Cent’anni di parchi

Cent’anni di parchi
di Eugenio Goria (con il contributo di Davide Agazzi)
(pubblicato su parksofitaly.com il 14 gennaio 2022)
Parks of Italy è un magazine online indipendente, che si pone l’obiettivo di trovare e raccontare storie dai parchi naturali italiani. Grazie alla raccolta di interviste e approfondimenti, vuole offrire una maggiore e diversa informazione per aiutare a conoscere una delle più grandi risorse del territorio italiano. 

Finiti i tormentoni del “cosa fai a capodanno”, ci sono due tipi di persone: quelle che non vedono l’ora di tornare alla propria routine, e quelle che già contano i giorni che mancano alla prossima ricorrenza. E sicuramente è successo così a due “personaggi” un po’ particolari, come il Parco nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco nazionale del Gran Paradiso.

Entrambi i parchi hanno da poco concluso le celebrazioni che si tengono ogni anno per l’anniversario della loro nascita, ma le attenzioni di chi lavora in questo settore, così come di molti appassionati, sono rivolte già da tempo a che cosa succederà in questo 2022, che coincide con il centenario della fondazione dei due parchi.

La novità di quest’anno è che le celebrazioni del centenario saranno un’iniziativa congiunta promossa da entrambi i parchi, che per l’occasione hanno anche elaborato un logo condiviso, in cui compaiono l’orso e lo stambecco, simboli ben noti di queste due realtà, che insieme guardano al futuro.

La tripla cifra, però, non è importante solo per la memoria storica, e rappresenta piuttosto un’occasione per riflettere sul ruolo e sugli obiettivi del sistema dei parchi naturali italiani. Vediamo infatti che in un secolo il raggio di azione delle aree parco si è ampliato notevolmente. È cambiato l’impatto del parco sulle comunità presenti al suo interno e si è modificata la percezione del suo operato da parte dei non addetti ai lavori.

Tutti questi mutamenti si rispecchiano nell’accordo stipulato pochi mesi fa tra i due parchi: oltre alla gestione condivisa delle celebrazioni per il centenario, affiorano molti temi di grande attualità, intorno ai quali i due enti hanno manifestato la volontà di sviluppare azioni congiunte. Si parla ad esempio dell’importanza della comunicazione rivolta ai non addetti ai lavori, di promozione del turismo sostenibile e di sviluppo socio-economico delle comunità.

Il centenario rappresenta quindi un grande traguardo, che però merita di essere analizzato più nel dettaglio, andando a ritroso nel tempo per poter capire quali obiettivi sono stati raggiunti e quali no nel corso degli anni. Per farlo ci siamo serviti del libro Il Parco nazionale del Gran Paradiso, redatto dal presidente Gianni Oberto, che nel 1972 celebrava i primi 50 anni di vita del parco alpino. Viene quindi naturale chiedersi: quali erano le prospettive dell’epoca? Quali le maggiori sfide? Che cosa è cambiato in tutto questo tempo?

La copertina de Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, AEDA, 1972

Fin dall’introduzione, Oberto cerca subito di mettere bene in chiaro le intenzioni (e i bisogni) di quei tempi: “Informare l’opinione pubblica, sì che essa non gridi sprovveduta allo scandalo se si spenderanno, Dio voglia presto, qualche centinaia di milioni in più per il Parco, al fine di tenerlo efficientemente vivo, sacrario alla natura, laboratorio prezioso, motivo di riflessione, luogo sereno di pace, centro di un civile turismo”.

Come si nota fin da subito, le risorse economiche erano (e sono tutt’ora) un punto cruciale per la sopravvivenza del parco, ma non solo. All’epoca più di oggi si poneva la questione della conservazione del patrimonio naturalistico in relazione alla presenza dell’uomo; erano gli anni dove si gettavano le basi del Progetto 80, “il tentativo più ambizioso di immaginare uno scenario di sviluppo territoriale per l’intero paese, in cui sistemi metropolitani e ambientali rappresentano gli assi portanti della riflessione (Cristina Renzoni, Il Progetto ’80, 2012)”.

Oggi invece, in totale dissonanza con le ambizioni del tempo, si parla degli 80 milioni tagliati ai parchi nazionali e alle aree marine protette in favore del fondo destinato al contenimento degli aumenti delle bollette energetiche. Un risultato non certamente collegato alle politiche economiche degli anni 70, ma che può essere utile per capire quali siano ancora oggi le difficoltà di queste realtà.

