Brividi in quota

Brividi in quota
di Carlo Crovella

Mi fa piacere raccontare di tre mie recenti letture alpinistiche, che per pura casualità si sono susseguite una dietro l’altra. Mi addentrerò nelle specifiche montanare di ciascun libro, ma intendo chiarire subito che il comun denominatore, che (almeno ai mie occhi) le accomuna, si incentra su un altro versante.

Leggere una dietro l’altro questi tre libri mi ha riportato alla mente una intrigante questione in cui mi imbattei fin dai mie tempi liceali, ovvero più di quaranta anni fa. La questione è collegata a Eugenio Montale, celebre poeta insignito anche del Premio Nobel, esperto traduttore, in particolare dall’inglese (Shakespeare, Eliot, Pound, Dickinson, Melville… solo per citare i nomi più illustri di una lunghissima lista).

Per farla breve Montale è sempre stato arciconvinto che tradurre un testo straniero non sia solo un’attività di conversione linguistica, ma costituisca una vera e propria creazione di un’opera “nuova”: il bravo traduttore si destreggia fra adeguate scelte di termini e sinonimi, per non parlare della costruzione delle frasi, riuscendo così a dare al testo originale un taglio appropriato alla mentalità e alla visione dei lettori della nuova lingua.

Per pura combinazione del destino, proprio di recente è stato riproposto sul mercato il montaliano Quaderno di tradizioni, a cura di Enrico Testa (Il Canneto editore, Genova).

Una intrigante recensione di questo testo, che ovviamente non c’entra nulla con la montagna, riporta i punti salienti del ragionamento montaliano: “Quel che più appassiona, e su cui Testa pone giusta attenzione, è capire “come” Montale traduce questi suoi autori. Soprattutto alla lingua inglese egli riserva una grande libertà d’interpretazione, preferendola all’ordinaria fedeltà che non l’avrebbe portato lontano. Non sono versioni d’appoggio le sue, ma veri e propri testi indipendenti dall’originale che contengono, se non l’ostentazione, almeno le leggi interne assunte per sé da ogni scrittore. La scelta dei sinonimi, scrive Testa, è un grande esercizio sulla nostra lingua, evitando le ripetizioni dello stesso termine tanto care alla letteratura anglosassone (ma non solo). Un’attenzione fisica al linguaggio nostrano di cui tanto si è parlato e che ora assesta una prova indiretta”.

In vetta al Bianco: sulle Alpi, più alti di così non si può andare.

Ciò detto, passo ai libri alpinistici. Questa mia non ha pretesa di risultare una recensione letteraria, ma di sfruttare i testi per condividere alcune considerazioni sulle montagne coinvolte. Due di questi libri sono di un autore britannico, l’altro è di un francese. Li ho letti in italiano, uno dietro l’altro, e mi ha colpito la rara ricerca delle traduzioni: precise, ma adatte alle sfumature lessicali e concettuali della nostra lingua e della nostra cultura.

Si tratta di tre gialli o, meglio, di tre thriller, cioè di testi con una trama che tiene viva la suspence, con l’obiettivo finale di scoprire l’assassino. Di recente anche in Italia il filone dei thriller in montagna sta andando per la maggiore, in particolare per quanto riguarda le avventure di alpinisti che, cammin facendo, si trovano a dover sbrogliare matasse intricate che farebbero invidia ai più complicati casi di cronaca.

Già da diverso tempo in altri Paesi il filone dei thriller di montagna era emerso a dignità sia quantitativa che qualitativa, ma ultimamente sta letteralmente dominando la scena anche del mercato italiano, sia con le traduzioni sia con opere nostrane, spesso di ragguardevole livello (tra tutte cito le avventure di Nanni Settembrini, personaggio creato da Enrico Camanni).

L’interno dei Grands Mulets

Pensare che qualche decennio fa ci si lamentava perché la letteratura di montagna era quasi esclusivamente costituita o da testi tecnici (relazioni, monografie) o da récit d’ascension o al massimo da libri di memorie in cui l’alpinista ormai in pensione raccontava le gesta dei suoi anni ruggenti. A fine anni ’80 pareva fantascienza ipotizzare l’abbondante presenza di testi di fiction (come si iniziava a dire, al posto della nostrana “narrativa”) nel settore della montagna.

