Metadiario – 263 – Baltoro 2004 – 5 (AG 2004-008)
Concordia, 14 agosto, ore 10.30
Dopo quattro chiacchiere con Alì, responsabile in questi giorni di Gore 2, e dopo una colazione offerta in cucina, il sole è ormai al pieno delle sue forze e io decido di lavarmi. Per prima cosa mi approprio del bidoncino che la gente usa per avere acqua calda: è ancora pieno e tiepido. Mi sistemo dietro la tenda medica, il posto più riservato, associo al bidone una ciotolona di alluminio. Dalla tenda poi prendo sapone, mutande lunghe di ricambio e slip. Mi spoglio, mi sistemo sui sassi con i calzettoni, a gambe larghe in modo da non bagnarmi troppo, riempio la ciotola di acqua. Con quella mi bagno le parti intime, senza ancora insaponarmi. Al giro successivo di ciotola m’insapono per bene, quindi do il via a due risciacqui consecutivi, il tutto esposto alla vista: ma sembra non ci sia nessuno. Quindi mi rivesto. Il passo successivo è quello di lavare l’intimo di capilene, parte superiore e inferiore. Il lavaggio e il risciacquo avvengono sempre nella ciotola, per non inquinare l’acqua del bidoncino. Piego i due capi e poi li strizzo accuratamente; stessa cosa per il risciacquo. Dopo una strizzatina ancora più meticolosa, li appendo ai cordini che tendono il copritenda: sole e vento faranno il miracolo di asciugare il tutto in meno di tre ore. Nel frattempo ho messo al sole anche gli scarponi fradici di ieri e i calzettoni. Ho tolto anche le solette interne, per far sì che il sole penetri meglio.
Queste operazioni sono state svolte con la massima lentezza e con gran cura pignola, al solo scopo di far passare il tempo in un’azione senza importanza.
Concordia, 15 agosto, ore 7.30
Ieri quindi giornata di riposo totale, vengo a sapere da Mehfuz che i carichi spediti assommano a 2.400 kg. Al momento dunque rimangono in sospeso i sacchi lasciati nelle singole tappe, ma è poca cosa. Decido dunque che Ibrahim vada a Gore 2 per fare una stima di quante lattine sono da raccogliere laggiù e, in base all’esperienza appena fatta, azzardare un’ipotesi di chili. Gli altri intanto andranno a fare pulizia all’altro campo di Concordia, che certamente ne ha bisogno: raccogliere solo i rifiuti da bruciare, quindi sistemare per bene ciò che nei giorni scorsi è bruciato male.
Mehfuz mi dice sorridendo che il giorno prima, riposo per tutti i collector dopo la notte della spedizione dei carichi via somaro, Ibrahim non ha trovato di meglio che andare da solo al Memorial. Quest’uomo ha certamente qualcosa dentro, qualcosa di speciale. Mi spiace di non avere la possibilità di interrogarlo nella sua lingua, di aiutarlo. Vorrei almeno non rispondesse più “Yes, sir”, “tike, sir”, “thank you, sir” a ogni scambio di parole. Ma ogni intervento potrebbe essere più di danno che di aiuto, perciò esito. Magari quando tornerà suo fratello, Bashir, ci proverò.
Sondare Ibrahim è come sondare un fiore, presto mi accorgerei che il meccanismo è davvero delicato. Cosa va a cercare un baltì, nella sua giornata di riposo, al Memorial, 24 km di escursione, da solo? Certo, ne aveva sentito parlare. I morti attraggono, ma non sono i suoi morti.
Verso le 17 cominciano ad arrivare quelli partiti al mattino per il CB del K2. Alle 19 m’informano che avevano ricevuto due telefonate dal gruppo 13 (quello di Silvia e Alberto, ieri in viaggio tra Payu e Khuburse). Franco Girodo aveva ricevuto la prima, era il marito di una signora che stava male, sospetta insolazione. Non si sapeva se Giuseppe (in viaggio tra Urdukas e Payu) l’avesse almeno vista: era stata caricata su un asino e portata a Khuburse, cioè verso l’alto invece che in basso verso Payu o Juhla. La seconda telefonata l’ha ricevuta direttamente il medico, Angela Bettoni: questa, sentiti i sintomi, prescrive una terapia che comprende Tachipirina e Diamox.
Mentre parlo con le mie bambine al telefono, ricevo un messaggino: è Silvia che mi chiama con il satellitare della loro guida pakistana, a corto di batteria. A Khuburse non si può ricaricare nulla. Mi si chiede di chiamare subito per urgenza medica. Richiamo, ma non c’è collegamento, forse davvero hanno la batteria morta.
Aspettiamo ancora un poco. Angela, Franco e io siamo nella tenda mensa e dopo cena. Ci domandiamo perché le due guide italiane in tutto questo siano state di basso profilo, perché il gruppo non abbia il telefono né medico, che fine ha fatto l’apparecchio che la guida Claudio Chiaudano avrebbe dovuto consegnare a loro invece di portarlo a Islamabad dove non servirà a nessuno. L’ordine era chiaro, era stato chiaro per tutti i gruppi fino ad allora… E infine ci domandiamo chi abbia avuto la splendida idea di caricare una malata su un asino e di farla salire invece che scendere.
Angela è stanca per la camminata di oggi, pertanto le suggerisco di andare in tenda con il satellitare acceso per ogni evenienza.
Alle 5.30 infatti squilla: è Silvia, la signora pare stia un po’ meglio, vogliono partire subito per Urdukas, dove può atterrare l’elicottero, dove si può ricaricare il telefono. Angela chiede di parlare con la malata, questa le dice che continua a non bere e che non ha preso il secondo Diamox, come da terapia. Angela trattiene la sua ira e ribadisce il concetto che deve assumerlo volente o nolente e in più che deve bere del tè.
Non so come hanno fatto, ma pare che abbiano parlato anche con Walji’s per avere l’elicottero: e questi gli hanno risposto (viva la burocrazia…) che ci vuole un’autorizzazione medica.
– Ma qui il medico non c’è!
A quest’ora di mattina dunque la situazione vede la malata salire a dorso d’asino verso Urdukas, ancora più in alto. Ci sono i presupposti per una possibile tragedia con allegata polemica. Siamo in attesa degli sviluppi.

Concordia, 16 agosto, ore 8
Nella mattinata di ieri (15 agosto) il gruppo ha deciso, sotto la quieta ma ferma guida di Franco Girodo, di anticipare la partenza a oggi: perciò riposo per chi vuole e gita verso l’Ali Camp per chi ne ha ancora da spendere. La partenza è prevista per le 11 e io decido di aggregarmi.
Nel frattempo, munito di ramponi, vado un tre o quattro minuti più in basso del nostro campo a vedere la grotta di ghiaccio. Il torrente s’incanala in una lucida galleria, dai bellissimi riflessi verdastri, alta fino a 25 m e larga dai 5 ai 10 m. La osservo e la fotografo da varie visuali, sia in entrata che in uscita.
Puntuali, alle 11 partiamo, siamo una decina più la loro guida Iman, il portatore Amin e un altro, addetti al trasporto vettovaglie e zaini di due persone.
A passo cadenzato ripercorro quindi la via già fatta il 6 agosto, fino a scorgere la Torre Muztagh. Poi proseguiamo, ancora per morena, fino a scorgere, tra le vette del G5 e del G6, l’emersione appena accennata della vetta del G1 (Hidden Peak). È ora di colazione. I portatori apparecchiano con tovaglia un masso liscio e dispongono il self service con patate bollite, formaggini, frutta secca, biscotti. Ci viene servito anche il tè caldo. Qualcuno aggiunge di suo delle tavolette di cioccolata, una bianca e una scura, una vera delizia.
