Breve storia dei motivi dell’alpinismo
di Roberto Iacopelli
(tratto da Le altre vie – arrampicate scelte a caso nelle Dolomiti e dintorni, di Roberto Iacopelli, pagina 13 – Manfrini Editori, 1997)
Vi siete mai chiesti perché arrampicate?
In una società dove l’uomo moderno è sempre più sprofondato in dissolute comodità e immondi divertimenti, voi andate in montagna alla conquista dell’inutile e sopportando continue fatiche e rischi!
A lungo mi sono posto questa domanda, credendo però che l’unica risposta possibile fosse di carattere psichiatrico…
La realtà invece è da cercare nel profondo della storia europea dalla quale noi alpinisti siamo stati prodotti dopo una lunga e varia evoluzione sociale.
Agli albori della storia l’Europa era popolata da tribù di zoticoni dove l’unica attività ludica, oltre alla caccia, era quella di menarsi reciprocamente sonore clavate giù per la testa.
Gli usi e i costumi non erano molto differenti da quelli del resto del mondo, forse solo i nostri vicini che in periferia del Cairo costruivano imitazioni piramidali delle dolomiti erano un po’ più evoluti.
In questo allegro marasma di zoticoni, ad un certo punto comparve ed imperò per una serie di secoli la Civiltà Romana, che con paziente lavoro di spada mise in riga quasi tutti gli europei dando loro un’impronta organizzativa e strategica ancora oggi evidente nell’attuale tessuto sociale.
Da fini politici ad austeri militari quali erano in origine, i romani col tempo si adagiarono nella ricchezza diventando corrotti quasi come i nostri politici odierni. Non ci volle molto perché gli zoticoni, che per scarso interesse non avevano avuto un po’ di educazione imperiale, si muovessero in massa come fanno oggi i cecoslovacchi in Dolomiti. L’impero si sgretolò di fronte alle successive ondate dei zoticoni allo stato brado e queste grandi migrazioni continuarono sino al loro naturale esaurimento.
Iniziò così il Medioevo, crogiolo di culture e di popoli che portò alla formazione della società europea. La società barbarica era una società tribale strutturata a clan, dove a lavorare erano per lo più le donne (a questo punto della storia mi viene un dubbio sul perché sia sempre disprezzata la società barbarica), l’uomo al massimo andava a caccia con gli amici, altrimenti si dedicava unicamente alla “passione” che vi ho esposto all’inizio.
Se tutto fosse rimasto così, sarebbe andato ancora bene, il problema è che questi energumeni dopo avere distrutto l’Impero romano ne assimilarono lentamente tutte le peculiarità, in questo modo il sanguinario gusto barbarico per la conquista si fuse con le fini capacità politiche e strategiche romano imperiali, dando luogo alla più fetente società mai concepita dalla storia dell’umanità.
In questa nuova società, che sino all’inizio manifestò le caratteristiche appena descritte, vi trovarono felice collocazione individui più facinorosi, costoro che più di altri coltivavano l’antica “passione dei loro avi” venivano per questo mal sopportati a casa loro, così si fece il possibile perché praticassero il loro comune hobby possibilmente fuori Europa.
Finché menarono pesanti spadoni sulle teste degli infedeli non vi furono particolari danni, ma quando si arrivò a costruire navi degne di solcare gli oceani e un ignoto viaggiatore portò dalla Cina la polvere da sparo, inventata dai cinesi per farne festosi petardi, le cose presero una piega diversa.
Il resto del mondo, quello che oggi chiamiamo terzo mondo (non ho mai capito il perché), imparò a conoscere questi facinorosi; che fossero inglesi, italiani o spagnoli, questi parlarono per alcuni secoli l’internazionale lingua di fuoco dei loro cannoni. Fino alla fine dell’epoca barocca fu un grande periodo per questi facinorosi, i quali poterono esprimersi al meglio, ma nel contempo fu assai utile anche al resto della società che era rimasto a casa a giovarsi degli ingenti bottini.
Finito di ribaltare il mondo e tornati a casa, questa piccola ma esuberante parte della società male era sopportata e male sopportava l’agiatezza e le comodità di una vita tranquilla.
Provarono con le guerre napoleoniche, ma a nessuno di questi piaceva stare in un’impettita divisa da pinguino. Si provò con il Risorgimento a metterla sul romanticismo nazionale, ma morire per una bandiera non era certo il loro ideale. Piacque ancor meno l’idea delle guerre mondiali, figuratevi che gusto c’era a guardare il mare da un periscopio, quando per secoli lo si aveva solcato a vela (tra il resto anche molto più ecologico).