In realtà esistevano già alcune pietre miliari di narrativa alpinistica. Fra queste, due si distinguono in modo particolare, almeno nella mia esperienza personale: Primo di cordata di Roger Frison-Roche e Le mani dure di Rolly Marchi, testi su cui mi sono letteralmente consumato gli occhi in età giovanile (rintracciabili – per gli interessati – in relativamente recenti edizioni della collana I Licheni, Vivalda Editori, Torino, metà anni ’90).

Ora non solo il filone della fiction di montagna si è ampiamente consolidato montagna (nel mio piccolo qualche tassellino l’ho messo anche io…), ma si sta consolidando in una serie di sotto-settori.

Refuge des Grands Mulets, abbarbicato sugli omonimi isolotti rocciosi

Fra questi spicca appunto quello della narrativa giallistica ambientata in montagna. Devo esser sincero: fa un po’ sorridere che ad uno stesso alpinista capiti di imbattersi in “misteri” giallistici con tale ripetuta sistematicità. Non stiamo leggendo le storie del Commissario Maigret, che per mestiere sguazza quotidianamente fra omicidi, ricatti e vendette. E’ un po’ irrealistico che la montagna proponga, tra l’altro sempre allo stesso personaggio che non è un detective di professione, delle matasse così intricate da sbrogliare. Tuttavia questo escamotage rende vieppiù intrigante la narrativa di montagna e anche solo questo aspetto giustifica ampiamente l’escamotage che in sé è un po’ fragile.

Che questo specifico settore sia in espansione lo hanno colto gli editori più dinamici che, seppur “piccoli”, proprio per questo sono spesso all’avanguardia. Addirittura Mulatero di Piverone (nel Canavese, provincia di Torino), noto per la rivista Skialper, ha inventato una specifica collana chiamata “Brividi“, il che la dice lunga sull’attuale attrattiva commerciale di questo filone.

Durante la salita verso la vetta del Bianco, lo sguardo spazia sulla valle di Chamonix

In precedenza non mi ero mai imbattuto nell’autore inglese di molti testi proposti finora nella collana Brividi: Glyn Carr. Di lui in giro si legge: Glyn Carr è lo pseudonimo di Frank Showell Styles (Birmingham 1908 – Bangor 2005). La giovinezza tra le colline del Galles del nord lo fa appassionare alla montagna. La Seconda Guerra Mondiale lo vede nelle file della Royal Navy, nelle acque del Mediterraneo, ma non perde occasione per camminare e arrampicare ad ogni licenza. Collaboratore del Punch, firma decine di libri con il suo vero nome, ma anche con gli pseudonimi C. L. Inker e Glyn Carr. In quest’ultima veste è il prolifico autore di una quindicina di avventure del detective dilettante Abercrombie Lewker, ambientate sulle falesie gallesi come nella valle austriaca dello Stubai, in Norvegia e sul Bianco o sul Cervino.

Bene dunque, la giallistica mi ha consentito di prender confidenza con un prolifico autore di montagna, dai chiari connotati britannici nello stile e nella visione delle cose. Un plauso a Mulatero che, con intuito e sagacia, ha saputo cogliere questa opportunità editoriale.

Monte Bianco: l’affascinante versante glaciale su cui si snoda il percorso dei Grands Mulets (identificabili a centro foto)

Non è però da meno Fusta editore di Saluzzo, agile casa editrice che, accanto alla rivista Camminare, ha una produzione vastissima, pur avendo scelto di concentrarsi prioritariamente sul Piemonte sudoccidentale e sulle terre limitrofe (anche oltre confine, abbracciando implicitamente la dimensione dell’Occitania).

Devo denunciarmi al pubblico ludibrio prima di proseguire oltre: sono in aperto conflitto di interesse. Conosco e apprezzo le due case editrici (tra l’altro entrambe piemontesi), ho collaborato a vario titolo con loro, sono in rapporti molto cordiali con i titolari e, last but non least, da molti decenni conosco di persona una delle traduttrici qui coinvolte.

Precisato tutto questo, mettiamolo da parte. Il discoro che intendo condurre mi pare degno di analisi oggettiva, a prescindere dai rapporti personali.