Quindi proseguiamo, con l’accordo di non procedere oltre le 15, sul corpo bianco del Vigne Glacier. A sinistra, le vette di ghiaccio, con belle canne d’organo, dei Vigne Peaks. A destra invece è la mole meno ardita del Mitre Peak. Dietro di noi K2, Broad Peak, i Gasherbrum IV, V e VI. Di fronte, in fondo a destra, è il lontano Ali Camp. Ed è visibile la valle per la quale si può scavalcare il Gondogoro La.
Giunti a una serie di bellissimi massi erratici di granito, appoggiati su enormi funghi di ghiaccio, ci fermiamo paghi di quanto raggiunto. L’Ali Camp sarà distante ancora 60-90 minuti, ed è fuori discussione. Il panorama è quasi lo stesso e ugualmente grandioso, in cielo non c’è alcuna nube.
Dopo le fotografie di rito in cima al masso più voluminoso, si ritorna, ed è quasi un peccato. Verso le 17.30 rientriamo tutti al campo.
In tutto il giorno non abbiamo avuto alcuna notizia del 13° gruppo e del suo problema medico, nonostante il telefono sia sempre stato acceso. Alla sera però mi convinco definitivamente che non è successo nulla di grave, altrimenti “radio Baltoro”, il tam-tam dei portatori, ci avrebbe avvertiti.
Una nuova tenda rossa è stata montata per il medico Angela Bettoni, e una serie di bandierine italo-pachistane legate a un unico cordino è stata piazzata attorno e in mezzo al campo. Saranno un migliaio, e sbattono al vento con molto rumore.
In tenda mensa sembra che piova, ma per festeggiare salta fuori una bottiglia di prosecco che viene divisa equamente nella comunità: anche Amin e Iman ne bevono un sorso.
La notte scorre regolare, un po’ freddina. Sveglia alle 5.20 per fare colazione con gli altri che partono alle 5.30. Il sole spunta alle 6.30. Rimaniamo qui Angela e io. In mattinata, tra gli altri baltì che marcano visita, appare il capitano Usman (di Lahore, Punjab), reduce dalla Sella Conway, con un problema al sedere. Immediato il suo imbarazzo a parlarne con Angela. L’infiammazione deve bruciargli tantissimo. Loro hanno un medico alla Sella Conway, ma non più in basso all’IHC, più o meno nella stessa posizione del Gasherbrum BC.
Il medico gli aveva dato un antibiotico, Angela lo cura con una crema antinfiammatoria e antiemorroidi. Chiacchierando con lui vengo a sapere che a oggi sono 180 i militari impiegati nel Baltoro, da Dassu alla Sella Conway. C’è anche Lagari, una postazione a 6500 m sulla cresta del Baltoro Kangri: lì ci sono solo tende e cinque militi a presidio. Un giorno lo hanno mandato da solo ancora più in alto, lui ha stimato a 7000 m, per studiare la possibilità di una postazione ancora più elevata. Fu un’esperienza terribile, freddo e tanto vuoto da ogni parte: fece appena a tempo a fare una serie di foto al Siachen Glacier.
– Si vedeva tutta l’India – ha esclamato a occhi accesi, convinto che io potessi capirlo.
Concordia, 16 agosto, ore 16
Ho presentato il programma per i prossimi giorni a Mehfuz: non sembra preoccupato che gli abbia chiesto una notte al CB dei Gasherbrum. Sembra molto più eccitato per la mia idea di andare a Karimabad, nella valle degli Hunza, o magari al suo tanto caro Fairy Meadows.
Questa mattina è venuta a trovarci Annalisa, le grandi chiacchierate con Angela sono interrotte da due trekker parigini (ma uno è di lingua inglese) che hanno traversato il Gondogoro La al contrario e dicono di avere delle bellissime fotografie. Dicono che mi manderanno un CD. Scopro anche che uno di loro a luglio ha fatto la Allain-Leininger alla Meije, quindi è uno che la montagna la mastica. Mi fanno un sacco di domande, faccio fatica a difendermi dalla loro brama di sapere.
Il pranzo è con Angela, tête-à-tête, prime confidenze, sulla perdita del suo bagaglio: mi lascio andare a riflessioni imaginifiche, dove il suo inconscio tramite questo incidente le ha mandato un fax per dirle che stava affrontando questo viaggio con un bagaglio interiore sproporzionato… In ogni modo la sua sacca dovrebbe arrivare domani con il gruppo seguente al suo.
– Sono stufa di sopravvivere con quello che mi hanno prestato o regalato quelli del mio gruppo! Anche se, poverini, mi hanno davvero commossa!
Ci telefona anche Beppe Tenti, per sapere come va.
– Non sappiamo più nulla dell’emergenza medica di Khuburse…
– Quale emergenza medica…?
Gli raccontiamo per sommi capi, prende tempo per informarsi, poi ci richiama.
– La signora e suo marito sono a Skardu, recuperati ieri dall’elicottero a Urdukas.
– Potevano almeno avvertirci – concludo io.
Con Angela ipotizziamo uno scazzo tra la coppia e le due guide, con Silvia che fa da paciere. Ma domani sapremo tutto.
Angela legge, accostata a un masso al sole, io non so più che scrivere se non che ho riaggiustato la posizione dei pannelli solari, tendenti ad ammucchiarsi uno sull’altro per via dei movimenti e dello scioglimento del ghiaccio. Li ho anche coperti con un materassino fermato da sassi, per evitare una sovraccarica delle batterie.
Mi sono anche lavato i piedi, un evento che mi ha permesso di indossare le splendide Lizard regalatemi da Giuseppe. Con questi sandali mi sembra di essere un signore, l’intimo nero North Face mi regala ulteriore fierezza. Chissà che aspetto ho, con la barba e i capelli grigio-bianchi. Devo incutere un certo rispetto.
Intanto le montagne “meriggiano assorte”, così uguali in questa luce abbacinante che cancella ogni rilievo e appiattisce. Un pensiero va a quelli che in questo momento stanno ancora salendo il K2, bisogna averne voglia… Io ne ho avuta tanta, e adesso sono su un altro pianeta. Sono gli anni della riflessione, ma qui mi chiedono com’era, cosa ho fatto, che sensazioni si provano. Inconsapevolmente tentano in ogni modo di distogliermi.
Concordia, 17 agosto, ore 9.30
Un altro gruppo di Nodo infinito ci ha invitati a cena ieri sera nella grande tenda a igloo di Annalisa, che fa da mensa e da ambulatorio medico. Ciò grazie a un fiorentino che era stato presente a due mie conferenze nella sua città.
Dopo cena, davvero raffinata considerati i mezzi a disposizione, iniziano i grandi preparativi dei baltì e degli hunza per l’intrattenimento musicale. Canzoni sempre diverse, conosciute da tutti loro, soliti bidoni di plastica a mo’ di tamburi, ma questa volta abbiamo anche il flauto. Pian piano l’atmosfera si riscalda, i primi danzatori si esibiscono e poco alla volta chiamano i membri del nostro gruppo. Ci sono anche una coppia basca e i due francesi di ieri.
Verso le 21.30 Angela e io salutiamo l’allegra brigata, che sembrava voler andare avanti a oltranza. Molti italiani ne approfittano e si uniscono a noi nella fuga.
