La professione di Guida secondo me

La professione di Guida secondo me
Intervista a Giuseppe Popi Miotti
(dall’indagine Guide Alpine a confronto – 5 domande per 5 guide della Lombardia condotta da Renato Frigerio e pubblicata su Uomini e Sport n° 9-2012 (Rivista aziendale di Sport Specialist)

Una attività, quella da te intrapresa, dettata da pura passione, o come valida soluzione professionale? La tua cioè è stata una scelta dove a giocare è stato un irresistibile amore per la montagna, per cui starsene lontano, anche se solo saltuariamente, avrebbe comportato di soffrirne la mancanza? Oppure diventare guida alpina costituiva per te l’opportunità, comunque degna di approvazione, di immettersi in una carriera vantaggiosa, ancorché piacevole?
Ad essere sinceri la mia scelta è stata dettata soprattutto da un innato spirito anarchico e da un’insofferenza fisiologica verso il lavoro dipendente. In seconda battuta la professione mi avrebbe permesso di integrare ad hoc quello che in realtà mi sarebbe piaciuto essere e che poi sono diventato: un comunicatore della montagna a 360°. A conti fatti, quindi, non ho scelto la professione principalmente per portare in giro clienti; diciamo che l’ho ritenuta un necessario compendio per quella figura che volevo essere.

Giuseppe Miotti sulla cascata di ghiaccio Durango (Val Temola, Val di Mello), 1a ascensione. 11 gennaio 1980
Val di Mello, Alpi Retiche, cascata di ghiaccio "Durango" (Val Temola), 1a asc., 11.1.1980. Giuseppe Miotti

 

Posto in questi termini, ti risulta ora che questo lavoro sia sufficientemente ripagante in fatto economico, o necessiti di essere supportato, e fino a che punto, da ulteriori entrate ed eventualmente attraverso quali impieghi? Quanto a lungo inoltre una guida alpina può rimanere su questa faticosa breccia?
Mah! Ci sono molte guide che riescono a vivere della sola professione, specie se hanno la fortuna di abitare in località ad alta vocazione turistica e trovano uno o due clienti bravi e facoltosi.
Tuttavia più passa il tempo e meno sei rispondente alle alte prestazioni, a volte, alla fine, basti appena per te stesso. Se parliamo solo di portare in montagna la gente, di sicuro la professione ha momenti faticosi e richiede una presenza psico-fisica che, se non sei un incosciente, può essere alla lunga logorante. Non è che puoi rimanere molto al vertice, anche se ci sono esempi bellissimi come l’engadinese Paul Nigg che a più di 80 anni fa ancora i suoi giretti, ma ormai è diventato un’icona ricercata e poi in Svizzera la professione di guida gode di ben maggiore considerazione sociale. Quindi, in generale, direi che in Italia più la guida invecchia e più per lei diventa difficile ottenere sufficienti soddisfazioni economiche con il lavoro puro di accompagnatore.
Avendo ben chiara fin da subito questa condizione, ho cercato di estendere la mia professionalità pur rimanendo fedelmente ancorato alla pura attività fra montagne. Per questo ho studiato molto e ho investito in formazione personale. La mia idea era e resta quella di valorizzare i territori montani sotto ogni possibile profilo per far prendere coscienza del loro inestimabile valore culturale e ambientale.
Per realizzare questo progetto, fare la guida pura è forse l’attività meno efficace. Scrivendo, fotografando, divulgando, proponendo, creando, consigliando, denunciando apertamente scempi e attentati al paesaggio, ottengo secondo me un risultato molto più valido e coinvolgente. Ecco dunque che con quello che faccio mi trovo ad avere migliaia di clienti virtuali e pochissimi clienti veri.
Preservare e valorizzare il territorio vuol dire preservare e valorizzare assieme al resto anche la professione della guida. Come ho già detto ai miei colleghi, sotto questo profilo siamo veramente carenti, ci limitiamo a salire e a scendere, ma, se c’è da prendere apertamente una posizione, il nostro coraggio si rintana fra le vette. Forse dovremmo smettere di pensare a salvaguardare egoisticamente la professione tacendo per convenienza, o supposta tale, su argomenti di scottante attualità come ad esempio quello ambientale nei suoi vari aspetti. Bisogna essere più attivi e presenti per non subire a posteriori scelte fatte da altri sul territorio che è la fonte principale del nostro lavoro.

Esistono, o potresti tu stesso proporne la costituzione, forme proficue che riescono ad incrementare il ricorso all’impiego della guida alpina da parte degli appassionati di montagna che desiderano raggiungere cime che non sono alla loro portata indipendente? Quali sono le montagne di più forte richiamo e di maggior interesse?
Per tutto ciò che ho detto, penso che la nostra presenza nelle scuole sia determinante, noi siamo il “genius loci” della montagna. Purtroppo viviamo da anni in uno stato di non dichiarata concorrenza con il Club Alpino che ci sottrae molte opportunità. Personalmente proverei a stabilire un “new deal” col CAI, ma le resistenze sono fortissime da entrambe le parti. Del resto come stupirsene quando si legge che l’Accademico ha nuovamente bocciato l’accesso al sodalizio da parte delle guide e che le guide (l’AGAI) si scordano di avere avuto come collega uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, Walter Bonatti. Sono due cose solo apparentemente diverse: entrambe dimostrano una carenza culturale e una ristrettezza di vedute impressionanti. In tutto ciò il Club Alpino ha inoltre un’altra grave responsabilità, perché non aiutare le professioni di montagna genera in ultima analisi un danno alla montagna stessa che si trova priva proprio di coloro che la potrebbero difendere e gestire al meglio.
Scusate, sono andato fuori tema. Le montagne di più forte richiamo e di maggior interesse? Tutte le montagne hanno molto da dire, spetta a noi mettere in luce le loro caratteristiche. La storia delle montagne non è fatta solo di vie e di alpinisti, anzi, può essere più affascinante il Cornizzolo del K2. Però qui entriamo in un terreno scivoloso, dove dovrei parlare di accettazione dei propri limiti, di alpinismo della rinuncia, di volontaria limitazione all’uso della tecnologia, di… filosofia.

