Il profeta dello scandalo
(da La Parete, 1982)
Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(3)
La musica di Mike Oldfield è bene apprezzare sdraiati sul divano, le note di Ommadawn sono un risveglio, ogni alba riposa su bei cuscini, io stesso sono appoggiato su almeno due morbidi guanciali. Tanto più feroce è il contrasto tra la musica esaltante e la mia posizione orizzontale, rilassata, maggiore è il godimento spirituale e fisico. Accanto a me sembra che Nella voglia sussurrarmi qualcosa, si vede che la musica la interessa meno ma nello stesso tempo non osa disturbarmi. La guardo, ma non mi sembra di riconoscere la solita Nella. Una luce briccona brilla nei suoi occhi e istantanea si fonde con la musica.
Tutto l’LP è favoloso, ma dal minuto 12’18” al minuto 18’50” è un crescendo dal bucolico a un’inarrestabile marcia emotiva verso il collasso
«Senti, ho visto delle fotografie della parete del Capitan. Ho pensato che mi piacerebbe salire quel muro, ma sai che lo potrei fare solo con te. So che è difficile, ma tu ce la puoi fare…».
«Certo potevi sceglierne una meno difficile! Ma tu sai cos’è il Capitan? Conosci la storia del Naso, della Salathé, della North America Wall? Lo sai che ci sono dei pendoli per effettuare i quali bisogna mettersi a correre sul muro verticale? Una volta tu non avevi paura del vuoto? Ma già non ti riconosco più, sei sempre più bella e più cara. Cominciamo con il fare qualcosa di più facile».
Nella nel 1967. Foto: Lucio Marimonti
So bene di non essermi dimostrato molto entusiasta di quella pazza idea, ma ora è giusto non precorrere i tempi. Che senso ha sognare di California quando si sta camminando su un così bel sentiero del Nepal? Le risaie si susseguono alle risaie, su terrazze lavorate con infinito sudore nei secoli; fa caldo, ma non ho fretta. Nella è andata avanti, in salita: quella si lamenta sempre di essere debole e poi è sempre la prima ad arrivare, a vedere, a capire. Preferisco stare con Romolo Nottaris, guida alpina e amico. Con lui mi intendo perché è semplice, nella sua volontà continuo a vedere il mio passato, quando non capivo che cosa un giorno potesse fermarmi. D’improvviso si siede su un sasso, vuole riposarsi. Come spesso succede, a volte non si ha voglia di fermarsi, per esempio si ha paura che il vento fresco ci raffreddi la schiena umida. Così proseguo, tanto, mi dico, raggiungerò Nella e starò un po’ con lei. Romolo arriverà. Non mi nascondo pure una certa soddisfazione perché Romolo è un forte camminatore, molto più allenato di me: se lui si è fermato e io non mi sento stanco, vuol dire che non sono proprio da buttar via!
Come nelle tappe alpine del giro d’Italia supero la cima della salita da solo e comincio la discesa, attraverso le case di un villaggio. Mi aspetto sempre di vedere Nella, ad ogni tornante, ma devo scendere parecchio prima di vederla, seduta all’ombra di un magnifico giardino, posto ideale per la sosta, la fine della giornata di cammino. Sta conversando con Jim Bridwell, il grande alpinista hippy americano, dai polsi forti e dai capelli lunghi e biondi, un moderno generale Custer. Ora che mi viene in mente sapevo che lui doveva passare per di qua, che le nostre strade si sarebbero incrociate ancora, dopo la California. È molto alto, baffi biondi e occhi azzurri, avambracci potenti, dinoccolato. È assieme al suo compagno, così diverso da lui, piccolo, scuro, abbastanza mefistofelico, con due occhi neri e pungenti. Però anche questo è sorridente e simpatico, allo stesso modo di Jim. L’atmosfera è subito calda e pacifica, scopriamo persino che il nostro amico Jim sa un po’ l’italiano. Quel giorno ha fatto una difficilissima scalata, in Patagonia. Questa storia la possiamo leggere sulle sue mani, che ancora tremano per lo sforzo e la concentrazione. Quel Cerro Torre ha provato anche lui, diamine! Il suo compagno non parla, sorride: sembra un gentiluomo argentino e la sua parte non dev’essere stata secondaria oggi. Ma ora è bello, è giusto riposarsi. Un nepalese ci porta del tè bollente con il latte.