Ho la sensazione che il tempo oggi cambierà, quindi già alla sera metto in programma un’uscita mattutina al campo Concordia Est per riprendere gli scarponi della Dolomite con lo sfondo del K2. E così, alle 7, con Angela ritorno là, dove la visuale sulla montagna è migliore. Realizzo quattro inquadrature diverse, con lo sfondo del K2, ciascuna con la variante del flash.
Le prime due, scarponi su un bel masso con luce radente in posizione di cammino, una visti dall’alto del treppiede e una alla loro altezza. La terza voleva essere una soggettiva sui miei piedi scarponati, sdraiato per terra; la quarta uguale ma a gambe incrociate. Le ultime però non riesco a farle, il treppiede non lo permette e non riesco ad avvicinare l’occhio al mirino. Così Angela si offre di indossare lei i miei scarponi, e a me sembra una buona idea. Vedremo i risultati…
Finito il lavoro, ci offrono il caffè nell’ormai abituale tenda a igloo. Poi torniamo al nostro campo, a fare la vera colazione.
Per strada incontriamo i due collector Hulam Hassan e Susgiat assieme a un terzo, il sostituto di Ibrahim. Anche lui infatti è partito per il Gondogoro la questa mattina: al suo villaggio lo aspetta un’udienza in tribunale, per una lite su un terreno. Tornerà tra tre giorni, inshallah (in šāʾ Allāh).
Oggi invece dovrebbe tornare Bashir, speriamo bene…
Il cielo velato lascia supporre che i programmi da me fatti ieri saranno rivisti e corretti, ma tutto dipende se avrò la Noblex oppure no.
Tra poco il gruppo n. 13 dovrebbe arrivare, forte di 33 persone (35, tolti i due evacuati a Urdukas) + 2 guide + i miei due colleghi, Silvia e Alberto.
Sindi, Urdu (Punjab), Beluci, Patan (Pashtu), Baltì, Hunza e Shina (Chilas) sono le lingue pakistane, questo è emerso da una seconda e sempre piacevole chiacchierata serale con il capitano di Lahore.

Concordia, 18 agosto, ore 17
Preceduti da quasi tutti i loro bagagli, i partecipanti del gruppo 13 arrivano alla spicciolata. Alberto e Silvia sono proprio contenti di essere arrivati e di vedermi, anch’io non vedevo l’ora, mi sentivo davvero solo.
La Noblex è arrivata!
E questo mi permette di poter ancora sognare la foto di Sella. Peccato che il tempo, per il 18, non sia previsto buono, anche guardando le nubi lenticolari sul K2 e Broad Peak, nonché il velo in quota e lo scuro verso Payu.
L’arrivo di Silvia significa anche la ricezione di ben quattro lettere, quella di Bibi (superata già da quattro telefonate), quelle tanto attese di Petra ed Elena, e naturalmente quella di Guya.
La lettura della posta mi emoziona, mi fa credere per un momento che siamo tutti riuniti, in un affetto che va oltre l’enorme lontananza. La lettera di Guya poi è speciale, credo di non aver mai ricevuto una lettera così profonda, così visceralmente amorosa.
Mentre stavo leggendo i miei tesori, arriva Mehfuz che con aria assai preoccupata mi mostra una lettera da lui ricevuta.
Già, me ne ero dimenticato! Mario mi aveva accennato alla sostituzione di Mehfuz, ma senza chiarirmi molto le motivazioni. Lo aveva saputo in un incontro con Mr. Aziz. L’uomo nuovo è Muhammad Alì, un baltì tutto pepe che per l’intera estate ha svolto per Walji’s la mansione di supervisore dei campi CAI.
La lettera con la quale i superiori di Mehfuz gli annunciano di cedere la responsabilità di guida a Muhammad Alì è breve e abbastanza secca, anche perché scritta in inglese in modo che io possa comprenderla. Mehfuz è ovviamente imbufalito, perché gli tolgono il lavoro e perché non gli spiegano le ragioni, dando quindi per sottintesa una sua qualche mancanza.
Mi avvio verso un lungo lavoro diplomatico per non ferire ulteriormente la sua dignità. Da una parte mi spiace, dall’altra non vorrei ritorsioni di qualche genere. In effetti, a parte la sua generale immobilità, quasi fosse un estraneo a questo mondo, e a parte la storia delle mance da lui richieste alla partenza di Mario e Franco, debbo dire che il suo lavoro lo ha fatto. Non ho lamentele nei suoi riguardi.
Concedo a Mehfuz di telefonare a Walji’s e di parlare con i suoi superiori. Alberto e Silvia osservano la scena, siamo tutti a disagio, anche Muhammad Alì.
Dal confronto telefonico emerge che la sua sostituzione dipende dal fatto che lui non è un baltì, bensì viene dalle parti di Chilas: perciò, non conoscendo la lingua locale, potrebbe avere problemi con i portatori. Sembra inoltre che Montana si sia lamentata di lui per qualcosa. A quel punto comincio a scaldarmi, perché io non mi sono lagnato di nulla e mi rifiuto di credere che Mario lo abbia fatto senza avvertirmi.
Lo stesso Mehfuz risfodera la storia delle mance, dice di aver avuto a suo tempo una telefonata dall’ufficio in cui gli raccomandavano di non ripetere più quell’errore, visto che i patti non erano quelli. Sembra a tutti una motivazione troppo debole, ma lui insiste su questa versione: Montana si è lamentata.
Allora propongo di telefonare a Mario. A questi era sparito il cellulare ancora nel viaggio Chilas-Skardu, quindi telefoniamo a Katja, sua moglie. Nessuno risponde per almeno due ore. Eppure qui una decisione dobbiamo prenderla… Mehfuz pretende giustamente che noi parliamo con Aziz fino a che non ho sentito Mario, per sapere cosa si sono detti quel giorno a Islamabad.
Ma poi il tempo stringe e allora cedo, facendomi sostituire al telefono da Alberto, più neutrale.
Aziz conferma la motivazione territoriale e linguistica. Chiedo ad Alberto, in inglese in modo che Mehfuz comprenda, se questa è la vera e unica ragione. La risposta è sì, e Alberto lo ripete a voce alta. Chiedo ancora, tramite Alberto, come mai si sta mormorando di lamentele da parte di Montana che a noi non risultano. La risposta è: nessuna lamentela da parte di Montana!
Ormai è chiaro: nella fase cruciale dell’operazione bonifica, allorché serve davvero un uomo che sappia trattare alla pari con i baltì, Mehfuz è stato sostituito. Forse solo per poter risparmiare sulle paghe. Montana non c’entra e la nostra parola è salva. Mehfuz capisce che non possiamo farci nulla: succedesse il minimo inconveniente, la responsabilità sarebbe solo nostra.
Ma io comprendo anche cosa vuole Mehfuz: a lui preme che i nostri viaggetti di piacere programmati per i primi di settembre non gli sfuggano di mano. Così lo invito a telefonarmi il 29 agosto, quando sapremo meglio la nostra disponibilità di tempo. Per quel giorno saremo ad Askole e sarà più facile avere le idee chiare. In più scrivo una lettera in inglese, che gli consegno, in cui prendo atto della sostituzione, ma certifico anche che il lavoro di Mehfuz, per quanto ci concerne, è stato egregio.
Questo sembra acquiescere il nostro, solo adesso possiamo rivolgerci sereni a Muhammad Alì per continuare il nostro lavoro. Concludo raccomandando a Mehfuz di farci avere per domani uno scritto di suo pugno che certifichi il numero di kg di rifiuti da lui spediti ad Askole. Lo voglio esatto, perché dobbiamo pagare al kg, perché l’MGPO e i rottamai verificheranno e soprattutto perché temo nel passaggio delle consegne l’effetto scaricabarile. Né noi né Muhammad Alì vogliamo fare la figura dei fessi.
