggettiva se non quella che mio padre faceva così e per osmosi familiare mi sono abituato fin da piccolissimo a ragionare così.
Ho sempre praticato molto sport in città, fin dai miei 8-10 anni, ma sempre per il piacere di praticare quegli specifici sport, non come allenamento per andar più forte in montagna. Per quest’ultimo, ci pensano le gite stesse. Se fai una stagione scialpinistica in cui vai via tutte le domeniche da fine novembre a inizio giugno… stai tranquillo che fai il Bianco in sci dai Grands Mulets (1800 D+ con arrivo a 4800 m) senza neppure accorgertene e non hai bisogno di nessuna corsettina supplementare al parco cittadino. Parlo per esperienza personale. altrettanto per la stagione alpinistica: inizi a metà giugno con una via di IV (la Malvassora al Becco Meridionale è un classico) e dopo Ferragosto, alla 15-20.ma via consecutiva, se hai i numeri fai in scioletezza il pilone Centrale oppure, se più modesto, fai la Signal al Rosa o lo sperone della Brenva o la cresta des Hyrondelles alle Jorasses. Non è necessaria neppure una trazione in garage.
Benassi. Confermo purtroppo. E non è una novità. Soprattutto in alcune attività e con pericolose conseguenze che si vedranno tra qualche anno. Qualcuno ha fatto riferimento anche qui ultimamente ad alcuni “aiutini” usati anche in montagna. Per questo è importante diffondere informazioni corrette sulle basi fisiologiche di certe pratiche e attività. È prevenzione primaria.
“Nessun pasto è gratis”. Se ti vuoi alimentare almeno una volta al giorno qualcosa ti devi inventare.
Regattin. Sul trail running sono più preparato. Hai perfettamente ragione. Bisogna fare kilometri ma farli in modo giusto. Non basta correre lunghi in continuazione. Se vuoi fare non le gare, ma percorsi di un certo impegno senza farti male e poi pagarne le spese devi arrivarci preparato dal punto di vista muscolo/scheletrico e cardiocircolatorio. Ripeto non per fare record ma per non farti del male. Il libro di Steve House “Training for the Uphill Athlete” al cap. 2 spiega bene la fisiologia della resistenza. Sul sito di Uphill Athlete ci sono anche materiali interessanti gratuiti. Poi c’è ovviamente il business e l’offerta commerciale a volte fatta di fuffa ma non è poi così difficile selezionare nel grande mare della rete. Anche le parole che vengono usate sono un buon indicatore. Come nei social (mi riferisco ad una discussione di ieri).
e si impasticcano pure…magari per vincere un prosciutto.
Sono dei ganzi.
L’allenamento mi è sempre stato sui coglioni.
Questo articolo ha un chiaro approccio consumistico.
L’industria del fitness che negli ultimi 20 anni ha sfornato novita’ a non finire pur di rilanciarsi ogni anno. Si è iniziato con i dischi di ghisa, poi i macchinari, poi lo spinning poi le kattlebel.
Questo perchè si satura un settore (i macchinari da far pesi) e allora bisogna mettere in testa al consumatore la nuova frontiera dell’allenamento… etc.
Stessa cosa qui. C’è la passione per la montagna occorre allora mettere tutto in business.
Personalmente l’unico allenamento è andarci in montagna. Proprio lo spirito autentico richiede la “presenza” e non stratagemmi che trovano il tempo che trovano.
Volete allenarvi e aumentare sempre piu’ la performance per raggiungere il picco di xyz? riempite lo zaino di bottiglie d’acqua o anche sassi (non troppi) e andate camminate in su…
L’allenamento da palestra serve solo se avete patologie che sono da affrontare gradualmente e in modo specifico.