Anche la conservazione della natura era una tematica sentita già nel lontano 1972. L’idea della salvaguardia degli ecosistemi era vista come l’azione conseguente e necessaria agli squilibri che l’uomo stava apportando nelle strutture biologiche delle acque, della terra e dell’aria in maniera permanente.

Valerio Giacomini, professore di botanica all’Università di Roma, scriveva: “Quasi tutti i giornali denunciano gli abusi, i pericoli di uno sperpero di risorse naturali che si sta attuando tuttavia con un ritmo che parrebbe inarrestabile sotto la spinta di interessi privati, personali, settoriali, che ignorano, anzi calpestano gli interessi di tutto il Paese (…)”.

In questo contesto (con la spinta di augurarsi un futuro migliore) i parchi nazionali dovevano quindi svolgere una funzione non solo nominale, ma rispondere concretamente ai bisogni del territorio. Per farlo, Giacomini sottolineava come la creazione di un parco non doveva essere spinta da interessi puramente economici (e/o su espressa richiesta di enti territoriali), ma “ogni Regione (e qui alludo in particolare a regioni naturali) deve creare dei parchi nazionali in armonia con concrete esigenze locali fisiche, biologiche, umane”.

Negli ultimi anni si è spesso dibattuto circa la nomina di determinate aree a Parco Nazionale: dalle isole siciliane (Egadi ed Eolie) alla Costa Teatina in Abruzzo, passando per Portofino in Liguria al parco del Matese, tra Molise e Campania. La mancanza però di una governance unitaria e le incomprensioni politiche hanno sempre ostacolato la nascita di queste realtà.

Una problematica che cinquant’anni fa veniva già analizzata da Giacomini, il quale provava a dettare alcune linee guida, nella divisione tra interessi economici e scientifici-naturalistici: “Un parco nazionale non è solo il luogo di conservazione scientifica naturalistica, ma soprattutto e più estesamente, e in modo più impegnativo, luogo di una conservazione scientifica di equilibri completi, di coesistenza armonizzata di tutte le componenti vive del territorio in un efficiente ambiente fisico”.

Una pagina de Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, AEDA, 1972

Per trovare un equilibrio tra questi interessi si parlava di collaborazione tra enti nazionali ed europei, cercando soluzioni nel lungo periodo che potessero essere soddisfacenti per tutte le parti coinvolte. Da questo punto di vista, nonostante siano stati fatti molti passi in avanti (addirittura 20 dei 25 parchi nazionali sono stati fondati dagli anni 80 in poi), la collaborazione tra enti nazionali e regionali dovrebbe sicuramente trovare una nuova direzione.

Non a caso un intero capitolo di questo singolare volume del 1972 è dedicato ai problemi giuridici, all’organizzazione amministrativa e alle competenze dell’ente parco. In particolare, veniva evidenziato come la situazione giuridica fosse “poco chiara e insoddisfacente”, evidenziando alcune lacune in materia di sovvenzioni, difficoltà dell’Ente nell’affrontare gli abusi edilizi e la mancanza di strumenti per attenuare con indennizzi il danno subito di alcuni cittadini. Problematiche che sono state affrontate nel corso del tempo, ma che ancora oggi non trovano sempre risposte certe.In conclusione, seppur possa sembrare oltraggioso mettere a confronto un volume dell’altro secolo con la celebrazione del centenario dei più antichi parchi nazionali italiani, si vuole in realtà evidenziare l’importante lavoro svolto fino ad oggi, ma senza pensare che questo compleanno possa accantonare alcune problematiche storiche.

Nel 1972 come nel 2022 è forte l’idea che i parchi nazionali possano e debbano essere un patrimonio da salvaguardare e da sfruttare, nell’accezione meno invasiva del termine; con 50 candeline in più sulla torta e in un mondo dove la natura reclama sempre più spazio, confidiamo che questo avvenimento possa rappresentare un nuovo punto di partenza per conservare il patrimonio di tutti e tutte.

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Cent’anni di parchi ultima modifica: 2022-05-20T05:50:00+02:00 da GognaBlog

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10 pensieri su “Cent’anni di parchi”

  1. Quando entri in Parco Nazionale del Nord America sei colto dallo stupore, dalla meraviglia, dalla eccezionalità del paesaggio.  L’esatto contrario di quelli italiani che solitamente sono nati con la funzione di salvaguradare specie animali o tutt’al più, di riqualificare un’area naturale in stato d’abbandono. Così è nato il Parco del Gran Paradiso e non, il vicino Monte Bianco che come maestosita potenza e bellezza non ha confronti…Così il Parco delle Orobie e non quello delle Retiche, così  lo Stelvio che dopo la prima guerra mondiale era una montagna in rovina…Insomma escluse eccezioni (Gran Sasso, Val di Mello e le recenti Dolomiti ) se fossi un turista straniero eviterei con cura di visitare i Parchi Italiani…

  2. Al sig. Telleschi: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”. Con molte eccezioni: pensi alle vaste zone di demanio militare. O a tutte le aree non private date in concessione a privati: le spiagge, le aree sciabili, ecc.
    Al sig. Merlo: wow!