A fine pomeriggio decidiamo che Silvia scenderà con noi fino ad Askole, poi proseguirà fino a Skardu per poter stare là un giorno a premere su chicchessia perché i rifiuti ad Askole siano recuperati dai rottamai. Noi rimarremo là fino a sgombero avvenuto, lei invece proseguirà per Islamabad e prenderà il volo del 1° settembre.
Altro evento rimarcabile della giornata ha visto la sostituzione del regolatore di carica. Ora tutto funziona regolarmente e non c’è più bisogno di coprire i pannelli con un materassino. Che tra l’altro era sparito, assieme a uno dei miei e a quello della tenda medica, perché il gruppo appena arrivato è davvero numeroso. Potevano almeno chiedermelo e non entrare nella mia tenda; quando ci siamo accorti della sparizione della copertura dei pannelli la carica era a 29,4, a un pelo dalla sovraccarica e quindi del danno irreparabile.
Come al solito, la sera, occorre decidere chi andrà al campo base del K2 e chi no. È strano il comportamento delle due guide, Giancarlo Alessandrini e Maurizio Gaillard, ottime persone ma con scarsa attitudine al comando. Durante la cena non profferiscono verbo, chi parla è la guida pakistana, chi traduce è Alberto. Questo spiega le stranezze e le modalità dell’emergenza medica di Khuburse.
Questa notte alle 4.30 almeno 15 persone sono partite: non Silvia e Alberto che si guardano bene dal partire con nubi del genere, visto che hanno molti giorni a disposizione. Verso le 9 fanno ritorno, sotto una pioggia furibonda, C’era stato anche lo svenimento di una donna.
Con Angela si decide di fare una telefonata a Beppe Tenti per chiedere di portare una lampada e magari una stufetta elettrica, specie per coloro che dovranno stare nella tenda medica a settembre. Già adesso fa un freddo cane, più l’umido.
Mehfuz mi porge trionfante il suo “report”. C’è scritto che i kg da lui trasferiti sono esattamente 2.630 e ciò mi basta. Lui rimanda la partenza, visto il tempo: lo farà domani. Stasera gli darò la mancia.
Oggi sono venuti a trovarci Roberto Mantovani, Goretta Casarotto e il suo nuovo compagno. Un incontro toccante, sono stati otto giorni al campo base del K2 e sono riusciti a mettere a posto una volta per sempre le spoglie di Renato, proprio al di sotto del Memorial. È stato un lavoro lungo, complesso e delicato. Sono molto contenti che nessuno abbia fatto dello sciacallaggio giornalistico.
Abbiamo parlato anche della canzone “Signore delle Cime”, che è stata cantata anche al funerale di Fosco Maraini. Alle parole e al suono di questa poesia, la vedova, la giapponese Mieko Namiki, si era sciolta in lacrime, testimonia Goretta.
Le persone presenti a questo incontro hanno ammirato la compostezza e la serenità di Goretta, oltre alla sua forza d’animo. Poi necessariamente il discorso è scivolato su altri temi, anche sulla pulizia che stiamo facendo e sui problemi ambientali e climatici del Baltoro. Una compagnia davvero piacevole e un suggerimento anche per noi: loro, da Skardu, andranno oltre il lago verso Astor con una jeep, nella zona di quell’altopiano di Deosai dal quale ci furono i primi avvistamenti del K2. Può essere un’idea, in effetti si rimarrebbe più in tema K2 e Baltoro che non visitando la valle degli Hunza e Karimabad.
Concordia, 19 agosto, ore 16
Ieri è stata la giornata più infame: pioggia ininterrotta, freddo umido. È con viva premura che alla fine m’infilo nel sacco piuma sperando di passare una notte decente. Verso le 22 la pioggia muta in neve e poi, nel cuore della notte, sono svegliato da rumori, è gente del gruppo che agita le tende per sgombrarle dal carico di neve.
L’alba, alle 5, è abbastanza livida, a parte un K2 striato da nuvole bellissime. Il campo è sepolto da una dozzina di cm di neve: sarebbe bello, se la tenda medica non fosse collassata. Ma sul tetto gravava l’acqua della sera precedente: la mistura con la neve è stata letale per la struttura complicata di questa tenda, solida solo in apparenza. La tensostruttura sita tra il telo interno e quello esterno provoca delle leggere sacche nel tetto: in queste l’acqua serale si era depositata, a nostra insaputa. Quando Angela, verso le 4 di mattina, ha aperto la cerniera anteriore per prendere dei medicinali per uno del gruppo che stava vomitando, la tenda è collassata fino all’altezza di un metro. Fortunatamente le apparecchiature e il materiale medico non hanno subito danni. Fatte due foto veloci, mi affanno con la pala a liberare il tetto, ma è da dentro che occorre spingere. Dino è molto bravo e riesce a raddrizzarla in modo che sembri normale. Purtroppo constatiamo la rottura di almeno quattro paletti, ma Dino si dice ottimista, dopo colazione vedrà di ripararla.
Il gruppo nel frattempo è a tavola e all’unanimità decidono di scendere almeno a Gore 2, approfittando della schiarita. Mehfuz scenderà con loro, assieme all’ottima guida Aslam.
Rimaniamo perciò solo in quattro al pallido sole di questa mattina incerta, godendoci quel po’ di calore. I lavori di riparazione proseguiranno tutto il giorno, con risultati imprevedibili. Per pranzo Silvia si esibisce nella preparazione di un risotto al pomodoro, tutto sommato abbastanza presentabile, considerate le difficoltà.
Muhammad Alì si dà da fare, mi aggiusta la tenda e manda alcuni portatori a Gore 2 per fare il lavoro dei collector. Bashir è definitivamente sostituito con suo nipote, un ragazzo giovane e simpatico, Harif Hussein; quanto a Ibrahim si vedrà, per il momento lo sostituisce un portatore, quello che è andato a dirigere gli altri a Gore 2.
Nel primo pomeriggio telefono a Marco, che non ha mai ricevuto i miei messaggini, per sapere della foto di Sella. Arriviamo alla conclusione che Sella è arrivato esattamente dove sono arrivato io, la posizione dell’Angelus corrisponde perfettamente. Mentre nella foto dalla vetta della Q. 5461 m, quella di Terzano del 1929, si vede perfettamente il K2.
Concordia, 20 agosto, ore 22
Ieri sera è tornato Bashir, e questo mi ha fatto molto piacere. Mi ha consegnato una lettera di Mehfuz, da lui incontrato a Gore 2. È una missiva di affetto per me e per i miei compagni, in certi punti un po’ eccessiva, ma è nello stile del paese e dell’uomo.
Dopo cena, la serata scorre in tenda medica con una vecchia Settimana enigmistica. Questa mattina il tempo era brutto, nevicava. Per l’intera giornata è rimasto tra il “gnacco” e “petacco”. Non sappiamo bene che fare, porto Silvia, Alberto e Angela a vedere la grotta di ghiaccio, ma è un impegno da poco.
Veniamo a sapere della morte per peritonite di uno dei catalani impegnati sulla Magic Line del K2, e che uno di loro ha raggiunto la vetta per quella via.
Alla sera sembra che domani sarà bel tempo, io non sono molto convinto, però Muhammad Alì e Bashir sì. Pertanto Alberto e Silvia si preparano per il campo base del K2, mentre io mi preparo per la mia gita fotografica accompagnato da Muhammad Alì. Metto la sveglia alle 4.45.
