Uscite con il corso di alpinismo – 1 (1-2) (AG 1964-006)
(dal mio diario)
5 aprile 1964. Ore 7.30. Siamo a Voltri, per andare con il corso di alpinismo al Monte Pennone (sarebbe la seconda lezione di roccia). In programma è l’insegnamento dell’arrampicata in opposizione. Però sta piovendo, quindi si rimanda. Quanto alle lezioni teoriche, il 23 marzo c’era stata la seconda lezione di tecnica di roccia (tenuta dal direttore Enrico Cavalieri), il 26 marzo la lezione di geografia e geologia alpina unitamente a topografia e orientamento. Sempre Cavalieri, il 2 aprile, ci aveva intrattenuti con la tecnica di ghiaccio.
Non che oggi sia venuta molta gente all’appuntamento: e quei pochi che sono venuti, appena sentito il “liberi tutti” se ne sono scappati. Siamo rimasti in pochi, decidiamo di andare in Bajarda (Pietralunga). In auto andiamo fino alla stazione di Acquasanta, e da lì a piedi, ridendo e scherzando mentre smetteva di piovere. Siamo in dieci, di cui quattro istruttori. Simpaticissimi i due fratelli Gianluigi ed Eugenio Vaccari, come pure Vincenzo Bruzzone; un po’ meno Gianni Calcagno.
Dal Masso del Ferrante verso la Bajarda. A sinistra è la Cresta settentrionale, al centro il torrione più significativo, spaccato dal Gran Diedro Gozzini. Foto: RedClimber.it
Questa è considerata un’uscita privata, perciò appena arrivati al Masso del Ferrante, Eugenio ed io incominciamo ad arrampicare. Faccio un sacco di percorsi assieme agli altri, ma ognuno va per conto suo. E non è per dire, ma faccio valere le mie qualità. Poi Eugenio attacca il tetto che dà sul torrente, quel famoso tetto che con Marco Ghiglione avevamo fatto fino a oltre metà il 2 ottobre 1963. Lo assicura Gianni Calcagno. Eugenio sale con quattro chiodi e rispettive staffe. Parte poi un allievo, di circa 30 anni, amico degli istruttori. Dopo di lui, Vincenzo Bruzzone, quindi Gianni Calcagno e infine tocca a me. Ho voluto schiodare io, e mi viene concesso. Così faccio una fatica dannata, ma riesco a togliere tutti i chiodi. Quindi mangiamo. In seguito, io ed Eugenio andiamo a fare una parete al di là del torrente. Parte e la fa con due staffe. Io lo seguo, e dopo di me ci sono Gianni e Vincenzo. Intanto gli altri sono andati più in alto, verso la via dei Camini (nel diario, chissà perché, evito di raccontare un episodio che invece mi ha colpito molto e che ricordo benissimo: alla sosta, circa a una quindicina di metri da terra, sto facendo sicura a Eugenio che prosegue. Gianni è accanto a me e osserva che il mio modo di assicurare Eugenio non è corretto. Io oso contraddirlo e ciò scatena l’ira di Gianni che me ne dice di tutti i colori. E’ ovvio che mi zittisco e mi affretto a fare quello che dice lui… NdR).
Oggi le varie lunghezze di corda in zona Spigolo Rosso, via dei Camini, Diedro degli Svizzeri e Gran Diedro Gozzini sono attraversate da un itinerario che ne riunisce una buona parte, la via Classica, chiodata a fittoni. Questa è composta dalla Placca di Ubaldo (nome recente), Parete delle Clessidre (nome recente), Diedro del Tranviere (nome recente), via dei Camini e Gran Diedro Gozzini. Qui, in arrampicata sulla via dei Camini. Foto: RedClimber.it.
Raggiungiamo quelli della via dei Camini, salutiamo Piergiorgio Ravajoni che è arrivato assieme a Renato Avanzini e Rita Corsi ed è andato assieme a loro sulla via delle Placche Rosse. Intanto noi incominciamo a salire circa 15 metri a destra delle Placche Rosse, alla stessa altezza. Il 13 aprile 1963 con Alberto Martinelli ero arrivato qui salendo un diedro che ora è sotto di noi. La logica consegenza è che, quandio sono venuto qui da solo il 2 agosto 1963, ho fatto una via che non c’entra niente con la via dei Camini.