Giuseppe Miotti in arrampicata sulla Torre Comici del Faraglione di Terra, spigolo sud, 10 maggio 1983
Capri, G. Miotti in arrampicata sulla Torre Comici del Faraglione di Terra, spigolo S, 10.5.1983

 

In base alla tua esperienza, potresti tracciare i diversi profili dei tuoi clienti, classificandoli cioè nel riferimento alle motivazioni che li spingono ad affrontare salite che sono lontane dalle loro autonome possibilità: si tratta cioè di fatue ambizioni, di una dimostrazione di autostima, o di autentica passione per poter gustare le emozioni e i brividi di arrivare su cime che si erano a lungo sognate? E quali sono i rapporti che si stabiliscono con i diversi tipi di clienti?
Su questo aspetto ho poche esperienze. Ho avuto clienti che volevano fare cime importanti come il Badile o il Bernina per dire di esserci stati, ho avuto clienti che volevano fare salite difficili per lo stesso motivo, ma ci sono stati anche clienti che, consci dei loro limiti, eppure amanti della natura alpina, volevano provare a spingersi ove arrivavano solo in sogno. Questi ultimi sono quelli che ho apprezzato e apprezzo di più e che ricordo con maggiore intensità. Sempre per le scelte di cui sopra, ho orientato molto la mia attività verso l’insegnamento mediante corsi di roccia, di alpinismo e di arrampicata sulle cascate di ghiaccio. Ho avuto anche dei clienti con i quali si è instaurato un vero rapporto di amicizia e proprio da loro ho avuto alcuni degli input più importanti che mi hanno spinto sempre più verso la ricerca di una completezza che non fosse solo tecnica. Quindi sempre più mi sono allontanato dall’ambiente delle guide sebbene mi senta strettamente legato a questa professione e orgoglioso del mio titolo. Da anni vedo profilarsi una silente involuzione della nostra figura, sempre più imprigionata in tecnicismo esasperato condito da sigle, certificati, omologazioni e balle varie. Se ci si accontenta di fare i manovali va bene, ma il valore della nostra figura, compresa quella degli accompagnatori, ci consente di aspirare a qualcosa di più…
L’impressione è che stiamo ossessivamente continuando a guardare solo in una direzione, ma che siamo già da tempo stati superati dall’altro lato.
La nostra credibilità non va oltre il mero aspetto tecnico; ripetendomi, credo sia giunto il momento che la nostra professione entri nella storia delle Alpi non solo come distante (anche se “mitica”) icona di un modo di vivere la montagna, ma anche come testa pensante, coscienza attiva e proponente o all’occorrenza antagonista. In altre parole come membro costruttivo del futuro delle Alpi.
Facciamoci conoscere non solo per i nostri programmi e le nostre abilità: cose da dire ne abbiamo eccome.
Si tratta di un percorso lungo che andrebbe gestito a livello nazionale e che sicuramente richiederebbe di investire diversamente denaro e finanziamenti. Ad esempio manca un nostra presenza periodica sotto forma, che so io, di un annuario o una rivista nazionale che dia voce alla professione nei suoi vari aspetti e magari sia accessibile anche al grande pubblico. Non scordiamoci che buona parte dell’alpinismo di punta ieri come oggi è stato prodotto proprio dalle guide alpine; Dibona, Piaz, Comici, Bonatti erano dei nostri.

L’ultima domanda riassume forse insieme il senso delle precedenti e delle relative risposte: se un colpo di spugna riuscisse ad azzerare gli anni e far tornare da capo, ti sentiresti ancora di affrontare il lungo e impegnativo percorso richiesto per conseguire il brevetto di guida alpina, e rimetterti poi a cimentarti in questa attività come scelta di vita?
Diventare guida non è impegnativo anche se sicuramente è diventato molto, molto oneroso sul piano finanziario: il difficile è rimanerlo e soprattutto farlo senza “tradire” la professione con attività che hanno ben poco a che fare con il suo spirito originario. D’altra parte mi rendo conto che se si deve sbarcare il lunario e lo si può fare utilizzando qualcuna delle nostre conoscenze tecniche anche fuori dall’ambito della montagna…
Solo in minima parte posso considerarmi una guida nell’accezione comune del termine e forse la professionalità che mi sono costruito negli anni è difficilmente replicabile o trasmettibile, ma credo che in parte ciò sia dovuto anche al fatto che la figura della guida alpina è pressoché ignorata e la si conosce solo per quello che ci ha trasmesso una certa letteratura. Si fatica a far comprendere la nostra grande valenza e i primi a peccare di difetto nella comunicazione siamo noi. L’attuale situazione non favorisce il fiorire della professione e occorrono flessibilità e fantasia per ritagliarsi spazi economicamente validi. Anche questo continuare a ricercare e a ricrearsi fa parte della libertà che ci siamo scelti.

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La professione di Guida secondo me ultima modifica: 2015-08-05T12:00:31+02:00 da GognaBlog

1 commento su “La professione di Guida secondo me”

  1. Ma perchè non ci confrontiamo in un bel summit di guide? Alessandro pensaci tu, basta che lo organizzi in una bella località di montagna o di falesia, in base alla stagione, ma per favore NON a Milano, ciao. Marcello Cominetti

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