Una specie di verità

Una specie di verità
(Pensieri per un amico)
di Lorenzo Merlo (21 febbraio 2020)

Gliarchiviritrovati, senza spazi, è un libro autobiografico di Giuseppe Popi Miotti, conosciuta figura culturale di Sondrio ed ex-Guida Alpina. Un percorso fra… i monti è il sottotitolo.

Un giorno me ne ha donato copia aggiungendo qualche nota a voce. L’aveva scritto in pochi giorni e lo aveva curato come si fa con ciò che ci rappresenta.

Parlava e si capiva quanto ci teneva, quanto avrebbe apprezzato chi avesse visto la dedizione minutamente profusa tra le pagine.

Il libro è infatti un manufatto artigianale: la cura del lavoro aleggia da tutti i particolari che lo compongono: storia alpinistica, personale, tecnica, aneddotica, di saggezza. Tutto ponderato e bilanciato.

Ancor prima di leggerlo si sente l’affezione che l’ha creato. La si ritroverà nei pensieri e nelle parole.

Lo si legge e lo si sfoglia anche per soffermarsi su disegni e foto, per dedicarsi alle numerose testimonianze, alle didascalie, con un senso di scoperta, come abbiamo tutti fatto con l’album trovato nel baule in soffitta.

Le EB super gratton

Didascalie, riquadri, foto e disegni intrattengono chiunque si sia appeso al filo forte di serenità che collega le righe della storia di una vita, di un amore per i monti e per la Terra.

Pagine, la cui cura è anche nello stile di scrittura, semplice e immediato. Pagine che, da ovunque provengano, gentilmente afferrano e immediatamente restituiscono il centro della dimensione attraverso il quale Popi vede il mondo, se stesso, il prossimo, l’alpinismo, la montagna, la natura, il sé.

Dunque pagine come una specie di verità, venuta alla luce per suo conto, non pensata né ripensata.

Staffa “classica”

Pagine in cui è stato bello trovarvi la prospettiva olistica ed evolutiva con la quale traguardare nel mirino della vita. Le maiuscole impiegate per certe voci le rendono sacre e ci parlano di un Popi allo strato più profondo.

Un libro di alpinismo, dall’anima forse provinciale ma, dal respiro globale. Autobiografico ma, adatto a molti. In misura differente tutti possono ritrovarsi, anche senza essere valtellinesi.

Chi condividerà gli spunti offerti da Gliarchiviritrovati avrà materia per proseguire sulla via della ricerca. Un terreno dove i luoghi comuni, spesso molto sofisticati, scambiati per solida e unica realtà, si disperdono come la paura quando si entra in azione.

Se Un alpinismo di ricerca di Alessandro Gogna esprime una pietra angolare tanto dell’alpinismo (cambio di paradigma, da nazionale a personale) quanto della sua letteratura (gli alpinisti come uomini comuni, non più impavidi semidei), Gliarchiviritorvati nella sua personale intimità riprende e rinnova quella vena, il cui principale carattere era ed è nella trasparenza.

L’ho letto con interesse. Mi sono meravigliato più volte.

Se dicessi perché, ripeterei quello che ho scritto e riportato qui sotto per raccontarlo. Quello che ho scritto per farlo conoscere a chi non ne sospettava l’esistenza. Quello che ho scritto con ammirazione.

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Nel libro oltre a Popi e a tanti suoi compari che molti di noi conoscono da vicino o da lontano, ci sono una terza e una quarta figura. La natura e le sue forme, sempre presenti con la maiuscola, e la Voce. Questa, nulla ha a che vedere con i nostri permanenti desideri, ma con la nostra vera natura, compresa la quale l’ago della bussola finalmente si ferma, sappiamo chi siamo, che missione abbiamo, come svolgerla. Se i primi due punti della quadratura appartengono alla storiografia – Popi e i suoi amici – i secondi sono universali. Insieme compongono la forza sottile e l’equilibrio dinamico cosparsi tra le pagine del libro.

«[…] e io mi auguro che il lettore sappia farne l’uso migliore, cioè intraprendere il faticoso cammino del riconoscimento della Voce propria (dalla Prefazione di Alessandro Gogna)».

I misteriosi dadi degli inglesi, precursori di excentric e nut

Il registro delle vicende narrate, alpinistiche e di relazione, non cambia nel corso delle 180 pagine. La narrazione scorre tra brevi capitoli come ascoltando le storie di qualcuno cui teniamo. Una sorta di leggera ma confortante monotonia, mai corrotta da cattivi sentimenti, punteggiata non di rado dall’autoironia, pennella storie grevi e sublimi, passaggi epocali e faccende intime.

Ma non è una critica, anzi. Come quando nella sera estiva si cessa di rincorrere il dialogo interiore per ascoltare la sinfonia delle cicale e ritrovare qualcosa di noi, lo stile di Popi lascia venire a galla quel sentire che serve per cogliere il cuore del momento narrato.

«[…] ho cercato di usare uno stile rapido e semplice anche per descrivere fatti che a volte semplici non sono». (p. 11)

«L’eventuale valore sportivo o alpinistico di alcune vicende narrate è secondario e soggiace ad una considerazione più “estesa”». (p. 11)

I rigidones

In questa storia personale, piccola e a volte minimale c’è anche la storia grande e sociale dell’evoluzione dell’alpinismo. Ogni protostorico, come ognuno di noi è in qualche misura, trarrà un senso di comunità e appartenenza. Chi mai avrebbe sospettato che da quei freddi attrezzi, con i quali credeva di essere il solo ad andarci a letto, potesse diffondersi tanto calore?

Alla sua, alla mia generazione, bastano pochi segni per commuoversi e riconoscersi in esperienze che non potranno essere trasmesse ai nostri figli.

