Le strutture di riparo di emergenza in alta montagna in molti casi hanno cent’anni e sono molto cambiate: ora attirano un pubblico più ampio, con tante foto spettacolari e qualche problema.
Bivacchi mai così popolari
di Valerio Clari
(pubblicato su ilpost.it l’11 agosto 2024
Era il dicembre del 1923 quando durante una riunione del Club alpino accademico italiano (CAAI), associazione che raccoglieva alcuni dei migliori alpinisti dell’epoca, il presidente Lorenzo Borelli propose l’idea di costruire dei bivacchi fissi d’alta quota. L’idea era di collocare in punti strategici piccole strutture che fornissero un riparo notturno nelle ascensioni più complesse, quelle per cui era necessario, o più sicuro, spezzare una spedizione in due giorni. Sarebbero state spartane, funzionali e ovviamente incustodite. E sarebbero state collocate là dove era impossibile costruire strutture più capienti e classiche, come rifugi, baite o malghe.
Oltre cento anni dopo i bivacchi stanno vivendo un periodo di grande popolarità: negli ultimi anni sono aumentati di numero, hanno assunto forme diverse e soprattutto attirano sempre più escursionisti, specialmente nei mesi estivi. Troppi, secondo i frequentatori più assidui della montagna, e non sempre sufficientemente preparati e rispettosi, secondo chi si occupa della manutenzione.
Oggi i bivacchi sono fondamentalmente di due tipi: quelli essenziali, strutture emergenziali collocate in zone particolarmente impervie e remote, pensate per fornire un riparo temporaneo ad alpinisti ed escursionisti esperti; quelli più moderni, dotati spesso di più comfort e più spazi letto, a volte architettonicamente innovativi, che sono diventati spesso l’obiettivo finale dell’escursione.
In Italia ce ne sono alcune centinaia: oltre 250 sono di proprietà del CAI, il Club alpino italiano, e sono schedati in un grande database consultabile online; altri sono montati e gestiti dai Comuni; altri ancora sono frutto di iniziative di privati, spesso pensati e costruiti per ricordare un appassionato di montagna che non c’è più.
I primi, quelli pensati da Borelli nel 1923, prendevano ispirazione dai ricoveri in lamiera utilizzati dagli alpini durante la Prima guerra mondiale. I primi due furono collocati in Valle d’Aosta: al Col des Echelettes, su un piccolo terrazzo roccioso affacciato su un ghiacciaio, e in Val Ferret, a circa 2.300 metri di altitudine, nel massiccio del Monte Bianco. I due bivacchi originari ora sono stati trasferiti in due musei, il Museo alpino Duca degli Abruzzi di Courmayeur, in Valle d’Aosta, e il Museo della Montagna di Torino.
Si occupò di realizzarli e assemblarli in quota la ditta dei Fratelli Ravelli, di Torino, specializzata in lamiere e che avrebbe dato il nome al modello, “Modello Ravelli”, appunto. La struttura era un guscio di perlinato in legno, isolante, ricoperto da lamiere di zinco, resistenti alle intemperie: la forma era quella di una mezza botte, il pavimento era di assi di legno coperte da cartone catramato, le dimensioni meno di 2,5 metri per 2, con un’altezza di un metro e mezzo, abbastanza per far sdraiare quattro persone, su due livelli. Si aprivano verso l’esterno una porta e una finestrella, dentro ci si trovavano una cucinetta ad alcol, cinque coperte, un bidone per l’acqua, una pentola, una scopa, l’accetta, la pala, il mastello, una lanterna e qualche altro arnese per la pulizia e per la cucina.
Il “Ravelli” contribuì alla diffusione dei bivacchi su tutto l’arco alpino, poi a partire dal secondo Dopoguerra lo standard divenne quello del modello Apollonio, un po’ più alto, più grande, più profondo, con sei-sette posti letto su tre livelli, assi ribaltabili per lasciare spazio a un utilizzo anche diurno. Le attrezzature erano più o meno le stesse, la cucinetta era diventata a gas. L’“Apollonio” restò la norma fino agli anni Novanta.
Da allora, ma anche prima di allora, molti architetti si sono confrontati con la progettazione di una struttura che deve essere poco impattante a livello ambientale, pratica pur in spazi ridotti, funzionale in condizioni meteorologiche estreme, potenzialmente fantasiosa e avveniristica nell’uso dei materiali e nel design esterno: questo ha dato vita a modelli di bivacchi anche molto diversi e anche con un numero maggiore di attrezzature.
Se cento anni fa solo gli alpinisti più esperti avevano conoscenze e attrezzature per raggiungere i bivacchi e pernottarvi, oggi le strutture sono maggiormente accessibili. Negli ultimi anni, dopo la pandemia, chi si occupa della manutenzione dei bivacchi segnala che sempre più persone cercano di raggiungerli e utilizzarli. Restano comunque in luoghi per lo più isolati e di alta montagna, per cui per progettare un’escursione di questo genere, con sosta a un bivacco, è sempre necessario prendere delle precauzioni e sapere che cosa si troverà nella struttura.
Sfruttando i pannelli solari, i bivacchi più moderni hanno corrente, riscaldamento e piastre elettriche, mentre le cucine che utilizzano bombole a gas sono state per lo più dismesse. Il bivacco Gervasutti, in Valle d’Aosta, per alcuni anni ebbe anche una sorta di computer di bordo, attraverso il quale era possibile valutare itinerari e condizioni meteo. Attrezzature simili restano un’eccezione: anche dove sono presenti pannelli solari nella maggior parte dei casi alimentano unicamente impianti di illuminazione, dotati di timer per evitare che restino accesi inavvertitamente. Le prese per ricaricare il telefono sono molto più rare: non è il caso di farci affidamento.
