Quelli che il Cerro Torre

Le volte che mia moglie ha voluto seguirmi nelle mie permanenze patagoniche senza tempo, oltre divertirsi e a sorbirsi qualche massacrante avvicinamento flagellato dal maltempo, si è dedicata a certe storie locali coltivando anche da laggiù il suo lavoro di giornalista. Questo articolo, scritto per un pubblico sicuramente non specializzato, focalizza un’epoca non troppo lontana che però è già decrepita, viste le prestazioni espresse solo pochi anni dopo da quelli che a buona ragione possono definirsi come i più forti, visionari avanguardisti e spregiudicati alpinisti del mondo (Marcello Cominetti, marzo 2022).

Quelli che il Cerro Torre
di Marta Trucco
(pubblicato su GQ, ottobre 2018)

All’improvviso tutta l’adrenalina e l’energia che mi avevano condotto fin qui si dissiparono, e io mi sentii nudo e fragile, come fossi diventato in un istante mio nonno, e mio padre, e mia madre. E tutta la paura che loro avevano provato per me, per la mia vita, mi si rovesciò addosso”.

Massiccio del Chaltén

Ecco cosa racconta di aver provato l’alpinista italo-argentino Rolando Garibotti sulla cima del Cerro Torre nel gennaio del 2008, dopo aver portato a termine, insieme all’americano Colin Haley, un’impresa epica: la traversata, passando per le cime, delle montagne che vanno sotto il nome Gruppo del Torre: Aguja Standhart, Punta Herron, Torre Egger e Cerro Torre. Una traversata che in pochi, prima di allora, avevano immaginato possibile (lo stesso Haley con Alex Honnold nel febbraio 2015 mancò di un soffio la ripetizione della traversata in meno di 24 ore, interrotta infatti a due tiri dalla sommità del Cerro Torre. Il 31 gennaio 2016 gli stessi hanno impiegato solo 20 ore e 40 minuti per la prima ripetizione, dal Col Standhardt fino in cima al Cerro Torre, e 32 ore complessivamente per ritornare al campo di partenza, NdR).
La prima traversata di Haley e Garibotti era durata quattro giorni e quattro notti su difficoltà sempre estreme, lungo pareti verticali ricoperte da strati di ghiaccio sottile, senza nessun riparo da un vento che spazza via e dalle scariche che piombano improvvise dagli immensi funghi di ghiaccio e neve che ricoprono le sommità. E senza via d’uscita che non sia la cima del Cerro Torre.

Ostello Rancho Grande, El Chaltén
Da sinistra, Marcello Cominetti, Rolando Garibotti e Ramiro Calvo alla Chocolateria di El Chaltén

E qui basti pensare che, fino a poche decine di anni fa, il Cerro Torre – sono stati i Ragni di Lecco, nel gennaio del 1974, la prima cordata ad aver raggiunto la cima del fungo di ghiaccio del Torre – era considerata la montagna impossibile ed è tuttora ritenuta tra le più difficili del mondo.

El Chaltén, Patagonia. Marta Trucco sulla via Clasica al Paredon

Siamo nel cuore delle Ande Patagoniche, terre da sempre meta di avventurieri, uomini e donne, che vogliono scalare montagne, attraversare ghiacciai o raggiungere luoghi dove non è stato nessuno.

Fino agli inizi del secolo scorso buona parte di questo territorio era completamente inesplorata, e fu un italiano, Padre Alberto Maria de Agostini, il primo a realizzare un’accuratissima carta della Patagonia meridionale che colmò le numerose macchie bianche delle mappe precedenti. Si era imbarcato come missionario per il Sud del continente americano, e con la scusa di portare agli indios il Vangelo, esplorò in lungo e in largo la Cordillera delle Ande australi scalando montagne alle quali dette il nome (Cerro Pier Giorgio, Cerro Pollone, suo paese natale, Cerro Cagliero…) e attraversando i ghiacciai. “Si può essere un buon salesiano e un buon geografo”, diceva.

