CAAI – Siamo un Club conservatore?

CAAI – Siamo un Club conservatore?
di Ugo Manera

2021. Quaranta anni fa, nel 1981, terminava la sua vita il GAM (Gruppo Alta Montagna) della Sezione torinese UGET del CAI. Fondato nel 1946 il GAM ha avuto dei momenti gloriosi ed è stato, per molti anni, l’orgoglio della Sezione.

 Mentre mi accingevo a scrivere qualcosa nella ricorrenza di questo anniversario negativo, mi è venuto spontaneo fare qualche accostamento e riflessione sul Club Alpino Accademico Italiano (CAAI).

Il CAAI si divide in tre gruppi: Occidentale, Centrale ed Orientale. Ogni gruppo ha le sue scadenze canoniche rappresentate dalle Assemblee di gruppo ove si discute delle attività passate e future e degli eventuali programmi ed obiettivi. In tali assemblee vengono anche presentate le candidature per l’ingresso di nuovi soci, senza i quali il CAAI sarebbe destinato a spegnersi.

Negli anni 2020 e 2021 anche il nostro CAAI ha subito le conseguenze della pandemia che ha investito il mondo: il CoViD-19. Non è stato possibile riunirsi come in passato ed effettuare le Assemblee di Gruppo. Come in tanti altri campi si è cercato di sopperire in qualche modo con collegamenti da remoto sfruttando internet e con incremento della posta elettronica tramite mail. Anche le proposte di ammissione di nuovi soci e discussione sull’attività alpinistica dei candidati è avvenuta seguendo questo modulo.

Con mia sorpresa l’argomento “nuovi soci” ha dato il via, nel Gruppo Occidentale, ad uno scambio di mail che ha preso la dimensione di un fiume in piena. Tengo a precisare che tale Gruppo è ridotto a “quattro gatti”, nel 2004, anno del centenario CAAI, contava 71 soci mentre a fine 2020 i soci erano ridotti a 60. Man mano che il dibattito virtuale cresceva i toni si facevano sempre più vivaci: sembrava di assistere ad una tribuna politica con personaggi alla “Sgarbi”. Personalmente, all’inizio, ho espresso una volta la mia opinione poi mi sono astenuto e, quando il dibattito è divenuto eccessivamente acceso, cancellavo le mail dalla posta senza neanche aprirle.

L’episodio ha però sollevato in me una domanda: ma il CAAI è un gruppo conservatore? Allora mi è venuto voglia di fare un viaggio nel passato per dare una risposta a tale domanda.

Sono entrato nell’Accademico quando ancora era Presidente Generale Ugo di Vallepiana. Per anni ho fatto il “vice” di Renato Chabod. Quanti viaggi abbiamo fatto insieme a Milano per gli incontri istituzionali: Chabod, Rabbi ed io. Passavamo a prendere Renato ad Ivrea ed il ritorno si concludeva immancabilmente con una cena da lui offerta durante la quale si discuteva di montagna, delle sue avventure giovanili, di Gervasutti, del CAAI e di vini (era un intenditore appassionato in questo campo). Ricordo quei viaggi con un po’ di nostalgia.

Già allora un tema divideva i soci in conservatori e progressisti ed era l’ammissione delle donne nell’Accademico: Chabod era contrario io ero favorevole. Per anni prevalsero i conservatori poi si affermarono i favorevoli all’ingresso delle donne. Renato accettò di buon grado il verdetto della maggioranza, egli era un vero signore e profondamente democratico.

Un altro caso di contrasto tra conservatori e progressisti si verificò sul tema dell’apertura verso l’alto della scala Welzenbach della valutazione delle difficoltà su roccia. Mi ha fatto una certa impressione rileggere un verbale dell’assemblea del Gruppo Occidentale del 17 dicembre 1978 nella quale una mia mozione per l’apertura verso l’alto della scala delle difficoltà, oltre il sesto grado, venne respinta: sei voti favorevoli contro 11 contrari (spicca fin da allora l’esigua partecipazione all’assemblea di Gruppo dei soci).

Eterno è stato poi il dibattito sull’ammissione delle guide nell’Accademico. Io sono sempre stato favorevole ma sempre hanno prevalso i conservatori fino a quando si è raggiunto un compromesso all’acqua di rose che pure ha generato vistose manifestazioni di contrarietà da esponenti importanti del nostro sodalizio.