I bivacchi emergenziali sono molto più spartani: prevedono quasi sempre un buon isolamento termico rispetto all’esterno, posti letto, una panca centrale che può essere utilizzata come piano d’appoggio, l’equipaggiamento di base per il primo soccorso.
Il CAI ha recentemente presentato un nuovo modello, standardizzato e destinato, nelle intenzioni, a sostituire le strutture più vecchie e obsolete (ma anche a essere venduto all’estero). Ha una base rialzata, con piedi regolabili in modo che il montaggio sia possibile anche in pendenza senza movimenti di terreno, una struttura tubolare di alluminio, rivestimenti interni di legno isolanti, con uno strato di materiale termoriflettente che conserva il calore: i posti letto all’interno sono sei, più due supplementari in caso di necessità. Rispetto ai modelli storici, un’ampia vetrata permette la vista sul panorama circostante, mentre è stata mantenuta la porta d’ingresso divisa a metà, in modo che sia apribile anche in condizioni di neve alta. Riccardo Giacomelli, presidente della Struttura operativa rifugi e opere alpine del CAI, spiega che il modello è ispirato a quelli storici, ma è stato pensato per «essere montato e smontato senza lasciare alcuna traccia in montagna».
Matteo Peroni è un appassionato di montagna e youtuber: sui suoi canali social racconta escursioni e, appunto, pernottamenti nei bivacchi. Spesso fornisce informazioni limitate sull’ubicazione degli stessi, o persino sul nome, per non incorrere nelle critiche degli appassionati che lo accusano di renderli troppo popolari e quindi alla lunga sovraffollati.
Racconta che in effetti da giugno a settembre, soprattutto nei fine settimana, è probabile trovarsi in situazioni in cui i posti nel bivacco sono meno delle persone presenti: «Quando si è lì per fare una gita, ci si stringe. Ma va ricordato che se a qualcuno il ricovero servisse per una situazione emergenziale, bisognerebbe lasciargli il posto». Il sovraffollamento dei bivacchi è una novità degli ultimi anni dovuta, secondo Peroni, anche al fatto che «i social li hanno resi più popolari. E poi spesso sono strutture architettonicamente interessanti, in un contesto naturale selvaggio e di grande bellezza: tutte cose che li rendono “Instagram friendly” e quindi attirano anche chi è solo alla ricerca di una bella foto da mettere sul proprio profilo».
La frequentazione da parte di un pubblico nuovo e meno esperto ha portato ad alcuni casi limite in cui è stato necessario l’intervento di squadre di soccorso, perché gli escursionisti non erano sufficientemente attrezzati. Ma più di frequente pone più che altro questioni di manutenzione e uso consapevole: le regole di utilizzo prevedono che chi usa un bivacco porti poi con sé a valle tutti i rifiuti prodotti, ma non sempre questo accade. Bottiglie vuote di vetro e altri rifiuti, più o meno voluminosi, spesso vengono abbandonati all’interno.
I lavori di manutenzione sono svolti da volontari, dai soci del CAI della sezione che ospita il bivacco, oppure dai responsabili dei rifugi che sono vicini e “collegati” ai bivacchi. Alcuni infatti sono posizionati lungo itinerari che partono da rifugi, o vicini a questi: i gestori si occupano anche di ridipingere, sistemare, riparare i danni causati dal maltempo. Si occupano anche dei libri delle firme, presenti in tutti i bivacchi e simili ai libri di vetta: se ne possono trovare di molto datati, ma quando le pagine si esauriscono vengono sostituiti e quelli completi vengono portati alla sezione CAI di competenza.
Quando invece il bivacco va collocato per la prima volta o sostituito, si può procedere in due modi. Le strutture più essenziali in lamiera vengono realizzate a valle, trasportate in quota con un elicottero e poi fissate; quelle più complesse vengono invece montate in quota, dopo aver trasportato i pezzi, ora con elicotteri, ora a piedi.
Negli ultimi anni sono state anche completate delle ristrutturazioni di bivacchi risalenti alla Prima guerra mondiale, ormai in disuso, come il bivacco Buffa di Perrero o il recupero della casermetta del Monte Tudaio, entrambi nelle Dolomiti. Il bivacco Fanton realizzato dallo studio di architettura Demogo è stato, invece, l’unico edificio italiano inserito fra i 40 candidati a uno dei più importanti premi di architettura dell’Unione Europea, il Mies van der Rohe (hanno vinto poi un’aula studio in Germania e una biblioteca di Barcellona).
9
D’accordo con 34: leverei tutto! Quando ero giovane rompevo tutti gli ometti che incontravo (ora non lo faccio più, naturalmente). Quest’anno ho fatto una via alle pale di san lucano dormendo fuori, altro ambiente…
Credo che la frequentazione sia aumentata anche perché chi arriva pensa che non costi nulla, siano gratis, invece è solo lui che utilizza senza spese. Poi per i costruttori di nuovi bivacchi o ferrate (stesso ragionamento) rimane la soddisfazione di vedere tanta gente che plaude alla loro inutile iniziativa. Sig!
Mappoi se una persona operata di tumore ha bisogno di una TAC di controllo e gliela fissano dopo 20 mesi e lui intanto muore?
Tranquillo chequello fuori dal bivacco che non c’è più non muore perché telefona e vanno a recuperarlo con l’elitaxi a gratis.
Quello operato di tumore se non può pagarsi la TAC muore davvero.
Fabio e se, e se, e se…e se mentre sono in un bivacco-approvato-e-certificato UNI-EN-ISO un meteorite colpisce l’altro lato della montagna e quindi da questa parte si stacca un seracco che lo travolge?