Il distacco dalla vecchia passione fu lento e malinconico; pian piano che la società europea diventava sempre più “civile”, già in epoca barocca essa avvertiva un senso di disagio nei confronti di questi suoi un tempo utili componenti. A sbloccare la situazione ci pensò il De Saussure, che con la scusa di far bollire una spaghettata in cima al Monte Bianco inventò l’alpinismo.
Come la vecchia passione, proponeva conquiste e gloria, fascino dell’esplorazione e una vita dai sapori forti della fatica, del freddo e dei pericoli.
Con l’alpinismo nacque l’insperata salvezza di questi facinorosi, che oggi sopportano l’intera settimana in ufficio pur di partecipare puntuali alla “battaglia del sabato” o “della domenica” a seconda dei casi.
Che siamo amanti della montagna parzialmente è vero, ma che pianifichiamo la nostra attività con fine strategia imperiale e conduciamo barbari attacchi alle ardue pareti è un dato di fatto. L’alpinismo è un’invenzione ad uso e consumo degli europei, nessuna altra società umana si sarebbe inventata un’attività tanto inutile quanto faticosa e pericolosa!
Siamo i più rozzi e spregiudicati individui di una società fondata sulla guerra. Al mondo “civile” ci siamo adattati scendendo da cavallo e togliendoci l’armatura solo per arrampicare più leggeri… così ad oggi se del male facciamo, tuttalpiù lo facciamo a noi stessi…
Mi sembra un bel salto di qualità… almeno… confrontato a quello che abbiamo fatto negli ultimi mille anni.
Non vi pare?
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Come disse una volta un mio amico: “con ‘ste mani, noi a una donna le smagliamo anche i jeans!”
🙂
Alberto. Hai individuato benissimo una delle componenti fisiche del “piacere”di arrampicare: il contatto delle mani con la roccia, con tutte le conseguenze del caso dopo. Come per il kayakista il contatto diretto con il mare e il vento mentre surfa sulle onde di un mare difficile e così via per altre attività. Ma la dimensione del “piacere” dato dalla dimensione fisica e bio-chimica non è l’unica che sostiene le “passioni”. Ovviamente la maggior parte delle persone che va in montagna si accontenta di molto meno, di sensazioni decisamente più addomesticate e leggere, ma comunque anche nel tranquillo escursionista o ferratista che poi si ferma a mangiare lo strudel con panna montata in un rifugio ristorante in quota con musica c’è una componente di piacere fisico dato dall’andare per monti, tra le altre motivazioni, e non rinuncerà a questo piacere che ha scoperto in massa, anche incoraggiato dai fornitori, lo difenderà con le unghie e i denti, forte del suo peso numerico ed economico, almeno fino a quando la saturazione di certi “campi di gioco” sarà arrivata ad un punto nel quale il piacere sarà sopraffatto dal disagio e dalla noia e allora la motivazione crollerà e le frequentazioni e i gusti cambieranno magari rapidamente, nel giro di pochi anni. Qualche scricchiolio al mare e in montagna si percepisce, almeno in alcuni luoghi, ma siamo ancora lontani dal crollo e la ruota gira e rigira e crea lavoro e benessere. Buona serata. Io vado a finire di leggere il libro di Zannini che mi intriga.
Roberto (Pasini), quello che voglio dire, a proposito delle mani, è quello che descrive delle sue mani l’altro Roberto ( Iannilli).
di Roberto Iannilli, mani da arrampicatore:
Ma lei che mestiere fa?” Mi dice il chirurgo della mano che sta osservando le radiografie della mia destra.“L’ architetto!” Rispondo intuendo dove vuole andare a parare.“Queste sono mani da vecchio muratore o contadino, non di uno che disegna e progetta. Mi dica la verità!”“Queste sono mani di uno che arrampica da tanti anni.”