«Non c’era nulla… se non l’Alpe, le acque rombanti e l’abisso». (p. 17)

«Predisposto al sogno e alla fantasia, vivevo quei giorni di solitudine in montagna imbevendomi del mistero». (p. 17)

Quante le cose di noi che vanno perdute seguendo i sentieri ordinati delle mode, del buon senso, dei luoghi comuni, delle ideologie. Anche da Guida Alpina, Popi rifiuta di sedere sullo scranno dell’esperto, rinuncia a pontificare alcunché, raramente corre il rischio di cadere nel ridicolo ruolo del consigliere. E quando accade, non gli costa nulla riconoscerlo.

Galibier Royal Robbins. Semplicemente eleganti

«[…] mi trovavo a confrontarmi senza quasi alcun sostegno con i problemi grandi e piccoli della vita». (p. 18)

«Quello che mi spingeva ad affrontare le prime avventure era innanzitutto l’idea di esplorare, di entrare in un territorio per certi versi misterioso, non per impossessarmene, ma per farne la conoscenza». (p. 21)

«Ammirato, osservavo i gesti di questi semidei dell’Alpe, che mi apparivano come esseri superiori, padroni di un mondo selvaggio e rischioso, cavalieri delle montagne e angeli custodi per i loro clienti». (p. 23)

Le PA Pierre Allain

«Dopo gli entusiasmi iniziali che mi facevano digerire tutto, comincio ad averne abbastanza di quel tipo di nonnismo, ripromettendomi che se fossi diventato vecchio, non l’avrei mai applicato ad eventuali novizi; promessa che, in vero, non sempre ho mantenuto». (p. 37)

Non denuncia per interesse personale, per un tornaconto calcolabile o sperato. C’è un’etica che induce alla severità trasparente. Certe righe ce la offrono senza ridondanza, né compiacimento.

«[…] regole dell’alpinismo, o meglio, le convenzioni legate a quel mondo, mi piacevano sempre meno per lo stesso motivo per cui non mi piacevano, allora come oggi, le spesso ipocrite convenzioni del comune vivere sociale». (p. 37)

Excentric. 11 misure per la nuova arrampicata

«[…] mi ero trovato in un finto Olimpo dove, spesso, il valore di un individuo si misurava più per il grado superato e per il numero di scalate fatte che per le sue qualità intrinseche. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di ingenuo, ma al tempo stesso malsano, modo di intendere questa attività. Nell’apparente libertà di muoversi fra i monti vi erano invece sbarre e ceppi tipici di molti altri sport, con l’aggiunta di buone dosi di retorica, falsità e moralismo. Per essere un alpinista ed essere accolto in quel mondo, dovevi aver fatto questo e quello oppure, in alternativa, questo e quell’altro. Con l’accettazione veniva l’inserimento in un gruppo, in una piccola società rassicurante. Essere un alpinista, soprattutto un alpinista a tempo pieno, significava dunque per me essere qualcuno di particolare. Scoprivo che in questa posizione, seppure borderline, la normale società era anche disposta a concedere deroghe ai canonici standard di comportamento, deroghe ovviamente che erano benedette». (p. 37)

Non tutto è riferibile a tutti. Sentendosi impreparati, a volte si vive un senso di inferiorità o addirittura di colpa. Capita quando a qualcuno certi aspetti della narrazione sfuggono, magari il suo significato tecnico, storico o ambientale. Ma, si tratta sempre di carenze colmabili a breve. Non così per certe dimensioni esistenziali che, se già presenti in noi, anche magari solo nebulosamente, al posto di separazione e distanza, ci permettono il senso di una profonda compassione con chi le esprime.

Francesco Boffi Boffini. Probabilmente il migliore scalatore fra i Sassisti. Fortunatamente è andato a lavorare presto in banca evitandoci imbarazzanti paragoni.

«Molti anni dopo compresi in pieno cosa voleva dire non aver avuto un padre, ma al tempo stesso arrivai a chiedermi se proprio grazie a ciò io avevo potuto essere quello che ero». (p. 27)

Semplici come foglie d’erba, spuntano i riflessi accesi di un mattino che compirà il suo arco di vita fino ai caldi e morbidi colori di una comprensione di sé, di una accettazione della vita.

«I polpastrelli sono però anche un importante strumento di sensibilità. C’era forse qualcosa che non andava con l’altra sensibilità, quella più profonda e spirituale?». (p. 35)

Antonio Bosca Boscacci. Maestro dell’arrampicata in aderenza e guru del Sassismo. Luna Nascente e Nuova Dimensione sono suoi capolavori assoluti.

«L’esperienza mi ha fatto apprezzare ancor più quello che sono e la Voce mi guida verso mete possibili e forse meno rischiose». (p. 149)

Se Lammer ci raccontava di un uomo oltre, Preuss delle sue potenzialità, Messner della sua realizzazione, Gogna della sua ricerca, Twight della sua libertà, anche Popi dice cose interessanti per molti. Ci parla del segreto di essere se stessi, lasciando a noi intuire quale altro mondo creerebbero gli uomini compiuti rispetto a quello disponibile a soldatini e marionette, comandato da spiccioli interessi egoici, necessariamente forieri di scontri e conflitti. Ci parla di uomini e caporali.

Federico Fede Madonna. Istintivo scalatore “tutto naturale”. Niente muscoli, solo elasticità, equilibrio e velocità d’esecuzione.

«Perché c’è Magia nella vita di tutti noi, basta volerla VEDERE, basta voler ASCOLTARE, basta CREDERE. E poi, come dicevo un tempo: “ognuno ha le sue fortune”, attenzione però a non dare a questo termine il solo, riduttivo, significato di… vincita al lotto». (p. 11)

C’è una linea estetica che lega le pagine e, certo, i giorni di Popi. Un filo che lega e unisce la sparsa comunità che condivide certo pensiero. Lo si riconosce nel suo fuggire le positivistiche misurazioni, nel suo surfare l’onda neutra della natura, né amica né nemica, semplicemente madre e maestra.

