Metadiario – 180 – Civiltà del camminare (AG 1994-008)
(dicembre 1994)
Sentieri sempre più frequentati e più coloratamente segnalati da cartelli invadenti; rifugi sempre più invasi da migliaia e migliaia di camminatori, cime sempre più affollate e prive di solitudine; boschi pattugliati da cercatori di funghi che si fronteggiano a eserciti. È proprio questo il futuro della montagna? Non v’è altro destino per gli appassionati che ritrovarsi in un ambiente in via di “riminizzazione”?
Dalle ceneri di un chiassoso percorrere le Alpi potrà mai nascere una civiltà del camminare?
Parco regionale del Mont Avic, Lac Cornu (Lago Cornuto) e Grand Rousse
In certi luoghi del mondo (Scandinavia, Rocky Mountains, ecc.), favorita dalle lunghe distanze e dall’assenza di centri abitati o di posti di ricovero e ristoro, la civiltà del camminare gode da sempre di ottima salute. Luoghi più turistici o più abitati provocano un più o meno velato disinteresse e presto la mancanza di rispetto per quell’ambiente si manifesta nelle sue forme più deteriori: dalla spazzatura agli schiamazzi, dalla cementificazione all’invadente segnaletica che ti vorrebbe sempre su un percorso svuotato di ogni fantasia personale.
L’esperienza del singolo, la fatica dell’escursionista devono essere protette. La gioia di scoprire un panorama con le proprie forze, la creatività dell’immaginare un percorso proprio sono qualificanti per una vera esperienza. Purtroppo oggi anche l’escursionismo e il trekking rischiano di essere mercificati e proposti sotto confezione.
Ridurre gli impianti, limitare la segnaletica, studiare mete alternative ai rifugi più frequentati, pensare che il bosco non deve essere solo il mezzo per riempire i propri sacchetti di funghi, fragole, lamponi e mirtilli: sono alcuni tra i sistemi e le idee necessari per una grande civiltà del camminare.
Come il pellerossa non lasciava tracce o il montanaro non turbava il suo stesso ambiente, come del pastore sardo si sa che c’è ma non lo si vede mai, così impareremo a muoverci, convinti che l’azione del camminare sia la più bella forma di uso del tempo libero e il modo più sicuro per gioire della natura che ci circonda.
Parco regionale del Mont Avic, Lac Cornu (Lago Cornuto), Valle d’Aosta. Foto: Giuseppe Miotti
Dall’autostrada della Valle d’Aosta non si può indovinare l’esistenza della testata della valle del Torrente Chalamy, così ampia, articolata e bella da essere il cuore di un modernissimo parco regionale di 3.500 ha. Il Mont Avic, anticamente Mont Aù (aguzzo), domina questa regione con lo slancio rossiccio delle sue rocce metamorfiche. Il Parco del Mont Avic è un buon inizio di civiltà. Sufficientemente vicino alle grandi arterie di comunicazione (l’orlo della zona significativa è praticamente a strapiombo sullo sbocco della Valle d’Aosta), ma abbastanza isolato e sconosciuto ai più per non imporsi all’attenzione. Le montagne che si alzano dai valloni selvaggi e si specchiano nei suoi bellissimi laghi non sono quelle grandi cime da tutti celebrate. Eppure le forme sono slanciate, il colore fulvo delle rocce contrasta con le ultime abetaie per stagliarsi sui nevai. È la pace l’elemento principe di questo luogo e auguriamoci che così sia ancora per molto.
L’avventura è il lievito della civiltà, anche di quella del camminare, mentre i laghi del Mont Avic ispirano forse meglio la contemplazione, quella vera, che riposa su tante esperienze vissute. L’inglese Thomas Graham Brown, che per primo vinse il più grandioso versante del Monte Bianco, disse nel suo libro Brenva: “Siamo certo sensibili alle bellezze del paesaggio alpino, ma il piacere della contemplazione è il ricordo predominante della giornata solo quando l’azione non richiede grande impegno all’alpinista, cioè sulle vie facili”. Hermann Buhl, il famoso alpinista tirolese, scrisse nel suo bellissimo libro È buio sul ghiacciaio di aver incontrato, mentre scendeva dal Cervino, un anziano signore che guardava la grande montagna e la sognava a occhi aperti: era evidente il desiderio di salirla, come era chiaro che non avrebbe mai potuto farlo. Buhl si commosse, lui che stava giusto scendendo da lassù, e scrisse: “Chi più di quest’uomo può definirsi vero alpinista?” La realtà però è meno romantica: certe cose si possono dire e condividere, poi i fatti le smentiscono. Purtroppo nel nostro mondo ciò che è stato avverato vale di più di ciò che è stato solo sognato. Così la contemplazione pura non abita più qui: anche l’anziano signore di Buhl desiderava salire la vetta del Cervino.