Concordia, 21 agosto, ore 21
Non sento neppure suonare la sveglia, perché all’ormai familiare fruscio della neve che si accumula sulla tenda sono abituato a prestare orecchio. E alle tre qualcuno passa nella notte a scuotere le tende.
Alle 6.30, quando mi alzo, nevica alla grande, il paesaggio è di uno squallore e di un gelo sconfortanti.
Scrivo un programma per Alì, sperando che sia chiaro. Domani i quattro collector se ne andranno a Gore 2 per raccogliere le lattine e prepararle fino al nostro arrivo, il 24 o il 25 agosto. Dopo colazione rivediamo Alì, che sorride perché sa di aver cannato le previsioni… Gli consegno il programma, lui lo legge con estrema attenzione, dedicando al foglio quella dedizione che solo un uomo così può avere. E alla fine pare vada tutto bene.
La mattinata scorre tra noi quattro, con le solite battute sul freddo, sull’andare a fare la pipì, un momento che si cerca di rimandare il più possibile. Per non parlare delle toilet. Angela non sta benissimo. Improvvisamente due portatori ci chiedono la barella, sembra che uno del campo di Annalisa debba essere trasportato a valle. Dopo mezz’ora ecco arrivare il malato, un inglese che la sera prima Annalisa ha raccolto in tenda, praticamente da due giorni abbandonato lì dai suoi compagni che non avevano intuito la gravità della situazione. Il poveretto non stava in piedi, si era pisciato addosso ed era in piena crisi da edema polmonare. Annalisa lo aveva messo nel tubo iperbarico, ottenendo un immediato quanto provvisorio miglioramento. E così questa mattina la carovana si è avviata lentamente, con la nostra barella, verso Gore 2, sperando di raggiungere Urdukas. Assieme al malato, erano un suo compagno e quattro portatori. Domani sapremo gli sviluppi, e in ogni caso per oggi di elicottero non se ne parla neanche.
Per pranzo abbiamo la gradita sorpresa della visita del direttore di Walji’s per la Northern Area, Mr. Irfan Ullah Beg, un’ottima compagnia, con il quale discutiamo le prossime problematiche relative alla nostra operazione, soprattutto la consegna dei rifiuti agli uomini dell’MGPO.
Dopo di che ci facciamo fare un bel programma turistico, dal 31 agosto al 6 settembre, a visita delle zone delle Deosai Planes, valle di Astor, Bahzin Glacier, nonché il giro dalle parti di Fairy Meadows: chiusura in bellezza con rientro per il Babusar Pass e Kaghan Valley. Il tutto per 314 euro, escluso pasti e alberghi. Per la guida contatteremo Mehfuz. Se consideriamo che il viaggio via terra Skardu-Chilas-Islamabad ci sarebbe comunque costato 220 euro, direi che l’offerta è davvero interessante: avremo una jeep a nostra completa disposizione per sette giorni.
Nel pomeriggio finisco di leggere le fotocopie della Lonely Planet relativa alle Northern Areas del Pakistan, tanto per avere le idee un po’ più chiare su ciò che andremo a visitare. I soggetti sono quattro, il plateau del Deosai, la valle di Astor, il Nanga Parbat dai suoi tre versanti e infine il Babusar Pass che io nel lontano gennaio del 1975 avevo avuto intenzione di traversare d’inverno (!!!) con Ornella.
Quella era stata una “spedizione” sfortunata, a piedi per un giorno e mezzo nella neve della Kaghan Valley, una serie di sperduti paesini irrigiditi da un gelido inverno, un gran bruciare di legna. Una notte, in particolare, passata con i boscaioli a Kaghan, tra sputi verdi e insonnia su charpoi scomodi e cigolanti. Poi la rinuncia al Babusar Pass e il ritorno al nostro van.
Alberto anche stasera si è dimenticato di prendere in tenda il kit per il lavaggio denti. L’operazione consiste nel prendersi un po’ di acqua calda dal contenitore o dal bricco, spremere un po’ di dentifricio sullo spazzolino, intingerlo nell’acqua calda, indi lavarsi i denti, risciacquare, sputare e infine ripulire lo spazzolino nell’acqua rimasta. È sottinteso che la procedura si svolga fuori dalla tenda mensa, al buio. Siccome invece ora siamo solo in quattro, lo facciamo tutti assieme dentro, ridendo come pazzi e perdendo bave di schiuma dentifricia nei sussulti di riso incontenibile.
– Ma, torneremo a essere normali? – chiede Angela preoccupata o pentita d’essersi forbita le labbra con la manica, ma riferendosi anche ad altre sconcezze che da giorni ci concediamo per comodità.
Lo sputo bianco va a finire sul pavimento della tenda che non è altro che il ghiacciaio coperto dai detriti. C’è da aggiungere che la conversazione naviga spesso a livelli sotto la guardia, con grandi aperture sulla facilità o meno di defecazione che ciascuno di noi sta sperimentando sulla sua pelle. Il momento peggiore della giornata è di certo il toilet-moment, l’ingresso nella tendina male in arnese e ormai senza più porta, la seduta sulle due grandi pietre d’appoggio è traballante a causa della mobilità del ghiacciaio. Questa mattina poi una delle pietre si era minacciosamente inclinata e avvicinata all’altra, lasciando solo una sottile fessura, bersaglio da centrare con fortunosa abilità. Qualcuno infatti non c’era riuscito con risultati sconvenienti.
Concordia, 22 agosto, ore 18.30
Ancora una volta sveglia alle 4.45 per vedere un cielo grigio e le montagne nascoste. Verso le 7 la situazione è leggermente migliorata, ma sono ben contento di non essermi messo in marcia per la Quota 5461 m. Anche Silvia e Alberto hanno rimandato a domani, visto che Radio Gilgit assume il 23 come inizio del bel tempo.
Dopo colazione, l’evento più importante è l’intervista per la TV satellitare pakistana “Geo”. Il regista, Mr. Wajahat Malik sta facendo un servizio sui vari campi base del Pakistan. Intervista Angela, come medico del CAI, per dare informazioni sulla nostra postazione sanitaria permanente, sui turni, sulle attrezzature, sui casi che abbiamo avuto. Poi intervista me, come direttore dei lavori della bonifica, per dare notizie ai telespettatori sull’andamento della gestione ambientale dei campi. Segue qualche consiglio sul futuro di queste zone così belle e importanti.
Poi è la volta di Muhammad Alì, personaggio baltì per eccellenza, che in urdu racconta la sua storia e lo sviluppo del trekking nel Baltoro.
Dopo un piacevole lunch assieme al regista e al cameraman, come previsto partiamo in cinque per un’esplorazione che voglio fare fino alla base della Spalla del Marble Peak, la seconda grande realizzazione di Sella. Partiamo alle 13.50 e seguiamo la traccia per il Campo Base del K2 fino al famoso ometto all’inizio della grande morena. Poi abbandoniamo gradualmente la morena stessa, traversando in obliquo a sinistra verso un torrente molto incassato tra brevi pareti di ghiaccio. Una spaccatura sembra lasciarci passare, ma Alì torna indietro e preferisce una traversata molto più a monte. Io mi intestardisco e vado su per la spaccatura, che si rivela più facile del previsto. Allorché ci ricongiungiamo su una grande morena, saliamo su una “vela” bianca che traversiamo fino ad arrivare al torrente principale. Troviamo subito il passaggio, con qualche movimento un po’ esposto su ghiaccio. Ma anche Angela e Silvia se la cavano benone e presto siamo al di là. Solo una larga morena di rocce scure, seguita da un’altra parallela di sassi più chiari e instabili, e siamo alla base della Quota 5365 m, ai piedi del terroso versante sud-est. Qui erigiamo un ometto e prendiamo la posizione, 4616 m, 35°45’23”N, 76°30’46”E. Sopra di noi si erge un pendio abbastanza uniforme di sassi scuri e terra, solcato da un canale con acqua sulla destra e delimitato a sinistra da rocce più chiare di frana.