  3. 2|2
     
    Così, abbiamo a che fare con un ambientalismo di superficie, che nulla può rispetto ai guasti creati dal produttivismo, dalla corsa al denaro, dall’abdicazione dei valori tradizionali. Ambientalismo surrogato dunque, adatto a riciclare il capitalismo in forma sostenibile, di fandonia come l’economia circolare, e l’impatto zero. Tutte bugie buone per la mente infantile che non si avvede che il sistema che ha creato il problema non può essere anche quello che lo risolve, senza sciogliere se stesso.
     
    I principi dell’ecologia profonda potrebbero tuttavia accettare tanta fuffa, se pari impegno fosse destinato alla diffusione della presa di coscienza dell’antropocentrismo, latore di tutti i danni ambientali, sociali, individuali. Non serve proteggere se non si è distrutto. Né separare.
    Non servono le piste ciclabili se oltre ad insegnare il significato dei cartelli triangolari, tondi e quadri, facesse parte del programma per la patente il concetto che la strada non è del mezzo più potente, che la velocità va gestita in funzione della situazione non solo del limite imposto da un segnale.
     
    Non serve il decalogo di comportamento sulle piste da sci. È buono solo per chi è in grado di crearlo. A tutti gli altri manca la consapevolezza per vederne l’ovvietà. Dunque nelle scuole di sci serve esperire oltre al peso a monte e a valle, anche il necessario per divenire tutti i creatori del medesimo decalogo.
     

  4. 1|2
     
    Dire e leggere, parco nazionale dà noia. Danno noia i suoi visitatori, virtuosi e vanitosi celebratori di uno spazio che non dovrebbe essere delimitato, separato, eletto. Parco nazionale è degradare ciò che parco non è. È esentarsi dal rispetto della terra in quanto tale e non in quanto bella e utile agli uomini. È anche una discesa verso il basso, di clientelismo, burocrazia. È strumentalizzarlo a politiche di falso ambientalismo. È l’autorizzazione a sottomettersi ai suoi amministratori e tecnici. È ridurre a oggetto di consumo e pruriginoso interesse quanto dovrebbe restare invece corpo integrante con noi, con la cultura. Ma è il contrario. Eleggere una terra a parco nazionale, area protetta, e così via, impone ed esprime una cultura antropocentrica. Il contrario appunto di quanto servirebbe per riconoscere la terra come organismo, per sottrarsi all’idea parcellizzatrice e catalogante, così arrogante nel suo implicito intento di conoscenza.
     
    Nuotiamo in un mare culturale superficiale, formale, al cui centro ci simo noi uomini, c’è tutto quanto diciamo e c’è l’idea che proprio in quello ci sia la verità. Che guaio! Non lo sarebbe se avessimo mantenuto e alimentato anche la conoscenza olistica. Un territorio dove tutto è in relazione e non là di fronte a noi come un tinello nel quale entrare e dal quale usciere a volontà.
     

  5. Dal primo gennaio 1948 la repubblica tutela il paesaggio  e dall’8 febbraio 2022 tutela anche l’ambiente (articolo 9 della costituzione). E forse non c’è articolo meno rispettato. Ma la repubblica non tutela ancora il monopolio commerciale delle clientele locali. Del resto rimane sempre in vigore l’articolo 16: Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale.

  6. A tavolino io condivido il principio della riserva integrale. Temo però che l’opinione pubblica italiana non sia affatto “pronta” a rispettarle questo concetto. Ne abbiamo alcuni esempi nei commenti sottostanti. Chi parte dal presupposto (a mio parere sbagliato) che la montagna sia il massimo della libertà incondizionata, specie a livello individuale, vede i “divieti” solo come impedimenti alla più sfrenata libertà individuale. Pertanto le riserve integrali, oggi come oggi, funzionano solo se le condizioni naturali garantiscono la difficoltà o addirittura l’impossibilità di approccio umano: l’isola di Montecristo lo dimostra, o al massimo la Val Grande, che è impervia e di complessivo scarso appeal arrampicatorio-alpinistico (se ci fossero falesie da 9a, state tranquilli che gli “antistalinisti” ci andrebbero tutti i giorni, in barba ai divieti, anzi proprio per la goduria di violarli).
     
