Corsica, immersione naturale

Prima di innamorarmi della Sardegna, mi sono innamorato della Corsica. Il bello delle isole, come delle montagne, è che puoi aggiungere innamoramento a innamoramento, cioè l’ultima non scalza le precedenti.

La mia prima “spedizione” in Corsica risale al luglio del 1981, con il mio compagno di liceo Luca: avevamo 20 anni scarsi (io li compio ad agosto, lui a settembre).

Siamo partiti da Torino in treno, diretti a La Spezia, poi traghetto diurno (più economico) e sbarco a Bastia. Con noi uno zaino colossale (tenda, sacco a pelo, materassino, Camping Gaz… e roba per due settimane).

In mano la fotocopia di un articolo, freschissimo di stampa sulla Rivista della Montagna. Illustrava la risalita (al limite fra escursionismo e avventura arrampicatoria) di un torrente nel bacino del Colle di Bavella.

Non avevamo auto né tanta disponibilità finanziaria, per cui ci si doveva arrangiare per spostarsi e dormire. Abbiamo quasi sempre bivaccato all’aperto, vagando fra spiagge sabbiose e boschi di castagni, fra pozze torrentizie e centri abitati.

Bavella

Più o meno riuscimmo a fare tutto il giro dell’isola, scendendo lungo la costa Est e risalendo poi da quella Ovest, per tornare a Bastia a riprendere il traghetto.

Durante la “discesa” lungo la costa Est ci concedemmo la digressione per seguire le tracce illustrate su RdM. Fu un’impresa non da poco perché noi partivamo a piedi dal mare e dovemmo raggiungere l’attacco dell’escursione con varie peripezie (autostop, corriera, pedibus calcantibus). La risalita del torrente ci impegnò per due giorni, come peraltro descritto nell’articolo, con pernottamento su un ballatoio roccioso a sbalzo su una meravigliosa pozza di acqua trasparente. I cellurari erano di là da venire e per due giorni completi restammo totalmente tagliati fuori dalla civiltà. Non ci pesò molto, anzi.

Schiacciati dal peso degli zaini, il secondo giorno rallentammo sensibilmente e giungendo con l’ultima luce al rifugio del Paliri, posto sullo spartiacque. Dormimmo all’aperto anche quella notte, cullati da una coltre di stelle.

Proprio al rifugio del Paliri incontrammo il GR20, cioè la traversata escursionistica da nord-ovest a sud-est (o viceversa) lungo il filo della spartiacque principale dell’isola. Tornai in annate successive per completarlo.

Così come sono tornato altre volte in Corsica, anche con gli sci a fine inverno. L’isola offre una miriade di opportunità, dal canyonyg vero e proprio (in discesa) alla risalita di torrenti in vallate selvagge, dalle falesie monotiro alle vie lunghe, alle ascensioni alpinistiche complicate.

A livello escursionistico, oltre all’impegnativa (e ora affollata) traversata del GR20, c’è un percorso collaterale, chiamato Mari e Monti, ad altitudini inferiori rispetto allo spartiacque. A questi si aggiunge un’infinita serie di gite in giornata, anche con dislivelli consistenti, che rappresentano l’opportunità ideale per chi ha la famiglia “ancorata” su una spiaggia marina e desidera realizzare una sgambata in altura.

Che sia un trekking di più giorni, che sia una cosa in giornata, la Corsica offre sempre opportunità invidiabili (Carlo Crovella).

Corsica, immersione naturale
di Marcel Laskus
(originariamente pubblicato su Die Zeit, pubblicato poi in Internazionale n. 1333 del 15 novembre 2019)

Con la bocca secca e la bussola in mano cammino calpestando cespugli di ginepro, sempre nella direzione indicata dall’ago. Mi sembra di essere sulle tracce di un ricco tesoro e invece sto solo cercando l’acqua. Da qualche parte nelle vicinanze dovrebbe esserci un piccolissimo ruscello che filtra dalla roccia. Questo almeno è quello che indica il cerchio sulla mappa che ho appena imparato a leggere. E in effetti dietro di me sento un gorgoglio. Joachim, la nostra guida, mi si avvicina e con un cenno mi dà l’ok: il rigagnolo d’acqua è sufficientemente limpido. Mentre aspetto che quel rivolo riempia le mie borracce, mi sento come il boy-scout che non sono mai stato.