Ovvero, nel suo mancare di darci sentore di vanità nel suo scrivere. Nel suo distribuire disegni e impaginazioni che nulla hanno a che vedere con qualcosa di scientifico e di calcolato, semmai di leggero e pulito, di ingenuo e autentico. Di equilibrato. Così pure nel tratto e nei colori che impiega, quasi lazzi infantili di un bimbo sporco di fango e pastelli. Allora, disegni d’amore per un alpinismo che scivola via senza la solita retorica in qualche modo, superba, avida, lussuriosa.

«[…] ad un tratto mi resi conto che pensavo di fare queste ascensioni più per gli altri che per me stesso, solo per spirito agonistico, tradendo la mia vera essenza». (p. 45)

Giampiero Giampi Masa. Il più silenzioso e pacato dei Sassisti. Forse abbiamo appreso più dai suoi silenzi che dalle sue parole.

Popi ci racconta del suo procedere attraverso passaggi biografici che si leggono come il time-lapse di una fioritura. Lui li osserva con insolita lucidità. Con altrettanta semplicità li descrive.

«Quell’episodio mi fece sentire “grande” e capace, all’occorrenza, di osare molto. Credo abbia cambiato il giudizio che avevo di me stesso come scalatore ed è probabilmente da quel giorno che mi orientai sempre più verso l’apertura di vie nuove piuttosto che verso la ripetizione di grandi classiche». (p. 45)

Come a colpi di machete nella giungla delle abitudini, è un procedere che con impegno riesce a ripulire dagli orpelli mondani, dai dogmi del sapere intellettuale e dalle carcasse di verità dei luoghi comuni.

Impara a distinguere cosa sente da cosa sa, a comprendere il significato di uno stato d’animo e la sua origine relazionale. Ridimensiona il credere e l’imparato per arrivare a sintonizzarsi sul sentire e non permettere più che la valangosa logica comune ne cancelli il segnale, ne mortifichi il valore.

«Solo su terreno vergine rinascevano tutte le motivazioni e la concentrazione necessarie». (p. 45)

Paolo Pilly Masa, ora Masescu. Potente fessuriano, completo su tutti i terreni e poi una delle migliori Guide alpine italiane di fine secolo scorso.

Il luogo comune del nascondere le parti meno apprezzate di noi non lo riguarda e il tragico non è esaltato per cavalcare qualche succedaneo della gloria e dell’eroico. L’attenzione sull’importanza di sé è una gabbia dalla quale si fugge una volta trovate nelle proprie tasche le chiavi del catenaccio.

«Un volo di almeno 27 metri. Sono frastornato, ma illeso: non ho toccato roccia». (p. 47)

Il libro e soprattutto il suo spirito sono un valore, un abbraccio a coloro che sentono e sanno di aver percorso la stessa via, per coloro che hanno preferito aprire se stessi piuttosto che ripetere le classiche avenue popolate di moltitudini in un andirivieni umanamente sconcertante.

«I crescenti dubbi sembravano spingermi lontano dai tradizionali ambiti dell’alpinismo. […] molti tentativi a vie di fama andarono a vuoto. A furia di insuccessi, dovevo rendermi conto dell’inutilità di questa specie di corsa a riempire il carnet con salite sempre più prestigiose». (p. 49)

Jacopo Pissimo Merizzi, Rivoluzionario, creativo e provocatorio talento naturale. Energia allo stato puro, spesso “pericoloso” per sé e per gli altri. Qui con Ilaria.

Quando il grado dell’anzianità o del titolo è interpretato da colui che può vantarlo come un’oggettività che lo dichiara definitivamente superiore al più giovane e al discente, aumenta il rischio di chiudersi quelle porte del percorso che solo euristicamente e serendipicamente posso aprirsi. Porte oltre le quali spesso non si trovano baroni e generali ma persone comuni, ognuna delle quali può accendere in noi proprio la luce adatta per schiarire angoli bui di noi stessi, i luoghi dove si annidano le prese e le spinte per superare difficoltà altrimenti invalicabili, per farci superare i passaggi impediti dalla nostra stessa arroganza.

La modestia – intesa come dote – quindi la capacità di cogliere da ovunque il suo necessario, pervade la narrazione.

«Contribuirà notevolmente a farmi riflettere e a farmi imboccare nuove strade, un articolo comparso sulla Rivista Mensile del CAI nel settembre del 1972; si intitolava I falliti». (p. 49)

Guido Gorillino Merizzi. Fratello di Jacopo. Pacato e fortissimo. Capace di sopportare silente e sereno fatiche e avversità. Il più forte di tutti noi.

«Dopo queste vie, mi sento forte e padrone dei miei mezzi come non mai. L’idea di affrontare qualche cima himalayana mi sta attirando e le recenti imprese di Tasker e Boardman sono uno stimolo. Mi capita anche l’occasione. Nel 1980 mi chiedono di partecipare ad una spedizione al Kongur Tagh 7649 m e potete figurarvi il mio entusiasmo: una spedizione con Alessandro Gogna e Gianni Calcagno, il Gotha dell’alpinismo italiano. Se ben ricordo, era la più alta vetta inviolata rimasta, ma ancor prima di entrare concretamente nel progetto la salita ci fu soffiata dal super team inglese di Chris Bonington, Peter Boardman, Alan Rouse e Joe Tasker. Da allora gli eventi mi allontanarono sempre più dal mondo delle grandi cime extraeuropee, ma non ne porto rammarico. Il mio è un alpinismo provinciale, fatto in casa come le torte della nonna». (p.87)

Le retoriche di linguaggio, di comportamenti, di attenzioni al superfluo e al formale non sono sopportabili una volta svestite dalle maschere varie che indossano, con le quali si travestono per prendersi la scena. Tutte hanno il marchio di un bigotto, seppur laico, moralismo. Una volta individuate, non si può più sottostare a tanta fuffa. A maggior ragione quando è chiaro che sono proprio loro a comandare il mondo.