Già nel lontano 1970, in un articolo dedicato al Gruppo Alta Montagna UGET, Alessandro Gogna metteva in evidenza delle incongruenze nello Statuto di fondazione del CAAI. Comparando Accademico e GAM egli scriveva:

“Quando il 5 aprile 1904 il CAAI fu fondato in Torino, da 16 alpinisti in maggioranza piemontesi, non c’era alcuna mentalità di élite.
«Articolo 1- E’ costituito tra i soci del CAI il Club Alpino Accademico Italiano, con sede in Torino, che si propone di coltivare e diffondere l’esercizio dell’alpinismo, affiatare i soci tra di loro, unire l’esperienza, le cognizioni e i consigli per formare la sicura conoscenza e l’abilità indispensabile a chi percorre monti senza l’aiuto di guide (Statuto sociale 1904)»…
Guardiamo oggi l’Accademico, trasformato, ovviamente dagli anni e dagli uomini. Non voglio cadere in facili critiche, non voglio denunciare, dimostrabili, ne pregi ne difetti. Voglio solo dire: dei due scopi esposti nell’articolo1 dello statuto, non uno oggi ha ancora senso.
«Affiatare i soci tra di loro». Credo che oggi le conoscenze e le amicizie si facciano in altro modo. Se si va ad una assemblea generale dei soci, si ritorna a casa con lo stesso numero di amici che si aveva prima.
«Formare la sicura coscienza e l’abilità indispensabile a chi percorre i monti senza aiuto di guide». Per questo oggi ci sono le scuole d’alpinismo; chi le organizza spesso è un accademico, però il CAAI non agisce in questo senso ufficialmente. E allora? E’ evidente che l’organismo si è trasformato e ha assunto necessariamente forma e sostanza di un gruppo scelto. Ed è logico che sia stato così…”.

In effetti l’Accademico negli anni è diventato un gruppo di “élite”, ma un’élite dimezzata perché in essa non entrano a farne parte i giovani che scelgono di prendere il brevetto di Guida Alpina e che oggi rappresentano probabilmente la fetta più consistente dell’alpinismo italiano d’avanguardia. Questa situazione è accentuata dal fatto che sono sempre di più le guide di estrazione cittadina e meno quelle valligiane. Trovare un lavoro stabile per i giovani non è semplice al giorno d’oggi e l’acquisizione del brevetto di guida alpina è, per gli appassionati e dotati giovani scalatori, una possibilità di lavoro, magari ad integrazione di qualche altra attività professionale cittadina. Questi giovani non hanno il tempo di accedere al CAAI per poi rimanervi (con le regole attuali) dopo aver acquisito il brevetto di guida. Sono perciò personaggi importanti persi per il nostro “elitario” Club che rimane “dimezzato”. Per restare nella competenza territoriale del Gruppo Occidentale citerò degli esempi: Adriano Trombetta (che purtroppo non c’è più), Federica Mingolla, Carletto Giuliberti. Enrico Bonino.

Molti sono stati, e lo sono tutt’ora, gli accademici per i quali l’alpinismo è diventata professione senza essere guide alpine per cui la discriminazione di queste ultime è sempre meno comprensibile; tanto più che in altri gruppi di “élite” simili al CAAI tale discriminazione non esiste.

La proposta di ammissione di nuovi soci nell’Accademico avviene con votazione a maggioranza nelle assemblee di Gruppo e l’ammissione viene ratificata dal Consiglio Generale, sentito il parere della Commissione Tecnica. La Commissione Tecnica, dotata di un proprio regolamento, deve esprimere una valutazione dell’attività alpinistica dei candidati, della quale tiene conto il Consiglio Generale.

Entrai a far parte della Commissione Tecnica quando in essa, a rappresentare il Gruppo Orientale, vi era Oscar Soravito e, a varie riprese, vi rimasi molti anni. Quasi sempre nelle riunioni della Commissione si accendevano accesi dibattiti: vi erano candidati con una attività talmente vasta e varia per i quali ogni obbiezione sarebbe stata priva di senso ed in questi casi la valutazione positiva era unanime e rapida. Per altri candidati invece la valutazione diventava più difficile perché l’attività risultava troppo specialistica, ad esempio: molte salite di roccia (Dolomiti) e assenza o quasi di grandi vie di stampo occidentale (ghiaccio e misto). Il regolamento in questi casi dava indicazioni troppo vaghe per cui la valutazione diventava più soggettiva che oggettiva, da qui dibattiti che e volte assumevano un tono piuttosto vivace.

Intanto l’alpinismo e l’arrampicata stavano cambiando profondamente, si stava affermando sempre di più la visione sportiva dell’arrampicata con regole ben definite e questo nuovo concetto gradatamente traslava dalle falesie all’alta montagna. Il sesto grado, metro di paragone nelle scalate di roccia, veniva travolto dalle prestazioni dei nuovi scalatori sportivi verso livelli impensabili pochi anni prima. Anche la scalata su terreno misto subiva una trasformazione grazie all’evoluzione della tecnica e degli attrezzi e, itinerari del passato, considerati di grande valore alpinistico, vengono ora saliti (dagli scalatori bravi), con grande disinvoltura e in tempi molto ridotti. L’élite non è più quella degli anni ‘70.

Anche l’interpretazione della “via nuova” è cambiata, a tal proposito citerò un esempio: nel 1980, con tre amici, tracciavo una nuova via sullo Piastro Rosso del Brouillard. Toccando il vertice dello splendido monolite era naturale per noi considerare l’impresa definita e conclusa. 40 anni dopo, il 31 giugno 2020, Della Bordella, Cazzanelli e Ratti vi tracciano una nuova via di grande difficoltà ma al termine non giudicano la loro via compiuta. Infatti vi ritornano l’8 luglio con un altro compagno e la ripercorrono salendo in “libera” tutti i passaggi. Solo così considerano l’opera pienamente realizzata.

