Qualche anno fa Ueli Steck aveva detto: “Tutto ciò che posso immaginare è possibile”. Il 10 ottobre 2013 fece storia dell’alpinismo salendo da solo e in 28 ore la Sud dell’Annapurna. Quello che aveva immaginato era diventato realtà, un’impresa straordinaria. Un’impresa che gli è valsa la nomination al Piolet d’Or 2014.
Come ti è venuta l’idea di quest’ascensione?
Era un mio progetto da tempo. Pierre Beghin e Jean-Christophe Lafaille l’avevano ideate e tentata nel 1992, io ci avevo messo le mani sopra nel 2007, poi nel 2008, e questa volta ce l’ho fatta! Era un mio vecchio sogno aprire una via nuova su un Ottomila. Per questo tentativo ero con il mio amico Don Bowie. Lui è davvero fantastico, simpatico, ci troviamo bene assieme. Per me questo è molto importante, stare bene assieme. Anche Dan e Janine Patitucci sono cari amici.
Non avevo intenzione di portare con me un fotografo, ma loro sono a tal punto miei amici… che sono diventati parte del team. Bowie ha portato il suo cameraman, Jonah Matthewson. E meno male che non volevo fare troppa pubblicità… volevo solo scalare!
Ueli Steck
Se il piano non era di salire da solo, come si è evoluta la decisione finale di fare così?
La parete presenta qualche tratto tecnico, ma non estremo. Comunque, Don trovò la cosa difficile, anche perché aveva una gran paura dei sassi e delle slavine. Insomma non è entrato nello spirito giusto. Perciò, correttamente, decise di fermarsi e di riscendere alla crepaccia terminale. Mi ci volle un bel po’ di volontà per decidere di continuare. Ero del tutto sicuro delle buone condizioni, infatti lo erano. Penso che la cosa più difficile fu proprio prendere quella decisione, non c’ero preparato.
Non appena cominciai a salire, mi regolai sulla “modalità” solitaria, e l’ascensione diventò presto una delle mie più grandi esperienze.
Per quella spedizione avevo deciso di non fare troppa comunicazione, il che vuol dire niente blog: ero davvero concentrato solo sulla salita, e quando salivo ero ancora più concentrato, non avevo altro pensiero. Ho passato 28 ore nel mio mondo, senza pensare al passato o al futuro. Sapevo che se intervenivano problemi erano solo miei, ma questo facilita: se sono da solo, è tutto più semplice. Più grande è l’avventura, più semplice è!
Ueli Steck in allenamento sulla via di approccio all’Annapurna
Cosa sentivi durante la salita?
La scalata procedeva bene. Non ero stanco e non mi sono mai sentito al di sotto tecnicamente, è così che mi piace. Mentre salivo mi rassicurava sapere che potevo allo stesso modo scendere. Se quando sali senti che puoi anche scendere, allora anche una solitaria diventa piacevole. Quest’esperienza mi appartiene per intero. E’ difficile da spiegare, ma fu personale e potente. Ciò che devo fronteggiare ora è il pericolo di farci l’abitudine, di desiderare di essere solo per avere quell’esperienza lì.
So bene quanto siano pericolose le salite in questo stile, meglio non farci l’abitudine!
Come ti prepari fisicamente per un progetto come questo?
Normalmente seguo un programma di allenamento molto rigoroso. Questa è la chiave. Mi hanno detto che non sembravo molto stanco dopo quelle 28 ore. Era vero! Ero stanco, ma non esausto, e questo lo devo al mio allenamento. In estate avevo corso la 50 km Eiger Ultra Trail e sul traguardo sorridevo, stanco ma non sfinito. Qui è stato lo stesso. Il mio programma di training ha varie fasi, alterna riposi a corse intensive: questo si è rivelato davvero utile.
Ueli Steck verso la base della parete sud dell’Annapurna
Quali sono i tuoi progetti, ora?
Difficile da dire. Negli ultimi due anni sono stato davvero monotematico, ora mi piacerebbe essere più aperto, fare ciò che veramente più mi piace. E in questo momento l’arrampicata su roccia…
Ueli Steck, nato il 4 ottobre 1976 a Langnau nell’Emmental svizzero, è uno dei migliori alpinisti estremi del mondo. Già a 17 anni supera difficoltà di arrampicata di IX grado. A diciotto anni scala la parete nord dell’Eiger e quindi, nel massiccio del Monte Bianco, il famoso pilastro Bonatti. Nel 2008 Steck riceve il riconoscimento Eiger Award per le sue imprese alpinistiche, nel 2009 il Piolet d’Or, l’«Oscar dell’alpinismo», e nel 2010 la prima edizione del Karl Unterkircher Award per alpinisti di comprovata eccezionalità.
Per notizie più dettagliate vedi www.uelisteck.ch e http://it.wikipedia.org/wiki/Ueli_Steck.
La parte sud dell’Annapurna con l’itinerario di Ueli Steck, intitolato a Beghin e Lafaille. Foto: Corrado Gontier
Ueli Steck è il protagonista del film vincitore del premio Best Film – Mountain Culture del Banff Film Festival del 2013: la ricostruzione di un evento drammatico che ha sconvolto il mondo dell’alpinismo e non solo, quando nella primavera 2013, al campo 2 del Monte Everest, Simone Moro, Ueli Steck e Jonathan Griffith sono stati vittima di un’aggressione da parte di un gruppo di Sherpa. Il film cerca di fare luce su che cosa successe in alta quota in quei drammatici istanti grazie anche al contributo di filmati girati dagli smartphone dei presenti sul posto.
Il film fa parte della programmazione del Banff Mountain Film Festival World Tour, proprio in questi giorni in buona parte delle città italiane.
postato l’11 marzo 2014
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