Camila Estenssoro, affermata musicista, impara Bennato mentre fuori piove.

Da allora nulla del paesaggio intorno al Cerro Torre è cambiato, è soltanto molto più facile arrivare ai confini di quelle terre remote. Bastano quattro ore di volo da Buenos Aires a cui vanno aggiunte tre di autobus e così, lentamente, si ha modo di abituare gli occhi a quei luoghi dove la natura dà spettacolo. Laghi azzurro-verdi che sembrano mare da tanto sono immensi, fiumi che solcano con impeto valli di origine glaciale, e steppa, steppa, steppa finché la strada vira verso Nord e, se il tempo è bello, contro il cielo si staglia il profilo di montagne bellissime e spaventose.

Marcello Cominetti
Il gruppo del Cerro Torre da ovest.

La strada e la civiltà finiscono a El Chaltén, piccolo paese di 1500 abitanti, fondato vent’anni fa dall’ultima generazione di pionieri, gente che si è costruita la casa con le proprie mani in un luogo dal clima impietoso ma dove non mancano spazi e libertà per cominciare una nuova vita.

A El Chaltén fanno base gli alpinisti che vengono da ogni dove per scalare le montagne, o per dare il nome a quelle che ancora non ce l’hanno.

Gruppo del Cerro Torre dal Fitz Roy. Foto: Francesco Salvaterra.

Non sono di quelli che fanno conferenze stampa prima di partire: non è la gloria che cercano ma la sfida con loro stessi, perché chi si avventura in quelle terre remote, può contare solo sulle proprie forze e sulla propria determinazione. E’ un mondo, il loro, in cui la competizione resta sullo sfondo, e quello che conta sono cose rare. Tra queste la ricerca della bellezza: “Le guglie hanno le forme caotiche ed eleganti di una cattedrale di Gaudì, dice Rolando Garibotti a proposito del Gruppo del Torre. “Lungo le pareti verticali si avvitano linee e sul granito dorato arabeschi di neve simili a viticci proiettano ombre blu. La skyline di queste montagne, stupenda e terribile, ha la geometria più attraente che io abbia mai visto: bella, ovvia e difficilissima”. “Non ho mai visto una montagna più bella”, gli fa eco Doerte Pietron, tedesca di 33 anni, compagna di Garibotti nella vita, prima donna al mondo ad aver ripetuto la via aperta dai Ragni di Lecco e unica donna ad aver scalato il Cerro Torre due volte.

Dopo una nevicata, la parte superiore della parete est del Cerro Torre (dalla Breche de los Italianos)

Non si sentono dei super-eroi, dicono che più che la tecnica, l’allenamento, il talento, la preparazione, la consapevolezza, conta la motivazione, è quella che spinge a superare difficoltà così elevate e patimenti tanto duri: il freddo, il vento, la fatica, le notti insonni, la paura. Garibotti ricorda che durante le lunghe notti in parete si chiedeva cosa lo aveva spinto fino a quel punto, a dover correre rischi così alti e lasciare da parte le certezze, l’amore, gli affetti. “La mattina, però, sapevo di non avere scelta: ciò che stava sopra di me aveva un’attrazione maggiore di quello che stava sotto”. “Ci vuole anche una buona dose di fortuna”, aggiunge Doerte. “Trovare buone condizioni. Ma la motivazione ti spinge a tornare, se la prima volta non hai avuto fortuna. Anche la paura è uno stimolo, ma delle volte ti fa tornare indietro, e magari ti salva la vita”.

In salita al Colle Stanhardt
In arrampicata sulla via Exocet

Con la traversata del Gruppo del Torre del 2008 sembra caduto anche l’ultimo tabù, dopo la prima invernale, la prima solitaria, la prima femminile… “L’epoca della conquista è passata – dice Garibotti – ma ogni nuova generazione definisce i ‘pali della porta’. La porta si fa sempre più stretta e più difficile sarà fare gol, ma c’è ancora tantissimo da tentare, il futuro va verso l’arrampica libera: due persone, una corda, nessun ricorso all’artificiale”.

