Emozioni e sentimenti non stanno sul vetrino dei microscopi.
Consapevolezza e realtà
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 19 maggio 2024)
La scienza ha detto che l’universo è grande 12 miliardi di anni luce. Mi ricordo benissimo, ero un bambino che non si lasciava sfuggire le caratteristiche del piumaggio del pappagallo Ara, e sapeva disegnare alla perfezione un atomo, con tanto di orbite degli elettroni e dei protoni.
Come me ci credevano tutti. Chi mai avrebbe messo in dubbio quello che diceva la scienza, la sola autorizzata a pronunciare il vero, l’unico giudice autentico in grado di definire ciò che conta e non conta?
Oggi, ce lo dice la scienza, l’universo è grande 92 miliardi di anni luce, domani non si sa. In ogni caso, sia ieri che adesso c’è una moltitudine a mettere la mano sul fuoco che della scienza ci si può fidare. Oggi, però, si sa che il disegnino dell’atomo con le sue orbite è fuffa. Ma guai a dirlo a uno scienziato o a un bambino che ci crede ancora perché l’ha detto la scienza.
E fino ad oggi, anzi fino a poco fa, la scienza ha provato in tutti i modi a sostenere il caso, la materia come sola natura del cosmo, il principio di causa-effetto e quelli della logica aristotelica. Niente di male, anzi di utile, nel limitato contesto meccanicistico, ma straordinariamente grave e fuorviante, perfino disumano, quando totalitaristicamente applicato a tutto lo scibile infinito, cioè quando lo si vuole comprimere e ridurre, per costringerlo nella piccola scatoletta della fisica classica.
Fino a poco fa significa fino a circa 100 anni fa. È intorno a quel periodo e poi, in crescendo, nei decenni a venire, che gli scienziati quelli veri, non gli scientisti, gente idolatrica e dogmatica, hanno iniziato ad ammettere che giocare tra loro con il rimpiattino della materia non permetteva di far quadrare i conti della ricerca. Ovvero le domande ultime non trovavano risposta dentro le regole autoreferenziali che si erano inventati. Se solo avessero dato un’occhiata alla ricerca esistenziale sviluppata da tutte le culture del mondo prescientifico, forse molti più uomini si sarebbero salvati dalla voragine nera del mondo esaurito nella materia.
Gli antichi prescientifici – ma sarebbe opportuno chiamarli prepositivisti – quegli stupidi, che invece di analizzare contemplavano, invece di smembrare ascoltavano, invece di credersi potenti, sentivano la potenza del mondo e dicevano cose valide ancora oggi. Le stesse che, sebbene in forma differente, dicono tutte le ricerche sapienziali del mondo, disponibili ad ogni uomo e identiche, in tutti i tempi. Ma noi, la nostra cultura, positivista e dualista, invece, li deride. Noi che ad ogni passo rinneghiamo quanto detto e lo sostituiamo con altro, senza però mai rinunciare al gingle con cui ci ripetiamo di essere nella verità. Noi diciamo cose usa e getta che durano il tempo di una stagione, o di un vezzo, che il digitale comprimerà e modificherà ancor più velocemente, secondo leggi che con la natura nulla hanno a che vedere. Sempre per chi non guardi il dito delle forme e sia cieco alla luna della sostanza.
“L’idea che colui che pensa (l’io) sia almeno in linea di principio completamente separato e indipendente dalla realtà a cui pensa è saldamente radicata in tutta la nostra tradizione. (David Bohm (1996), Universo Mente Materia: L’ordine sottostante al caos nella fisica moderna. Como: Red Studio Redazionale, p. 24).”
Come ciarlatani di migliaia di anni fa, vestiti di niente, senza neanche, non dico un microscopio ottico, ma neppure una pinzetta di legno, ora – da poco, per certi scienziati – la materia non è che una condensazione di energia. Anche la scienza è arrivata a ipotizzare-riconoscere che tutto è energia, che distinguere mente e materia ha del ridicolo, che il mondo duale, quello che separa l’osservatore dall’osservato è roba da tornare a settembre, anzi, forse, da ripetere l’anno, da ricominciare daccapo.