Saluti
Crovella. Abbiamo ricordi diversi. A me pare che le pratiche di allenamento per l’arrampicata in montagna e non risalgano molto indietro nel tempo. Certo sommarie e generiche, senza i livelli di sofisticazione attuali. Alla fine della scuola, negli anni 70, ci fu detto chiaramente dagli istruttori che se volevamo progredire dovevamo praticare, praticare ma anche fare fiato e muscoli delle braccia. Con alcuni amichetti dell’epoca, pur avendo velleità modeste, si andava a correre stanchi morti dopo il lavoro alla Montagnola di San Siro, dove c’era anche una sbarra per i bimbi su cui ci si ammazzava di trazioni facendo a gara con le tipiche infantili competizioni maschili per la birretta finale. I più ambiziosi si comprarano anche le famose sbarre da stipite della porta, rischiosissime per la porta e per colui che si appendeva. Qualche anno dopo Paleari scrisse un bel racconto ironico in proposito sul tizio che crepa picchiando la testa sul water. Ricordo anche una sera in cui Ivan Guerini bimbo spiegò ad alcuni suoi accoliti al parco di porta Venezia i principi “mentali” del free climbing. Lo ascoltammo, ammirati, in religioso silenzio, sperando che non arrivassero i vigili, come al solito, a rompere le palle. Tanta acqua è passata sotto i ponti. Io vedo in palestra che oggi i ragazzi e le ragazze che vanno di brutto anche in montagna hanno fisici da catalogo (invidia pura) e questi sono frutto non di miracolo ma di fatica e sudore e metodo. Tutta scena per cuccare e apparire? Forse ma non credo, e i risultati lo dimostrano. Per questo mi piacerebbe che qualcuno che se ne intende spiegasse meglio i principi che stanno alla base dei metodi attuali di allenanento, anche se personalmente è ormai una pura curiosità intellettuale.
Il Carlo a cui mi riferisco non e’ Crovella. Per chiarezza.
Carlo. Demagogia a buon mercato. I tempi sono cambiati da quando si andava alla sera sulle roccette ai giardinetti di Porta Venezia a Milano ad esempio, e ci venivano pure alcuni operai legati al giro Cai. Oggi quegli operai che magari sono appassionati di bici, di trai running o arrampicano come dilettanti vanno in palestra, hanno garmin superevoluti e si allenano di brutto magari facendosi anche seguire da un trainer. Vai in Brianza o nella bergamasca o nel lecchese.
Io appartengo alla scuola di pensiero per cui non c’è allenamento migliore che fare gite. Facendole il fisico e la mente si abituano, millimetro dopo millimetro, all’andar in montagna. Ho sempre praticato tantissimo sport in città, fin dalle scuole elementari, ma sempre per il piacere di svolgere quegli sport e MAI come allenamento per andar in montagna. Non ho mai fatto una trazione né un piegamento pensando alla gita delle domenica. Forse ho rinunciato a quelche exploti aggiuntivo in montagna, ma mi sono preservato dal rischio di arrivare a saturazione di “cose alpine” e preferisco così. Di cose intriganti (sia con gli sci che d’estate) ne ho fatte “da vendere e da appendere”, come diciamo a Torino, e questa la miglior conferma che, per la “vision” che mi contraddistingue, ho fatto bene a fare così.
D’altra parte nel “giro” di conoscenti e soci di montagna, in cui bazzico da decenni, nessuno si allena in modo specifico. Almeno non mi risulta, neppure quando avevamo 20 o 30 anni. Chiaramente ognuno, sul terreno, esprime il potenziale che ha: se è un quartogradista, farà vie di IV, ma sarà felice e non frustrato e non si saturerà mai del fare montagna. Tuttavia, pur con questo approccio di totale assenza di allenamento cittadino (o casalingo, vedi trazioni in garage), chi ha talento e la testa giusta riesce anche a realizzare performance di pregio. Ricordo sempre due miei amici che, pur con l’approccio che ci contraddistingue (non allenamenti specifici), ma con i numeri mentali giusti, sono arrivati a fare il Pilone Centrale in assoluta scioltezza.
E’ ovvio che se vuoi fare l’8c in libera il discorso cambia, così come se il tuo obiettivo è fare i record, sia a quote alpine che, a maggior ragione, in Himalaya. Ma se se uno va in montagna per puro piacere domenicale, non ha particolare bisogno di allenamenti cittadini durante la settimana. Certo, se fai attività sportiva 2/3 volte a settimana (tipo corsa al parco, fitness, bici, canottaggio… ) è tanto di guadagnato, ma andare in montagna è attività fatta di esperienza intellettiva e di resistenza a lunghe fatiche, cose che si ottengono sul campo, non in palestra. Fa di più riuscire a far gita tutte le domeniche, in modo costante e costantemente crescente (sia di dislivello che di difficoltà e complessità) che andare a correre tutti i giorni (e fare gita solo 1-2 volte al mese).