Giovanni Pira Pirana. Detto anche ‘Gio’. Scalatore solitario di altissimo livello. Sue le prime solitarie alla Via del Fratello e alla Sud-est del Picco Luigi Amedeo.

«[…] entro in inevitabile conflitto con i miei maestri […] capisco che c’è un modo diverso di intendere l’alpinismo e l’arrampicata, un modo che oggi si definirebbe più eco compatibile, anche sotto il profilo mentale e filosofico. In particolare mi ispira lo scritto dello scalatore americano Gary Hamming, A la recherche d’un equilibre. (p. 50)

Dentro questi cambi di rotta, di scelta davanti a bivi che conducono a destinazioni che neppure sanno una dell’altra, non c’è solo la biografia di Popi. Ci sono i tratti essenziali di un cambio che è stato epocale.

Fino a prima era solo lotta. Poi quel valore ha perso il monopolio. In montagna si può andare anche riferendosi a graduatorie di se stessi. Le unità di misura eroiche, chi vuole le utilizzi pure.

Ivan Guerini in un famoso scatto di Miotti

I coscritti di Popi conoscono per filo e per segno quella curva secca. L’hanno vissuta mentre accadeva. Niente di sentito dire o studiato a tavolino.

Prima, come si legge, i rigidones [scarponi a suola rigida, NdA], poi i cechi con le scarpe da calcio dai tacchetti limati. Non era poco, e c’era molto altro. Nessuno ne rimase estraneo.

Oltre alle disponibilità indispensabili per fare anche dell’ortolano il nostro occasionale maestro, oltre alla capacità di prendere le distanze dai luoghi comuni, delle consuetudini dai grotteschi risvolti, anche altro può accadere in termini di indipendenza e lungimiranza.

«Ricordo che io parlavo d’alpinismo, ma spesso il discorso scivolava su Mao, il Vietnam o la rivoluzione, cose che a me interessavano pochissimo. O meglio, pensavo semplicemente che quegli splendidi ideali di cui sentivo vagheggiare non potevano essere imposti con la rivoluzione e che questa, invece di essere sbandierata, doveva essere prima di tutto coltivata interiormente. Patii questo momento perché mi sentivo ancora una volta lontano da ogni pensiero attorno». (p. 51)

Form Sport. Le EB dei poveri: 3000 lire al paio.

Attualità ed evoluzione possono avere ritmi differenti ovvero, la misura di se stesso non è mai pret a porter. Non la si trova mai nel pensiero uniformato sulle abitudini.

«[…] intravedevo minacce alla mia libertà anche dalle idee sessantottine; mi pareva, intuizione in fondo non del tutto sbagliata, che, pur cambiando casacca, al di sotto sopravvivessero sempre gli stessi difetti che si criticavano. Non molti anni dopo, rimasi piacevolmente disgustato dal meraviglioso cambio di opinione che molti maturarono nel tempo. Come nulla fosse, molti miei compagni passarono da Mao al posto in banca…». (p. 51)

Tanto affanno a capire come stanno le cose, in quale posto trovare il proprio ruolo, alla fine ha un culmine.

Jumar. Le originali.

«[…] mentre Guido Azzalea dormiva nel resto del furgone verde di Sandro Gogna. Tornavamo fradici e bastonati, […] e in quel diluvio temporalesco la scatola verde a quattro ruote si trasformò in un recipiente alchemico. Durante quel viaggio mi resi conto quasi con sollievo di non essere “solo”. […] Fu Sandro a parlarmi di Carl Gustav Jung». (p. 51)

Per uscire dalle ondivagazioni del relativismo spesso è sufficiente l’egoica autorefenza di se stessi. Ma Popi non pare il tipo di scambiare questa quinta per realtà. Sa che una falsa parete non conduce alla vetta di se stessi, che per ridurre il rischio di passare una vita nella risacca delle consuetudini consisteva nel trovare il proprio centro. Sa con il corpo, una specie di segreto per chi ancora crede al cervello come centro di comando.

«Il pensiero junghiano non spiegava solo il mondo com’era, ma addirittura si spingeva, senza mai affermarlo direttamente, a proporre una nuova religione. Forse proprio per questo, in Italia, tale messaggio, pericoloso per i difensori di uno status quo, è quasi sempre visto con diffidenza e snobbato dall’establishment culturale e religioso. Eppure, mai come oggi ci sarebbe bisogno di comprenderlo e accoglierlo». (p. 51)

Nonostante l’importanza di questo passaggio, il libro non si dilunga sulla critica al sistema. Dopo brevi soste e istantanee digressioni, procede, cammina scala.

Anche per questo Gliarchiviritrovati è uno dei più bei libri di montagna.
È possibile?
È troppo?
In assoluto è troppo.
Ma per certi versi, non secondari, no. Almeno per qualcuno.

Chi appartiene al sangue della rete di famiglie raccontate potrà dire la vera parola e posizione sul lavoro di Popi, purché il virus dell’invidia non abbia già infettato la bellezza delle pagine in cui un uomo, che vuole essere qualunque, racconta la sua personale evoluzione.

La mitica Troll Whillans sit harness

Certo, Popi non voleva fare un grande, o il più grande, libro di alpinismo, come non voleva neppure scrivere qualcosa sullo spirito umano. Ma raccontandosi, nel modo in cui l’ha fatto, ha realizzato qualcosa di più sentito e profondo, certamente di bello.

Jacopo Merizzi, Ivan Guerini, i Sassisti, l’airlite, porta Venezia, le PA, le EB, le RR, molti altri e molto altro emergono dalle pagine come frutti maturi di quelle stagioni.