Attacca Vincenzo e va 25 metri più su. Poi, legato, parto io. Il passo più difficile è di IV-, però la roccia è bagnata. Ma arrivo da Vincenzo in un attimo. Poi vengono su tutti gli altri. E poi ancora finiamo la via dei Camini per una placca. Usciamo così sulla terrazza erbosa sottostante al Gran Diedro Gozzini. Qui ci fermiamo un po’ assieme a Ravajoni e agli altri due, senza far niente. Quando tutti sono arrivati, scendiamo al Masso del Ferrante, e lì troviamo ancora il tempo di fare qualcosa. Poi torniamo a casa.
Con questa gita ho indubbiamente posto delle basi per arrampicate future, in compagnia di tipi in gamba come i Vaccari.
Sul Diedro del Tranviere. Foto: RedClimber.it.
11 aprile 1964. Questa mattina sono qui al campo sportivo di corso Monte Grappa, invece di essere a scuola. C’è un sacco di studenti per le gare: sono in programma le comuni prove di atletica leggera. Decido di partecipare al lancio del peso, al salto in lungo e alla corsa dei 1000 metri. Nel salto in lungo mi piazzo dodicesimo su 25 concorrenti, con la misura di 4,47 m (mio record personale). Nel lancio del peso (5 kg) non ho molta fiducia, però mi piazzo tredicesimo, con la misura di 8,47 m, anche questa nuovo record mio. Infine, la corsa dei mille metri piani. La pista è di 195 metri, quindi dobbiamo fare circa cinque giri. Partono le prime due batterie, poi la terza (con me). Finisco sesto su una quindicina, col tempo di 3’19”e 4 decimi. Però nella classifica finale, su circa 85 concorrenti juniores finisco 13°. Mi rimarrà impresso il finale: mi mancava ancora un giro esatto, parto fortissimo e supero velocemente uno; poi riguadagno su un altro circa venti metri e lo supero in curva. Da lì mi presento sul rettilineo d’arrivo e concludo allo stesso ritmo veloce. Poi mi butto per terra perché sono esausto.
Le ultime lezioni teoriche sono state svolte il 6, il 9 e il 13 aprile: “preparazione e condotta di una salita” a cura di Ettore Marchesini (il presidente della Sezione Ligure del CAI), “alpinismo extraeuropeo” a cura di Anton Buscaglione e “medicina e pronto soccorso” a cura di Gianni Pàstine. Rimangono ancora due serate per le proiezioni di film di montagna.
In arrampicata sulla via Classica, proprio sotto al Gran Diedro Gozzini. Foto: RedClimber.it.
19 aprile 1964. Ci troviamo a Voltri alle 7.30 per la seconda lezione pratica. peccato, dovrebbe essere la terza. All’appello, una sorpresa: i gruppi sono cambiati e così io sono stato messo con Bernardo De Bernardinis, con Fascioli, i due fratelli Devoto e un altro. Come istruttori abbiamo Gianni Pàstine e Gianni Calcagno, ovvero quelli con cui domenica scorsa ho arrampicato alla Rocca Maccà. Comunque la prossima volta cambieremo di nuovo. Il tempo è brutto, e appena iniziamo a salire attacca a piovere. E piove, piove, finché arriviamo per una strada diversa alle Case Brigna. Qui sostiamo, un po’ incerti se continuare, ma poi andiamo al Picco Palestra, un satellite del Monte Pennone, quotato dall’IGM 571 m. Nell’attesa che si preparino io vado in cima, roba di pochi metri. Dopo un po’ cominciamo ad arrampicare. Con Fascioli e Chicco vengo preso da Pàstine; Calcagno si prende gli altri tre. Ma Pàstine si rende subito conto che noi tre siamo abbastanza sgrossati e quindi si decide a portarci un po’ più sul “sodo”. ma anche lì ce la caviamo. Poi, visto che i tre di Calcagno sono ancora un po’ da sgrossare, facciamo cambio di istruttore.