Che ti devo dire? Non so se CAAI faccia bene a serrare i bivacchi pericolosi o se dovrebbe proprio eliminarli, so che sono un po’ stufo dell’andazzo del sistema che vuole un colpevole ad ogni costo.
Mappoi se li elimina e qualcuno arriva li senza averlo saputo (perché non ha visto gli avvisi o perché la cartografia lo riporta) e poi muore perché non c’è il bivacco?
Matteo, forse prima non mi sono espresso in modo chiaro. Intendevo riferirmi a una situazione come quella che ora descrivo:
1) Una cordata con un ferito riesce a raggiungere il Bivacco Canzio all’imbrunire. Lí trovano il bivacco chiuso con catena e lucchetto e sono costretti a bivaccare all’aperto. Durante la notte il ferito, già indebolito, muore per il freddo o la bufera.
In previsione di tale evenienza il CAAI ha deciso di lasciare aperto il bivacco e riservarlo alle emergenze (per me è la decisione giusta).
2) Il CAAI però deve sapere che, in tal caso, lí bivaccheranno con ogni probabilità tanti altri senza emergenza ma solo per loro comodità. Se durante la notte crolla la massicciata col bivacco, causando morti, il giudice (visto il precedente di Pontboset) condannerà il CAAI in sede civile e forse anche penale perché non ha creato uno “sbarramento inamovibile”.
In entrambi i casi (1 e 2) ci sono gravi conseguenze.
Forse la soluzione migliore è quella di eliminare il bivacco. Chi desidera partire per la traversata Rochefort-Jorasses si regoli di conseguenza, alla maniera dei pionieri.
“In caso di emergenza che si fa? Ci si attacca al tram?”
No, perché li non passa mica e se ci sei arrivato non ci sei arrivato certo in tram.
Quindi ci si ingegna a togliersi dai casini (o vuoi fare come il mio omonimo Peroni?)
Peraltro non è da trascurare l’effetto trascinamento dei bivacchi e dei rifugi: ci provo, tanto alla peggio c’è il bivacco…
Forse l’ho già raccontato, ma vi ricordate quei due rimasti sul Badile per 7 giorni? Lo stesso giorno che loro attaccavano noi avremmo dovuto andare allo Spazzacaldeira ad arrampicare, ma con il tempo visibilmente minaccioso già a Chiavenna abbiamo ripiegato al Perone.
‘I due bivacchi vanno eliminati oppure, per lo meno, la porta di accesso deve essere chiusa con una catena con lucchetto (“sbarramento inamovibile”).’
È incredibile, ma presumibilmente le cose stanno davvero cosí.
In caso di emergenza che si fa? Ci si attacca al tram?
Dallo Scarpone:
“Il Club Alpino Accademico Italiano, con una nota ha comunicato l’inagibilità del bivacco Ettore Canzio, situato alla quota di 3.818 m, all’estremità orientale del Colle delle Grandes Jorasses, tra la Calotte de Rochefort e la Punta Young delle Grandes Jorasses, per pericolo crollo dovuto al cedimento della massicciata posta a sinistra del manufatto. E’ stato apposto un cartello in tre lingue sulla porta dello stesso. Un altro cartello è stato consegnato al rifugio Torino.
Il CAAI comunica altresì l’inagibilità del bivacco Lorenzo Borelli situato in località Combalet, più nota come Fauteuil des Allemands, addossato alla parete del Mont Noire, per pericolo caduta massi dalla parete sovrastante. E’ stato posto un cartello all’inizio del sentiero che dalla Val Veny porta al bivacco. Altri due cartelli sono stati apposti sulla porta e sulla parete del bivacco. Il CAAI non si assume alcuna responsabilità in caso di uso del bivacco. Si raccomanda altresì estrema attenzione nel muoversi nei pressi delle due strutture. Entrambi i bivacchi sono stati comunque lasciati aperti per eventuali emergenze. Il CAAI si sta già adoperando per risolvere entrambe le situazioni, ma i tempi di intervento non saranno brevi”.
Da un commento all’articolo “Distacco provocato da una vittima” (vedi GognaBlog del 30 luglio 2024):
“Emblematico il caso del comune di Pontboset (AO): nel 2000 viene chiusa una strada per probabili crolli a seguito di precipitazioni, un’ordinanza viene regolarmente pubblicata sull’albo pretorio e affissa alla transenna che è posta a sbarrarmento della strada. Una coppia di torinesi sposta la transenna e passa ugualmente, una frana uccide il guidatore. Conclusione: Comune condannato a risarcire 1,8 mln di euro e costretto a dichiarare bancarotta (le entrate di un piccolo comune del genere sono infatti pari a circa 900.000 euro/anno). Per il giudice lo sbarramento non doveva essere amovibile (assurdo!).”
Sulla base della sentenza per la frana di Pontboset, e per analogia, temo che non basti un cartello di avvertimento sulle porte del Bivacco Canzio e del Bivacco Borrelli.
In caso di disgrazia per caduta di massi o per cedimento della massicciata, il giudice condannerebbe il CAAI.
I due bivacchi vanno eliminati oppure, per lo meno, la porta di accesso deve essere chiusa con una catena con lucchetto (“sbarramento inamovibile”).