Non pochi si troveranno a commentare quei momenti con un “sì è vero”.
Ma anche altro.

A chi ha sempre rifiutato la domanda su cosa sia lo spirito, Popi offre una risposta. Dallo spirito si concretizza la realtà.

Friend

«Tutto era scritto nella nostra fantasia, ora bisognava concretizzare il sogno». (p. 54)

E le cose andarono secondo il sogno e oltre. Realizzarono l’anarchia. Intesa come una comunità capace di assumersi individualmente la responsabilità di tutto.

«Ad essere sincero non ricordo una sola parola di quello che ci dicemmo e non sono certo fossimo tutti convinti e consci di quel che volevamo. Mi pare che a un certo punto stabilimmo semplicemente che avremmo dovuto combattere lo stagnante ambiente alpinistico del tempo, incrostato di convenzioni e rigidezza. […] Inoltre, sebbene fossimo un gruppo, decidemmo che non avremmo adottato alcuno statuto o regolamento e non ci sarebbero stati presidenti, consiglieri e segretari». (p. 57)

Gian Carlo Grassi

Tra le righe ci sono a volte piccole frasi per niente enfatizzate che sono elementi necessari per definire le caratteristiche di un’epoca alpinistica, per marcare il nuovo che portava e per fermarlo su sé – senza vanità.

«Intanto la zona del Sasso Remenno e la Val di Mello diventavano sempre più un laboratorio del gesto». (p. 58)

Fino al giorno prima la consapevolezza del corpo e il riconoscersi in esso non era stata parte della cultura castigata da certa morale cattolica, nella quale la carne aveva sempre la parte del cattivo e deplorevole.

Fu in quegli anni del Nuovo Mattino… «”Nuovo Mattino” secondo me è uno stato mentale e se non lo si possiede a nulla servono scritti, comportamenti o divise alternative» (p. 57) … e del Sassismo che la montagna da grande parete e grande vetta divenne roccia, inclusa quella mai prima considerata. Come in quegli anni lo scalare non fu solo resistenza e coraggio, ma movimento, interpretazione, gioco.

Un’aura spirituale rifletteva ora dalle parole dette e scritte dei protagonisti. Dentro la nuova visione del mondo e dell’arrampicata c’era il senso di un percorso rimasto vergine e contemporaneamente una critica feroce a quello battuto dell’ardimento patriotico. Del resto, chi c’era, vide nascere un arcobaleno che prese gli anni migliori delle vite di molti giovani entusiasti per il sogno realizzato. L’alpinismo con la retorica della fatica al primo posto la spuntava sempre meno su quello nuovo, più solare.

Alessandro Gogna (dopo la salita del Pesgunfi)

Popi nonostante il fiorire della storia arrampicatoria della valle, nonostante i tanti amici che ne colsero il profumo e il nettare, non si sentiva tanto da Val di Mello. Poca Val di Mello per me è un capitolo, dove ancora una volta non spende una lira per vantare ciò che non è o mascherarsi da ciò che è. Un argomento che ha un culmine al quale più d’uno si sarebbe sottratto semplicemente tacendo.

«Il Pesgunfi era un osso duro, noi non eravamo all’altezza e agli amici interessava di più la Val di Mello». (p. 62)

Quante volte una frase come questa non è stata scritta in buona o cattiva fede nel corso della storia dell’alpinismo?

Dunque molta carne al fuoco, come è per molte vite, ma sempre cucinata con attenzione, senza eccesso e ridondanza, senza bearsi di se stesso, senza separarsi dal resto del mondo.

«[…] un tentativo “brancaleonesco” sulla parete sud della Cima Viola».

«… un’ascesa, ma forse anche un’ascesi […] non una volta alzo lo sguardo per cercare la via: ogni lunghezza si collega naturalmente alla precedente e alla successiva». (p. 73)

Un angle piton

«Con l’arroganza della gioventù scrivo una premessa che accusa la nuova Guida Monti d’Italia CAI-TCI Masino-Bregaglia-Disgrazia, appena uscita, di molte imprecisioni. Solo qualche anno dopo mi renderò conto che la guida senza errori non esiste […] Tuttavia due lettere per contestare l’affermazione che la Guida Monti era poco omogenea nelle valutazioni mi sembrano ancor oggi un po’ troppe». (p. 75)

Ma il grande respiro composto di piccoli momenti non è dimenticato e a volte prorompe per il piacere di molti che riconosceranno, in quei fatti comuni a tutti, l’animo di Popi.

«Mani spesso congelate, abiti zuppi d’acqua di fusione, corde irrigidite dalla brina, intere lunghezze di corda senza protezione, balletto di equilibrio e delicatezza su ghiaccio sottile, pervicace lotta per uscire da un tiro ostico e faticoso, valanghe di neve polverosa che ti entra in ogni apertura delle vesti, ma soprattutto nocche delle dita schiacciate e peste da ripetuto urto contro le dure sporgenze del ghiaccio quasi ad ogni colpo di piccozza». (p. 81)

In quei momenti le dimensioni cambiarono. Non più vie col proprio nome o quello della bella ma evocazioni di filosofie lontane e sublimanti, di bandiere dissacratorie, di bandane e spinelli, per poi degradare – per modo di dire – in formule punk e skiantos.

La parete est del Liss del Pesgunfi

Patria e tricolore svaniscono, buttate nel precipizio senza senso di colpa. Tutti erano su un altro pezzo, meno impegnativo, più edonistico, inteso come filosofia di vita e critica ai borghesi. Lo scalare, da attività nobile e giusta a status di vita e succedanea ricerca libertà per vivere indisturbati tra le pieghe di un sistema contestato ma non più combattuto.

Un momento comunque rivoluzionario, dal quale gocciolavano anche cristalli di nuova consapevolezza.