Ripartiamo da Montale. La traduzione può essere considerata un’opera “nuova”, grazie all’intervento del traduttore. La capacità di questi, aggiungo io, è garantire lo spirito originale dell’opera, inserendola però nella lingua e nella visione culturale della nuova versione.

Al di là della trama giallistica, i tre libri mi sono piaciuti proprio perché ho rintracciato l’abile lavoro dei traduttori, che hanno saputo riversare nel testo italiano anche la descrizione dei luoghi geografici dove sono ambientate le storie.

Per primo ho letto Sangue sul Monte Bianco (Mulatero, Piverone, 2020), tradotto da Paola Mazzarelli di Torino.

La trama è ben articolata, intrisa di atmosfera tipicamente british (molto ben resa in italiano), anche se il finale roboante appare un po’ tirato per i capelli. Ma il bello del libro non è tanto scoprire l’assassino, quanto la perfetta descrizione delle alte quote e lo snodarsi degli eventi in tali contesti. Siamo sul ghiacciato versante francese del Monte Bianco dove si svolge la via normale che transita per il refuge des Grands Mulets.

Refuge des Grands Mulets

In generale a me piacciono molto i testi di narrativa che descrivono con precisione i luoghi in cui si svolgono i fatti. A maggior ragione se si tratta di contesti di montagna. Sicuramente nell’elenco inserisco questo libro: l’efficacia deriva non solo dall’abilità “traduttoria” di Paola, particolarmente “montaliana” specie in questo testo, ma anche dalla sua personale dimestichezza con i luoghi coinvolti.

Monte Bianco: progressione in cordata sulla via dei Grands Mulets

Paola, che ho conosciuto all’interno della Scuola di scialpinismo della SUCAI Torino, è stata anche alpinista di spessore, vantando tra l’altro una certa presenza nell’organico istruttori della Scuola Gervasutti. Ha esperienza di ascensioni anche impegnative nel massiccio del Bianco e sicuramente conosce quasi palmo a palmo i ghiacciai dove si sviluppa la trama di questo libro. Tutto ciò facilita la lettura e soprattutto fornisce un elemento intrigante in più per chi quei ghiacciai li ha calcati di persona, in quanto li riconosce nei minimi dettagli durante l’evolversi della trama.

Paola Mazzarelli
Paola Mazzarelli sale la fessura Kosterlitz in Valle dell’Orco

Il rifugio abbarbicato sugli isolotti rocciosi (che, visti dal basso, hanno sempre dato l’idea di essere le schiene di grandi muli), il percorso che si snoda fra crepacci e muri ghiacciati, il modo di progredire man mano che si sale di quota, le due grandi gobbe della cresta finale, l’esile traccia, la vetta e i sentimenti contrastanti che si provano lassù, sul tetto d’Europa (un tempo si diceva così, invece oggi si preferisce chiamarla il punto massimo della catena alpina) e infine l’inscatolamento all’interno della Capanna Vallot durante una delle tante furiose tempeste: tutto molto ben descritto, probabilmente fin dal testo originario, ma senza dubbio ben reso dall’abile traduzione.

In discesa dal Monte Bianco lungo la cresta delle Bosses

Passiamo alla mia seconda lettura: Delitti alle Traversette (Fusta editore, Saluzzo, 2020):

Pur non conoscendoli ho avuto modo di apprezzare i traduttori (dal francese): rispondono ai nomi di Silvia Nugara e Claudio Panella.

Silvia Nugara
Claudio Panella

Paolo Fusta, titolare dell’omonima casa editrice, è un editore intrepido (a tal punto da stampare anche alcuni miei libri di narrativa alpinistica…), ma è anche molto avveduto e ha quindi saputo affidare la traduzione a persone competenti e precise. Ne esce un testo di godibilissime lettura, capace di rendere molto bene le atmosfere di quella montagna che, allontanandosi dalle altissime vette ghiacciate poste più a Nord, già allude a contesti mediterranei. Non a caso i francesi hanno coniato un nome appropriato per le montagne che da qui in giù vanno fino al mare (comprendendo anche le diramazioni italiane): Le Alpi del Sole.