Il binomio mente-materia ha da essere rivisto. Esso è una diade buona per esprimere, con un linguaggio inappropriato, in quanto logico-analitico, l’intero. Non a caso, qualcuno ha detto che l’uomo stupido, la prima volta che sente parlare del Tao, se la ride.
Nonostante i vanti della scienza meccanicista, la scomposizione del mondo non permette di conoscerlo. È un’illusione, a base arroganza-ingenuità, credere che lo studio di un’unghia separata dal suo ambiente di creazione sia ancora un’unghia e dica qualcosa che vada oltre alla sua forma.
Eppure la cultura disastrosa in cui siamo immersi ce lo conferma ogni giorno, ce ne dà presunta prova, ce lo inculca. Il risultato è alla mercé di chiunque: come giudicare questa cultura materialista, che ha ridotto l’uomo a un’ombra di se stesso, che ne ha fatto un replicante, da creatore che era, che in 300 anni di sviluppo – così lo chiamano tutti – ci ha portati a vivere in uno stato di paura, di schiavitù, di perdita della memoria della bellezza?
«Anche nell’antichità esistevano due definizioni di bellezza che in qualche modo si trovavano in opposizione reciproca. […] L’una descriveva la bellezza come la giusta conformità delle parti tra loro e di esse col tutto. L’altra, derivata da Plotino, descriveva la bellezza senza alcun riferimento alle parti, come il trasparire dell’eterno splendore dell’”uno” attraverso il fenomeno materia (Ken Wilber (2022), Questioni quantistiche: Scritti mistici dei più grandi fisici del mondo. Roma: Spazio Interiore, p. 106)».
I saperi analitici, o superficiali, la materia e le sue forme sono un espediente necessario alla storia e al sociale, cioè all’organizzazione della vita quotidiana, ma – se ci si dedica ad esse – sono fuorvianti nei confronti della conoscenza del mondo. Esse impediscono di riconoscere l’intero, di osservare le identicità in ciò che è formalmente differente; non sono in grado di intelligere i simboli, né gli arcani. Esse funzionano per catalogare razionalmente l’intero ma sono disastrose quando, in quel modo, si crede di conoscere se stessi, il mondo e gli altri.
La loro epopea ci ha allontanato – oggi come non mai – invece di condurci a noi stessi. Oggi gli uomini, più che mai, si credono entità autonome e utilizzano i diritti autoreferenziali del loro ego per farsi condurre nella vita. Gente sacrilega, la cui opera prima non è il piacere che vogliono prodursi, qualunque siano gli scarti che quest’intento comporti, ma l’humus di disperazione che ne resta. Lo si vede in campo civile, militare, psicologico, educativo, sociale, politico.
Chiunque di noi, sapendo di vivere per un solo istante, sceglierebbe di consumarlo nella serenità, eppure istante dopo istante, non facciamo altro che perpetrare le condizioni per bruciarlo nella pena.
In questo precipitare secondo denaro e potere, dalla scienza arrivano segni confortanti. Semi che forse non possono ancora fiorire in questo terreno terribilmente inquinato di bugie e strade senza un cuore. Per la fioritura, o la diffusa consapevolezza, servirà atterrare catastroficamente in fondo alla voragine nera. Sarà forse da quello stato di collasso materialista che potrà nascere una cultura idonea a riconoscere e diffondere il messaggio che siamo noi a fare il mondo, le malattie, il benessere, la gioia e il dolore. A formare uomini compiuti, ovvero in grado di riconoscere di avere in sé la responsabilità di tutto e, con essa, la forza creatrice che oggi non sisospetta di avere in sé, di essere, tanto da chiamarla utopia, tanto da stare buoni nel proprio angolino, a replicare quello che si è imparato sul sussidiario.
Gautama e altri ce lo avevano detto, ma l’orecchio sordo degli invasati scienziati scientisti aveva riso anche in quell’occasione.
Ora non ridono più. Prestano ascolto a Higgs e al suo bosone, alla considerazione che sia lui il catalizzatore, il reagente, il coagulante dell’energia affinché questa si mostri come materia. E che differenza fa con le emozioni? Non sono queste a farci muovere come se di tutto l’infinito non ci fosse altro, oltre a quanto esse ci impongono di vedere? Non sono i legami dei sentimenti che se la ridono della materia e della distanza?
