Alta Moriana
(scritto nel 1998)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Dopo aver rimandato per le cattive condizioni meteo più di una volta, finalmente Marco Milani ed io ci mettiamo in viaggio alla volta di una settimana incredibile. Con Benoît Robert, la guida che deve accompagnarci, avevamo steso e risteso per telefono un programma che per qualche verso non riusciva mai ad accontentarmi. La Vanoise non è luogo dove si può fare quel che si vuole, ci sono itinerari fissi, luoghi valangosi: e poi è davvero grande, e in una settimana non si può fare tutto. Benoît però insisteva per inserire nel giro anche il Carro e l’Albaron, a suo dire la parte migliore; io ribattevo che quelle montagne sono fuori dal parco e lui m’incalzava dicendo che comunque erano nella zona periferica; alla fine cedetti io e rinunciammo definitivamente al giro del Mont Pourri, cui tenevo tanto.
Ed ora, è solo perché abbiamo grande fiducia nelle previsioni francesi che non ci disperiamo all’uscita del tunnel del Fréjus, quando ci accoglie una Modane triste, grigia, sotto un cielo che non promette pioggia ma che, dal punto di vista fotografico, è una vera maledizione. In più ho mal di gola.
L’orrido di Esseillon con i suoi forti
L’impressione di lieve disagio che colpisce il viaggiatore quando sbocca dal tunnel del Fréjus e ha il primo colpo d’occhio su Modane e sulla Maurienne (Val Moriana in italiano) svanisce se appena risale la valle per pochi km. Improvvisamente infatti i pendii s’addolciscono, la valle si apre e si fa strada l’idea che questo luogo sia davvero bello e vario, dove i ghiacci e le acque hanno fatto un lavoro grandioso e dove l’uomo nonostante guerre e calamità vi ha prosperato. La prima meraviglia è l’orrido di Esseillon, dove l’Arc ha scavato nei calcari e nei gessi un baratro di più di cento metri, sui cigli del quale i piemontesi costruirono una complessa cittadella di forti militari. Poco prima dell’ingresso è la cascata di St-Benoît, poi l’orrido prosegue per 3 km verso Bramans. In seguito la valle s’allarga: in essa si butta il torrente d’Ambin con un letto assai largo e simile alle fiumare calabresi; si richiude ancora nel bacino di Termignon, ampiamente scavato nella bancata gessosa. In mezzo a queste strettoie è il villaggio di Termignon, alla confluenza del torrente Doron con l’Arc. Tra Lanslebourg e Lanslevillard ha inizio la Strada Napoleonica che sale al Moncenisio e scende all’abbazia di Novalesa ed a Susa.
A Lanslevillard è la Chapelle St-Sébastien, all’esterno poco significativa e quasi indistinguibile dalle altre case. Tra il XV e il XVI secolo vi terminò l’esecuzione di 17 splendidi pannelli dedicati alla vita del santo protettore dalla peste e di 36 riquadri sulla vita di Cristo. La chiesa parrocchiale di St-Michel custodisce la pala dell’altare del Rosario, un capolavoro che il maestro Jean-Baptiste Clappier scolpì nel 1627. Questi, originario di Vincendières, fu il primo tra gli artisti locali a padroneggiare pienamente la tecnica barocca del legno scolpito e dipinto a più colori.
Oltre Lanslevillard la pendenza s’accentua, stiamo infatti salendo sulle enormi masse detritiche del Col de la Madeleine, una gigantesca frana che qui crollò e formò un lago di più di 6 km. Oggi il bacino si è completamente interrato, dando così origine alla piana di Bessans. È impressionante il contrasto tra la vasta pianura (così insolita per un luogo di montagna) e la gola che l’Arc si è scavata per poter proseguire la sua corsa.
Affreschi murali all’interno della Chapelle St-Sébastien, Lanslevillard
Bessans è una borgata distrutta durante l’ultimo conflitto e ricostruita, con un solo quartiere originario in cui sorgono la chiesa parrocchiale e la vicina Chapelle St-Antoine. Nella chiesa, l’altare della Resurrezione fu scolpito nel 1666 da Antoine-Claude Clappier, figlio di Jean-Baptiste. All’interno della cappella è un completo ciclo di affreschi di 42 pannelli dedicato alla vita di Cristo. Il soffitto reca la data del 1526, che forse è anche la data dei dipinti. Nella cappella sono anche custodite numerose ed ammirevoli opere d’arte barocche, molte delle quali scolpite nel pino cembro dai nipoti di Jean-Baptiste Clappier. In effetti, l’arte barocca dell’Haute-Maurienne non ci può lasciare indifferenti. L’implicazione dei fedeli nella decorazione delle loro chiese e la scelta delle raffigurazioni sono tali da farci riflettere sulla finitezza umana e sul bisogno di ritrovare lo spirituale proprio in mezzo alle apparenze. Nel tripudio di figura e colore è la testimonianza di come la facciata illusoria delle cose sia stata messa al servizio dell’essenziale. E qui, in queste chiese di montagna, il contrasto insito nell’arte barocca è ancora più evidente, messo in luce dalla convivenza non casuale con l’arte precedente. Infatti, di almeno un secolo anteriore, sul lato settentrionale di un esterno per il resto assai modesto della stessa Chapelle St-Antoine, è raffigurata la Cavalcata dei Vizi e delle Virtù, una serie di affreschi su un tema abbastanza comune nel Medioevo delle Alpi Occidentali, ma questa volta di esecuzione magistrale. I vizi sono legati assieme con una catena e sono trascinati verso l’inferno da due diavoli.
