Cacaboudin

Metadiario – 129 – Cacaboudin (AG 1985-002)

A fine aprile 1985 partiamo per quella che era la mia quinta visita in Verdon, un’altra settimana che, stando alle esperienze precedenti, avrebbe dovuto nelle mie previsioni essere fantastica ancora una volta. E invece non fu proprio così, e non per colpa né del tempo, né dei compagni o di incidenti.

Ne ho infatti un ricordo assai scialbo, forse perché cominciavo a sentire dentro di me, al riguardo dell’arrampicata e del mio tempo libero, esigenze diverse da quelle ben più goliardiche degli anni precedenti.

In arrampicata su Cacaboudin. Foto: da camptocamp.org
In arrampicata su Cacaboudin. Foto: da camptocamp.org

Un conto è sentire dell’entusiasmo dentro di noi quando ci impegniamo in qualcosa, altra cosa è quando si ha il fuoco nell’anima, come dice Andrea Di Bari.

Mai come in quel periodo mi apparve chiaro che un posto bellissimo da solo non riesce a catturarti in modo tale da essere indimenticabile. Di solito lo è solo se ci hai messo del tuo. Un panorama, un’arrampicata, un viaggio nella loro bellezza oggettiva, da soli non mi soddisfacevano più: forse proprio perché stavano cominciando ad essere più importanti per me, forse il mio ego fortissimo era un po’ stanco e in fondo voleva cedere le briglie a ciò che in realtà abbiamo di più interiore e che fino a quel momento appariva all’esterno mascherato da panorama o performance più o meno coinvolgenti.

Alessandro Gogna, Finale 1995

Se mi limito ad osservare il comportamento visibile, le mie azioni, oggi vedo una notevole perplessità di fronte al dilemma se approfondire il discorso dell’arrampicata sportiva oppure rimanere fedele alla mia abituale ricerca dell’avventura. La prima, con la chiarezza dei suoi risultati, mi tentava assai. E’ senza dubbio coinvolgente raggiungere uno scopo, salire in libera una via seguendo precise regole “etiche” (ma è meglio dire “sportive”); la delusione di non farcela può essere di breve durata, superata dal momento in cui il successo ci arride. Ma c’erano due pensieri che mi frenavano. Anzitutto avevo quasi quarant’anni e di certo le mie aspirazioni sui risultati tecnici non potevano essere così brillanti, a meno di non dedicarsi pesantemente a sedute per me noiosissime di allenamento, oppure a tentativi ad nauseam di salire un 7b, o un 7c, o magari un 8a fino a imparare i movimenti così a memoria da riuscirci… In secondo luogo la gioia di raggiungere obiettivi di quel genere, pur piacevole e ben riconoscibile, sentivo non mi sarebbe mai bastata. Chi ha provato droghe pesanti è difficile si possa accontentare… E l’alpinismo è una droga, a tutti i livelli, non solo quelli estremi. Esprimo qui il concetto di droga “necessaria”… Tanti anni di avventura per arrivare a capire che mi sentivo uno scrigno pieno, un forziere qualche volta, impossibile da aprire a dispetto della sottile fessura da cui fluiva l’energia. Auspicabile sarebbe stata una collaborazione tra la forza interna che spingeva (e lo spiraglio ne dava i segni) e la volontà esterna che cercava di chiudere, per paura di essere travolta, invece di accettare di perdere potere e soddisfare la curiosità di provare l’inconoscibile. In quel modo, escluso il matrimonio perché evidentemente qualcosa continuava a “ostare”, rimanevano solo due pericoli, l’esplosione per eccessiva compressione oppure il triste e arido primato di un io che si è ridotto sempre più solo.

Patrick Edlinger assicurato da Gabriele Beuchod sulla prima lunghezza di Dure en Dalle. 30 maggio 1982.

Il 30 aprile ci calammo al Jardin des Écureuils e risalimmo le sei lunghezze di Toujours plus près, una via magnifica con due tiri entusiasmanti (quello di 6b+ e quello di 6c), aperta nel 1981 da Bernard Gorgeon e Patrick Bestagno. Non paghi, Giovanni Rosti, Mirko Giorgi ed io continuammo calandoci sul monotiro di Passion d’Amour e sull’ultima lunghezza di Coeur de Verre.