Ho letto l’ articolo e ho poi fatto partire il video…pensavo a un pesce d’ aprile anticipato, così ho poi controllato chi fosse l’ autore ecc., ecco, basta il nome, se la fonte è il post. allora tutto normale…
Solo a marzo un elicottero del soccorso alpino è precipitato sul Monte Rosa durante un intervento in zona Margherita, tutti salvi. un puro miracolo…ma cioè, vi rendete conto? Per non dimenticare MAI quello che è purtroppo accaduto in altri interventi. Questi equipaggi rischiano sempre e comunque la vita per gli altri e poi ci sono degli assoluti (autocensura) che trattano questi fatti come nell’ articolo in questione, ma questi superano di gran lunga la assoluta (autocensura) degli youtuber, che pure è immensa.
Ci rendiamo conto della gravità dei messaggi che passano gli youtuber? Questi fanno dei video e li pubblicano per dissetare il proprio EGO e non sazi di questo, dopo aver toppato la gita (contando sulla presenza del bivacco: siamo sfiniti già a metà salita, non conosciamo l’ambiente innevato, ma dato che c’è il bivacco continuiamo, domani si vedrà…), si mettono a filmare il soccorso come se fosse una cosa normalissima. Praticamente zero amor proprio.
E dato che parliamo di bivacchi, quello nel video è nuovo, prima non c’era nulla e forse era meglio così.
Je trouve l’architecture du Bivouac GERVASUTTI très originale. D’un présent tourné vers le futur.
@35
“Tu stesso la 17 ti sei compiaciuto per la segnalazione, mi pare nel commento 14, di un bivacco “utile””
L’ironia non è proprio il tuo forte, vero Crovella ? 🙂
Ma lasciamo perdere.
Piuttosto, cortesemente, riesci a spiegarmi come sia possibile conciliare il tuo #piumontagnaperpochi con affermazioni del tipo “ben venga il nuovo bivacco” (purchè in un posto “logico” – ma logico per cosa ?) e “che alcuni siano UTILIe quelli vanno benissimo“, visto che la presenza di un bivacco oggettivamente agevola la frequentazione in generale, o, come nel caso segnalato della Val Pellice, addirittura rende una salita “assai più frequentata” (gaudium magnum!).
Perchè a me sembrano ragionamenti assai in contraddizione fra loro…
@ i cannibali non sono i merenderos. Questi che sono i fan dei picnic o gli appassionati della polenta in rifugio. Invece cannibali=incivili/ineducati/quelli che non sanno fare le cose appropriate. (Nella tradizione torinese, “cannibale” è un termine che si usa anche al di là della montagna: chi va a teatro in jeans e infradito è un cannibale, un incivile, uno che non sa stare la posto giusto nel momento giusto). la tradizione, già 100 anni fa, introdusse il termine cannibale nel gergo della montagna. Quelli che fanno le cose sbagliate. Va da sé che le tanti cannibali sono un’invasione barbarica. Per cui le orde dei merenderos sono il regno maximo dei cannibali, è vero. Ma quella dei cannibali, purtroppo, è una categoria trasversale, vanno dal turista di giornata all’escursionista fino al 10.mo gradista supertalentuoso. Gli esempi che tu porti sono riferibili a cannibali che, in quanto alpinisti, dovrebbero “amare” la montagna e invece la stumentalizzano per le loro esigenze prestazionali. Sul piano etico è un atteggiamento ancor più grave di quello dei cannibali merenderos, anche se questi sono un’orda sconfinata e quindi l’effetto numerico è devastante. Cmq: meno bivacchi in montagna=meno cannibali e meno merenderos.
Assurdo, hanno anche chiamato l’ elicottero! Vergogna!!!
Se si vuole salire sui monti, non servono altri rifugi o bivacchi. Bastano quelli esistenti.
Anzi, si era detto “Piú montagna per pochi”, il che implica diminuire il numero di rifugi, tra cui quelli del CAI.
@36. Concordo ! E amplierei i poteri della commissione anche … alle ferrate (che spuntano come funghi in autunno)
@31 Relativamente al dedicare la struttura ad una persona scomparsa, concordo con Carlo Crovella che questo non può essere l’unica motivazione per installare una nuova struttura fissa. Ma se si individua un posto “logico”, non vedo problemi nell’intitolazione “a futura memoria”, anche consideranfo che i costi sono sostenuti da privati e non gravano, quindi, sulla collettività.
A scanso di equivoci, concordo pienamente. la prima variabile è individuare il posto “logico” per una base d’appoggio utile. Se è così, ben venga il nuovo bivacco, che poi il bivacco si chiami CAI Piripicchio o col nome di una persona scomparsa è irrilevante.
Viceversa sono critico (mi pare anche tu) sul fatto di piazzare bivacchi sensacugnissiun (mi pare tu sia piemontese, per cui capisci cosa intendo) SOLO per ricordare una persona scomparsa. L’intenzione è nobilissima, ma dobbiamo centellinare ogni ulteriore presenza antropica in un ambiente fragilissimo.
Bisognerà trovare un criterio oggettivo che valga per tuti e su tutto il territorio nazionale, ad esempio istituire una Commissione Approvazione Nuovi Bivacchi, con potere valutativo anche e SOPRATTUTTO sui bivacchi finanziati da privati.
@21. Tu stesso la 17 ti sei compiaciuto per la segnalazione, mi pare nel commento 14, di un bivacco “utile”. Fra i nuovi bivacchi (intendo con questa definizione, i bivacchi posizionati dove in precedenza non c’era NULLA, escluso quindi il rifacimento di vecchi bivacchi ormai inutilizzabili) ebbene fra i nuovi bivacchi alcuni, pochissimi, sono utili, cioè hanno un “significato” alpinistico/escrusionistico. Ma la stragrandissima maggioranza dei “nuovi” bivacchi (da circa un 15-20 anni in qua) sono del tutti inutili.
Dimenticavo, fosse per me non avrei costruito nulla. Rifugi, bivacchi, funivie…niente!