A proposito di diavoli, nonostante l’aspetto recente delle sue case, Bessans è gelosa delle sue tradizioni, prima delle quali l’arte di lavorare il legno per produrre i famosi diavoli di Bessans e le galline (oggi trasformate in saliere). La tradizione vuole che un cantore del coro della chiesa di Bessans, Étienne Vincendet, nel 1857 decidesse di scolpire in un ceppo di legno la figura di un terrificante diavolo e di sistemarla di notte davanti alla porta della canonica. Il curato però sapeva chi era l’autore del non apprezzato scherzo e così fece trasportare il diavolo davanti alla porta del cantore, il quale lo riportò ancora davanti alla canonica. Dopo un mese di spostamenti continui, l’autore si stancò del tira e molla e lasciò la sua opera sulla finestra di casa, dove fu vista da un turista che decise di acquistarla. Vista l’inaspettata fortuna, anche altri artigiani di Bessans presero a scolpire diavoli, iniziando quindi una tradizione che dura ancora oggi. Nella notte di Natale e del 15 agosto a Bessans ci si veste come un tempo e la cerimonia non è per nulla turistica; anche in occasione dei matrimoni si fa festa all’antica: se uno degli sposi non è del paese vengono erette delle “barriere”, che vengono rimosse solo dopo i generosi doni del nuovo arrivato.
Oltre Bessans, la valle si restringe ancora tra gobbe rocciose levigate, dove s’impone lo scuro Rocher du Château. Le valanghe primaverili qui si accaniscono spesso, lasciando isolato l’ultimo paese della valle, Bonneval-sur-Arc. Questo è un site classé, vale a dire che gli interventi edilizi di ristrutturazione sono sottoposti a norme ben precise. L’architettura alpina è salvaguardata in maniera esemplare, ed anche le nuove costruzioni devono avere muri e tetti in pietra. Perfino i fili elettrici e telefonici sono stati interrati. Al di là di questo gioiello, mentre la strada principale sale al Col de l’Iseran, una stradina secondaria lungo l’Arc raggiunge l’Ecot, pur tra le difficoltà dovute al Clapier de Fodan, altra frana gigantesca del Medioevo che pare seppellì un intero villaggio. Siamo ormai alle porte dell’alta montagna, sotto ai grandi bacini del Glacier des Sources de l’Arc e del Glacier des Evettes.
Curiosità. Alla fine dell’epopea napoleonica, l’Europa è riorganizzata dal Congresso di Vienna (1815). La Francia è obbligata a restituire la Savoia a Vittorio Emanuele I ed a pagare un’ingente indennità di guerra che sarà destinata a fortificare maggiormente la barriera alpina per impedire nuove invasioni. Nel 1820 furono così costruiti i cinque Forti di Esseillon. Nel 1833 si concludeva la costruzione della ridotta Maria Teresa, dell’immenso forte Vittorio Emanuele I, assieme a quella dei forti Carlo Felice, Carlo Alberto e Maria Cristina. La funzione strategica del complesso ha vita fino al ricongiungimento della Savoia alla Francia (1860) e fino all’apertura del valico ferroviario del Fréjus (1871): poi non ha più significato. Solo durante la seconda guerra mondiale la cittadella piemontese riacquista importanza difensiva, per poi essere completamente dimenticata negli anni a seguire. È a partire dagli anni ‘70 il grande ritorno d’interesse, con le riabilitazioni urgenti ed alcune ristrutturazioni. Per esempio il forte Vittorio Emanuele I è diventato centro di accoglienza e quinta porta d’ingresso del Parco Nazionale della Vanoise. Edificati con una logica militare, oggi i forti, per come sono dislocati e per la bellezza dei luoghi, sono una splendida occasione per compiere un’escursione culturale in una località di grande interesse: il passaggio del Pont du Diable, per esempio, è di grande spettacolarità in una gola selvaggia.
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