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Fatto tardi mi sembra simpatico.
Poteva farsi prima.
Ed evviva anche le voci critiche come quella di “si è fatto tardi”.
Evviva Fabio Bertoncelli, Carlo Crovella, Marcello Cominetti e Lorenzo Metlo, che mantengono vivo il forum!!
Che dite, ragazzi? Il prode “si è fatto tardi” merita una risata, una pernacchia o indifferenza?
P.S. Tu comunque, Carlo, non ti arrabbi mai quando ti chiamo Carlone o, peggio, Krovellik. Non è giusto. Arrabbiati!
P.P.S. Per informarsi, Carlo legge pure altri quotidiani. Per esempio La Stampa (gruppo GEDI ovvero, per intenderci, i “gloriosi” Agnelli-Elkann). Quel giornale, oggi piú che mai, dai torinesi è detto la Busiarda (la Bugiarda) per quel che scrive.
😀 😀 😀
Fermo , fermo , guarda il dito : vedi che mentre spippola su una tastiera presatura ?
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Come se dicessi : “semiconduttore” …
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Come fosse Antani parte di diade che parla di Eraclito perche’ ha finito la batteria.
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Cosi’ non si puo’..
C’è gente che ci passa la giornata, al Gognabar, come quel tal “bertoncello”, che una volta ha intimato a degli sconosciuti venuti lì per un caffè di presentarsi per cognome e cognome. Per lui il bar è come un ritrovo di vecchie lenze che si danno di gomito. Peccato che non tutti siano di questo parere. Prendi ad esempio il “caminetti”, sempre scontroso, se non gli dai ragione è capace di sfidarti: “vieni a dirmelo in faccia se hai coraggio”. Pare che così facendo si sia preso un pugno, anni fa, da un turista americano. Poi c’è quel tipo strano che arriva col mazzo di quotidiani sotto il braccio. Bertoncello lo accoglie con un “ueilà, Carlone!”, al che lui reagisce con fastidio dirigendosi a un tavolino in disparte. Ordina “il solito” e si immerge nella lettura dei giornali, sempre nello stesso ordine: La Verità, Libero, Il Giornale. Poi basta. Gli altri non li tocca mai. Quando comincia a parlare non lo ferma più nessuno. Noia mortale. Ogni tanto Caminetti dice che ha da fare ed esce senza salutare, ma in genere torna dopo pochi minuti. Così si fa notte e col buio arriva uno soprannominato “merlo”, uno che parte subito con discorsi sconnessi, insensati o incomprensibili. Tutti si guardano in silenzio. Al che c’è sempre uno, che chiamano “pelleschi” o “terreschi”, qualcosa con eschi, che finge d’aver capito e però dice una cosa che non c’entra niente. Sbadigli. Fuggi fuggi generale: “si è fatto tardi”, ci si giustifica. E buonanotte.
Tra le conseguenze più vistose del nichilismo tecnoscientifico, su cui insiste Lorenzo Merlo, bisogna considerare il turismo di massa, che per esempio soffoca Venezia e Firenze. Tuttavia per cominciare a riflettere bisogna regalare ai sindaci delle due città un abbonamento al giornale o almeno un calendario per leggere la data: 2024 non 1924 o addirittura 1824. Nel 2024 il progresso dei trasporti ha relegato Firenze e Venezia alla periferia di Milano o Roma. Una gita a Firenze o Venezia è diventata una scampagnata fuoriporta da completare in giornata senza pernottare a beneficio degli indigeni che vivono sugli alberghi e i ristoranti: basta un panino. Non credo tuttavia che sia necessario rinunciare ai vantaggi del progresso per compensare gli svantaggi e ritornare all’epoca delle diligenze né sarebbe necessario andare da Milano a Venezia in bicicletta per ristabilire l’ordine del tempo. Al massino si potrebbe andare a piedi da Milano a Lodi per incontrare la bella Gigogin. Del resto sarebbe utile cancellare la stazione ferroviaria di Santa Lucia e costringere i turisti a raggiungere il centro storico a piedi con una bella passeggiata sul ponte in una bella giornata di sole tra le luci della laguna.