Alberto, tu giochi a fare il buon selvaggio apuano ma nessuno ci casca. Un po’ come fa Cominetti quando gioca a fare l’Orso delle Dolomiti. Come non erano “buon selvaggi” quelli che ingaggiarono i borghesi e aristocratici urbani per portarli sui monti che loro da tempo avevano già visitato. Per farli contenti e spennarli si mettevano anche in costume e facevano pure i balletti “primitivi” così quando tornavano a casa potevano raccontarlo o farci dei disegnini e acquatelli. Come oggi i negozietti alternativi nei luoghi turististi “selvaggi” che ti rifilano al doppio del prezzo quello che comprano alla Coop. Il problema è che ormai milioni di urbanizzati hanno capito che può essere divertente andare per monti, certo in condizioni più comode e meno sfidanti dei precursori. Questa roba qui ormai non la fermi più finché non arriverà il monento del collasso e dei riti di espiazione, che forse noi non vedremo probabilmente.
siete troppo acculturati con tutto questo latino, etnografia e antropologia. Arrampicare mi da soddisfazione perchè a fine giornata, quando mi guardo le mani, più sono rovinate, più vuol dire che ho dato e più soddisfatto sono.
Regattin. La scoperta e la curiosità. L’Ulisse dantesco. Giusto. Non va trascurato però anche il ruolo del gioco, come ci hanno insegnato 150 anni di studi antropologici ed etnografici. Un comportamento che troviamo in tutte le società umane e pure in molte specie diverse da noi. Tutte le società umane, anche le più schiacciate sulla sopravvivenza, fanno giochi “inutili”. Questa è la tesi di Zannini: alcuni di questi “giochi”, che hanno evidentemente una “ utilità” evolutiva vista la loro pervasività nel tempo e nello spazio sono stati “formalizzati” come sport nell’Ottocento, tra cui l’andare sulle montagne e arrampicare, cosa quest’ultima che fanno tutti gli umani da bambini, con grande forza e maestria, come ben sanno con preoccupazione i genitori. C’è poi forse anche una connessione coi riti religiosi. L’autore cita Pasolini : il calcio è l’ultima rappresentazione sacra di massa del nostro tempo. Interessanti spunti di riflessione nei momenti di pioggia. Opzionali rispetto al piacere dell’azione, però ti seguo volentieri a ruota con i ricordi liceali: felix qui potuit de rerum cognoscere causas o almeno provarci a conoscere.
No, personalmente non me lo sono mai chiesto perché arrampico, ma a domanda rispondo che arrampichiamo perché siamo esseri dotati di intelligenza, che si esprime in tutte le direzioni possibili (ed è per questo che oggi possiamo comunicare tramite smartphone, ANCHE perché c’è gente appassionata di alpinismo).
E so che se non esistesse l’arrampicata e il genere umano non si dedicasse a migliaia di attività diverse, vivremmo ancora nelle caverne esprimendoci a gesti e grugniti, badando solo ai bisogni essenziali alla sopravvivenza e alla riproduzione.
Già Seneca parla di questa inquietudine nei suoi testi:
“IL RISCHIO DELL’AZIONE. Noi non ci aspettiamo mai una certezza assoluta, perché è difficile la ricerca della verità (in arduo est veri exploratio), ma seguiamo la strada della verosimiglianza. Con questo criterio procediamo in ogni attività: è così che seminiamo, navighiamo, intraprendiamo imprese militari, prendiamo moglie ed alleviamo i figli. Pur essendo incerto l’esito di tutte queste attività, noi seguiamo la strada che crediamo ci offra buone speranze. Chi, infatti, può garantire il raccolto all’agricoltore, il porto al marinaio, la vittoria al soldato, l’onestà della moglie al marito, l’affetto dei figli al padre? Noi andiamo là dove ci spinge una ragionevole verosimiglianza, non dove ci conduce la verità assoluta.
Se tu aspetti di fare solo ciò che avrà un sicuro successo e di conoscere solo ciò che è verità assoluta, allora, messa da parte ogni attività, la vita si ferma. (Ben. 4, 33, 2 e 3 passim).
Sempre scontenti di quel che hanno, gli uomini intraprendono viaggi senza meta, percorrono terre e mari. Ma presto i luoghi di grande richiamo annoiano; e lo stesso accade per quelli selvaggi e disabitati.
Lunghi i viaggi, molti i luoghi visitati; ma tristezza e noia non sono stati vinti in te. L’animo devi mutare, non il cielo (animum debes mutare, non caelum). Anche se ti lasci dietro terre e città, come dice il nostro Virgilio (Aen. 3, 72), dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi.”