L’alpinismo te lo fai come puoi. I punti d’appoggio sono doping, eticamente parlando. Tutti.
E i commenti al video sono tutti di complimenti anche per la scelta di chiamare l’elicottero perché le gambe facevano male.
Qui siamo in presenza di un’orda di deficienti che dovrebbero starsene a casa. Altro che bivacchi.
Troppo facile sputare nel piatto dove si mangia quando l’atmosafera si scalda un pò. Tale Peroni intasca soldi dalle sue gitarelle sparate su internet (dai, è il 2024, i bivacchi si trovano anche senza pubblicarne il nome..) per poi dire che ultimamente ci son troppi visitatori. Cosa fare? Numero uno: non pubblicizzare ciò che fai. Anche a me capita di usarli ogni tanto come ‘meta’ – eppure non lo sparo ai quattro venti! Non geotaggo (altra pratica abominevole introdotta dai social). Bisogna iniziare a pensare che non si può avere tutto: montagna vuota e tasche piene. O notorietà tra gli amici. Io spero la gente si ribelli presto e qualcosa inizi a cambiare, perchè al momento siamo già verso l’insostenibilità. Spero solo non si debba arrivare al solito “pagano tutti per lo sbaglio di pochi” – multe, divieti, etc etc. Quella sarebbe una grande sconfitta, ma forse necessaria per ridare dignità a quegli ambienti.
Nell’esempio di bivacchi inutili inserirei “di diritto” quello che hanno realizzato 20 minuti prima del glorioso Soardi nel magico Vallone di Sea. Se ogni 20 min. mettiamo un bivacco avremo una specie di “via crucis” con i bivacchi al posto delle stazioni …
Invece non ho capito che male ci sia se grazie ad un bivacco prima inesistente una gita diventa meno “tiraculosa” (mi scuso per il francesismo …). Se la struttura ha una sua logica e può evitare di appesantire “le gobbe” dei montagnini mi pare una cosa buona e auspicabile. Inoltre se un certo itinerario, dove prima passavano 3 cordate all’anno, diventa più frequentato mi sembra anche questa una buona cosa. La via diventa più sicura (gli ancoraggi sono più usati, etc.).
Relativamente al dedicare la struttura ad una persona scomparsa, concordo con Carlo Crovella che questo non può essere l’unica motivazione per installare una nuova struttura fissa. Ma se si individua un posto “logico”, non vedo problemi nell’intitolazione “a futura memoria”, anche consideranfo che i costi sono sostenuti da privati e non gravano, quindi, sulla collettività.
Un piccolo pensiero finale a quel nido d’aquila del bivacco Hess che, per fortuna, è poco sotto i 3.000 mt. e quindi fuori dalla zona di possibile “smontaggio” citata da Carlo Barbolini (è un po’ di anni che “faccio il filo” alla Kuffner alla Aiguille de Glaciers e mi servirebbe proprio che il bivacco rimanesse al suo posto ;-).
@27. Fosse accaduto in Friuli Venezia Giulia, il viaggio panoramico sarebbe stato aggratis. In Veneto mi risulta che “se la chiamata è stata immotivata si paga il costo totale dell’operazione di riscatto.”
Il problema è che molti ragionano come l’autore del video, e la pubblicazione dello stesso può solo creare ulteriori emulatori. Intanto si va, poi c’è comunque l’elicottero.
Solo un’amara considerazione: non è vero che solo i “cannibali” lasciano i rifiuti, anche gli alpinistoni fanno la loro parte. Al craveri dove passano solo alpinisti che fanno l’integrale del Peuterey abbiamo portato via oltre la solita zozzeria anche 8 (otto) paia di scarpette di arrampicata che poi per il resto della salita non servono. Della fourche ho già scritto. Comunque con tutto quello che ci sarebbe da dire per i vari aspetti legati ai bivacchi potrei scriverci un libro. Quando ho scritto che sopra ai 3000 MT le strutture sono destinate alla distruzione parlo anche dei rifugi ecc. La capanna margherita ha problemi di stabilità strutturale. Il CAI sta spendendo un botto di soldi e, secondo me, sarà solo un problema posticipato. Lo stesso per le strutture in cima all’ aiguille di midi, funivia ecc.
@ 27
Quando uno si sente un po’ stanchino chiama il taxi.
Assolutamente d’accordo con il 22. C e’una bella differenza perlomeno dì priorità tra l’Eccles ed il Canzio e rifugi dove prendi l’aperitivo alle sei dì sera. In linea teorica per un alpinismo primordiale andrebbero tolti anche i bivacchi ma qui stiamo parlando dì ciò che attrae gente e quindi crea inquinamento in senso lato. Di certo il bivacco Eccles non genera fenomeni attrattivi visto quello che devi fare per andarci e senza contare cosa ti succede se lo trovi pieno….
Ma avete visto come termina il video sul bivacco Fanton?
Evidentemente no, perché non si sono scatenati gli insulti di nessuno.
Io non so che dire. O meglio, meglio chenon dica niente, ma guardatelo.
Grazie Carlo Barbolini (#1) per la preziosa attività di manutenzione (e, in ultimo, anche di smontaggio) di queste strutture. Personalmente avrò dormito in più di 50 bivacchi diversi nella mia vita, alcuni “utili” ad un itinerario alpinistico, altri raggiunti solo come gita fine a stessa. Molti di più ne ho visti solo di passaggio. Tutti per la verità mi hanno dato un senso di rassicurazione. Ho avuto tempo di vedere il vecchio gerva e di dormire nel nuovo il giorno dopo il montaggio, così come sono stato in bivacchi Dolomitici, in val masino, e anche sul Triglav in Slovenia dove è presente il Aljažev stolp dal 1895!