Sono nella Corsica orientale e sto camminando per i boschi insieme a una guida e altre dodici persone con cui prima di quest’esperienza non avevo niente in comune se non la sete di natura. Una sete che vogliamo placare con questa escursione di una settimana. Percorriamo sentieri che sono lontani dai principali itinerari escursionistici. A volte attraversiamo anche i campi. Impariamo a cavarcela nella natura e dormiamo sotto le stelle. Riempiamo le borracce alle sorgenti e ai ruscelli perché evitiamo di entrare nelle città e nei paesi. Un’escursione in solitudine, come se fossimo gli unici superstiti di un’apocalisse di zombi.

Le escursioni nella natura selvaggia possono sembrare un’esaltazione della fuga dalla civiltà, ma ci sono dei limiti ben definiti: non dobbiamo nutrirci con quello che troviamo, portiamo con noi tutto il cibo necessario e al massimo lo integriamo con qualche erba appena colta. Abbiamo un fornello da campeggio, sacchi a pelo e materassini. Il percorso e i punti di sosta sono definiti in anticipo. Vogliamo cogliere il senso di un’escursione nella natura selvaggia.

Appartengo a quella categoria di escursionisti che hanno delle scarpe da professionista, ma le indossano raramente. Le ho usate per camminate nella Svizzera sassone e nei Carpazi romeni. Ho scalato anche le vette delle Alpi. Posso dirmi un solido rappresentante del livello intermedio dell’outdoor. Raramente però sono andato oltre il primo rifugio con annesso kaiserschmarren (un tipico dolce austriaco: una crêpe cosparsa di zucchero a velo e servita con confettura di ribes, di mirtilli 0 salsa di mele). Eppure più vivo in una metropoli, più ho voglia di sentirmi davvero parte della natura, senza disturbarla con le mie pretese di comfort.

Fatica e stupore
Nel nostro viaggio in Corsica le comodità finiscono quando si chiude lo sportello dell’auto. Dalla città portuale di Bastia ci hanno accompagnati in auto fino a Cervione. Le strade di questo paese di montagna sono quasi deserte, in cielo volteggia un’aquila reale solitaria. Andiamo in direzione della montagna percorrendo un sentiero polveroso che ai lati ha solo qualche cespuglio mosso dal vento. Già dopo i primi passi lo zaino di venti chili sembra un macigno.

Il primo panorama è scandito da un “aah” che corre di bocca in bocca, dettato, a seconda della forma fisica, dalla meraviglia per la bellezza del paesaggio o dalla fatica. Oppure, come nel mio caso, da entrambe. Intorno a noi si stende il verde della Corsica, la vegetazione ricopre l’isola. Il Mediterraneo spunta lattiginoso in lontananza, ma l’aria sa comunque di sale. Gli odori sono intensi: origano, mentuccia e il sudore di chi mi precede.

Riserva Naturale della Scandola

Proseguiamo per tre o quattro ore, davanti a noi il sentiero in pietrisco, quasi tutto in salita. Quando Joachim lancia il suo zaino sul prato di una spianata e srotola il materassino, capiamo che la prima tappa è fatta. Ci lasciamo cadere tra felci e letame secco. Vediamo dell’acqua che scorre in una zona di bosco usata dai pastori, dove sono stati abbattuti gli alberi. Nel cielo non c’è una nuvola, il terreno è soffice come ovatta. Joachim ci consiglia di mangiare il letame: “Fa bene!”. Scuoto il capo come tutti gli altri e indico la mia barretta di muesli. Joachim invece si serve, per dimostrarci che è buono.

Chiacchieriamo seduti in cerchio e cominciamo a conoscerci meglio. Kathrin, un’ostetrica di quarant’anni del Baden- Wurttemberg, si è fatta prestare tutta l’attrezzatura tecnica dalle madri che ha aiutato a partorire. Michael si occupa di pale eoliche in Svizzera e come me è appassionato di Joe Cocker e di birra corsa. Io, con i miei ventinove anni, sono di gran lunga il più giovane. E poi c’è Joachim, ex soldato della Bundeswehr, le forze armate della Repubblica federale tedesca, che oggi lavora in un asilo di Kassel e non appena può va in mezzo alla natura.