Conclusione: questi programmi sono l’ennesima manifestazione del Circo Barnum che ha bisogno di inventarsi cose apparentemente “sfiziose” per sfilare soldi ai partecipanti.
“Questa metodologia è la scelta migliore per attività come trekking, arrampicata, traversate, spedizioni, alpinismo in alta quota, arrampicata su roccia, arrampicata su ghiaccio, kayak, canottaggio, mountain bike, equitazione, ecc.”
Con questa introduzione si sono già giocati la reputazione. Pretendere di aver trovato la soluzione unica di allenamento per tipologie di attività completamente diverse tra di loro, che necessitano evidentemente di lavori specifici, indirizzati a gruppi muscolari differenti per ogni attività, mi sa tanto di minestrone insapore, mi dà più l’idea di una preparazione per aspiranti Rambo, più che per discipline sportive.
“Senza correre km quando non è necessario” . Se vuoi correre un trail (dato che parla anche di trail running) devi correre eccome per allenarti, non diciamo sciocchezze.
A me vengono in mente molti grandi dell’alpinismo, polacchi e non, che come allenamento facevano 50 ore alla settimana di officina metalmeccanica ( in tempi in cui i diritti dei lavoratori erano ancora da venire)
I metodi di allenamento/apprendimento si sono evoluti nel corso del tempo, dal mitico metodo Caruso ai libri recentemente tradotti anche in italiano di Steve House, alla vera e propria enciclopedia di Lamberti e a pubblicazioni specifiche dedicate all’allenamento dei giovani. Alle pubblicazioni si sono affiancate proposte di corsi e attività formative a pagamento. Non c’è palestra indoor che non abbia un ampio portafoglio di proposte in merito. Sarebbe interessante che qualcuno che ha le competenze tecniche entrasse nel merito e facesse un’analisi comparativa dei diverdi metodi illustrandone i principi ispiratori. Pezzi come questo sono utili come informazione generica ma si capisce poco dei contenuti e degli approcci specifici. Speriamo che l’invito venga raccolto. Mi sembra che manchi allo stato attuale un quadro di riferimento.
Di cose così, in Argentina, ne nascono e muoiono decine all’anno.
Se non ci avessi vissuto potrei persino pensare che sia una trovata geniale.
Va tenuto conto che la razza argentina è comunque mediamente più forte e resistente della nostra e che i tempi di apprendimento sono nettamente inferiori ai nostri. Ovviamente sto generalizzando ma, il fenomeno visto dall’esterno, va considerato come imparagonabile al modello alpino cui siamo abituati.
La montagna è fitness e “buena onda” (fondamentale). Ora che anche nella capitale l’hanno scoperto c’è la corsa al turismo de aventura.
Se pensiamo che circa fino a 10 anni fa erano pochissimi gli argentini che sapevano dell’esistenza della Patagonia, per esempio, oggi ci sta che ci sia un boom di attività outdoor adattato al cittadino porteño.
D’altra parte nella capitale vive il 50% della popolazione nazionale ed è lì che l’utente va cercato e addestrato.
I tipi di allenamento sono tanti. Ma il problema di questi articoli, se giungono in ambiti non specializzati, è offrire una falsa e pericolosa idea di “ambiente naturale”, cui si fa cenno come se si trattasse di un percorso preparato da andare a fare.
Per carità, non entro nel merito della validità e preparazione di chi scrive.
Contesto il modello di comunicazione, decisamente per cittadini, abitanti urbani, che sappiamo tutti bene come approcciano la Natura.
Esagero, lo so. Ma comincio ad averne le scatole piene di vedere gente di città ridurre tutto a un fatto fisico e a una corsa all’orologio per tornare in tgempo a casa o all’aperitivo.
E questo articolo, se fuori contesto, potrebbe persino essere male utilizzato.
Forse il risvolto più positivo è che si crei una comunità con cui svolgere delle attività.
Per il resto mi sembra solo uno dei tanti modi per far spendere denaro a chi non vive in natura.
Penso che il miglior allenamento è fare esperienza senza una preparazione pregressa e che non sia possibile simulare tutto ciò che potrebbe accadere durante un’ascensione.