ECCERTO!
Carrel e Whymper bivaccavano all’aperto.
Ad esempio in vetta al Crozzon di Brenta c’è il bivacco, è una bella sicurezza se esci tardi dalle vie o con il brutto tempo, visto che scendere dal Crozzon non è proprio veloce.
Ma (in parte) ti capisco, Expo.
Fra l’altro, se io dovessi fare un elenco di priorità delle strutture in quota da demolire, i bivacchi non sarebbero certo in cima alla lista.
Però, se “non hai voglia oltre a corda e ferraglia, di portarti anche tenda e padelle” “quando devi fare 2000 d+“, perdonami, ma perché lo fai ?
C’avrai mica una pistola puntata alla tempia per cui assolutamente “devi fare 2000 d+” o muori, no ? Fanne “solo” 1500… 🙂
Ma davvero la presenza di un bivacco costituisce un discrimine per decidere se affrontare una determinata esperienza ?
O, in questo caso, vuol dire che la nostra determinazione interiore non è sufficiente ?
@ Giuseppe Balsamo
Io qualche bivacco lo apprezzo , specialmente quando devi fare 2000 d+ e non hai voglia oltre a corda e ferraglia , di portarti anche tenda e padelle.
Altri mi sembrano meno utili :
Ferrario in vetta alla grignetta ?
Bivacco monte due mani ?
Altro nun zo.
Balsamo, forse il termine “pratico” è improprio.
Ad esempio il bivacco Lampugnani al Pic Eccles , dove ho pernottato come appoggio per una salita ai pilastri di Brouilard lo ritengo, proprio per questo motivo, utile (pratico) . Non lo vedo troppo invasivo e non mi sembra il delirio di qualcuno che vuole passare ai posteri.
Certo se non ci fosse sarebbe tutto più selvaggio e selettivo e si potrebbe anche bivaccare.
Ma allora prima di questo bivacco, andrebbero tolti i rifugi Torino, Argentiere, Goutier, decisamente più invasivi.
Altri, invece, li vedo senza una vera pratica (insisto) utilità alpinistica. Sono solo commemorativi, e come le croci o le lapidi che si mettono per ricordare una persona morta in quel luogo ne farei volentieri a meno
Comunque la tua idea di togliere tutto è rispettabile.
Ma UTILI per cosa ?
La presenza di queste “basi d’appoggio” in quota è proprio così necessaria ?
Chi vuol frequentare quei luoghi, non è capace di caricarsi della propria tendina e tutto l’ambaradan, fare quello che vuol fare, e alla fine lasciare l’ambiente così come l’ha trovato ?
O, in alternativa, se non riesce, limitarsi a qualcos’altro ?
Sarà mica #piumontagnaperpochi un mero slogan, neh, Crovella ? 🙂
L’incipit del mio precedente intervento va letto in questo modo:
Se vi riferite a me, io personalmente NON hai detto che tutti i nuovi bivacchi sono inutili, come location. Alcuni sono UTILI 8è il caso citato in Val Pellice), ma dopo 250 anni di frequentazione umana delle alte quote riesce difficile pensare che ci siano così tanti posti “logici” per una base d’appoggio e anocra srpvvisti di tale base. Di conseguenza la stragrande maggioranza è del tutto inutile. Ciò non toglie che alcuni siano UTILI e quelli vanno benissimo, ma a naso saranno un massimo del 5% dei bivacchi nuovi. Ma questo è un discorso.
Se vi riferite a me, io personalmente NON hai detto che tutti i nuovi bivacchi sono inutili, come location. Alcuni lo sono, ma dopo 250 anni di frequentazione umana delle alte quote riesce difficile pensare che ci siano così tanti posti “logici” per una base d’appoggio. Di conseguenza la stragrande maggioranza è del tutto inutile. Ciò non toglie che alcuni lo siano e quelli vanno benissimo. Ma questo è un discorso.
Il secondo discorso è se sia sensato o meno che bivacchi finanziati da PRIVATI siano autorizzati dalle autorità competenti (con iter dove il CAI è e deve rimanere completamente estraneo), a prescindere dalla “logica alpinistica” del luogo scelto. Dobbiamo entrare nella logica che ci sono già troppi bivacchi e che non sempre la miglior iniziativa per ricordare una persona scomparsa sia necessariamente la costruzione di un bivacco nuovo. Se accettiamo indiscriminatamente questo andazzo, poiché purtroppo la scomparsa di esseri viventi non potrà che aumentare con il semplice trascorrere del tempo, arriveremo a una situazione in cui avremo bivacchi su ogni cima, su ogni colle, a metà di ogni vallone, magari a fianco del parcheggio di fondo valle. Un qualche criterio scriminante andrà individuato, altrimenti inutile riempirsi la bocca con tanti bei discorsi “ambientalisti”… I bivacchi, essendo una delle forme di presenza antropica nell’ambiente, vanno tenuti sotto controllo, sennò contribuiranno ai danni alla montagna (sia diretti – sbancamento costruzione ecc – sia indiretti – maleducazione dei cannibali che ci vanno ecc).
Il bivacco Fanton ai miei occhi ha l’aria di un container da cantiere. Non capisco come si possa sposare la musica proposta con le immagini. Quando penso alla montagna sento l’insieme delle sue voci e i suoi silenzi, non certo una canzone da discoteca. Mi sembra chiaro che chi si vuole attirare non sono i montanari ma i cittadini che portano con sé la città intera.
@14
“[…] da quando è stato collocato il bivacco la salita in questione è assai più frequentata”
Ottimo!
E’ evidente che del bivacco non se ne poteva proprio più fare a meno.