Ma di questa evoluzione sembra che il CAAI non se ne sia accorto, la Commissione Tecnica continua a valutare l’attività dei candidati con i criteri degli anni ‘70 e l’Accademico continua a considerare la scalata sportiva non alpinismo. Pensare che lo stesso Accademico ha organizzato dei riuscitissimi meeting di arrampicata in Valle dell’Orco; e non sul Becco di Valsoera o sul Gran San Pietro, ma su Caporal, Sergent e similari. Terreni che non hanno nessun valore “accademicamente” parlando.

Ritornando alle vicende della presentazione candidati del periodo pandemia che hanno dato origine a queste mie riflessioni, mi sembra che, almeno nel Gruppo Occidentale, in sede di Commissione Tecnica, le cose siano peggiorata rispetto agli ultimi anni di cui ne facevo parte. In passato questo organismo esprimeva la sua valutazione in sede di Gruppo ma poi nella riunione della Commissione dei tre Gruppi sosteneva quanto deliberato a maggioranza dall’Assemblea di Gruppo. Oggi invece mi pare di assistere all’azione di un pull di pubblici ministeri integralisti, indipendente dal mandato dell’Assemblea, che vede i nuovi candidati non come possibili colleghi che possono rafforzare il nostro scarno Gruppo, ma come imputati da indagare e condannare.

Già nelle ultime riunioni a cui ho partecipato a Milano, sia in Commissione Tecnica che in Consiglio Generale, esisteva il problema della valutazione dei candidati, originato dall’inadeguatezza del regolamento, tant’è che, stufo di eterne discussioni, ispirandomi proprio ai criteri di ammissione soci dell’antico Gruppo Alta Montagna dell’UGET, avevo proposto una bozza di regolamento per la valutazione dell’attività dei candidati. Lo scopo era quello di eliminare ogni interpretazione soggettiva, di portare ad una semplice valutazione di tipo matematico e di introdurre le nuove forme di scalata ad altissimo livello.

La mia bozza (che oggi, con l’affermarsi di nuove forme di scalata andrebbe già aggiornata) suscitò curiosità ma come da me previsto non ebbe alcun seguito.

Per concludere credo proprio vada tolto il punto di domanda presente nel titolo. Se non proprio un Club conservatore direi che il nostro e sempre stato, e lo è tutt’ora, a maggioranza conservatrice.

CAAI – Proposta valutazione tecnica attività Candidati
di Ugo Manera
23 febbraio 2005

Finalità della proposta
La seguente proposta ha come scopo quello di semplificare e rendere oggettiva la valutazione tecnica dell’attività alpinistica presentata dai candidati. Si prefigge di stillare un punteggio globale da confrontare con una soglia minima ritenuta idonea (tecnicamente) all’ammissione.

Lo schema proposto é improntato alla massima semplicità, comprensibile ed applicabile da chiunque; non ha come obiettivo la classificazione degli scalatori secondo una scala di merito ma solo la verifica di una soglia minima di livello dell’attività presentata, superato il quale il candidato viene valutato idoneo sul piano tecnico. Per questo rifugge da parametri eccessivamente perfezionistici, indispensabili nello stillare delle classifiche di merito.

Metodo
Le norme di valutazione proposte si ispirano all’alpinismo classico ma non trascurano l’alpinismo sportivo (vie aperte con l’impiego del trapano e protezioni fisse) ne le prestazioni ad altissimo livello dell’arrampicata sportiva.

Definizione del punteggio della soglia minima
Il punteggio globale che viene assunto come soglia minima si ispira all’alpinismo classico e viene determinato nel seguente modo:

Scalata tipo di riferimento: Via alpinistica di qualsiasi tipologia (roccia, ghiaccio, misto) ove non siano presenti protezioni fisse (spit, fix, fittoni resinati) con le seguenti caratteristiche:
Dislivello: 600 m;
Difficoltà d’insieme: TD+;
Punteggio attribuito: 50 punti.

Filosofia di applicazione: Si ipotizza che un candidato all’ammissione al CAAI debba aver compiuto (da primo di cordata o a comando alterno) almeno 8 scalate all’anno, per cinque anni con gli ipotetici parametri della scalata di riferimento, per un totale di punti: 2000. Tale valore viene assunto come soglia minima di riferimento.

Tipologie di attività e fattori di incremento o decremento punteggio
Le tipologie di attività considerate sono divise in tre gruppi: Alpinismo Classico (A), Alpinismo Sportivo (B), Arrampicata Sportiva (C). Per ogni tipologia viene indicata una scalata base con un proprio punteggio di partenza e vengono definiti i fattori di incremento e decremento di tale punteggio.

Parametri di applicazione
A) Alpinismo classico
Appartengono al gruppo tutte le scalate di qualsiasi terreno (roccia, ghiaccio, misto) non protette da protezioni fisse (spit, fix , fittoni resinati). Sono comprese in questo gruppo vecchie vie aperte in artificiale con l’impiego di chiodi a pressione applicati con il punteruolo.