Una cordata su Ctuluh, 26 maggio 1983

Il giorno fu la volta di Nécropolis, con Mirko. La via era stata aperta il 30 ottobre 1982 da Marc Guiot e François Raduit, tre lunghezze di cui l’ultimo veramente duro; nella stessa giornata scesi con Ivano Zanetti per rifare Dure en Dalle, che avevo già salito due anni prima. Volevo che l’amico Ivano conoscesse anche questo gioiellino.

Finale 1985. Ho usato quest’immagine per stampare una cartolina con il mio ritratto che si è rivelata in seguito di nessun aiuto promozionale alle nostre pubblicazioni. Vedi sotto il retro della cartolina stessa che riportava una recensione del libro Rock Story.

Il 2 maggio fu la giornata di un mio vecchio sogno. Ne aveva già sentito parlare nel 1980, quando incontrammo Wolfang Güllich appena uscito da Cacaboudin: sarà stato l’accento tedesco, ma il modo con il quale aveva pronunciato quella parola mi fece subito pensare a difficoltà e ambiente davvero speciali. Insomma Cacaboudin (o Les Grandes Navires , seconda parte del doppio nome della via, dato dai primi salitori Jacques Pschitt Perrier e Stéphane Troussier, nel 1979) mi aveva catturato, sia dai racconti che dalle immagini. Sono sei lunghezze davvero esposte, in genere di 6b e 6c con due lunghi esemplari di 7a. Davide Marnetto ed io ce la cavammo abbastanza egregiamente, anche la progressione fu rallentata dal fatto che avevamo solo tre scarpette e non quattro… Una delle mie mi era caduta a un certo punto, perciò il capocordata di turno, fatto il tiro, calava una scarpetta all’altro… tra una bestemmia e l’altra.

L’impegno di quella giornata un po’ sofferta non impedì che il giorno dopo, con Giovanni Rosti, ci calassimo su Massacre à la Tronçonneuse, due lunghezze aperte il 7 maggio 1982 da Robert Balestra, Denis Chevalier e Marc Guiot. Non certo contenti ci calammo anche su Ctuluh, via che avevamo già fatto assieme, per vedere di rifarla un po’ più in libera che due anni prima.

Forse il giorno dopo pioveva, chi si ricorda. Fatto sta che riprendemmo solo il 5 maggio, ultima giornata prevista, per salire Ivano ed io la prima lunghezza di Missing e poi la seconda e la terza di Danceline.

La copertina dell’edizione italiana de Il granito del Monte Bianco, maggio 1985
Tipica pagina interna de Il granito del Monte Bianco

Nel mese di maggio 1985 fu finalmente stampata la guida Il granito del Monte Bianco, in tre edizioni (italiana, francese e inglese). La collaborazione con il famoso Michel Piola fu davvero proficua, perché quella guida fu il risultato di due esperienze assai diverse. Eravamo entrambi pignoli e precisini, ma il suo intento più evidente era quello di spianare la strada ai ripetitori con relazioni disegnate (splendidi schizzi) che fossero di chiarezza immediata. Sotto sotto a me questo dare la pappa fatta non mi piaceva tanto, ma che avesse ragione lui fu ben evidente dopo il successo di questa pubblicazione. Era finito il tempo della relazioni scritte e chilometriche, piene di aggettivi. Finiti i tempi anche dei disegnini a corredo della relazione. Era il momento di disegni del tutto autosufficienti a descrivere con immediatezza anche pareti assai alte e complesse. Con il Il granito del Monte Bianco si andò oltre perfino le altre edizioni più avanzate (sempre nostre) come 93 arrampicate scelte in Dolomiti o Arrampicate scelte nel Lecchese. Si esplorò cioè un nuovo linguaggio, che in seguito avrebbe preso piede in tutte le migliori pubblicazioni.

Quarta di copertina de Il granito del Monte Bianco, tanto per aiutarsi con i denari della pubblicità, 1985
Seconda di copertina de Il granito del Monte Bianco, 1985

Do qui di seguito la tabella della mia attività arrampicatoria dopo il Verdon, fino al 16 giugno 1985.

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Cacaboudin ultima modifica: 2023-04-15T05:07:00+02:00 da GognaBlog

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18 pensieri su “Cacaboudin”

  1. Così come i medici cercano il male per curarlo, io, senza meriti, son riuscito a farLe scrivere senza volgarità e offese il Suo dissenso nei miei confronti. 