Abbiamo una maggioranza di vallate e dorsali appenniniche e alpine abbandonate dall’uomo negli anni 50 e 60 , in cui ti regalano una casa per un euro se la ristrutturi.
Credo che l’iperfrequentazione di alcuni luoghi in montagna abbia cause piu’ psicologiche e antropologiche che i bivacchi.
.
Gli stessi che spingono per entrare in un bivacco da 8 in 20 , non ce li vedo andare in zone meno instagrammabili.
.
Tipo Valgrande o altro.
“Quello che bisogna fare e non creare facilitazioni creando sempre maggiori infrastrutture. “
Assolutamente d’accordo col Benassi!
“Benassi, cosa intendi esattamente per “senso pratico” di un bivacco ?”
Balsamo, guarda ce n’è un mucchio anche storici (quello in cima alla Grignetta o peggio al Due Mani a che servono?), ma per esempio di inutile bivacco relativamente recente, sceglierei questo della sezione Grassoney:
!https://www.lovevda.it/it/banca-dati/7/bivacchi/gressoney-saint-jean/bivacco-ulrich-lateltin/2921
Non sono così sicuro che tutti i nuovi bivacchi non servano. Due o tre anni fa è stato realizzato un nuovo bivacco sul colletto Palavas in alta Val Pellice. La nuova struttura(molto bella a mio modestissimo parere) è a circa 2,5 h. dal celebre rifugio Jervis collocato nel bellissimo pianoro del Pra, quindi non si può certo dire che sia inutile in quanto “sovrapposto” ad una struttura esistente. Inoltre il bivacco è collocato giusto alla base della Cresta dei Torrioni, una bella salita classica della valle che sale e scende i due Torrioni del Palavas per poi giungere in punta al Monte Palavas. E da quando è stato collocato il bivacco la salita in questione è assai più frequentata. Inoltre staimo parlando di un bivacco costruito da privati per celebrare una ragazza di nome Sara Salvatico prematuramente mancata all’età di 45 anni.Quindi stiamo parlando di un nuovo bivacco (assai utile) e costruito da privati. Qualcuno avrebbe voluto vietarne la costruzione ?
“demolirei quelli che non hanno nessun senso pratico”
Benassi, cosa intendi esattamente per “senso pratico” di un bivacco ?
(Naturalmente, la mia pretesa di demolire i bivacchi (e i rifugi) è una provocazione, ma fino a un certo punto.
So che non accadrà mai, quindi per ciò che intendo io come “senso pratico” mi accontenterei di non vederne costruire dei nuovi e non vedere stravolti quelli esistenti.
Ma, dovesse casomai succedere, non mi straccerei le vesti. Anzi, mi farebbe piacere vedere una montagna frequentata senza punti d’appoggio artificiali).
9) Cipolletta. Limitare gli accesi non è giusto, siamo un paese libero. Quello che bisogna fare e non creare facilitazioni creando sempre maggiori infrastrutture. Non ci devono portare le comodità della vita di tutti i giorni, della città in montagna. Se vuoi le comodità te ne stai a casa sul divano, oppure vai al parco pubblico a sederti su una panchina, o a fare un pò di ginnastica al percorso vita.
Balsamo, ci sono bivacchi e bivacchi. Alcuni sono assurdi, non hanno senso pratico, ma il solo scopo di ricordare qualcuno, oppure sono l’arrogonza di qualche presidente di sezione CAI che ha voluto lasciare il suo segno.
Altri invece servono, sono poco impattanti, alcuni sono storia le loro pareti trasudano di storia, di avvenimenti, di imprese, di uomini. Ad esempio il vecchio bivacco Gervasutti sotto le Petite Jorasses, con le sue tavole di legno era uno di questi. Adesso al suo posto c’è un’asettico tubo per la TAC. Meno male che ho potuto ancora respirare l’odore delle sue vecchie e cigolanti tavole per una bellissima salita sulle Petite Jorasses.
Certamente non ne farei di nuovi e demolirei quelli che non hanno nessun senso pratico.
Con tutto il rispetto per l’attività di Barbolini, aggiungerei anche i bivacchi all’elenco delle strutture in quota da demolire.
Per quanto riguarda i rifiuti abbandonati nei bivacchi, anche la categoria degli alpinisti non può sottrarsi alle leggi di Cipolla.
Sembra che il mio intervento abbia fatto confusione, mi scuso.
Giusto per cercare di fare chiarezza, senza polemica, ma il limitare l’accesso a pochi non è necessariamente equivalente ad una decrescita sostenibile. Il primo rischia facilmente di diventare un privilegio per chi se lo può permettere. La seconda dovrebbe essere incentrata sulla conservazione e magari il miglioramento delle caratteristiche ambientali, non escludendo l’annullamento degli accessi, per garantire una ripresa nei modi e nei tempi della natura.
Sicuramente quest’ultimo approccio è scomodo per chi ha scelto di lavorare nell’ambito della montagna. Purtroppo, la capitalizzazione si porta dietro degli effetti, ed uno di questi è il sovraffollamento, che va gestito.
Vi auguro un buon proseguimento. Saluti.
Non è vero che non esista a lbnea di opensiero che c’è troppa gente in montagna. leggi alcuni mie interVenti sul tema PIU’ MONTAGNA PER POCHI, per esempio (faccio notare che sono articoli del 2019, 5 anni fa!):
https://gognablog.sherpa-gate.com/piu-montagna-per-pochi-1/
https://gognablog.sherpa-gate.com/piu-montagna-per-pochi-12/
Il tema troppi bivacchi, in particolare troppi nuovi bivacchi in posti privi di logica alpinistica (e relativo incentivo ai cannibali per salire in quota), è una sottovoce del più generale problema.