Scalata base
Dislivello: 600 m;
Difficoltà d’insieme: TD+;
Quota: qualsiasi quota;
Punteggio: 50 punti.

Fattori di incremento punteggio
Prime o solitarie: prima salita, prima invernale, solitaria + 25 punti;
Dislivello: oltre 600 fino a 1000 m +25 punti, oltre 1000 m +25 punti;
Difficoltà d’insieme: ED, ED+ +25 punti; ABO +25 punti;
Quota: oltre 3500 m +25 punti; oltre 5000 m +25 punti; oltre 7000 m +25 punti.

Fattori di decremento punteggio
Dislivello: inferiore a 600 m fino a 300 m -25 punti; al di sotto dei 300 m non sono da prendere in considerazione;
Difficoltà d’insieme: TD, TD- -25 punti; difficoltà inferiori al TD- non sono da prendere in considerazione.
Nota: per scalate a quote superiori ai 7000 m sono da prendere in considerazione difficoltà D e D+ con punteggio corrispondente alla scalata base ossia: 50 punti.        

B) Alpinismo Sportivo
Appartengono al gruppo tutte le vie di roccia ove sono presenti protezioni fisse (spit, fix, fittoni resinati) anche se è richiesto l’integrazione con protezioni veloci (blocchetti ad incastro, friend)

Scalata base
Dislivello: 300 m;
Difficoltà obbligatoria: 6b+;
Quota: qualsiasi quota; 
Punteggio: 50 punti.

Fattori di incremento punteggio
Prime o solitarie: prime salite (aperte rigorosamente dal basso), prime invernali, solitarie +25 punti;
Dislivello: oltre 300 m fino a 600 m +25 punti; oltre 600 m +25 punti;
Difficoltà obbligatoria: oltre 6b+ fino a 6c+ +25 punti; 7a e oltre +25 punti;
Quota: oltre 3500 m +25 punti; oltre 6000 m +25 punti.

Fattori di decremento punteggio
Dislivello: inferiore a 300 m fino a 200 m -25 punti; al di sotto dei 200 m di dislivello non sono da prendere in considerazione;
Difficoltà obbligatoria: 6b -25 punti; difficoltà obbligatorie inferiori al 6b non sono da prendere in considerazione.

Nota caratteristica del gruppo: un’attività esclusivamente incentrata sull’alpinismo sportivo non è da considerare sufficiente, i canditati con attività prevalente su scalate appartenenti al gruppo debbono avere un cumulo di punti derivanti da attività caratteristica del gruppo A pari a 1000 punti.

C) Arrampicata Sportiva
Appartengono al gruppo lunghezze di corda (anche monotiri) superati in arrampicata libera di elevatissima difficoltà.

Lunghezza di corda base
Difficoltà: 8a  Punteggio: 50 punti.

Fattori di incremento punteggio
Difficoltà: oltre 8a, fino a 8b+ +25 punti; oltre 8b+ +25 punti.

Fattori di decremento punteggio
Difficoltà: 7c -25 punti; al di sotto di 7c non sono da considerare.

Nota caratteristica del gruppo: il punto C delle tipologie di scalate ha lo scopo di non escludere le eccezionali prestazioni dei campioni dell’arrampicata che con dedizione e grande impegno raggiungono prestazioni di altissimo livello; non è però sufficiente un’attività incentrata esclusivamente su questa tipologia di scalata, ai candidati specialisti dell’arrampicata sportiva è richiesto un cumulo di punti pari a 1000 derivati da attività prevista nel gruppo B o nel gruppo A o in ambedue i gruppi.

Nota conclusiva
Onde salvaguardare la volontà, sempre presente nel Club Alpino Accademico, di valorizzare l’impegno culturale oltre alla prestazione sportiva, ai candidati che hanno svolto una importante attività culturale il cumulo di punti richiesto è ridotto a 1500, naturalmente conseguiti con attività da capocordata o a comando alterno.

CAAI – Siamo un Club conservatore? ultima modifica: 2021-12-09T05:43:00+01:00 da GognaBlog

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21 pensieri su “CAAI – Siamo un Club conservatore?”

  1. La risposta definitiva alla questione e dalla cattedra più titolata.
     
    Il CAAI non è un club conservatore, ma un club in via di estinzione 
    (anche se forse sarebbe bastato dare un’occhiata ai freddi numeri per capirlo!)

  2. Il Consiglio Generale del Club Alpino Accademico Italiano, riunitosi il giorno 20 dicembre 2021, si trova, suo malgrado, a doversi esprimere sull’intervento di Ugo Manera.
    Si ritiene che lo scritto in questione, per modalità espressiva dei contenuti, arrechi un ingiustificato danno di immagine per l’intero sodalizio, in un momento in cui si stanno discutendo con fatica, ma con onestà, le sue problematiche presenti e future.
    L’intervento a cui si fa riferimento, travalica la semplice riflessione personale, acquisendo toni che si possono considerare offensivi nei confronti della Commissione Tecnica e del suo operato, degli attuali regolamenti interni e di conseguenza del CAAI stesso.
    Il CAAI è un sodalizio con oltre cento anni di vita, che ha un suo statuto e un suo regolamento che siamo tenuti a rispettare.