  2. Egr. Carlo, da quando sei apparso qui sul Gognablog, mi chiedo se ci fai o ci sei.
    E non mi sembra di essere l’unico. 
    Non si tratta di offendere, come mi hai detto più di una volta in risposta ai miei commenti nei tuoi confronti, ma di restarne semmai stupiti.
    Quindi, se ti diverti tanto a commentare per suscitare agitazione in chi ti da retta, continua pure, ma se ti becchi delle botte di scemo (o peggio), rileggiti e riconosci che te la cerchi come il male per i dottori. Buonanotte. 

  3. Primo, se lei si è sentito offeso dalla parola turista/merenderos/cannibale…(a parte la prima son termini che ho imparato frequentando questo blog,) mi sa che si autostima un po’ troppo. Secondo, morrò senza dubbio prima di lei, lascerò le mie guide cartacee datate, lei le sue su carta patinata. Le mie con foto in bianco nero, le sue con colori e uso di filtri fotografici, le mie con i disegni di Alfonsi, le sue con quelli del cad. Le mie con una bibliografia di alcune pagine, le sue autoreferenziate dall’autore

  4. @Carlo. In primis, non vedo a quale “norma” si sarebbe adeguato. E comunque, se ritiene che su questo blog la norma sia quella di usare toni offensivi (e certamente c’è qualcuno che incoraggia a pensarlo) questo non mi pare un buon motivo per adeguarsi. In secundis, se continueranno ad essere pubblicate guide di alpinismo e arrampicata (perché è di questo che stiamo parlando) in linea con gli esemplari migliori apparsi recentemente, certamente noteremo tra quaranta anni, grazie alle loro descrizioni, i mutamenti del paesaggio – e tanto altro ancora: la storia dei luoghi, i mutamenti nelle modalità della loro frequentazione, le memorie dei protagonisti… Ah no, purtroppo non “noteremo”. Noteranno gli altri. Auguro a tutti lunga vita, ma tra quarant’anni io sarò senz’altro ad arrampicare altrove, a meno di entrare nel libro dei Guinness…

  5. Come crede. Ho usato toni offensivi ( mi sono adeguato alla norma) . Vedremo se tra 40 anni potremo notare i cambiamenti del paesaggio grazie alle dettagliate descrizioni delle agenzie di turismo attualmente pubblicate 

  6. Caro sig. Carlo,
    per cinquant’anni o giù di lì ho girato per monti e falesie utilizzando e apprezzando le qualità di (alcune) vecchie pubblicazioni. E oggi, dato che ancora mi ostino a girare per monti e falesie, sono molto attirato dalla qualità di (alcune) attuali pubblicazioni. Quelle che lei ha definito “fatte appunto di foto, tempi, ospitalità degne di agenzie di turismo in grado di attirare solo turisti/merenderos/cannibali”. Quindi, i casi sono due. O ammette di avere scritto una scemenza, o ammette di avere usato “toni offensivi” nei confronti miei (e di altre migliaia di apprezzatori delle “attuali pubblicazioni”), avendoci definiti merenderi/cannibali. Che comunque, almeno per quanto mi riguarda, è una solenne scemenza. Capita a tutti di esprimere giudizi sballati. Meglio non offendersi se qualcuno ce lo fa notare.

  7. Nelle moderne pubblicazioni mancano descrizioni geologiche che fan capire quando e come si sia firmato ciò che vediamo, mancano informazioni storico culturali fi come l’uomo addio modificato ciò che vediamo, le informazioni su flora e fauna si limitano a foto e nomi, la descrizione dei percorsi si rifanno alla sentieristica usando espressioni tipo “segui il sentiero” “gira a destra”.
    Volendo aggiornare la bibliografia mi permetto di consigliare gli agili volumetti di Michieli dove viene descritto come si possa camminare da soli se si è imparato cosa guardare capendo ciò che ci circonda.

  8. Non crede che potrei sostenere anche io la ipotesi che Lei ha nei miei confronti?(ovvero che siano le sue scemenz*),virgola
     

  9. Sig. Carlo, la frase che ho quotato è una scemenza. Punto. E anche la prosecuzione odierna (allinearsi, a cosa? Ma per favore tieni nella realtà) non è da meno.