Mi avvento su per il pendio, ansioso di salire almeno un centinaio di metri: il tempo si sta schiarendo, ma Broad Peak e G4 sono ostinatamente coperti. Il K2 è dietro lo sperone e anche il Chogolisa è nelle nuvole. Rimangono scoperte le cime dal Mitre al Biarcedi e soprattutto l’immensa area di Concordia da vedere e fotografare. La Noblex oggi qui è perfino sprecata.
A 4708 m decido di fermarmi, potrebbe farsi tardi. Solo Silvia raggiunge Alì e me. Angela si ferma un po’ sotto, Alberto è rimasto alla base, non vuole forzare il ginocchio su una discesa così ripida. Alle 16 incominciamo a scendere, felici del bellissimo pomeriggio, dimentichi di tutti quei giorni trascorsi tra pioggia e neve.
Concordia, 22 agosto 2004, ore 21
Il tramonto è stato bello ma non glorioso, sono ancora incerto se domani sarà davvero bello o no. Alì si è ritirato a dormire senza cena con un po’ di mal di testa. Domattina mi alzerò con Silvia e Alberto che partiranno per il Campo Base del K2 con non si sa bene chi dell’organizzazione. Poi vedrò se partire e per dove e con chi. La serata non è bellissima, vapori vari stazionano in zona vette, a ovest si vede qualche umidità. Magari aspetterò le 7 di mattina per vedere cosa succede. La postazione a quota 5208 m dovrebbe perdonare un tempo anche non eccezionale: d’altra parte non vorrei andare fin lassù per niente.
Stasera mi hanno telefonato Petra ed Elena che erano in viaggio per Siena: come al solito le ho sentite serene e desiderose di vedermi al più presto. Per me sono ancora 17 giorni “all’alba”.
Concordia, 24 agosto 2004, ore 0.45
È una sensazione ben strana e fastidiosa quella di non poter dormire. Sbadiglio, gli occhi mi si chiudono, sto facendo uno sforzo per scrivere appoggiato sul gomito sinistro. Uno sforzo che mi costringe a non scrivere anche per diversi minuti. Ma so che, se spegnessi la pila frontale e la candela e mi allungassi, dopo un iniziale senso di sollievo continuerei a non dormire.
Il perché non so. Certo, dopo la sfacchinata di oggi mi sarei meritato un bel sonno, di quelli continuati, ma questo è ormai un sogno a occhi aperti.
Alle 16.30, ritornato al campo, mi ero steso in tenda per dormire un po’, dopo essermi cambiato i capi umidi di sudore.
Mi ero accorto che, nella zona anale, si era formata una tipica pallina esterna da infiammazione, probabilmente dovuta allo sforzo. Già la sera precedente l’avevo riscontrata e curata con due supposte di Anusol, senza apprezzabili risultati, però.
Così avevo chiesto ad Angela una qualche crema. Lei mi aveva portato in tenda del Fenazil, cioè prometazina cloridrato in pomata. Ne avevo applicato una generosa quantità prima di cena, salvo leggere dopo sulle istruzioni che il medicinale non deve essere assorbito se non in quantità minime. Di lì a spiegare l’insonnia il passo è ancora lungo, però mi accontento e spero che questo assorbimento cessi gli effetti collaterali quanto prima.
Nel frattempo gli sbadigli e le interruzioni proseguono, mi è difficile scrivere di oggi e raccontare quello che è successo. Sento che è un compito da rimandare.
Gore 2, 24 agosto 2004, ore 15
La mattina del 23 il cielo non promette bene. Alberto e Silvia partono ugualmente per il Campo Base del K2 con Bashir. Più tardi, verso le 7, migliora. Decido allora di andare a svegliare Muhammad Alì, che ieri si era ritirato in tenda senza cena accusando mal di gola. Angela dice che potrebbe soffrire di verruche alle corde vocali, perché gli ha già dato un ciclo di antibiotici senza risultato. Questa mattina proviamo con il cortisone: una pillola subito e l’altra nel pomeriggio se non ci sono stati miglioramenti. Alì la ingurgita con il tè e con il miele. Dopo poco vedo che va a prepararsi il sacco, dunque vuol dire che si va.
In marcia per la Quota 5208 m, tutto regolare. Passiamo il torrente (quello che al pomeriggio è invalicabile), saliamo alla base della montagna, in corrispondenza del Campo Base della parete W del G4, poi arranchiamo sull’immane ghiaione. Alì è lento, penso che gli stia facendo effetto il cortisone. Angela mi ha detto che gli sarebbe salita la pressione. Poi si riprende, così, seguendo fedelmente il tracciato dell’altra volta, arriviamo in cima verso le 12.15.
Fino alle 13 scatto foto panoramiche con la Noblex, ma non sono soddisfatto della visuale: l’Angelus è coperto e così anche, parzialmente, il Chogolisa. In compenso vi è un bellissimo gioco di nuvole, assai fotogenico.
Alle 13 cominciamo a scendere, il vento ci porta radi fiocchi di neve. In breve siamo in basso. Questa volta ci teniamo sull’itinerario classico del Campo Base del G4 che corre sotto la muraglia ovest della Quota 5461 m per tutta la sua larghezza, fino al ghiacciaio che sale al Broad Peak; da lì traversiamo fino all’itinerario del Campo Base del K2, guadando due torrenti. In questa trasferta mi sento veramente stanco, faccio quasi fatica a stare dietro ad Alì. Mi riprendo quando arriviamo sull’ormai familiare morena della via al K2 e da lì al nostro campo, dove arriviamo alle 16.15.
Non se ne parla proprio di salire oggi 24 verso il punto panoramico del Marble Peak, anche perché il tempo continua a chiudere le montagne più alte. Decidiamo pertanto di scendere tutti a Gore 2, anche per vedere cosa hanno combinato laggiù i collector.
Alla mattina, lacrimevoli saluti ad Angela, che rimane qui per aspettare il gruppo 14 e quindi tornare con questo, lasciando su un altro medico. Il cielo è sereno, ma sicuramente non sarebbe stato intelligente salire oggi sul Marble Peak: sulle cime si agitano già nuvolaglie disordinate, specialmente sul K2, sul Broad Peak e sul G4. Parto senza rimpianti, salutando Mr. Dino e Amin.
La marcia per Gore 2 è regolare, quasi piacevole. La Muztagh Tower si lascia fotografare, il gruppo 14 lo incontriamo più o meno a metà. Ci bombardano con le solite domande, ma sono simpatici, anche le due guide, tra le quali conosco solo Valentino Bassi, di Saviore in Adamello.
Nel gruppo c’è anche Wazir Jaffer Shigri, quello dell’MGPO, che mi abbraccia calorosamente e dice che ho una barba da talebano. Ribatto che preferisco da “Imam”. Ci mettiamo d’accordo per la consegna definitiva delle lattine all’MGPO, che deve essere seguita dalla vendita ai pashtu (patans) che commerciano in queste cose. Ci promette di farci partire da Askole assieme alle lattine, probabilmente il 30 agosto.
A Gore 2 mi permetto un lavaggio in acqua di scorrimento sul ghiacciaio: bidet e piedi, e mi sento un altro. Regalo a Bashir una camicia, 2 t-shirt, i doposci grigi che io chiamavo i “San Bernardo” e un paio di calze rosse, tanto per alleggerirmi un po’.