    Nel divenire delle discipline alpinistiche, alcuni punti sono sempre più soggetti a interpretazione:
    secondo la posizione personale di ognuno la tipologia di attività richiesta per l’ammissione può spaziare dalle sole salite di avventura, fino a comprendere arrampicate di tipologia più sportiva.
    Fatta questa premessa si conferma che, diversamente da come è stato scritto da Manera, la Commissione Tecnica del Gruppo Occidentale e la Commissione Tecnica Generale del sodalizio hanno espresso, senza alcun accanimento, la loro valutazione tecnica sui CV dei nuovi candidati seguendo correttamente e coerentemente un’interpretazione delle linee statutarie, che premia l’attività di avventura ed esplorativa.
    Ci si trova quindi a disapprovare un testo contenente espressioni non accettabili quali l’assimilazione della Commissione Tecnica ad “un pool di pubblici ministeri integralisti che vede i nuovi candidati non come possibili colleghi che possono rafforzare il nostro scarno Gruppo, ma come imputati da indagare e condannare… ecc”.
    In un organismo che, ammettiamo pure, possa apparire “conservatore”, ma di certo organizzato secondo regole che, per quanto imperfette, sono di tipo democratico, non deve stupire che qualcuno con un ruolo importante, negli organismi delegati all’iter di esame delle candidature, e nel caso specifico tutti i componenti della Commissione Tecnica, abbia posizioni diverse dalle proprie.
    Succede in democrazia. Se si ritiene che queste regole siano obsolete, si può di certo proporne il cambiamento, ma attraverso una discussione interna da gestire con correttezza, nelle giuste sedi istituzionali, cosa che peraltro stiamo facendo. Se pensiamo invece che la loro interpretazione sia eccessivamente conservatrice, allora è necessario che alpinisti di mentalità differente si facciano avanti e vengano eletti negli organismi tecnici.
    Non si vuole qui negare la libertà di espressione della persona, ma essa deve essere portata nel giusto contesto e nelle sedi opportune, e con toni rispettosi dell’operato di colleghi che hanno idee diverse. E che si sono limitati a dare un giudizio tecnico sul curriculum alpinistico, coerentemente con le proprie convinzioni: ovvero che l’Accademico debba principalmente promuovere un alpinismo di esplorazione e di avventura.
    Il Consiglio Generale del Club Alpino Accademico Italiano

  3. Credo che Ugo non volesse intendere l’arrampicata sportiva intesa come monotiro in falesia, da equiparare all’alpinismo. Ma la scalata sportiva sulle grandi pareti alpine. Io stesso ho proposto al CAAI, con mio fratello, uno scalatore con queste caratteristiche. Ovvero vie sportive in Wenden, Madagascar, Bianco, etc. Bocciato dalla commissione tecnica. Credo che una via a spit chiodata lunga sia a volte molto più ingaggiosa che fare un Pilone Centrale, strachiodato e, ad oggi, con previsioni meteo bomba. Con un pò di allenamento e determinazione una salita ormai a portata di tantissimi. Su una via in Wenden, anche su quelle “facili” di 6b obbligatorio, se non hai il grado non passi e rischi di farti molto male in caso di caduta. Puoi anche scalare sul 7c in falesia ma su un 6b o 6c obbligato chiodato anche “solo” a 5 metri devi avere molta testa e molto spirito alpinistico. L’evoluzione è questa, negarlo è essere conservatori. In questo Ugo ha ragione. Un saluto. 

  4.                 La riammissione nel Caai riguarda chi, come Gogna, Rabanser e Giordani, è diventato guida alpina dopo essere stato accademico e quindi con un ricco e corposo curriculum alpinistico precedente.

  5. Da notare che “i soci che acquisiscano successivamente la qualifica di Guida Alpina possono continuare a far parte dell’Accademico (modifica dell’Art. 19 approvata dall’Assemblea di Caprino/VR nel 2014)”.
    Pare quasi un controsenso. Ma forse la modifica è stata fatta per non perdere i già pochi soci Soci?

  6. Se la proposta di Ugo Manera va nel senso di migliorare il metodo per sottoporre ad un esame minuzioso le candidature degli accademici, ottenendo un criterio più oggettivo, condivido pienamente anche prendendo in considerazione l’arrampicata moderna(sportiva). Non capisco invece la proposta di allargare alle guide e quindi al professionismo per compensare il “dimezzamento”,  l’articolo fondativo recita :”Art. 1 – Il Club Alpino Accademico Italiano (C.A.A.I.), associazione fondata nel 1904 per riunire i soci del Club Alpino Italiano (C.A.I.) che avessero acquisito meriti speciali nell’alpinismo senza guide“, sarebbe un modo per snaturare l’associazione stessa. Forse quello che Manera chiama conservatorismo è legato al fatto che il CAAI è, nei fatti, l’unico che tramanda da Castiglioni, Bonatti e Cassin, le tradizioni e la storia alpinistica.