La sommità del Cerro Torre da est

Molti dei giovani alpinisti che arrivano a El Chaltén vanno a casa di Rolando e Doerte per chiedere consigli, guardare le carte, consultare le previsioni del tempo, capire se si può contare su una brecha, una finestra di bel tempo, in modo da essere al momento giusto nel posto giusto, perché il bel tempo difficilmente dura più di due giorni, e questa variabile alza a dismisura il livello della difficoltà e del rischio. E anche perché ci sia qualcuno che sappia entro quando, al massimo, dovrebbero fare ritorno – il calcolo è presto fatto dal momento che El Chalten è l’ultimo punto dove si può fare rifornimento e da lì si parte a piedi con tutto il carico sulle spalle.

Panoramica sul Cerro Torre, con a destra Torre Egger, Punta Herron e Aguja Standhart
Panoramica sul Cerro Torre, con a destra Torre Egger, Punta Herron e Aguja Standhart

C’è anche un’altra dimensione in quei luoghi, quando non si ha l’obiettivo di scalare montagne. Gli alpinisti amanti dell’avventura vera, quella che non sai cosa c’è dietro l’angolo, possono fare la Vuelta del Torre, un percorso dal sapore polare attraverso lo Hielo Continental Sur e intorno al Gruppo del Torre e del Fitz Roy, che richiede più che altro grandi capacità di adattarsi all’isolamento e a condizioni ambientali che possono esser molto, molto ostili. “Ma laggiù ogni sforzo sarà ripagato semplicemente lasciando vagare il cuore in un paesaggio solenne e misterioso, abitato dai contrasti più sorprendenti e dalle più straordinarie manifestazioni del bello. E quello che si prova, alla fine, è un grande senso di libertà”, parola di Marcello Cominetti, Guida alpina e alpinista che quei posti li frequenta da più di trent’anni. Allora El Chaltén non esisteva, c’era solo una casa con il tetto giallo e un gaucho, Don Rodolfo Guerra, che c’è ancora ed è l’unico vecchio del paese. “Era tutto più complicato dal punto di vista logistico ma c’erano anche molte meno regole e più libertà d’azione. Se uno arrivava con dei chiodi, un’accetta, una sega e un martello, si poteva costruire una casa”. Marcello Cominetti è stata la prima Guida a portare clienti a scalare le grandi montagne, con uno di loro ha raggiunto nel 1992 la cima del Fitz Roy, ma se gli chiedete come ha fatto vi risponderà che è stato fortunato – e con questo intende dire che ha avuto tempo buono.

Avvicinamento al campo Niponino
Arrampicata mista sul Cerro Torre

Ora è appena cominciata l’estate nelle terre australi e poche settimane fa (il 6 ottobre 2018) già una prima cordata ha scalato la parete ovest del Cerro Torre e raggiunto la cima: erano gli italiani Ermanno Salvaterra (autore della prima invernale sul Torre e di numerose altre aperture), Thomas Franchini e Nicola Binelli.

Sul fungo finale del Cerro Torre

Mentre l’ultima impresa che forse si può paragonare per straordinarietà a quella compiuta da Garibotti e Haley nel 2008 – se pure da queste parti ogni salita può considerarsi straordinaria – è stata la traversata del gruppo del Fitz Roy compiuta in tre giorni nella scorsa stagione da due fortissimi climber americani poco più che ventenni: Alex Honnold e Tommy Caldwell. “E’ stato bello – è tutto quanto hanno detto ai primi che li hanno visti tornare – ma ora siamo un po’ stanchi”. E sono andati in paese a mangiarsi una pizza.

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Quelli che il Cerro Torre ultima modifica: 2022-05-19T05:06:00+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Quelli che il Cerro Torre”

  1. No no era solo curiosità
    Di cianfrusaglie vado già alla grande di mio compresi femori funzionanti…
    Comunque grazie😉

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