Gore 2, 24 agosto, ore 21
Alle 16.30 andiamo in spedizione, oltre il campo militare, a vedere la zona delle operazioni di bonifica. La luce sta calando, i ragazzi lavorano sodo, ci sono già i portatori pronti a fare i carichi. A Silvia e Alberto mancava questa infernale dimensione dello schiacciamento barattoli. Scopriamo che alcuni sono pieni e quelli li mettiamo da parte, protetti da un muretto. Alberto ne schiaccia uno con un sasso e il contenuto schizza addosso a me e ad Alì! Sono piselli, ma non ci va di assaggiarli…
Due sono le discariche che lasciamo intonse, per non superare i 4.000 kg. Domattina Alì ci darà la situazione totale, ma sappiamo già che a Gore 1 raccoglieremo altri due carichi di rifiuti turistici, e non dimentichiamo i carichi sparsi nei diversi campi.
Verso le 17.30 torno quasi di corsa al campo per fare quelle fotografie che non ero riuscito a fare all’andata, con cavalletto e Noblex in bolla. Tornato in tenda e sistemate le mie cose ho la gradita sorpresa di incontrare Ibrahim che arriva fresco fresco dal Gondogoro La. Ci ha portato delle mele, buonissime!
Sono contento della ricostituzione del team. Manca solo Hulam Hassan, mandato ad Askole a verificare la situazione. L’abbraccio con Ibrahim è caloroso, lui si scusa del ritardo, si scusa di non essere potuto venire con me sulla Q. 5208 m, si presenta a Silvia e Alberto. Tutti capiscono di avere davanti un uomo tanto semplice quanto grande.
Urdukas, 25 agosto, ore 21
Sarà stata la delusione di alzarmi e di vedere tutto grigio, le montagne nascoste da fitte nuvole, ma la sensazione di vedere i nostri sforzi vanificati è stata anche peggio.
Nella pattumiera della tenda mensa, assieme all’umido, scopro la scatola del tonno consumato da Silvia ieri sera. Una nuova discarica senza muretto si era aggiunta al panorama dei dintorni del campo, comprensiva di lattine e batterie. Veramente arrabbiato cerco Alì, deciso a fare una sfuriata a Gulam Rasul, l’incaricato del campo. Entro nel tendone dove stanno facendo colazione e, per rispetto, mi limito a dire che quando avranno finito vorrei parlare della gestione del campo. Noto una scatola piena di lattine vuote.
Poco dopo Alberto e io accompagniamo Alì a vedere le malefatte di Gore 2. Gulam Rasul cerca di non farsi vedere, alla fine è costretto dai richiami di Alì a riapparire.
La sfuriata è totale, minaccio perfino di segnalare il suo nome alla direzione di Walji’s. Avrei dovuto essere registrato: in un inglese poco più che approssimativo, così da farmi capire bene, ma molto incazzato. Alì traduce altrettanto incazzato. Tornati al campo vedo che i collector stanno pestando lattine e barattoli, capisco al volo che erano quelle che avevo notato prima e, avutane conferma, esibisco un’altra sfuriata:
– Quante volte devo dire che le lattine prodotte dal campo devono essere messe da parte e portate giù da voi, non da noi?
– Yes, sir, tike, sir…
Non c’è neppure gusto ad arrabbiarsi, sembra di aver a che fare con dei bambini.
– I nostri collector non devono essere usati per questo lavoro, sono i responsabili del campo che devono schiacciare le lattine del campo!
Poi prego Alì di far prendere le batterie riposte nell’apposito contenitore e di unirle al saccone che già stiamo trasportando.
Nel trambusto vedo che i collector, terminato l’indebito lavoro di schiacciatura, aiutano uno o due portatori a fare i rispettivi carichi. Mi avvento da loro e, sempre più inviperito, urlo che non hanno ancora capito nulla.
– Noi NON dobbiamo trasportare queste lattine. Questo è un loro compito!!
Alì guarda il portatore come gli avesse promesso l’ingaggio per la giornata, e ora fosse costretto a rimangiarsi la parola.
– No problem sir… posso impiegarlo per i carichi che stiamo preparando a Gore 1.
Dopo i saluti e la raccomandazione perché mantengano le promesse, partiamo.
Dopo un’oretta Alì ci raggiunge e proseguiamo in quattro. Silvia viene a sapere che Alì si è fatto sedici anni di militare, ha salito il Chogolisa, ha sedici bocche da mantenere a casa, anche un “big brother” che non ha lavoro. L’anno prossimo vuole aprire un’agenzia turistica, con un suo nipote che nel frattempo sta diventando guida e mai più con suo zio con il quale non si trova bene a lavorare. A suo tempo Alì voleva andare in Inghilterra, ma suo padre non glielo aveva permesso.

A Gore 1 troviamo i collector impegnati in una pulizia pignola, con i portatori pronti a caricarsi. La marcia per Urdukas è ancora lunga, ma alla fine, verso le 12.30 ci arriviamo.
Finalmente, anche se solo provvisoriamente, siamo fuori dal ghiacciaio, le tende appoggiano su terra, un elemento che non ricordavo più…
Dopo pranzo, mentre pioviggina, vado a fare un giro per Urdukas, in mezzo alle tane dei portatori sotto i grandi massi di questo splendido belvedere. Salta all’occhio che qui non esiste un luogo dove i rifiuti possano essere bruciati. E infatti, nel migliore dei casi, li interrano oppure, con più frequenza, li buttano negli anfratti tra i vari massi. Cavità che, nonostante la presenza di toilet a loro dedicate, i portatori usano anche per defecare. Il risultato è stomachevole, soprattutto al confronto con le grandiose potenzialità estetiche di questo luogo.
Terminato il tour degli orrori, osservata la maniacale pulizia degli spiazzi-tenda, spazzolati con cura ben visibile quanto superflua, mi viene incontro Hulam Hassan, il collector che era stato mandato ad Askole per il controllo. La squadra dei collector è ora tornata a essere quella originale, più il figlio di Hulam Hassan, che abbiamo da Concordia, da quando Alì è subentrato a Mehfuz.
Hulam Hassan riferisce che il responsabile del campo di Askole sostiene un arrivo di lattine pari a poco più di 2.000 kg, invece dei 2.630 sostenuti da Mehfuz.
Alì comprende la gravità di questa affermazione e mi riferisce la notizia con comprensibile timore (alla luce anche delle mie recenti sfuriate).
Ma io me l’aspettavo: – Non è gravissimo… anche perché noi pagheremo esattamente i kg trasportati fino ad Askole, non quelli che si dice siano partiti da Concordia. Quando consegneremo la merce all’MGPO (perché a loro volta questi la consegnino ai commercianti), questa verrà pesata con accuratezza. Lì salterà fuori la verità.
Se ci saranno 600 kg in meno, pazienza. Qualcuno ne risponderà, ma non saremo di certo noi.
Intanto attacca a piovere più forte, al momento non possiamo far altro che discutere all’interno della tenda mensa. Il campo, subito attorno alle tende, fa schifo. Hanno gettato il contenuto dei bidoni, nonché i rifiuti di cucina, in un fosso proprio sotto alla tenda mensa e sotto la cucina stessa. È desolante. La motivazione ufficiale è che Mr. Irfan Ullah Beg non ha dato soldi per il kerosene, con la scusa che, essendo il campo di proprietà dell’MGPO, sono loro che devono occuparsene.