«[…] Sono troppo pigro per affrontare le lunghe trafile preparatorie di una spedizione e poi ho l’impressione che quelle cime non mi “appartengano”. Non fanno parte della mia cultura e quindi perché scalarle? A parte un’esperienza al monte Istor o Nal, in Pakistan, non ne farò altre». (p. 87)

Le pagine de Gliarchiviritrovati sono pareti dove, con una spinta in su, ci si trova a pochi centimetri da una stella alpina o come boschi dove un fruscio rivela qualche suo abitante o un angolo qualche suo frutto. Così spunti, preveggenze e richiami escono dalle righe di Popi con la medesima spontaneità di fronte alla quale si gode del piccolo e puntuale privilegio come quando dalla roccia compare una sassifraga e dal bosco un camoscio.

Rampone Chouinard

«Gesti sempre più atletici che spesso mascherano carenze tecniche enormi, bicipiti scintillanti, dita incerottate, una moda a mio vedere ridicola, di lycra e para ascetismo. Non faccio parte di quel mondo e nemmeno ci tengo, ma è evidente che questo è il risultato della progressiva “mercificazione” dei nostri sogni. Il consumismo si è impossessato del “Nuovo Mattino” […] Avevamo creduto in un’arrampicata che fosse libera non solo sulle rocce e il risultato era invece qualcosa che sembrava esattamente l’opposto». (p. 89)

Quindi è bello, è un valore, leggere sentendo che mai la realtà viene coperta dall’inconsapevole adesione a ideologie e luoghi comuni. Anzi, Popi esprime se stesso e lo fa con la libera serenità che convinzioni, convenzioni e obblighi morali non consentirebbero.

«Dopo questa salita non provo più serie motivazioni. In qualche modo questo mio tempo era finito e dovevo…evolvermi». (p. 91)

«[…] con conseguente maggiore componente di rischio e un’apparente diminuzione degli aspetti creativi della scalata che per me sono prioritari. La logica della sponsorizzazione vuole, infatti, che si compiano imprese ogni volta più clamorose, ma mi chiedo quanta reale passione, quanta “arte” vi sia in esse, quale motivazione profonda». (p. 93)

È in sostanza una storia bellissima dove al posto dei grandi richiami di qualche sponsor, c’è un cuore che batte libero. Soprattutto che fa sentire il nostro sé, spesso dimenticato a favore di fittizi pavesi culturali.

«È evidente sempre più che non sono un alpinista, ma un montanaro. Non ho le stesse motivazioni degli atleti della roccia e del ghiaccio, vedo la montagna con occhi per certi versi antichi e sempre meno mi curo di polemiche, di gradi, di etiche. […] Vivrò dunque un lungo travaglio che alla fine partorirà la decisione di mettere sempre in secondo piano ogni interesse personale e di combattere ogni tipo di serio attentato ambientale alle “mie” montagne». (p. 95)

Non solo alpinismo, montagne e interessi personali. C’è un respiro più ampio, globale, sociale, critico, spirituale.

«Progressivamente ci stiamo abituando al brutto, al degrado e ci facciamo abbindolare da chi ci spaccia il disastro per progresso, per crescita. L’orrore non contamina solo i nostri occhi, ma anche i nostri cuori e i nostri cervelli: gentilezza e rispetto sono un fastidioso optional nei rapporti umani. E inevitabilmente questo degrado inquina anche le nostre menti. […] Oggi qualcuno ci vuole mettere in sicurezza a tutti i costi e ci vuole far credere che benessere, ringhiere e cemento vanno di pari passo». (p.99)

Argomenti che interessano tutti, che coinvolgono tutti, che aprono il libro a tutto. È già abbastanza per apprezzarlo, ma non è tutto. Altrettanti motivi più intimi albergano tra le pagine, fino a renderle forse irrinunciabili per chi conosce le pietre, le acque, i ghiacci descritti e citati, i loro nomi, le loro vicende, i loro gradi e caratteristiche.

È un commento sorto dopo aver letto il capitolo La grande alluvione del 1987.

«L’occasione di ridisegnare la viabilità della valle, di razionalizzare le infrastrutture si perse immediatamente nel gorgo dell’affarismo più sfrenato […] oggi posso tranquillamente affermare che dopo l’alluvione del fango fummo sommersi da quella del cemento e gran parte del verde fondovalle fu letteralmente lastricato da schiere di capannoni eretti grazie all’ignoranza e agli incentivi della Legge Valtellina per la ricostruzione». (p. 112)

Nut modello stopper

C’è anche qualche tratto educativo, più che per i modi e i contenuti, per sentirsi stimolati a guardare se stessi per accettarsi, rispettarsi, evolvere verso l’equilibrio e la bellezza, per scoprire gli angoli nascosti del nostro io, per la creatività necessaria a illuminarli.

In sostanza 180 pagine di storie e storia, ricordi, passaggi epocali, fotografie, disegni, interventi e amore, umanità, ascolto e lealtà. Di forza.

«[…] non posso fare a meno di aborrire decaloghi e regolamenti. […] prima delle regole, sarebbero necessari buoni e prudenti maestri». (p. 153)

Considerazioni che avevano necessariamente collegamenti con l’esperienza passata. Popi è stato per molti anni prima Aspirante e poi Guida Alpina, 1977-2015. Davanti alla deriva solo tecnicistica dei professionisti della montagna, ha preferito restituire il titolo al mittente.