Ci troviamo sul versante est, quasi sulla cresta nord-est. E qui ci vengono dati i primi rudimenti di tecnica di opposizione in camino e in diedro. Tra l’altro ci nota Cavalieri, il direttore, e ci dice che andiamo benissimo. Poi facciamo un diedro, assai esposto, di circa IV grado perché qui la roccia non è delle migliori. Facciamo anche un altro diedro, perfettamente squadrato ad angolo retto e verticale, di circa 4 metri. Parte Gianni e lo supera: V grado. Fascioli non tenta neppure. Io lo faccio, e con ciò credo di salire nelle quotazioni di Gianni, dato che lo faccio pure bene, più o meno come lo ha fatto lui (cioè benissimo…). Chicco, chissà perché, non tenta neppure e si rivolge ad altro. Infine andiamo a mangiare. Nel pomeriggio abbandoniamo il Picco Palestra e andiamo alle rocce del Monte Pennone. Facciamo dei diedri, dei camini, e in ultimo delle corde doppie. Verso le 17 se ne vanno tutti, ma Calcagno e noi tre stiamo ancora qui per un po’. Come ha fatto a non piovere non lo so. Il vento era di scirocco, e da tanti segni si vedeva che il cielo era sempre lì per sfasciarsi. Cosa che è poi successa la notte.
(Tra gli allievi era anche quel Luigi Rovelli che, dopo un bel po’ di anni, è diventato vice-presidente di Corte di Cassazione, NdR).
In arrampicata sulla via Classica, Gran Diedro Gozzini. Foto: RedClimber.it.
25 aprile 1964. E’ una giornata splendida, una volta tanto siamo fortunati. Partiamo, muniti di tutto, per la Bajarda (Pietralunga), dalla stazione Brignole con il treno delle 6.10. Con me e Chicco sono due istruttori del corso di alpinismo, Carlo Morozzo e Federico Molini, che però andranno per conto loro. Già ad Acquasanta ci dividiamo, perché loro si fermano a fare colazione al bar. Noi alle 7.40 siamo al Masso del Ferrante, dove ci sono due tizi con velleità arrampicatorie. Ci fermiamo due minuti, poi proseguiamo sui passaggetti abbastanza pericolosi di roccia ed erba per arrivare all’attacco della via delle Placche Rosse, cioè lo Spigolo Rosso. Sono esattamente 12 mesi e qualche giorno, cioè dal 12 aprile 1963, che ho fatto questa via assieme ad Alberto Martinelli. Ma allora era brutto tempo, oggi è bellissimo e tira un vento che porta via. Il primo tiro lo aveva salito Alberto, dunque su questa lunghezza per me è la prima volta da primo. Parto e subito mi dà fastidio il vento. Il sacco che ho sulla schiena contribuisce a farmi oscillare. Mi assicuro a un chiodo in posto e continuo fino a un terrazzino. Pianto un chiodo di sosta e faccio venire su Chicco. Anche lui è molto infastidito dal vento, ma poi ce la fa bene e mi raggiunge. Continuo e arrivo alla lacca di IV grado. Il vento soffia fortissimo: per non correre rischi pianto un chiodo. Passo bene e proseguo fino alle terrazze erbose. Qui arrivano dei colpi di vento talmente improvvisi che, oltre a farmi sobbalzare, mi obbligano a girare di colpo la testa, come se ricevessi delle sberle. Comunque assicuro Chicco che supera magnificamente la placca con i suoi scarponi nuovi, belli duri, che sulle placche possono sfruttare i più piccoli appoggi. Giunti qui, posiamo i sacchi e andiamo all’attacco del Gran Diedro Gozzini. Mi sorprende la velocità della nostra arrampicata: l’altra volta, con Alberto, avevano impiegato due ore e mezza per la via delle Placche Rosse. Supero il Gran Diedro con un solo tiro di corda e senza chiodi, oltre a quello fisso. L’altro anno invece dovetti piantarne uno e attaccarmi con la mano al moschettone. Chicco segue molto bene, oggi è in grande forma. Anche nel Gran Diedro il vento non ha smesso di soffiare. In cima troviamo il sole, che per tutta l’arrampicata ci è stato negato dalla massa del monte. Da qui scendiamo per andare all’attacco dell’it. 10 aI, cioè la variante alla Cresta Settentrionale. Questa via è per me un brutto ricordo, dato che su di essa il 21 ottobre 1962 