@ Federico Cipolletta
Constatazione sensata , ma sempre di piu’ siamo in disaccordo su tutto.
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Perfino sul “trade off” fra crescita economica e distruzione dell’ambiente con il riscaldamento globale non siamo in grado di metterci d’accordo su niente e facciamo fallire i vertici fra superpotenze.
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A mio modo di vedere , anche auspicare un aumento di natalita’ per il calo demografico non e’ una grande mossa , forse la fanno per la solita gara a chi produce di piu’ o a chi conquista chi nella prossima guerra.
Il sovraffollamento delle strutture di emergenza in montagna, suscita in me una domanda che non vedo mai posta, nemmeno da assidui frequentatori e amanti della montagna: non sarebbe il caso di iniziare una decrescita sostenibile dell’affluenza in questi luoghi così belli e fragili? Possibile che nel 2024, l’unico modo di trovare avventure, adrenalina e ottime location per foto e post sia quello di continuare a sovraccaricare un ambiente già oltremodo in pericolo?
Comunque faccio i complimenti a Carlo Barbolini per il suo impegno nel portare avanti questa impegnativa attività di manutenzione.
Il problema sollevato da 1 (innalzamento temperature) è purtroppo fondato e riguarda la sensatezza di nuovi bivacchi in alta quota (mentre i vecchi stanno crollando). Anche sotto a tali quote, è ormai palese che, salvo rarissime eccezioni, la maggior parte dei nuovi bivacchi non hanno senso alpinistico, intendendo con ciò il luogo del loro posizionamento. Ormai dopo 250 anni di alpinismo/escursionismo/scialpinismo, i posti logici dove mettere una base per “spezzare ” una gita o per facilitare delle traversate sono già stati tutti utilizzati. di conseguenza i nuovi bivacchi sono del tuttto inutili. Rispondono alla nobile intenzione di ricordare una persona, ma non possiamo accettare la proliferazione di nuovo manufatti inutili. nel vallone del Gran san Bernardo è stato posizionato un bivacco a due posti (due posti!), in un luogo dove si passa normalmente per gite/ecursioni in giornata. Ma che senso ha? Discorso diverso se un nuovo bivacco deriva dalla ristrutturazione di uno vecchio, magari fatiscente o addirittura insalubre (es pieno di amianto perché negli anni ’60 lo si usava molto), oppure dalla ristrutturazione di un manufatto già esistente, come una baita o una casermetta abbandonata Meglio un bivacco in più, anche se inutile in termini alpinistici, che un rudere fatiscente. Questo è uno dei problemi, quello dell’illogicità di gran parte dei nuovi bivacchi, che, salvo eccezioni, NON sono di iniziativa CAI. poii a catena derivano migliaia di altri problemi, quali i rifiuti abbandonati dento o in prossimità. Ma questi altri problemi sono manifestazioni dell’inciviltà dei cannibali. Dentro ai bivacchi si trovano anche i “bisogni” umani. E’ evidente che si tratta di un atto di spregio. Altri bivacchi vengono volutamente vandalizzati, costringendo a costosi interventi di riparazione. Discorso molto vasto, questo della ribellione, aprioristica, e non lo si risolve su un blog, ma intanto se evitiamo nuovi bivacchi inutili togliamo il pretesto ai vandali/maleducati di esprimere la loro ribellione sociale.
Spesso quelli che organizzano festini e lasciano rifiuti e vandalismi nei bivacchi , non sono alpinisti , sono ragazzi attirati dalla gratuita’ del pernottamento e dall’assenza di controllo.
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E’ un po’ come quello che accade nelle citta’ : le cose “di tutti” sono considerate “di nessuno” , ed e’ consentito vandalizzarle.
Basterebbe che ogni alpinista avesse un pò più di rispetto del luogo che gli permette di soddisfare il proprio giochino.
Mi occupo direttamente dal 2008 della manutenzione di alcuni bivacchi del club alpino accademico italiano e proprio ieri ho fatto un sopralluogo al bivacchi Canzio e Borelli che, purtroppo, presentano dei problemi di difficile soluzione e, mentre fino a pochi anni fa mi occupavo di mantenere e/o migliorare il loro stato, negli ultimi tempi mi sono occupato della dismissione degli stessi per problemi legati all’ innalzamento della temperatura che fa sciogliete il permafrost e, secondo me, tutte le strutture sopra ai 3000 metri (per ora…) sono destinate ed essere distrutte o smontate. Della Sassa/Cerasa smontato completamente 2021, Sberna portato via intero 2020 (per la sezione cai Firenze) ora al forte di Bard, Alberico e Borgna (fourche) crollato su ghiacciaio sottostante 2022, fortunatamente senza nessuno dentro..,.
Ci sono altri casi non ultimo il quintino sella alla tournette, non appena terminata la sua ristrutturazione dichiarato inagibile per cedimento strutturale, mi sembra 2023. Mi chiedo: rispetto alle soluzioni “avveniristiche” dei bivacchi moderni i materiali dureranno 100 anni? Il prossimo anno 2025 il bivacco Hess compie 100 anni ed è ancora l’originale con qualche lavoro di manutenzione che ho fatto negli ultimi anni.
La questione rifiuti :anche ieri abbiamo portato via due sacconi di rifiuti. A questo non c’è soluzione. Alla fourche durante dei lavori ho trovato dei rifiuti sotto al bivacco degli anni 80…di tutte le nazionalità. Avrei decine di aneddoti sui bivacchi ma mi fermo qui. Ho già scritto anche troppo
Nel sito del CAAI, potete trovare informazioni e foto nella sezione bivacchi