  7. L’alpinismo oggi non può essere slegato dell’arrampicata sportiva. Mi stupiscono le parole di uno come Bernardi che ha eccelso in entrambe le discipline proprio perché complementari. 
    Vorrei sapere chi è oggi l’alpinista di un certo livello che non pratichi l’arrampicata sportiva per allenarsi o per (meglio) il piacere di farlo. Non mi esprimo su commissioni tecniche e altro che riguardano il Caai perché per me è terreno sconosciuto. Buona domenica. 

  8. A nome della Commissione Tecnica del CAAI, replico alle parole di Ugo, che non trovo veritiere e in linea con i principi e i regolamenti attuali dell’accademico ed in particolare della Commissione Tecnica. La CT si è dimostrata compatta, unita e nel pieno rispetto dello statuto e del suo regolamento interno ed aggiungo, moderna ed al passo coi tempi; il nostro, è il primo gruppo ad ammettere un membro con attività prevalente di ripido estremo, ma ovviamente con solide basi alpinistiche. L’articolo ha una sua logica ed un suo contenuto che possono essere condivisi o meno, ma le affermazioni sulla CT esulano, e soprattutto non corrispondono alla realtà dei fatti, pertanto sono inaccettabili. Chiudo con le parole di Francesco Borgonovo e di Marco Bernardi: “… Ormai da parecchio tempo, gli europei e gli occidentali in generale fanno di tutto per distruggere il passato. Vogliono recidere le radici, cancellare il proprio retaggio abbattendo statue e riscrivendo la storia dopo averla fatta passare nel setaccio del politicamente corretto. E’ la “cancel culture”. Bisogna opporsi e conservare per difendere un capitale di virtù, di tradizioni, di buoni costumi. Se si distrugge la tradizione, allora non resta nulla a cui fare riferimento, si è persi; abbiamo bisogno dei modelli che propone, antichi ma indispensabili per interpretare la realtà odierna… (Francesco Borgonovo)”.
    ”I principi dell’accademico si basano su ideali e propositi che nulla hanno a che vedere con l’arrampicata sportiva “per me non c’è stata mai alcuna relazione tra le due attività, l’arrampicata è uno sport, nulla più, nulla a che fare con attività come l’alpinismo che non ho mai considerato uno sport: l’alpinismo è attività assai più complessa che riguarda la sete di avventura e di conoscenza dell’uomo (Marco Bernardi)”.

  9. Da oltre 40 anni pratico la montagna e da 25 l’alpinismo facile, sono stato iscritto al CAI per 30 anni e l’ho lasciato tardi , ho provato a fare una battaglia inutile per far sopravvivere l’alpinismo al suo interno. Tutto inutile, il CAI si è autodistrutto da solo coi suoi regolamenti, i suoi titolati,i suoi senatori , ha perso non capendone l’importanza il treno dell’arrampicata sportiva e ora i giovani vanno altrove.
    Nelle sezioni, quasi in tutte ormai l’età media è sui 60 che vada bene, oggi è più un’associazione ambientalista che alpinistica. Per entrare nel CAAI o diventare INA bisogna avere un curriculum che tanto vale fare la Guida Alpina, almeno guadagni. Per fare cosa volontariato in una associazione che alla fine ti ostacola?
    Penso che tutti questi paletti oggi si stiano rivoltando contro. Chi fa alpinsimo sia forte o debole lo fa perchè vuole essere libero, non incatenato.

  10. Non c’è un numero di cittadini interessati al “vero” alpinismo tale da rendere politicamente giustificabile un investimento pubblico così rotondo come quello necessario per allestire e mantenere una “squadra nazionale di alpinismo di punta”. Discorso diverso per il Cai “non alpinistico”: ma lì giocano altri numeri e altri concetti, politicamente molto più spendibili. Cmq se riuscite a creare una pressione dell’opinione pubblica tale da spingere le autorità governative a sovvenzionare la squadra di alpinisti di punta… bhe tanto di guadagnato per tutti. Io dubito che si arriverà mai a una cosa del genere, ma sarei il primo ad essere contento. Ciao!

  11. Per usare le parole di una frase inglese:L’alpinismo è morto, viva l’alpinismo.Di solito bisogna aspettare che i vecchi re muoiano e la loro corte scompaia.Gli inglesi hanno una regina, ma il loro alpinismo no.

  12. Crovella in Italia i soldi sono troppi, nonostante il debito pubblico. E’ inspiegabile che si diano contributi a pioggia per iniziative politicamente paraculate dalla valenza sociale nulla e poi si lamentino scarsità di risorse monetarie per altre cose che sinceramente vedrei come più socialmente utili.
    L’alpinismo, come tu stesso hai ribadito più volte, è nato qui (sulle Alpi intendo) e l’Italia ha nel suo territorio la più parte del terreno alpino e poi c’è l’Appennino con le sue cultura e tradizione alpinistiche di tutto rilievo.Se non altro l’alpinismo in Italia è un patrimonio culturale degno di nota, più del bob (contro cui non ho nulla ma è uno degli argomenti di cui si parla recentemente) e del pesto. Eppure per queste cose i soldi non mancano. Io stesso continuo a ricevere ristori economici che accetto ma allo stesso tempo me ne vergogno.