@ Pasini al 30. Produrre qualsiasi cosa non è un problema, è solo questione di tempi e costi. Il difficile è convincere la gente che ha bisogno di quella cosa. La confusione, lo stordimento e il conseguente sfinimento, aiutano parecchio chi vende. Buon fine settimana anche a te. Qui il sole splende, dentro di me.
@ Roberto
Una “matrice” dell’alpinismo che non necessariamente va di pari passo con il rischio , e’ il contatto con la natura e la curiosita’ di cui parlava Benassi.
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Io ho cominciato con camminate ed escursioni , e le faccio sempre con piacere.
Una volta credevo che gli “alpinisti” fossero in qualche modo di rango superiore agli escursionisti , adesso non lo penso piu’ : la curiosita’ e’ un tratto comune.
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Si , la fatica puo’ dare sensazioni simili.
Expo. Da quello che ho letto e sperimentato di persona non trascurerei anche la dimensione bio-chimica. Le attività rischiose producono sensazioni molto forti che altre attività non producono. C’è un base fisica che può portare anche alla dipendenza. Questo accade anche nelle attività di “sfinimento” e resistenza, le sensazioni sono diverse da quelle ad alto rischio ma altrettanto potenti. Chi ha provato ha fare distanze lunghe in natura potra’ confermarlo. Immagino accada anche per le attività di “destrezza” ma non ho esperienza in merito. Ho amici che sono impazziti per il golf , cosa che a me pare assurda, ma che per loro è diventata quasi un’ossessione maniacale. Insomma come dicevamo probabilmente si tratta di un “pacchetto” di leve. Per questo l’articolo spiritoso e simpatico dal quale siamo partiti mi è sembrato un po’ troppo riduttivo, buono per una chiacchera tra amici al bar ma forse un po’ scarso nella ricerca delle “cause” di quella “strana” passione complessa che è l’alpinismo, a quanto pare più antica della sua “istituzionalizzazione” di meta’ Ottocento e meno “elitaria” nella sua nascita di come si è sempre raccontato.
Riva. Se non sbaglio ti riferisci alla casualità della “vocazione” alpinistica paragonabile alla produzione di ciambelle con buco o senza. Magari è così, in circostanze diverse può essere che uno si sarebbe dato all’ippica o alla caccia al leone con la lancia o alla copulazione seriale ad alto rischio. Lo schema della casualità, anche applicato ad altre attività analoghe, potrebbe essere validissimo. Però noi umani facciamo fatica ad accettare la casualità. Andiamo sempre alla ricerca di una causa. Chissà perché alcuni scelgono proprio quel terreno di gioco? Forse vivremmo più sereni accettando la pura casualità ma se è così da un bel po’ di milleni forse ci sarà una ragione: eccola di nuovo che spunta la ricerca di una ragione….difficile non cascarci. Buon weekend di pioggia. Oggi sono stato in un negozio enorme e affollato di Decathlon: il trionfo popolare dell’apparentemente inutile, migliaia e migliaia di giocattoli per adulti. Certo che noi umani siamo particolari…
@27 Pasini
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Secondo me il “rischio” non e’ detto che sia l’unica determinante : e’ quasi evidente che nell’ andare in montagna ci sia la sublimazione di qualcos’altro , che sia violenza , mancanza di sesso , “sete di gloria” , vicinanza alla morte , e’ tutta una “competizione” in cui il tuo competitore non ha una faccia.
Penso a chi si stravolge di sport aereobici e di ultra marathon , chi rischia la pelle limando le pedane della moto sui passi appenninici , forse anche chi si droga…
@ Pasini al 28. Non tutte le ciambelle escono senza buco.
Oh….sì…sono d’accordo. “Utile” cone tante altre attività apparentemente “inutili” per un non praticante, come ad esempio dedicare energia e tempo a cercare di dialogare sul Gogna Blog. Chissà cosa ne pensano i non praticanti…come si diceva: Pane, Amore e Fantasia le grandi leve. Sarebbe pero’ interessante capire perché alcuni scelgono priprio l’alpinismo e non altre attività anche loro nella gamma dell’inutile e pericoloso. Un po’ come capire perché continuiamo a scivere qui …i grandi misteri dell’animo umano 😛
L’alpinismo è nato dall’ incontro tra montanari e cittadini. Il mescolarsi delle rispettive necessità, abilità, desideri, curiosità ha dato il via a questa “inutile” attività. Che poi di inutile non ha nulla.
che nell’alpinismo ci siano stati dei protagonisti, che avrebbero meritato di essere raccontati per quello che hanno fatto e come l’hanno fatto, ma per lo scelta perchè non gli interessava o non sapevano raccontarsi, o per ingiustizia e pregiudizi , sono rimasti nell’oblio, non è una scoperta.