Jim Bridwell in vetta al Cerro Torre, 1979
Gennaio in Nepal è un mese splendido, certamente più dolce che l’estate patagonica. Ma ora, sulle Torri di Sella, è tiepido: la cordiale amicizia che ci lega a Jim ha trovato un’altra magnifica cornice naturale, ma non siamo più soli. Anche gli altri devono pur vedere come arrampica Jim, un fenomeno della natura. Venti, trenta occhi seguono le sue evoluzioni su una placca di dolomia giallastra. Sono pieno d’ammirazione per il mio amico che in cima ride, ride del mondo che lo giudica un Jack Kerouac fallito, un arrampicatore tutto muscoli o un depravato a seconda delle circostanze. Un giovane muscoloso ma tozzo e un po’ sgraziato vuol provare a salire, ma non ci riesce: suscita l’ilarità degli altri, lui ci sta perché non se la prende e alla fine addirittura lo tirano giù per la corda, rozzo com’era non si meritava altro, ma lui stesso se la ride. Perché prendersela, poi? Il sole sta tramontando, ancora la giornata è tiepida. Un bambino, che già avevo visto al mattino, sta goffamente arrampicando su un sasso. Le piccole dita stringono gli appigli con forza, a tal punto che le unghie diventano rosa: ma i piedi purtroppo, mal calzati con scarpette da tennis, scivolano. Lo guardo con amore, perché è un bambino caro. Accanto a me Giulio Fiocchi, una vecchia quercia, un duro che nella vita ha sempre combattuto con una grinta che talvolta gli invidio: anche lui osserva il bambino e vede se stesso, menomato. Ma non è uomo da lacrime, Fiocchi.
Sede della SOSAT, Trento, Festival del 2007. Da sinistra, Chris Bonington, Cesarino Fava, Cesare Maestri e il giudice Carlo Ancona
Più in là c’è Chris Bonington, il grande alpinista inglese, ideatore e realizzatore delle più strenue ultime imprese himalayane. Questa volta però ha una gamba ingessata: forse è un ricordo dell’ultima fallita avventura al K2. Il biondo Chris è triste, si può capire, il meccanismo si è inceppato. Il bambino intanto è quasi sulla cima del masso, ma ora sembra abbia paura di cadere. Tutti insieme gli diciamo che imparerà bene se verrà con noi a provare sui sassi della Valle di San Nicolò. Ci terrei proprio, perché sono pieno di amore per quel bambino.
Fletcher Chouinard sulle spalle del padre Yvon
Così mi era piaciuto Fletcher Chouinard, figlio di cotanto padre, capace di vivere il suo mondo, forse già composti gli screzi dell’infanzia con una personalità già attraente; e così avevo capito il nipote del muratore Silvio Colombo, di Piana Crixia, provincia di Savona, quando chiacchierino si rivolgeva a tutti noi e voleva le sue risposte, ripetendo compunto e serio le domande fino all’esasperazione più simpatica. Jim intanto gentilmente ci invita tutti nella sua nuova casa, che ha appena affittato. Non ci lasciamo sfuggire l’invito di Jim, perché vale la pena di vivere un pomeriggio in casa sua. Ma purtroppo mentre sto per avviarmi, mi ritrovo solo e a fatica trovo la casa, una costruzione di legno graziosa, senza pretese. L’entrata non è costituita dal solito viale in mezzo al giardino fiorito. C’è un ingresso piuttosto infelice, si deve passare attraverso due stanzette di legno putrido, un vero e proprio cesso, la latrina di Jim Bridwell. Devo dire che il mio amico sa proteggersi e che chi riesce a entrare in casa sua è proprio perché l’ha voluto. Altrimenti non vorrebbe passare in mezzo a questo sudiciume, dove toccare qualcosa è sporcarsi. Dopo la latrina alla turca c’è la «vaschetta per la masturbazione», ridicolo pensare in mezzo a questa sozzura. Ma di qui passa la via. A fatica riesco alla luce del sole, ma l’incubo non è finito perché un altro cesso mi attende: il cagatoio di Indro Montanelli.