Refuge du Viso e versante ovest del Monviso

Siamo nelle Cozie, qui descritte sul versante francese (Queyras), solatio e profondamente intriso di suoni, profumi, sapori che preannunciano la Provenza e quindi il mare. Il clima è diverso da quello del Bianco, le atmosfere sono più rilassate, il modo di vivere è più mediterraneo, più “sciallo”” rispetto a quello, molto prestazionale, contraddistingue Chamonix, la capitale mondiale dell’alpinismo.

Atmosfere rilassate attorno al refuge du Viso

Il profumo della resina dei pini rilancia già alla macchia mediterranea, i venti sono più soavi (anche se, all’occorrenza, sanno essere molto severi e non perdonano), la gioia di vivere emerge da piccole cose, come un bicchiere di buon vino o una fetta di toma casareccia.

Atmosfere rilassate attorno al refuge du Viso

Davanti al refuge du Viso (in qualche modo coinvolto nel racconto) razzolano abitualmente asini e cavalli, e la tranquillità è ben diversa dai ghiacciai tormentati che circondano i Grands Mulets del Bianco.

Refuge du Viso

Qui siamo in presenza di una montagna apparentemente minore, ma che io amo profondamente proprio per il suo carattere più defilato rispetto ai grandi massicci alpinistici.

Sullo sfondo, il versante ovest del Monviso

Anche in questo caso la trama prettamente giallistica traballa un po’ sul finale, ma bene o male regge anche al giudizio del lettore più esigente e, in ogni caso, costituisce un arguto pretesto per conoscere (o ri-conoscere) le caratteristiche salienti del Queyras, sotto l’ombra lunga di sua maestà il Monviso.

Refuge du Viso e versante ovest del Monviso

Il terzo libro, Assassinio sul Cervino (Mulatero, Piverone 2020), ci riporta invece sugli affilati appicchi delle alte quote, anzi sul “più nobile scoglio delle Alpi”, com’è sempre stato chiamato il Cervino.

Il Cervino è la piramide perfetta, con quattro pareti e addirittura sei creste (infatti due aggiuntive rigano l’articolato versante meridionale). Quando il sole lo illumina, il Cervino splende come una star hollywodiana.

Il Cervino dal versante svizzero, al primo sole. Foto: Carlo Crovella

Con questo volume ci rimettiamo nelle mani di Paola Mazzarelli, che, oltre a quella del Bianco, ha tradotto anche altre avventure di Glyn Carr. Sono mani abili, quelle di Paola, e garantiscono sempre sicurezza e fluidità di lettura: si giunge tranquillamente e con gusto alla meta finale.

Pareti sud ed est del Cervino

Tuttavia il libro mi ha preso meno di quello dello Bianco. Penso si tratti di un mio limite legato al Cervino in quanto tale. Non amo particolarmente il Cervino: esteticamente bellissimo per la sua silhouette slanciata e sinuosa, in realtà mi ha sempre lasciato l’impressione di essere un gran mucchio di sassi accatastati.

La vetta del Cervino con il muro terminale che la sorregge. Telefoto: Gianluigi Compagni, Gruppo Fb Club Amici del Cervino.

Ad essere sinceri quella del mucchio di sassi è peculiarità di moltissime vette, ma in questo caso mi pare che la fama di superstar sia decisamente amplificata dall’estetica esterna. Quando lo guardi “da fuori”, il Cervino è davvero irresistibile, quando ci sei sopra cambia radicalmente. Però non voglio offendere i tanti supporter genuinamente innamorati di questa splendida montagna, la cui storia alpinistica è molto intrigante e di assoluta importanza.

Il Cervino dal versante italiano, dopo una bella imbiancata. Foto: Gianluigi Compagni, Gruppo Fb Club Amici del Cervino.

La trama giallistica, pur diversa nello svolgimento tecnico, ricorda un po’ quella del libro sul Bianco: d’altra parte l’autore è lo stesso e medesimo è, in fondo, anche lo schema editoriale. Questo fatto non costituisce di per sé un limite, anzi, ma, letti quasi di seguito, i due libri esprimono troppi collegamenti fra loro. Tuttavia meritano entrambi una lettura appassionata, perché questo secondo testo sa rendere alla perfezione l’atmosfera della Gran Becca e delle vallate che la circondano.