Stravolgere no. Non proprio direi. A me sembra interessante il fatto che allarga la narrazione classica 1. orizzontalmente: mettendoci in evidenza che la sviluppo dell’alpinismo ha avuto anche protagonisti che sono stati raramente considerati o proprio non considerati, perché hanno lasciato poco scritto o non avevano canali di comunicazione o vi era un pregiudizio verso di loro 2. Verticalmente: andando indietro nel tempo e ricostruendo un passato non codificato esistito ben prima dell’istituzionalizzazione. Poi mi ha incuriosito che individua più o meno nello stesso periodo di tempo l’istituzionalizzazione di molte attività antiche che diventano in qualche modo “sport” strutturati, nasce insomma la comunità, la tribù per dirla come diceva Morris del calcio, con i suoi riti, le sue regole, i suoi strumenti i comunicazione e di aggregazione, le sue narrazioni, i suoi simboli, i suoi eroi e le loro leggende. Comunque voglio finire di leggere il libro e poi magari ci si torna su. Amche l’accenno alla frammentazione della Tribù alla quale stiamo assistendo è un bello stimolo di riflessione.,
non mi pare che Zannini abbia detto cose da stravolgere la storia dell’alpinismo.
Per chi vuole risparmiarsi la lettura del libro di Zannini ho trovato questo video di una sua conferenza. Oltretutto Zannini con il suo simpatico accento e i modi informali da alpinista è totalmente lontano dallo stereotipo dello storico accademico. Divertente il pezzo sui preti alpinisti. Ancora una volta emerge che ciò che non ha trovato un narratore non esiste, scomparso nel fluire dei secoli dal quale è emerso solo ciò che è stato raccontato. La storia è spesso la storia dei racconti che si sono tramandati e non dei fatti realmente accaduti.
https://www.youtube.com/live/kHzjxjr_K44?si=FS5V-R7xhq11gwrQ
Expo. Anch’io ho avuto parenti montanari, ossolani e bresciani per la precisione. Essenziali, poveri, che avevano iniziato a lavorare quasi bambini ma non privi di fantasia e di sogni. Bisogna stare attenti a scrivere la storia con le “figurine”, comprese quelle di segno opposto del buon selvaggio e della pastorella di azzurro vestita alla Segantini che guarda serena verso il sole del futuro (in realtà la sua domestica). Sul calcio non posso non chiudere ricordando “La tribu’ del calcio”di Desmon Morris, un classico degli anni ‘70 che ha cercato di rovistare dentro questo fenomeno sociale così caratteristico della contemporaneità che scavalca confini ideologici, religiosi e politici, piaccia o non piaccia. Non c’è ragazzino al mondo che non sappia chi è Maradona e pure il nostro Baggio, come ho avuto modo di constatare con meraviglia in posti impensabili appena dicevo di essere italiano. Chissà magari qualcuno un giorno scrivera’ “La tribu’ della Montagna” con la stessa lucidità di Morris, anche se vendera’ sicuramente meno copie. Saluti
Non lo so Roberto , e’ una mia impressione , ed e’ qualcosa che mi e’ rimasto dentro dai montanari che ho conosciuto , anche parenti.
Forse era legato ad un’epoca , ma i montanari che ho conosciuto erano essenziali e parchi in tutto : cibo , spese , vizi , svaghi.
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Quanto al calcio io non posso parlare : l’ho sempre detestato , sia nella versione giocata , che , peggio che andare di notte , nella versione tifata.
Per me e’ lo sport piu’ sopravvalutato.