«Come Guida Alpina ho fatto però da subito delle scelte, bandendo, ad esempio, l’uso dell’elicottero per fare lo sci fuoripista o per portare i clienti alla base delle pareti.  Pur comprendendo le esigenze di tanti giovani che vogliono vivere in montagna e di montagna, credo che dovremmo essere noi i primi a suggerire dei limiti, a educare. Sono tuttavia poco fiducioso che la Guida Alpina abbia la forza e il coraggio di assumersi questa responsabilità: molto più facile trasformarsi in una specie di “animatore” per fare divertire i clienti. […] La nostra credibilità non va oltre il mero aspetto tecnico; viceversa, io credo sia ora che la Guida entri nella vicenda delle Alpi non solo come distante icona di un modo di vivere la montagna, ma anche come testa pensante, coscienza attiva e proponente o all’occorrenza antagonista. In altre parole, come membro costruttivo del futuro delle Alpi». (p. 163)

Momenti di confessioni, di ammissioni, di rancori finalmente sciolti, di successi mai esaltati di liberazione da stereotipi e trucchi utilizzati ben in equilibrio forse di non facile imitazione, che fanno credere sia un libro maieutico per trovare una strada che sia la propria, per contare su di sé, qualunque siano le nostre doti e le nostre circostanze, per trasformare le sconfitte in magistrali lezioni da studiare, per non cadere nei recessi della vita buia, malata, triste. Non a caso solo 15 giorni sono serviti a Popi per scrivere tutto ciò. Ispirato.

Giuseppe Popi Miotti
Gliarchiviritrovati. Un percorso tra… i monti
Sondrio, 2013
Stampato in proprio.
pomiotti@gmail.com

Bibliografia di Giuseppe Miotti
Miotti G. e Mottarella Lodovico – Sul granito della Val Masinoscalate scelte, prima edizione autoprodotta, 1980; seconda e terza Edizioni Melograno – Milano, 1982.
Miotti G. – Bernina-Disgraziascalate scelte – Edizioni Melograno, Milano, 1982.
Miotti G. e Mottarella L. – Strutture di Valtellina – arrampicate in provincia di Sondrio – Zanichelli, 1983.
Gogna Alessandro e Miotti G. – A Piedi in Valtellina – Banca Popolare di Sondrio/Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1985.
Gogna A. e Miotti G. – Masino-Bernina-Engadinale 100 più belle ascensioni – Denöel Ed. – Paris, 1985 – tradotto in 3 lingue.

Corda doppia. 1972, ritirata dallo spigolo nord del Badile sotto la pioggia. Pioveva sempre allora. Preparare la via di fuga anche se non occorre è una strategia che nella vita può sempre essere utile.

Miotti G. – 90 itinerari sulle montagne della Valtellina – Moizzi Ed. – Bergamo, 1987.
Miotti G. e Mottarella L. – Alle Porte della Valtellina – Comunità Montana di Morbegno ed Edizioni Melograno – Sondrio, 1988.
Miotti G. – Quadernos patagonicos (8 monografie sulla Patagonia) – Tekint, 1989-1992.
Miotti G. – Traduzione dallʼinglese de Il manuale dellʼAlpinismo di Allen Fyffe e Iain Peter, 1992.
Miotti G. e Milani Marco – Valtellina viva – Banca Popolare di Sondrio, 1994.
Miotti G. e Milani M. – Ortles-Cevedale – Istituto Geografico De Agostini – Novara, 1994.
Gogna A., Milani M., Miotti G. – I grandi Spazi delle Alpi vol. II – Priuli & Verlucca Editori/Melograno – Ivrea, 1995.
Miotti G. – Il parco regionale delle Orobie valtellinesi – Ed Lyasis – Sondrio, 1995.
Miotti G. – Guida turistica della Valtellina e della Valchiavenna – Ed. Stefanoni di Lecco, 1995.
Canetta Nemo e Miotti G. – Bernina, Collana Guida dei Monti d’ Italia – Ed. CAI-TCI – Milano, 1996.
Combi Guido, Maspes Gianluca, Miotti G. – Dal Corno Stella al K2 e oltre – 125 anni della Sez. del CAI Sondrio. – CAI Sondrio, 1996.
Maspes G., Miotti G. – Masino-Bregaglia-Disgrazia – guida alpinistica – Ediz. Guide dalle Guide – Sondrio, 1996.
Canetta N. e Miotti G. – Rifugi alpini e bivacchi fra Valtellina Valchiavenna ed Alta Engadina – Ed. VEL/Guide dalle Guide – Sondrio, 1997.

Antonio Bosca Boscacci nel 2009. Foto: Archivio Antonio Boscacci.

Miotti G. e Selvetti Camillo – 282 itinerari di scialpinismo fra alto Lario ed Engadina – Ed. Guide dalle Guide – Sondrio, 1998.
Miotti G. – La Via del Tarci – biografia di Tarcisio Fazzini – Ed. Guide dalle Guide – Sondrio, 1999.
Miotti G. – La porta delle Alpi, con il fotografo Mauro Lanfranchi di Lecco. Cattaneo/Banca Popolare di Sondrio, 1999.
Miotti G. Vannuccini Mario – La Nuova Guida sul Sentiero Roma – Ed. Guide dalle Guide – Sondrio, 2002.
Miotti G. Vannuccini M. – Il Sentiero dei Ciclopi – escursionismo e vie di scalata al Sasso Remenno – Ed. Guide dalle Guide – Sondrio, 2005.
Miotti G. e Volken Marco – Pizzo Badile, cattedrale di pietra – Bellavite Editore – Missaglia, 2007.
Miotti G. – Lombardia Slow Foot – 150 escursioni in Lombardia – Collegio Regionale Guide/Bellavite Editore – Missaglia, 2008.
Comi Michele e Miotti G. – Monte Disgrazia – Picco Glorioso – Ass. Guide Valmalenco/Bellavite Editore – Missaglia, 2012.
Miotti G. – Cento anni sul Bernina – CAI Sondrio/Bellavite Editore – Missaglia, 2013.
Miotti G. – Gliarchiviritrovati – editato in proprio presso Bellavite – Missaglia, 2013.
Miotti G. – Tai Chi Shan, La Montagna dell’equilibrio – Ed. Versante Sud. Milano, 2019.
Miotti G. – La Via del Tarci seconda edizione ampliata. Ed. Versante Sud, Milano, 2020.