Anomale presenze volanti attorno alla vetta del Cervino. Foto: Gianni Risso, Gruppo Fb Club Amici del Cervino.

Dunque tre libri, tra i tanti, per le letture estive: sul mercato sono presenti molti altri testi che meritano altrettanta attenzione. Bisognerebbe leggerli tutti. Leggere libri di montagna, specie se ben scritti e ben tradotti, è un modo complementare per irrobustire la conoscenza delle nostre amate vette.

Anche io sono un convinto sostenitore della tesi già espressa tempo fa da Massimo Mila, musicologo torinese ed accademico del CAI: “L’alpinismo (io lo intendo come “andar in montagna” nel senso più esteso del concetto, NdR) è una delle poche attività umane capaci di fondere insieme pensiero e azione”.

Nulla di più vero e di ciò non può fare a meno una passione per l’Alpe capace di durare tutta una vita: se si trattasse solo di puro sport, o si riesci a migliorarsi ogni volta oppure, dopo un po’, la “spinta” si esaurisce.

Invece scrivere e leggere di montagna, anche nella forma più loisir della narrativa (giallistica e non), è un altro modo per rinfrescare i tratti salienti della nostra passione.

Più che arrivare, l’importante è ri-partire.

13
Brividi in quota ultima modifica: 2021-08-03T05:23:00+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

4 pensieri su “Brividi in quota”

  1. Ringrazio Crovella per l’attenzione data alla collana di cui sono curatore (le ultime uscite, fresche di stampa, sono due avventure apocrife di Sherlock Holmes giocate una sulle Dolomiti, l’altra sul Monte Bianco, che consiglio non solo agli appassionati del detective di Baker Street, firmate la prima da Fabrizio Torchio e Riccardo Decarli, la seconda da Pierre Charmoz e Jean-Louis Lejonc). Glyn Carr è stata invece una scoperta fortuita e fortunata, nata dal suggerimento di un libraio inglese, affidata da subito a Paola Mazzarelli conoscendone le capacità e l’entusiasmo e allargata agli allievi della sua scuola di traduzione. I mysteries di Styles sono piccoli capolavori di scrittura che si è cercato di rendere il più possibile aderenti all’epoca, anche con un’attenta traduzione che ricreasse uno stile aderente a quello dei romanzi gialli del dopoguerra britannico. Un tentativo, finora riuscito da un punto di vista delle vendite, di rimescolare le carte della narrativa di montagna, giocando sui generi e rifuggendo l’autobiografia che sconfina spesso nella noia.

  2. Interessanti indicazioni. Grazie. Mi permetto di segnalare due autori italiani sullo stesso filone o quasi che ho appena terminato. Enrico Camanni “Una coperta di neve”, ambientato in VdA, e Paolo Paci “L’ora più fredda, ambientato soprattutto in varie montagne lombarde che hanno rappresentato le tappe obbligate del curriculum di molti alpinisti milanesi della fascia intermedia di abilità e di certe generazioni. Aggiungo che i due protagonisti maschi dei romanzi, una guida e un insegnante, sono un cinquantenne e un sessantenne che affrontano una fase di transizione importante della loro vita. Tematica che dovrebbe interessare molti lettori del blog, che mi pare appartengano a questi gruppi di età, a spanne. Anzi, Settembrini, la guida, mi ha ricordato per certi versi, uno dei più assidui e arguti contributori.

  3. Caro Crovella ,ho letto tutti i libri di Glyn Carr edito da Mulatero ( per ora 5 in tutto) e devo dire che mi sono piaciuti .
    In particolare per le ottime descrizioni dei luoghi che ben trasmettono i contesti in cui si collocano le vicende narrate.
    Alessandro Gentilini

  4.  altro consiglio
    https://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/daudet/tartarino_sulle_alpi/pdf/daudet_tartarino_sulle_alpi.pdf
    gratis, con traduzione e comento di Feroci Virgilio e xilografie…stile umoristico.
    Quando invece vedo “stagioni “pluriennali di “Ad un passo dal cielo..”delitti ed inchieste ambientati in piccolo paese, mi chiedo ..possibile che in questi posti si concentri tanta malvagita’?Insuperato di Saviane “I delitti del lago di Alleghe”..non un noir architettato al tavolino  ma realta’ .

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.