    Per il resto l’opinione pubblica italiana vive ancora nell’illusione che il “massimo” della vita consista nell’incomprimibilità della libertà individuale, per cui ogni divieto scatena una reazione viscerale. Non c’è ancora sufficiente maturità, in nessun campo dell’esistenza, meno che mai in quello ambientalista. Che fate, cingete la vetta del Monveso con il filo spinato a 220 volt? Troveranno un modo per bypassarlo, magari col deltaplano che li deposita proprio sul cucuzzolo… e vi faranno marameo solo per principio.
     
    La via da percorrere è un’altra ed è quella che infastidisce gli “antistalinisti”, proprio perché è l’uovo di Colombo. La scommessa va giocata sulle giovani generazioni che devono esser educate nella mentalità. I ragazzi, progressivamente avvicinati al mondo naturale grazie agli esperti, cresceranno con una forma mentis completamente diversa da quella oggi ancora molto diffusa fra gli adulti. Le giovani generazioni, quando (fra 20 o 30 o 40 anni) saranno adulti, esprimeranno maggior consapevolezza e sapranno autoregolarsi da soli. Allora sì che potremo prevedere delle riserve integrali anche senza cingerle col filo spinato e le vedremo davvero “rispettate” in modo indiscusso.
     
    Da qui ad allora, bisogna lavoraci su. E’ una sfida ardua, ma ne vale la pena. Ci giochiamo il futuro del pianeta e quindi della stessa vita umana.

  7. Bell’articolo, complimenti. Concordo anche con Crovella tranne che per la riflessione sulle riserve integrali. Tema che il sig. Crovella dovrebbe aqpprofondire

  8. Non c’è nulla di sinistro è normale per stalinisti comunisti e Totò avrebbe detto affini..il Crovella pensiero e il gogna blog nei sui 3/4 galoppa in quel verso.Censura madama

  9. C’e’ qualcosa di sinistro  nella pretesa  di educare gli altri ad ogni costo ed in ogni ambito  , una mania che  appartiene a quasi tutte le  menti ottuse ed a tutte quelle totalitarie. Mai una volta che un educatore si offra di autoeducarsi alla liberta’.    

  10. Dopo 100 anni, l’esigenza originaria dei Parchi è stata soddisfatta. Si dovevano preservare alcune specie  e, per estensione, l’intera Natura, fauna e flora, nonché l’ambiente nel suo complesso – es: NO mega comprensori sciistici o analoghe forme di sfruttamento turistico e antropico.  Per fortuna nessuno metterà più in discussione la sopravvivenza degli stambecchi o degli orsi. Ora i Parchi, nel loro insieme, sono chiamati ad una svolta epocale. Siamo di fronte ad un bivio: o ne facciamo riserve integrali, dove la Natura si esprime in modo del tutto autonomo dai condizionamenti umani (vietando quindi q1ualsiasi intromissione umana), o li utilizziamo come laboratori per l’educazione ambientale dei cittadini, in particolare di quelli delle nuove generazioni ( i ragazzi di oggi che saranno i cittadini di domani). Ho già espresso la mia posizione (anche pubblicamente) da tempo: non credo nella validità delle aree integrali, perché non fa parte della nostra cultura, non sarebbe accettata in modo maturo, anzi per qualcuno costituirebbe uno stimolo a violare le regole. Viceversa un turismo eco-istruttivo, con attività gestite dai Parchi (attraverso il coinvolgimento di professionisti del luogo – GA o guide naturalistiche) costituirebbe un potenziale trait d’union fra l’esigenza dei valligiani (di avere entrate dal turismo) e l’obiettivo didattico di far maturare la coscienza civica dei cittadini, specie quelli “di domani”. Ci sono già esempi di tale filosofia, non scopro che l’acqua calda: quello che auspico è l’estensione del fenomeno, addirittura arrivando all’esclusività dento ai confini dei diversi Parchi. Problema di non facile gestione, considerata la suscettibilità degli alpinisti in termini di libertà individuale di movimento… Forse la vera crescita civica starà proprio in questo principio: capire e assimilare che in certe aree (almeno in certi peridi dell’anno) non si andrà “liberamente”, ma solo con attività controllate e gestite da personale preparato.

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