Expo. Non pensi che questa visione dei montanari schiacciati dai bisogni primari e poco disposti al sogno e all’avventura senza un ritorno immediato sia un po’ uno stereotipo dei cittadini? Noi umani siamo stati forgiati dall’evoluzione in modo un po’ particolare. Anche nelle condizioni di vita più dure sogni e bisogni, pane, amore e fantasia sono le leve del nostro comportamento individuale e collettivo. Siamo fatti così, in città, in campagna, in montagna, in riva al mare. Nessuno escluso, compreso il più misero. pS. Per quanto riguarda il calcio (che io ignoro dall’adolescenza proprio a causa delle eccessive pressioni paterne) ha tuttora un’influenza determinante sulla formazione dei maschietti pre-adolescenti. Prova a buttare una palla ad un gruppo di ragazzini e osserva cosa succede. Tutti penso abbiamo giocato in una squadretta, anche se lo abbiamo rimosso e siamo passati ad altro, ma quelle esperienze di gruppo ci hanno segnato. Ho letto da qualche parte che persino l’attuale imperatore cinese ha giocato a calcio da ragazzino e non si perde una partita della Champion League. Magari riusciamo a tenerli buoni con questa nostra indiscussa competenza italica.
Restai deluso quando Jacopelli smise di scrivere e fece dell’alpinismo un mestiere.
@ Roberto Pasini
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Allora bisognerebbe approfondire la versione “montanara” dell’alpinismo di Jacobelli.
Personalmente ho una visione del montanaro come di un personaggio che faceva una vita durissima e grama molto oculato nello spendere , e poco propenso ai voli pindarici.
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Secondo me senza un “premio” in denaro o in selvaggina difficilmente sarebbe stato tentato dalla conquista dell’inutile.
Expo. Questa è proprio la visione tradizionale tramandata che mette in discussione il libro di Zannini. L’origine cittadina. È un po’ come mettere in discussione la narrazione del peccato originale. Se crolla quella crolla tutto il castello.
Anche a me fa rabbrividire l’accostamento del calcio con la montagna , anche perche’ la montagna la vedo qualcona di “vissuto in prima persona” , mentre il calcio e’ composto da un 15 % di sportivi che tirano calci ad una palla , e da un 85% di persone che strepitano da una tribuna.
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C’e’ qualcosa che avevo letto che si ritrova nell’ impostazione di Jacobelli : l’alpinismo come uno “stress” messo sotto il tappeto in una forma , che riemerge in un altro punto del tappeto in un’altra.
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In fondo che cazzo gliene fregava ai montanari di andare in cima ad una montagna , se “il buono” era alle quote piu’ basse , e sopra c’erano solo sassi e gelo ?
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Forse per inseguire qualche camoscio , ma fino all’avvento dei cittadini stressati , che volevano proprio andare “su di li” , proprio poco…
Guarda che il calcio è un fenomeno veramente curioso e peculiare al di là dei fatti criminali connessi. Riguarda milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Io conosco persone insospettabili, intelligenti, perbene, colte, con valori rispettabilissimi che fanno follie in proposito. Mio padre quando e’ andato in pensione faceva il direttore sportivo delle squadre giovanili di una città capoluogo di provincia in Piemonte con una storia calcistica gloriosa. Mi raccontava delle follie dei genitori per far giocare i figli in partita.Era perseguitato anche a casa dai padri ma pure da qualche madre e io ci scherzavo su. Capisco che sia oggetto di studio. Chissà poi cosa diranno gli storici nei secoli a venire di questi moderni riti sociali.
Pasini, ho solo portato la mia di esperienza, una mia motivazione. Poi ce ne saranno tanti altri che non vedo l’ora di farsi la fotina per farsi ganzi su FB , anche questo per tanti è importante.
Il calcio è talmente una MERDA che lo lascerei perdere come esempio. Basta vedere gli ultimi fatti, che poi non è una novità, del ricatto alle squadre di club da parte delle curve.
Benassi. Non sto parlando di te o di me. Parlo in generale. I comportamenti individuali sono mossi da elementi diversi, anche se chi analizza molti casi individua spesso delle ricorrenze. Riflettere su cosa sta alla base dei comportamenti, in questo caso l’alpinismo esercitato con costanza a fini non professionali o utilitaristici a partire da certe epoche, è un oggetto di studio. Come anche altre attività ludiche, pensa ad esempio al gioco del calcio, a cosa muove e alla sua importanza per molte persone. Non sono seghe mentali. Poi se ne può chiaccherarne anche sulla base di esperienze personali o di osservazioni di casi conosciuti. Però è un altro livello di analisi. Un po’ come l’autore del pezzo in questione che individua nell’aggressività predatoria degli europei la leva principale dell’alpinismo. A me sembra una battuta simpatica ma un po’ troppo semplicistica, per spiegare questo fenomeno indubbiamente peculiare degli umani.