  13. A scanso di equivoci, mi affretto a precisare che le mie considerazioni sulla deriva “non alpinistica” del Cai  si riferiscono al Cai nel suo insieme nazionale. Vi sono delle notevoli eccezioni, cioè delle nicchie dove sopravvive, e anche bene, una certa mentalità alpinistica. Magari non è l’unica cifra del Cai locale, nel senso che anche in quelle realtà si riscontra una notevole (e legittima) presenza di MTB, falesisti ed escursionisti delle più varie tipologie (compresi gli estimatori della polenta in rifugio) , ma il nucleo centrale è marcatamente a mentalità “alpinistica” (con infinite sfumature: con o senza sci, su livelli estremi o medi, in quota o in media montagna ecc). Per esempio, l’ambiente del Cai torinese, che io conosco direttamente, è una di queste isole felici, non solo nella Sezione Cai Torino, ma anche all’Uget e nelle altre sezioni dell’hinterland. Sicuramente ci sono altre realtà geografiche con analoga situazione. Può aver senso che chi ha la mentalità alpinistica trovi nel (“nuovo ipotetico”) CAAI il suoi habitat naturale, lasciando completamente il Cai ai non alpinisti. Occorre capire a fondo se gli attuali Accademici condividano tutti la decisione di aprire le porte e quindi abbassare il livello tecnico degli iscritti. In tal caso il CAAI diventerebbe sostanzialmente un’associazione di alpinisti “medi”, la cui caratteristica (riprendendo lo spirito iniziale di 115 anni fa), è quella di praticare alpinismo per conto proprio, cioè senza guide o senza “essere portato” da organizzazioni varie, comprese le varie scuole e gite sociali del Cai stesso. Quanto ai soldi pubblici, non penso proprio che, con la situazione complessiva dell’Italia, sia pensabile che lo Stato eroghi finanziamenti annui all’eventuale CAAI di professionisti di punta: come fa a giustificarlo politicamente, quando la spesa corrente annua è già così incontenibile??? L’alpinismo interessa una percentuale minima dei 60 milioni di cittadini: oltre a noi quattro gatti, a nessuno importa che l’alpinismo italiano sia “di punta”. Occorre cercare altre fonti di finanziamento: se non si trovano nel settore produttivo, potrebbero esistere altrove, chissà. Se no… bisogna arrendersi all’idea che senza soldi non si va da nessuna parte, purtroppo. Buona giornata!

  14. Condivido l’analisi di Carlo, ci sono due aspetti:
    1- nel CAI chi pratica l’alpinismo è una minoranza
    2 – chi è forte spesso cerca diventa Guida Alp.
    Credo che avrebbe senso unire entrambe le vocazioni al momento escluse. Può sembrare contradditorio, se si riuscisse a far convivere i due aspetti si avrebbe una struttura viva.
    Nel senso che al momento il CAI non ha uno spazio per gli alpinisti, se vado in sede, è poco probabile che trovi qualcuno con cui condividere la mia passione per l’apinismo. Gli spazi sono altrove, tipicamente sui social.
    Quindi un “gruppo” che cerchi di aggregare gli alpinisti dilettanti e supporti quelli professionisti potrebbe avere un senso. Che poi sia il CAAI o una nuova sigla non saprei. Può anche essere che la mia sia una visione vecchia e una battaglia di retroguardia, però se vedo come lavora l’AAC negli USA è più simile a questa logica. Adesso chi fa alpinismo non ha un punto di riferimento, chi esce dai corsi CAI, o si aggrega spontaneamente o non trova un “nucleo stabile” cui fare riferimento.
     

  15. Tutte le istituzioni sono conservatrici. Dal parlamento al comitato rivoluzionario ognuna si salvaguardia da infiltrazioni o fughe  in avanti. Un club che si chiama ‘accademico’ non può che esserlo al massimo grado.

  16. In Francia e in Germania c’è una squadra di giovani alpinisti (sia femminile che maschile) professionisti allenati da guide alpine. Le spese vengono pagate dai relativi club alpini. Essendo il livello tecnico di ciò che fanno, molto elevato, non faticano a trovare sponsor.Sull’attrezzatura oggi è già tanto, almeno in Italia, se le ditte ti regalano un paio di scarponi o di sci. Farsi pagare è fantascienza, anche se sei un fenomeno.
    Detto sinceramente, non ce lo vedo il Cai che paga una guida che allena degli alpinisti.Il Caai, l’ho già scritto su questo blog, con tutto il rispetto per chi ne fa parte, non capisco oggi a cosa serva.

  17. Incredibile come l’uomo sia capace di sperperare  le proprie energie mentali. Perché siamo appassionati di montagna afflitti dalla stessa passione,  e questo ci fa  forse comprendere come si rischi di perdere il senso della misura dietro a questioni che, a qualsiasi persona estranea  all’ambiente apparirebbero assolutamente futili.  La filosofia  che costituiva la vera spinta innovativa di  fenomeni come il Sassismo e il cosiddetto Nuovo Mattino, a distanza di più di quarant’anni sembra proprio si sia estinta.   Peccato.