  10. Ok, educato sign. Regattini, a patto Lei mi legga Lavorai di Ottone Brentari, canal del brenta di Armando Scandellari, così Lei possa fare un raffronto tra chi segue zoppicando chi segna la strada.
    Se, poi, riesce a contestare chi non è allineato senza usare toni offensivi , credo ne guadagnerebbe il dibattito e il blog…..credo

  11. 6. Carlo:
    “Capacità del tutto persa nelle attuali pubblicazioni, fatte appunto di foto, tempi, ospitalità degne di agenzie di turismo in grado di attirare solo turisti/merenderos/cannibali”
    A generalizzare non ti batte nessuno eh! Immagino che tu abbia già letto, così colgo l’occasione per pubblicizzare queste preziose nuove guide della mia Regione, Caserine Cornaget di Madinelli, Black Tracks Trois Neris di Armellini, oltre alla ormai datata collana di SentieriNatura di Pecile e Tubaro. Così magari impari qualcosa sulle attuali pubblicazioni, prima di scrivere scemenze.
     

  12. Pour moi, le topo est indispensable, car il te présente l’ensemble des voies
    du lieu et te fait rêver.

  13. Crovella, ho usato e ancora uso, le guide tamari (quella con la stella alpina). Non danno indicazioni precise su tempi, dislivelli, pendenze, punti di appoggio….ma a distanza di 40 anni dalla pubblicazione ritrovi ancora i sentieri seppur dismessi. Grazie alla descrizione e dalla lettura di ciò che ti sta attorno, ti permettono di capire il perché del paesaggio che stai percorrendo. Capacità del tutto persa nelle attuali pubblicazioni, fatte appunto di foto, tempi, ospitalità degne di agenzie di turismo in grado di attirare solo turisti/merenderos/cannibali

  14. Ho buttato tutte le foto e diapositive.
    Ho buttato la giacca a vento blu di cotone Francital e anche il pile azzurro/grigio con la zip ( molto elegante). 
    Ho usato i pantaloni bianchi della Think Pink per pulire la catena della bici. 
    Ho buttato Asolo rosse/nere, San Marco gialle, Boreal assi, ballerine verdi, Tao rosse e varie altre. 
    Ho buttato corde diventate felpe. 
    Ho regalato gli sci con Iser e CM, scarponi San Marco, Dinafit, Raikcle. 
    Ho regalato Grivel con becche a banana, imbrago doppio e Troll basso. 
    Ma ho tenuto la salopette grigia Francital, mia mamma aveva anche cambiato gli spallacci elastici. 
     

  15. La guida di Piola’ fu molto utile per destreggiarsi in una infinita’ di vie che già’ allora erano spuntate fuori come funghi. Ovviamente fu concepita come libretto tascabile da portarsi in parete. Ebbe un grande successo e certamente molti meriti. Personalmente ho sempre deciso di “integrarla” con tutto quello che si poteva leggere sulla via prescelta, racconti, foto, tutto. Perché la sinteticità di quella guida spesso fece trovare “lungo” su tiri e vie apparentemente alla portata ma poi rivelatesi ben diverse. Sintetizzare tutto a difficoltà’ max e numero di tiri, in montagna ha sempre giocato qualche brutto scherzo 

  16. Certo che la saloppette Francital (foto Finale su cartolina, si vedono le spalline) non è tanto da grimpeur new deal. La usavo perfino io… il che è tutto dire, in termini di caianaggine!
     
    Passando a temi seri, nulla da eccepire sugli schizzi di Piola (le “topo” come le chiamano i francesi): perfette graficamente e come messaggio comunicativo. Un linguaggio nuovo, ma  è anche la fine delle relazioni “romantiche”, fenomeno duro da accettare per i vecchio-impostati. Non so quanto sia un bene, in generale. I lettori perdono l’abitudine a comprendere il testo: ormai si comunica  solo più per ideogrammi, per simboli. Di recente mi sono sentito dire (riferito ad una monografia scialpinistica): “Perché perdere così tanto tempo, “tuo” per scrivere e “nostro” per leggere, le relazioni? Basta mettere una foto e tracciarci sopra in rosso gli itinerari!”. Peccato che, perdendo l’abitudine, nessuno sappia più “leggere”, non solo i testi, ma anche le cartine e perfino il terreno. 

  17. Bellissimo articolo!
     
    È vero che un luogo, per essere compreso e assorbito, ha bisogno di un’esperienza aggiunta.
    Dico sempre ai miei ospiti che, prima ancora di essere fotografato, un luogo merita d’essere almeno osservato e respirato.
     
    Molto bella e vera la recensione del libro.

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