Pasini, sinceramente non andreai a cercare troppe e complicate “seghe mentali” . Personalmente ho maturato il mio alpinismo sulla “curiosità”, di andare a mettere il naso dove altri non sono stati. Sarà per questo che trovo come massima espressione alpinistica, aprire vie nuove, piuttosto che limitarsi a ripetere. E ne ho aperte parecchie, sia su roccia che su misto d’inverno, di facili e di difficili, di tranquille e di pericolose. Poi è innegabile che nel corso delle stagioni della vita ci possano essere delle variazioni nelle motivazioni, che saranno influenzate dagli anni che passano e pesano sulle articolazioni, dagli impegni che ci assumiamo , dagli spaventi che ci prendiamo, dalle persone che ci girano intorno, e da tanti altri fattori, più o meno importanti, che adesso non mi vengono in mente, ma che possono insorgere improvvisamente.
Benassi. La curiosità è una leva plausibile. Dobbiamo però stare attenti ai pregiudizi morali e sociali. Certamente la curiosità appare più nobile dell’aggressività predatoria o della depressione latente placata con scariche di adrenalina. Più che una leva unica a me sembra interessante il modello dei “sistemi motivazionali” come dicono oggi gli scientisti. Sul pensiero magico non sono preparato. “ Pacchetti” di elementi cognitivi/emotivi/fisici che stanno alla base dei comportamenti. I “pacchetti” possono cambiare da persona a persona da gruppo a gruppo. Possono cambiare nel corso del tempo e della vita individuale. Il mondo degli alpinisti non e’ omogeneo e subisce le influenze esterne dell’epoca e della cultura. La faccenda è dunque complicata, se si esce dalla chiacchera, come conferma la riflessione su di se’ e un po’ di conoscenza della storia della comunità alpinistica.
Per me Jacopelli ha ragione : nell’assalto alla montagna potrebbero essere stati sublimati altri istinti , maltollerati in societa’.
Io, la clava, quando vado in montagna me la porto sempre.
Pasini #5: grazie della segnalazione, sembra interessante, me lo procurerò.
Indubbiamente gli “ultimi” non beneficiano di una letteratura al pari dei nobili o dei benestanti, e quindi le loro storie rimangono sconosciute o, almeno, meno conosciute.
Non ho letto questo libro. Poi ognuno di noi dice la sua, si critica gli altri e si pensa di avere la giusta risposta. Magari, invece, ce la facciamo solo tornare…
Io penso che l’alpinismo l’ha inventato la curiosità.
Perché le persone si ingaggiano ripetutamente in un’attività pericolosa e “inutile” come arrampicare in montagna anche senza motivazioni di lavoro e guadagno? Da dove viene questa “passione” ? Come nasce quel mondo e quella pratica che chiamiamo “alpinismo” nei paesi occidentali? Si tratta di domande impegnative. Si possono affrontare in diversi modi, usando diverse chiavi di ricerca e lettura di un fenomeno certamente peculiare della nostra specie. E di contributi in merito ce ne sono in abbondanza. In questa introduzione siamo a livello delle battute semiserie sulla storia dell’occidente e sulla natura umana. Il che va benissimo per un dopocena tra amici, sarei il primo a seguire con entusiasmo questo filone, per esempio riprendendo il tema cominettiano dei legami tra libido, sesso e alpinismo, qui trascurato tra le motivazioni all’arrampicare, ma certamente c’è anche altro. Ultimamente ad esempio è uscito il lavoro di uno storico di professione di cui forse sarebbe interessante parlare: Andrea Zannini “Controstoria dell’alpinismo” Laterza, 2024.
Sarebbe bello poter far conoscere la storia così, ai ragazzi, nelle scuole di oggi. Poi spingerli su per le rupi a sfogare
Ho tutte e tre le guide di Jacopelli, la prima che uscì è stato un capolavoro, con il topastro che elargiva informazioni e ammonimenti sempre irriverenti.
Diciamo che allora un topo illustrava una relazioneAdesso la relazione è il topo
Il mitico Jacopelli con la sua guida “Arrampicate scelte a caso”, che mi fece innamorare fin dal titolo e sbellicare con i fumetti di Topazio & friends.
Relazioni perfette ma iconoclastiche (“da questa cima non vi relaziono la discesa: se non siete capaci di trovarla da soli datevi alle bocce”) e spassose, che spesso mi sono state di ispirazione.
E questa introduzione che è semplicemente un capolavoro!