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Una specie di verità ultima modifica: 2020-04-14T05:41:59+02:00 da GognaBlog

13 pensieri su “Una specie di verità”

  1. 13
    albert says:

    leggo in data differita.
    La guida perfetta non puo’esistere in quanto le pareti sono soggette a continua evoluzione, in atto anche a stampa fresca o addirittura in fase di composizione del testo.Belle le immagini di attrezzature, pensare che alcuni le gettano via per far spazio in deposito di casa, ci sono due scuole di pensiero, ..fuori tutto il superfluo che crea ricordo e appunto tenere tutto a costo di ingombro.
    Remo Bodei La vita delle cose.
    https://www.youtube.com/watch?v=e4w9DoYaNRs

  2. 12
    massimo ginesi says:

    una recensione che è a sua volta un viaggio. e che mi ha fatto venire voglia di acquistare il libro. 

  3. 11
    Lusa says:

    Complimenti: ottima recensione!

  4. 10
    Luca Mozzati says:

    Comprato . Ora spero che lo spediscano.

  5. 9
    grazia says:

    La recensione è molto poetica, tanto lieve da portarci al tempo dei racconti e tanto profonda da farci sentire una parte di quel libro, anche se non vi siamo citati, e della Natura, in un turbinio ordinato di voci, colori, silenzi, avventure, incontri, essere e non essere.
    Spero un giorno di poter incontrare sia Lorenzo che Giuseppe e il resto del popolo del blog e, magari, parlare di questo libro (che ora non posso acquistare, ma l’ho messo nel ripiano più alto della mia libreria, quello dei volumi che vorrei far miei) e di tanto altro.
    Paolo, que bien que hablas de Carlos Castaneda! 🙂

  6. 8
    Paolo Panzeri says:

    Fabio, no, non pensarci, aborrisco i suicidi, penso che sia una enorme vigliaccata fatta in un solo attimo di estremo coraggio.
    Ti assicuro che continuo a fare piani e preparare fisico e testa per cercare di portarli a termine e se morirò, va beh, io sarò morto, di solito lascio le cose sempre in ordine.
    La malinconia per me è come il tepore riposando dopo una fatica ed è anche il ricordo delle persone che non sono più, qui Federico per primo.
    E poi lo stregone di Castaneda diceva quasi così:  “guarda avanti, mai indietro, né a destra né a sinistra, procedi senza mai conoscere l’attimo successivo, ma pronto ad affrontarlo”.
     
    Fa male la clausura 🙂 

  7. 7
    Salvatore Bragantini says:

    Grazie Lorenzo, per questa che vuol essere una recensione, ma alla fine ne viene fuori un ben motivato invito a comprare il libro.
    Lo farà il Mozz (e questa è già una notizia), lo farò anch’io
     
     

  8. 6
    Matteo says:

    Bello.
    L’unico appunto è che mi pare un po’ trascurato il Popi adepto, esegeta e guru dello spirito divino, diciamo così…
    Ricordo una sera col Capo, iniziata con lui che si scusava perché il posto dove ci portava non era abbastanza “lurido” (testuale); ma purtroppo non mi ricordo assolutamente come sia finita!

  9. 5
    Fabio Bertoncelli says:

    Caro Paolo, come disse quel tale, “resistere, resistere, resistere”.
     
    P.S. Se invece tu cercassi ispirazione per un onorevole suicidio (ma non mi sembra proprio il caso! 😂😂😂), ti consiglierei qualche bella poesia di Leopardi. 

  10. 4
    Paolo Panzeri says:

    Tante storie presenti nei miei ricordi ormai archiviati.
    Che dolce malinconia mi assale!
    Grazie.

  11. 3
    Luca Mozzati says:

    Stimo molto Popi e questa recensione mi incoraggia a stimarlo maggiormente.
    Comprerò il libro
     

  12. 2
    Giuseppe Miotti says:

    Caro Lorenzo. Ho letto… ho letto e sono rimasto basito. Comunque, al di là della monumentale, pazzesca  recensione, quello che mi fa più piacere – ma non dubitavo – è che il Lavoro – maiuscolo 🙂 – sia stato compreso e comunicato così bene. Quando lo partorii pensai che mi sarebbe bastato se anche solo una persona ne capisse lo Spirito – maiuscolo 🙂 -. Di sicuro non sei stato il solo – lo so – ma tu l’hai messo nero su bianco e quindi posso dormire sonni tranquilli sapendo ora che il desiderio si è esaudito 🙂 🙂. Che dire? Per ora Grazie – maiuscolo 🙂 -. Poi avremo modo di vederci e magari fare cose assieme come avevamo vagheggiato. 

  13. 1
    Paolo Gallese says:

    Questo non è un articolo, ma un vero e proprio saggio, in cui le qualità esegetiche di Lorenzo Merlo vanno oltre il limitato spazio di un volume breve. 
    Il racconto gentile di un’esperienza umana, tratteggia i dubbi e le istanze di una mente irrequieta, che si fa specchio di ciascuno di noi.
    È Merlo, con sapienza, ci guida nel labirinto dei pensieri e dei fatti, un labirinto tuttavia lineare, verso l’alto, come una via. Con tutte le difficoltà, gli appigli, le varianti che un’anima percorre nella sua salita, umana ed alpinistica. 
    Devo leggere il libro per cogliere l’epilogo di una vetta raggiunta, o di una rinuncia ponderata. Di certo, come nel silenzio di un bivacco, è il pensiero che riempie le attese prima di ogni nuova azione. 
    Un pensiero che nasce da un cuore capace di contemplare gli spazi e gli interstizi, della parete come del paesaggio che ci circonda. 
    Non è da tutti. Popi intimamente lo sa e racconta del suo. 
    Grazie Lorenzo. 

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