Come accopparsi in montagna
(contaminazione da Lo Scarpone del 15 novembre 1965, pubblicato su Corriere Mercantile dell’8 gennaio 1969)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(4)
Una volta c’erano solo gli eletti che andavano in montagna, l’ecatombe era limitata; adesso invece la percentuale delle vittime è sempre più elevata, senza calcolare che ai più sono sconosciuti anche i minimi rudimenti della tecnica di accopparsi efficacemente. In montagna poi, i pericoli sono quasi sempre ignoti o invisibili; e mentre al mare, nessuno, se non sa nuotare, si butterebbe a bagno, quotidianamente sulle alte vette e sulle creste precipiti, passano numerosi cortei di persone che non conoscono nulla dei reconditi piaceri dei crepacci, degli appigli che sfuggono, delle cadute di sassi, delle valanghe.
Sono quindi persuaso di fare cosa utile e meritevole elencando qui di seguito le regole fondamentali per procurarsi, con poca spesa, una sana e bella morte in montagna: regole che, all’occorrenza, potranno essere imparate a memoria.
Tralascio la ricerca di stelle alpine: si tratta di una maniera ormai superata, in quanto il metodo non è sempre efficace e, molte volte, vi si perde del tempo inutilmente.
Sedersi per il picnic in un colatoio di valanghe è da veri edonisti e filantropi; infatti qualora non siate voi i fortunati, certamente i residui e le tracce del vostro pasto indurranno altri aspiranti a sostare nello stesso posto, e quindi, se non proprio voi, quasi certamente loro saranno sepolti e spazzati via.
Saltellare su un ghiacciaio senza guardare dove mettere i piedi, incamminarsi con scarpe inadeguate, non preoccuparsi minimamente dell’equipaggiamento, maglioni, giacche a vento, berretti, guantoni, occhiali da neve: se il tempo sarà bello sarete presto accecati dal riverbero e vi sarà assai spontaneo mettere un piede in fallo; se invece il tempo sarà brutto vi sarà molto naturale finire congelati o assiderati per direttissima: sembra accertato si tratti di una morte davvero deliziosa.
Spingersi verso luoghi ameni, dove il baratro è più agghiacciante: durerà forse un po’ poco, ma certo è che la sensazione di precipitare nel vuoto orrendo deve essere veramente unica e definitiva.
Alle persone deboli di cuore si consigliano violenti cambiamenti di quota; alle persone deboli di stomaco conviene invece fare abbondantissimi pasti nel calore di piccoli locali, per poi esporsi di colpo al freddo polare. Coloro che hanno la fortuna di godere di ambedue le infermità possono dedicarsi ora all’uno ora all’altro dei due sistemi, a scelta: generalmente, dopo il primo esperimento, non se ne rende necessario un secondo.
Alle scariche di sassi si espone con successo la propria vita; tuttavia occorre ricordare che al mattino, quando fa freddo, i sassi stanno fermi, e gli interessati dovranno perciò recarsi nelle zone prescelte al pomeriggio.
Il vetrato è una raffinatezza concessa soltanto ai connaisseurs; se mentre arrampicate vi fosse concesso di vedere delle rocce particolarmente lucide, lanciatevi subito sopra, con i piedi e con le mani. Non avrete mai più la seccatura di doverci pensare.
Le rocce friabili sono così ributtanti, che di solito chi ci tiene, va a cercarsi una fine più bella; ma se qualcuno volesse veramente provare, consiglio di non perdersi d’animo ai primi passi smossi, ai primi appigli traditori, alla prima piccola frana, ma di resistere a salire fino a che si avrà sotto di sé un bel salto di orribili sfasciumi: il crollo finale sarà più fragoroso, e i titoli sui giornali più producenti.
I crepacci oggi sono di moda: basta non avere noiose precauzioni e camminare con disinvoltura e a caso; d’improvviso affonderete un po’ troppo, e… pluff… un grido, subito assorbito dalle pareti di ghiaccio.
Non è da tutti avere una certa sensibilità alle variazioni meteorologiche, comunque l’aspirante alla lapide può tenere ben stretti a sé piccozza e ramponi, quando sente ronzare le orecchie e i capelli rizzarsi sulla testa: avrà così molte più chances di essere colpito dal fulmine.
Ma la regola fondamentale è questa: evitare nella maniera più assoluta di frequentare una qualsiasi Scuola d’Alpinismo. Coloro che abitano in città in cui fioriscono le iniziative di docenza alpinistica, devono stare ancora più attenti. A Genova, pensate, proprio questo mese sono aperte le iscrizioni alla scuola Bartolomeo Figari, viale Mojon 1, tel. 010-812309.
Se si incomincia a capire qualcosa dei pericoli alpinistici, è difficile poi rimanerne affascinati, e allora andare in montagna non avrebbe più senso. Una volta che sappiate che non si deve muovere più di un arto per volta, che non si deve allargare o alzare troppo le braccia alla ricerca disperata di appigli, che non ci si deve attaccare a una presa senza averne provata prima la solidità, diventa sproporzionatamente impossibile riuscire a sfracellarsi per bene, e la macelleria automobilistica continuerebbe ad avere l’invidiabile primato.
Se poi, una volta esaurite le lezioni teoriche, l’allievo frequenta le pratiche, comincia ad affiatarsi con i suoi compagni e con gli istruttori, vede un buon numero di spettacoli naturali bellissimi, allora correrà veramente il rischio di affezionarsi alla vita, di non curarsi dei titoli dei giornali. Capirà perfino che in montagna ci si deve andare per divertirsi e non per soffrire o, meglio, per la gloria di una morte drammatica.
Infine, se arriverà alla fine del corso e sarà diplomato, se non proprio alpinista, almeno “abile, arruolato”, una volta, insomma, che sarà nell’ambiente, gli sarà facile comperarsi un po’ di materiale, un po’ di letteratura alpinistica, e continuare per conto suo o con chi gli avrà insegnato e che ormai sarà suo amico, e allora addio cadute, tragedie, ricercate imprudenze, morti raffinate.
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