Alberto ed io abbiamo fatto tante scemate che la metà basta: su una fessura di 10-12 metri di IV grado abbiamo usato sette od otto chiodi con relative staffe, e per di più era arrivato Piergiorgio Ravajoni a trarci d’impaccio. mentr scendiamo per i gerbidi, vediamo in basso Morozzo e Molini. Siamo all’attacco della fessura-camino e parto. Procedo bene in spaccata, mi assicuro al chiodo fisso, proseguo e raggiungo con poca fatica la terrazza inclinata che la prima volta mi era costata tante fatiche e pericoli. Siamo osservati da Morozzo e Molini. Faccio salire Chicco che si disimpegna con bravura mentre lo assicuro da una sosta ricavata tramite un chiodo piantato da me. Chicco mi raggiunge. Intanto vedo Morozzo e Molini attaccare un diedro, che non dev’essere troppo difficile ma nemmeno facile. Continuo la mia via e arrivo, con passi di III e IV, con bella esposizione, sulla terrazza erbosa sovrastante lo Spigolo del Secchio e sottostante alla Paretina dei due Chiodi.Anche qui il vento si fa sentire forte. Faccio salire Chicco e subito dopo attacchiamo la Paretina dei due Chiodi, la quale non mi costa tante fatiche quanto mi era successo il 2 ottobre 1963. C’è un chiodo piantato, che faccio togliere da Chicco. La Paretina dei due Chiodi è un passaggio molto bello che richiede intelligenza. E’ di IV grado. Di qui scendiamo da Morozzo e Molini, all’attacco della via dei Tetti, a sinistra dell’attacco della via delle Placche Rosse. Loro se ne tornano a casa. Io attacco la via dei Tetti, che però ha la caratteristica di non avere alcun tetto da superare, bensì ci si passa sotto. Per un po’ vado bene poi, non vedendo più le frecce dipinte sulla roccia che individuano questa via, e vedendo da ogni parte verticalità, decido di scendere: non vedevo a cosa andavo incontro e questa via non è descritta nella guida di Euro Montagna. Così, per risalire agli zaini, Chicco e io ci facciamo la via dei Camini, di III e IV-, già fatta con i fratelli Vaccari e altri il 5 aprile 1964. In cima riprendiamo i sacchi e andiamo all’attacco del Diedrino. Mangiamo al vento e al sole. Dopo tre quarti d’ora riparto e mi faccio il Diedrino, molto meglio di come l’ho fatto il 2 ottobre scorso. In cima assicuro Chicco, ma questo non viene su, non ce la fa. Si rinnova l’episodio di Marco Ghiglione: possibile che dietro a me sul Diedrino non venga nessuno? Perché, francamente, non solo su Chicco ma anche su di me la stanchezza si fa sentire. Oggi abbiamo lavorato come negri e adesso qualche conseguenza c’è. Salgo su, levo i moschettoni dai due chiodi fissi e scendo non assicurato come ho già fatto con Marco. da lì scendiamo alla Placca del Triangolo, giù per erba e roccette traditrici. Giunti all’attacco mi faccio la via n. 10 d I, da me già tentata da solo il 2 agosto 1963 senza alcun attrezzo alpinistico. Faccio la via, ma male. Così decidiamo, dopo che anche Chicco è venuto su, che per oggi basta.
Scendiamo al masso del Ferrante, ci diamo un po’ da fare in artificiale su una paretina, ma poi smettiamo. Ad Acquasanta, con il treno delle 18.41, a casa.
In vetta alla Bajarda, verso Genova
Questa gita è stata rimarchevole: in primo luogo perché finalmente ho fatto delle cose qui con tutti i criteri di prudenza (cosa che mi riprometto di fare sempre); in secondo luogo perché siamo andati veloci e bene su tiri ben alti da terra ed esposti. Abbiamo sveltito le manovre perché abbiamo messo in pratica gli insegnamenti del corso di alpinismo che, se all’inizio poteva sembrarci qualcosa di un po’ inutile, si è invece rivelato utilissimo, soprattutto per le regole fondamentali di prudenza. Prima andavamo allo sbaraglio, o la andava o la spaccava. ora invece è iniziato un nuovo periodo.
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Io sono quell’allievo di circa 30 anni che ha fatto il corso, si fa per dire, con te.