  18. Riflettendo ancora sul tema, azzardo alcune ipotesi, senza voler invadere spazi  altrui. Lo faccio perché anche il CAAI fa parte del CAI, verso il quale nutro un amore sconfinato. Come intervenire? Cerco di trarre qualche spunto dalla mia attività professionale: magari dico cose già note al CAAI, nel qual caso mi ritiro in buon ordine. Dunque: il CAAI è come un’azienda in crisi di obsolescenza: deve rinnovarsi o morirà. Il punto cardine è che gli attuali soci sono tutti di età avanzata, quindi pochissimi giovani (specie under40). Bisogna attirarli. Vedo in sintesi due grandi filoni, antitetici: 1) abbassare drasticamente i livelli tecnici richiesti, per coinvolgere alpinisti dilettanti di medio-alta capacità ma non di elevata capacità: dei Manera mignon, cioè con la mentalità di Ugo, ma con due terzi o addirittura metà delle sue capacità (sfrutto la confidenza, che deriva da decenni di conoscenza, per dare dei riferimenti che vengono capiti molti lettori). L’obiettivo è coinvolgere sempre dei “dilettanti” soci CAI. 2) All’opposto c’è l’obiettivo di coinvolgere i forti e fortissimi fra i giovani che, salvo rare eccezioni, sono attirati da scelte professionistiche. Qui non c’è santo: bisogna mettere a disposizione delle opportunità economiche. Magari non dirette, ma indirette. Esempio: il CAAI si impegna ad organizzare delle spedizioni (Himalaya, Patagonia) oppure salite impegnative nelle Alpi, il tutto a ritmo annuale o addirittura più occasioni ogni anno. Chi partecipa, socio CAAI, non paga nulla e anzi ci cava qualcosa. Il successivo quesito è: come fa il CAAI a reperire così tanti fondi? Due risposte: batter cassa per finanziamenti pubblici (la vedo dura…) oppure instaurare collaborazioni con aziende produttrici. Il CAAI testa sul terreno i prodotti (nuovi scarponi, nuove piccozze), li fa modificare per ottimizzarli e in cambio riceve fondi per la su esposta attività. Si potrebbe inventare un “bollino CAAI” da applicare ai prodotti testati, in modo tale che, immessi sul mercato, vanterebbero una specie di garanzia “testato dall’esperto”. Altre cose ancora si potrebbero inventare in aggiunta, chissà… ma questi sono i due macro filoni in cui muoversi. Ciao!

  19. Scritto interessantissimo, quesito scabroso. Cerco di dare una risposta obliqua, che coinvolge in primis il Cai nazionale. Io sono molto affezionato al Cai, per impostazione famigliare. Per me “andare in montagna (cioè alpinismo)” e “far parete del Cai” sono due facce della stessa medaglia. Far parte del Cai significa non solo essere iscritto, ma contribuire, come istruttore/direttore di corsi/scuole, consigliere, ispettore dei rifugi, oratore in tavole rotonde/conferenze ecc. Quando ero ragazzino i concetti “Cai” e “praticare alpinismo” coincidevano perfettamente. Nei decenni si sono allontanati e, oggi , il Cai non è più il Club degli alpinisti, ma l’associazione degli appassionati di discipline sportive che si praticano in montagna: MTB, corsa, torrentisti, falesisti ecc. Nulla da eccepire sulle attività, semplicemente hanno spostato il baricentro del Cai.  Si sa che il Cai intero vanta circa 350.000 soci . Non ho statistiche oggettive, ma a sensazione una bella fetta (io dico 200-250.000) non possiede “corda-imbrago-piccozza-ramponi”. In parole povere: non sono alpinisti, ma frequentatori della montagna. La pancia del Cai è ormai andata in quella direzione e si sposterà sempre di più verso quegli iscritti. Al contempo gli alpinisti di punta, alla Manera per intenderci, sono sempre meno. Nel senso che i giovani forti fanno scelte (verso il professionismo) che, per vari motivi, li allontanano dal Cai, figuriamoci dal CAAI. Nel CAAI sono rimasti i Manera ecc, verso i quali va la più deferente ammirazione, ma che rappresentano, numericamente,  un microscopico sottoinsieme. Mi pare che gli Accademici iscritti oggi (somma dei tre Gruppi) siano circa 300. Un’inezia per far sì che il CAAI sia il “driver” dell’alpinismo italiano. Purtroppo, aggiungo io: si sa che non amo la deriva del mondo alpinistico. A numeri così infinitesimali, aggiungiamo il fatto che spesso gli Accademici iscritti non sono più nel loro spolvero alpinistico (per questioni di età): è ovvio che si tratta di una nicchia dove sono rimasti i “pensieri del passato”. Lo dico con grande ammirazione, perché dal mio piccolo condivido in pieno quei “pensieri”. Ma ormai il Cai (dove dovrebbe inserirsi anche il CAAI) si è spostato verso altri lidi. La discrepanza fra i pensieri della pancia del Cai e i pensieri dei residui Accademici li fa risultare “conservatori” secondo i parametri di oggi.

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