Bertone-Motti: ideologia o sport?

Bertone-Motti: ideologia o sport? (RE 021)
di Emanuele Cassarà
(da Tuttosport, 14 marzo 1975)

Le guide alpine Giorgio Bertone e Lorenzino Cosson partono da Courmayeur in Valle d’Aosta e raggiungono la California per scalare una parete già mitica: il Nose sul Capitan, nel parco della Yosemite Valley. Gli europei vanno alla scoperta di un altro alpinismo, conosciuto soltanto leggendo le patinate riviste specializzate. C’è tuttavia, al fondo, la ricerca ansiosa e affannosa di novità, di modi diversi, di ispirazioni da rinnovare. Al ritorno Bertone e Cosson confezionano un documentario fotografico e lo presentano al Piccolo Regio di Torino, con teatro affollatissimo.

Giorgio Bertone e Renzino Cosson al rifugio Monzino nel 1977. Foto: Guido Andruetto.

Ne ricevo un’impressione sgradevole. L’insieme non convince. Ne scrivo il 14 marzo.

Dunque la guida alpina Giorgio Bertone giovedì scorso (6 marzo 1975, NdR) ha presentato a Torino il fotodocumentario Yosemite ’74, prima salita italiana al Naso di El Capitan. Il montaggio è stato curato da Gian Piero Motti.

Gian Piero Motti

Cosa volevamo conoscere? Le differenze di ambiente e psicologiche, poi quelle tecniche, preparazione e approccio, rispetto alle Alpi. Infine le sensazioni, i pensieri di due guide italiane in un mondo profondamente diverso da quello abituale d’azione. Compito impegnativo, certo, per chi aveva voluto questa serata. Per esempio la difficoltà di offrire immagini interessanti, diverse una dall’altra, quando tutti sanno che, senza un terzo alpinista, su una parete di mille metri che sorge d’improvviso liscia e grigia dai boschi e da un’autostrada, il secondo di cordata fotografa il sedere del primo e il primo cosa può fare se non fotografare i propri piedi e la faccia, e solo quella, di chi lo segue?

Giorgio Bertone

Ci ha invece riempito di sconcerto l’accompagnamento “ideologico” che Gian Piero Motti ha voluto – sia pure con il lodevole intento di arricchire lo spettacolo – appiccicare all’opera. Anziché ascoltare i pensieri di Bertone e di Cosson – che, in fondo, cercavano clienti, mostrando la propria professionalità – la proiezione ci offriva singolarmente in sottofondo i pensieri e le sensazioni di altri – per di più citati – alpinisti. Perché? Forse che Bertone e Cosson non avevano pensieri propri da esprimere o d’improvviso erano diventati improbabili seguaci di alcuni simpatici scalatori-hippies della California, con le loro droghe, i loro problemi e le loro confusioni esistenziali? Quelle due guide alpine erano andate a scoprire e a imparare. Che dicessero la loro ci sarebbe parso un modo più genuino di svolgere il tema sul viaggio. Invece quell’inserire pensieri altrui e così diversi da quelli di due pragmatici alpinisti montanari è risultato anche arbitrario. Cosa c’entravano Bertone e Cosson con quella voce vagamente angosciata che diceva di sofferenze e di ricerche di vita in parete, di sogni densi di dubbi e di disperazione e che riguardavano gente che cercava verità impossibili su una liscia muraglia di granito?

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Bertone-Motti: ideologia o sport? ultima modifica: 2019-10-12T05:34:03+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Bertone-Motti: ideologia o sport?”

  1. Meglio non capire e neanche  cercare di far capire l’inenarrabile.A volte e’ piu’faticoso trovare il registro del racconto che acchiappa..che l’impresa stessa.Si fa fatica a capire e ricordare da parte degli stessi impegnati  non cadere giu’.
    Un rotolino di scalatella molto fotogenica(  torre di Pisa al Latemar), 36 fotogrammi al completo per poter vita natural durante gongolarsi con altri, morose e figli e nipoti,ed esibirli  con finale proiezione dia color come la “corazzata Potempkin ad ogni  sbaraccata con svuotamento bottiglie, VENNE FUORI CON ROTOLINO SVILUPPATO COMPELTAMENTE TRASPARENTE.”Meglio, cosi’torneremo a rifarla con altra macchina e altro rullino, chi c’era c’era  e chi non c’era non sapra’.

  2. Cassarà era un amico, ho scritto per lui dei pezzi da pubblicare su Tuttosport, ma sempre, tante volte, gli ho detto in tono amichevole che non aveva mai capito nulla dell’alpinismo. Ora ad anni dalla sua scomparsa, rileggendo i sui pezzi, confermo la mia opinione di allora

  3. Giorgio e Lorenzino facevano delle notevoli salite, anche con clienti, questo non piaceva a tante persone blasonate dell’ovest che non erano minimamente capaci di farle e spesso li osteggiavano o li mettevano in cattiva luce come incoscienti.
    Certi ambienti alpinistici sono sempre stati così e lo sono ancora oggi.
    Comunque sono mie opinioni del mio vissuto.

  4. Anziché ascoltare i pensieri di Bertone e di Cosson – che, in fondo, cercavano clienti, mostrando la propria professionalità – …
     
    fantastico.

  5. Ennesima riprova che Cassarà non capiva nulla di ciò di cui scriveva. Come quando facendo reportage delle imprese di Bonatti traspariva ogni volta sottilmente, quasi implicita, la delusione che Walter non fosse morto fallendo nella sua impresa. Deplorevole davvero. 

  6. Per me, come Emanuele Cassará abbia potuto godere a cavallo fra gli anni 70 e 80 di così tanto credito presso la Stampa accreditandosi come narratore di cose di montagna di quel periodo, resta uno dei misteri imperscrutabili della vita.

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