Civiltà del camminare dovrebbe essere sinonimo di civiltà del guardare o del non-agire. Guardare e non desiderare è probabilmente di estrema difficoltà, è risaputo che si può guardare senza vedere affatto.
Sul Colle del Lago Bianco del Mont Avic, Valle d’Aosta. Foto: Giuseppe Miotti
Ogni rilievo, fiore, specchio lacustre è una voce della natura nella composizione di sinfonie e liriche che parlano un linguaggio semplice cui non siamo più abituati. Avviciniamoci in silenzio al Lago Bianco, anche l’immissario lo fa con rispetto. Le rocce lisce, a placche rossastre, protendono il riflesso in acque immobili. Lontano, all’orizzonte, famose montagne si fanno riconoscere senza catturare la completa attenzione. In mezzo, il vuoto di una valle grande e rumorosa, a quest’altezza stempera la propria enormità. L’incanto di questo scenario appare eterno e promette un distacco facile dalle meschinità del mondo. Quest’insolita e sublime immobilità vince la sicurezza del sapere che il quadro è assolutamente variabile, così in un lampo vedo che ci sarà una fine provocata dal disgelo improvviso di tutti i ghiacciai, una fiumana giallastra che travolgerà buoni e cattivi. Poi dentro al cuore mi parla la voce dello spazio, quello spazio che sembrava dovesse per sempre tacere. Si esprime con suoni che ricordano le vibrazioni acquatiche dei delfini, enigmatiche e affascinanti. Sembrano provenire dal fondo dei laghi, dove non c’è nulla. È il nulla che ci parla attraverso la nostra buona disposizione. Se di fronte ad un oggetto prezioso è normale desiderare di possederlo, di fronte al Lago Cornuto ogni tentativo di averlo è vano e lo sappiamo bene. Sta a noi accontentarci del bel ricordo, dell’attimo felice vissuto oppure custodire il nostro piccolo segreto di beatitudine con noi, per sempre. Le civiltà nascono dagli individui che cambiano, anche quella del camminare.
Il 1° giugno 1994, racchiuso in un piccolo scrigno di creste e vette poco note, a Popi e a me il comprensorio del Mont Avic è sembrato quasi un mondo a parte, una sorta di valle perduta dove poter ritrovare sensazioni perdute. Partiti da La Cort di Champorcher e scavalcato il Colle del Lago Bianco, si è presentato uno scenario inatteso. Abbiamo subito messo da parte la vista, pur magnifica, verso il Monte Rosa, che si specchiava negli splendidi laghetti sottostanti: quello che ci attirava era il gioco di vallette e valloni che sembravano creare un piccolo labirinto di pietra. Rossigne muraglie di serpentino ne costituiscono le pareti, ancora per buona parte inviolate. E la fantasia corre subito lungo rughe e placche percorrendo decine di vie. Di certo ci sono molti altri luoghi delle Alpi esplorati superficialmente e ancora molto resta da fare, molti ne conosciamo, altri ne conosceremo, ma credo che le rupi del Parco del Mont Avic resteranno per un bel pezzo nella nostra fantasia. Mai come in questi luoghi abbiamo avvertito la promessa d’avventura che proveniva da pareti e spigoli il cui avvicinamento stesso in alcuni casi sembrava complicato e difficile.
Dalla cima della Torretta del Mont Glacier 2539 m è ancora più evidente: questo è un piccolo mondo quasi ignoto, non ci sono grandi pareti e “ultimi problemi”, anzi sembra qui di sfuggire più che altrove al parossismo che ammorba il circo dell’alpinismo di punta. Sembra qui di poter avere quello che Reinhard Karl chiamava il “tempo per respirare”: un gesto proprio, costruito da noi, vissuto da noi e solo per noi, al sicuro dentro allo scrigno del Mont Avic.
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“…il gioco di vallette e valloni che sembravano creare un piccolo labirinto di pietra…”. E’ quel che attrae anche me.
Caro Alessandro, la poesia dei monti scorre nelle tue vene.
Sei nato cosí? oppure lo sei diventato crescendo? sono state le esperienze della vita?
In ogni caso sei un uomo fortunato.