I tre addetti dell’MGPO, presenti alla discussione, dicono che Mr. Jaffer, appena passato per di qua, non gli ha dato soldi per il kerosene. Addirittura mi spingono a scrivere una lettera per l’MGPO lamentando tale situazione.
Capiamo che è vero, è improbabile che l’abbiano venduto… Ma la lettera, d’accordo con Alberto, non la vogliamo scrivere, sarebbe un interessarsi ad affari non nostri. Non abbiamo né l’autorità né la voglia di sindacare all’interno dell’MGPO. Caso mai la lettera la scriveremo dopo Askole, quando l’MGPO non ci servirà più. Ora vogliamo più semplicemente risolvere il problema della nostra discarica. Da qualche nascondiglio salta fuori un po’ di kerosene, in più Alì scende dai militari per comprarne una tanica da 25 litri. Poi smette anche di piovere, così finalmente possiamo appiccare fuoco a questa sconcezza.
Silvia, che all’andata aveva confezionato un piccolo contenitore di vetro per le batterie dei turisti e non, ne lamenta la sparizione: saltano fuori alcune batterie, buttate in un sacco assieme alle lattine.
– E le lattine, dove sono? Quelle lattine che da due mesi e mezzo state producendo, dove sono?
Qui non osano rispondere, come a Gore 2, che 125 kg di lattine sono andate ad Askole. A parte che 125 kg sono troppo pochi, una quantità risibile per il movimento che c’è stato.
Qui la risposta è “Le hanno interrate, sepolte. Qui c’è terra e si può fare”.
Ci sono tracce di terra smossa, è evidente. Questi, a fine stagione, non avranno riportato indietro neppure un barattolo, alla faccia nostra e del CAI.
Cosa possiamo fare di fronte a questa inadempienza? Domani incontreremo Beppe Tenti e riferiremo. Poi quando Mario ci chiamerà potremo fare un comunicato su Gore 2 e Urdukas, in modo che Mario possa lamentarsi ufficialmente con Mr. Aziz. Beppe, se vuole, può piantare la grana, anche se non credo lo farà mai.
E alla sera si accende il desolante spettacolo dei globi luminosi, in una Urdukas di cenge e massi, uno spreco di energia per illuminare il mesto svolazzare di plastiche al di sopra di un luogo che di magico non ha più nulla, neppure la notte.
Nel buio della mia tenda sento i portatori chiacchierare, ridere e scherzare. Questa è la loro vita, questo è il luogo che noi siamo stati chiamati a condividere con loro. Il loro posto, dove loro vivono così. E io domani sarò altrove.

Payu, 26 agosto, ore 17.30
In circa sei ore, con una sosta a Khuburse per il tè, da Urdukas scendiamo a Payu. Gradevole la prima parte di marcia su morena, poi a Khuburse comincia a piovere e ne abbiamo fino a Liligo. Passare sotto alle pareti di terra di Liligo quando piove non è per nulla salutare: eppure non vedo alcun smottamento, neanche un sasso. Dopo Liligo si sale direttamente sul corpo del ghiacciaio, fino a raggiungerne la fronte. Poco dopo si è sul versante meridionale del Payu Peak e quindi all’oasi di Payu.
La prima persona che incontriamo è Beppe Tenti, mentre sta telefonando a sua sorella. Grandi feste e racconti reciproci, vicende organizzative. Lui è qui con la moglie, il figlio Filippo, un amico del ragazzo e altri quattro. La sua compagnia è sempre gradevole, ma non mi sembra voglia seriamente affrontare il discorso rifiuti/Walji’s.
In effetti non è suo compito, adesso è qui in vacanza, meglio dunque non insistere. Questa sera magari affronteremo il discorso delle batterie, visto che comunque sarà un bel problema riportare a casa a ottobre la tenda medica, i pannelli solari e le 10 batterie da 33 kg ciascuna. Nella mia ottica, anche se gli aggiungiamo 150-200 kg di batterie da consegnare in Italia al Cobat di Giancarlo Morandi, le problematiche generali non cambiano di molto. C’è anche una questione sospesa con il CAI, non si è capito chi debba pagare per il trasporto di tutto quel materiale. Credo di capire che Beppe è abbastanza arrabbiato per certe discussioni fatte a Milano: comunque è sicuro che tutto si risolverà per il meglio.
Ci riferisce che la strada tra Askole e Dassu è franata per una cinquantina di metri: quattro sono le jeep che sono rimaste a monte. Il servizio è quindi parecchio penalizzato, i portatori devono fare la spola tra le jeep a monte e quelle a valle. I nostri 4.000 kg di rifiuti avranno trasporto difficile e vedo con grande preoccupazione allungarsi il nostro soggiorno ad Askole. Egoisticamente, il nostro viaggetto sull’altopiano del Deosai e al Nanga Parbat si accorcerà. Infatti vogliamo consegnare all’MGPO tutto il rifiuto raccolto e ci piacerebbe vederlo partire per Skardu. Temo che sarà impossibile, però. Spero solo in Mr. Jaffer, che arrivi ad Askole il 30 agosto (e non il 31 come da programma). Solo lui ci può firmare una carta dove prende in consegna tot kg di lattine.
Sono quindi teso, non vorrei stare giorni e giorni ad Askole, per di più senza neppure il telefono (che a quel punto avrà le batterie morte).
Qui a Payu ha piovuto tutto il pomeriggio, ha smesso solo ora. Di lavarsi neanche il pensiero, con quest’umidità ignobile. Tra le ansietà, la pioggia e il disagio, siamo anche andati, con Alberto e Silvia, a vedere la situazione nei pressi dell’inceneritore. I roghi ci sono stati, una quantità di lattine abnorme è stata gettata al fuoco, non si capisce perché. Desolante, come sempre. Non abbiamo neanche la forza di ordinare ai collector la raccolta di quel metallo bruciacchiato. E ancora non sappiamo quanti kg ci aspettano ad Askole.
È proprio un momento brutto, di quelli in cui ti sembra che tutto il tuo lavoro sia stato totalmente inutile.
Perfino la ricarica del satellitare ci rifiutano, non ho capito adducendo quale scusa. Ci riesce dopo un’ora Beppe Tenti, non so se pagando o per maggiore carisma.
Domani altra tappa bella lunga, anche se su un sentiero migliore. In linea d’aria sono 13,8 i km che ci separano da Juhla, ma in realtà sono ben di più.
Le confidenze di Muhammad Alì a Silvia nel frattempo sono progredite. È appurato che ha 39 anni, è andato in esercito a 19 anni, pare per non stare con la moglie, dalla quale però ha avuto quattro figli, di cui uno è morto e il più vecchio ha 14 anni. Ha una storia con una donna dello Swaziland, che a suo padre non piace…
L’infelicità di Alì è davvero tangibile, non si sente realizzato e tutto congiura contro di lui, i sedici a suo carico, la cultura che gli impedisce di vedere le cose come un europeo quando invece vi sarebbe portato nel profondo. Quindi sì all’alcol, sì al fumo e a qualunque cosa lo possa allontanare dalle sue radici.
È forse questa sua sofferenza interiore che lo porta a essere un uomo così rispettato, conosciuto e ben voluto dai suoi conterranei?
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Très bon reportage. La montagne est belle, impressionnante, et que l’on se sent petit !
Davvero interessanti questi reportage per gente come me che non potrebbe immaginare certe dinamiche e vicende in un ambiente così lontano dal quotidiano.
Sempre splendido leggerti. Sembra di essere lì. Ciao giusgott
Tutto il Baltoro minuto per minuto. Ovvero le fatiche del “vecchio” imam Alí Gogna.