Questo ha un aspetto più decente, ma non c’è meno puzza. Devo stare per un po’ chiuso, come se fosse «occupato» l’esterno. C’è un grande cartellone e su di esso un brano della seconda Catilinaria di Cicerone: «Di conseguenza è riuscito con grande rapidità a radunare un numero ingente di sciagurati, non solo nella Valle ma anche in California; non solo in America ma in ogni angolo d’Italia. Chiunque fosse oberato di debiti con la società non ha esitato ad associarsi a questa incredibile associazione a delinquere. Affinché voi lettori avveduti del mio Giornale possiate rendervi conto della varietà delle sue abitudini nei campi più disparati, nelle palestre non c’è reuccio della domenica che non dica d’essere intimo amico di Jim Bridwell; nei teatri alpini non c’è attore sboccato che non si vanti d’avere in questo Satana quasi un collega: si esercitò a sopportare freddo, fame e sete e veglie praticando l’adulterio e il delitto e per queste ragioni fu ritenuto un prode… La sola cosa che è loro rimasta è quella che possedevano quando erano ricchi, una sfrenata voglia di godere; se con il gioco e con la droga cercassero solo orge e prostitute, pur non aspettando nulla di buono da loro, li si potrebbe anche tollerare. Ma ciò che non è tollerabile è che esseri come loro, inetti, insensati, “intrippati”, intorpiditi, tramino insidie a danno di gente perbene, moderata, sobria, vigile. Stravaccati attorno alle mense, allacciati a donne senza pudore, illanguiditi dall’alcool e dal “fumo”, sazi di cibo, incoronati di bende, storditi dai profumi orientali, estenuati dagli eccessi, nelle loro riunioni vanno blaterando che bisogna trucidare la gente perbene e dar fuoco ai supermercati».
Stentavo a credere ai miei occhi, i miei ricordi scolastici si confondevano con il presente, non sapevo più a chi credere. C’era stato un tempo nel quale sulla Domenica del Corriere leggevo puntualmente la «stanza» di Montanelli. Allora mi sembrava un uomo di molto buon senso, un buon papà che aveva care le sorti dei suoi italiani. Ma mai avrei pensato un giorno di vederlo simile a Cicerone, un uomo così importante. Pur non avendo inoltre mai sospettato il benché minimo vincolo tra Montanelli e Jim Bridwell, dovevo riconoscere al famoso giornalista che riusciva sempre a interessarmi. Non capivo poi come i due potessero essere vicini di casa. Jim, è vero, è circondato dalla violenza, dalla retorica, dalla creduta onestà. Attorno a lui è come una sfera di sporcizia, quella di cui si è liberato lui stesso e quella che gli vorrebbero attribuire gli altri. Senza queste mura protettive il diavolo non farà mai del Bene. Ma finalmente penetro la stanza, dove già tutti erano seduti e ridevano, conversavano. C’è in giro quell’aria strana di quando sta per essere servito il «tè alle erbe», con quella semplicità che solo i grandi signori sanno mostrare. Ormai sono pronto a ogni esperienza nuova, il mio amico parla del passato, di quando «si bucava», di quei tempi terribili. Il passato però è passato, il presente è qui in questa casa allegra dove si può vivere il nuovo mattino. Da piccolo vivevo con la paura del diavolo, ora ce l’ho davanti, ci vivo assieme, ci arrampico assieme ed è mio amico, anche se non so come si chiami il suo compagno di cordata. Solo in chi Bene e Male siano così strettamente associati si può respirare la vera libertà, la vera creatività. Chi tuona dal pulpito in difesa di una società morta, tacciando dei peggiori misfatti chi non accetta le sue parole velenose, è un morto lui stesso, un cadavere che svolge il suo dovere, ma noi dobbiamo «lasciare che i morti seppelliscano i loro morti» (Luca 9,60).
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Pura psichedelia. A me piace e si legge pure in maniera scorrevole. Di solito non è così.
1. Un’emozione vedere Nella così florida. Un regalo, un lungo motto d’amore.
2. Una collana di visioni, la sua colonna sonora, la bellezza di vedere oltre le quinte della versione ufficiale o solo perbenista, un percorso d’accesso a segreti ora ovvietà.
Un trip disponibile a tutti i ricercatori, anche senza il “chay alle erbe”.
Vaglielo a dire.