Dalla nostra area di sosta ci indica il punto nella valle da cui siamo partiti: il paese di Cervione, che ora si perde nella nebbia. Anche se non riusciamo a vedere il sentiero serpeggiante che abbiamo percorso, ci sembra che il punto da cui siamo partiti sia piuttosto lontano. Sentiamo di aver raggiunto un obiettivo. Resisto alla tentazione di controllare la mia posizione su Google maps. Comincio a intuire che un’esperienza nella natura selvaggia può voler dire proprio questo: non sapere più con esattezza dove ci si trova. E accettarlo. Prepariamo un tè con le erbe che abbiamo raccolto. La menta che portavo nella tasca dei pantaloni si è avvizzita. Mi preparo una pasta al sugo guarnita con una foglia flaccida. È comunque gustosa. Più tardi, steso nel sacco a pelo, guardo la luna piena e immagino come sarebbe fare un’escursione lassù, in assenza di gravità. Finché a un certo punto mi addormento.

Al risveglio mi sento come se un maiale còrso avesse usato la mia schiena per farci un materassino. Nella notte mi sono svegliato in continuazione perché la luce della luna piena sembrava una lampada del comodino lasciata accesa. Tra l’altro sono rotolato fuori dal materassino: nella penombra della sera mi ero sistemato per sbaglio sul bordo di un avvallamento. “La prima notte è la peggiore”, dice Joachim. Vorrei tanto avere anch’io quel suo approccio da “andrà tutto bene”, ma poi metto il piede scalzo su un cardo.

Le uniche tracce che ci lasciamo dietro quando ci rimettiamo in cammino sono i fili d’erba schiacciati, e quattordici macchie bianco-bluastre frutto della pulizia dei denti mattutina. Il sole si alza e ci scalda il volto. Dopo poco sono già fradicio di sudore. I capelli, che a casa pettino con un po’ di gel davanti allo specchio del bagno, mi si appiccicano sul viso. Maledette acconciature della civiltà. Invidio Joachim e i suoi capelli corti. Intanto gli scarabei stercorari fanno rotolare lungo il sentiero delle palle di sterco molto più pesanti di loro e mi chiedo come facciano. “Un’escursione in montagna è come un parto”, dice Kathrin, l’ostetrica, che mi segue con il viso paonazzo. “Credi di non farcela più, ma alla fine viene fuori qualcosa di bello”. Joachim non vuole dirci quanti chilometri ci aspettano oggi, cosa che ha fatto anche ieri. Quando vado a fare jogging il mio orologio gps misura ogni metro e ogni caloria bruciata. In questo viaggio però il successo non è un numero ma una sensazione. La sensazione di aver superato ancora un po’ il proprio limite, di essere entrati ogni volta un po’ di più nella natura. Dal secondo giorno camminiamo in una sorta di mondo intermedio: le luci fioche dei villaggi in lontananza e il rumore sporadico di un motore sono le uniche cose che ci ricordano che da qualche parte ci sono altre persone. Noi non incontriamo quasi nessuno.

Bavella. Clicca per ingrandire.

Proseguiamo il nostro cammino nella fitta vegetazione, la macchia corsa, e mi sento come Asterix e Obelix che sfuggono ai romani attraversando la sterpaglia. Un anno fa queste zone sono state colpite da un grande incendio. Parti della vegetazione sembra siano state pettinate violentemente con un’enorme spazzola. Sotto i rami carbonizzati spuntano già fiori e piante di ogni tipo. Spine e spuntoni color fuliggine sono ancora appuntiti.

“Bisogna danzare con la macchia”, dice Joachim quando dobbiamo affrontare una tratta piuttosto lunga. Ma quando mi avvio nella sterpaglia i polpacci si riempiono subito di graffi e il materassino incastrato nello zaino s’impiglia nelle spine. Michael, che oggi sembra avere più energia del solito, si mette alla testa del gruppo. Usa i suoi bastoncini da trekking come dei machete e ci apre un sentiero. Intanto canta Don’t stop me now dei Queen, e noi lo seguiamo a passi lenti, concentrati, come fossimo un unico insetto gigantesco con ventisei piedi.

Di solito è Joachim a guidare il gruppo. Quel che cambia nei giorni successivi e che noi lo seguiamo muovendoci nella natura con sempre più confidenza. Abbiamo imparato a raccogliere l’ortica, a filtrare l’acqua e a leggere le mappe. Non diventiamo più isterici quando una sorgente o un sentiero sono così ricoperti di vegetazione che perfino Joachim deve cercarli per due ore. Individuiamo istintivamente il nostro giaciglio preferito, come fosse il nostro letto di casa: Kathrin si stende sotto gli alberi, che proteggono il terreno dall’umidità; io ho fatto pace con la luna e in un letto di felci, più morbido di un qualsiasi materasso Ikea, mi addormento sotto le stelle in un istante. Il tragitto è sempre stancante a causa degli zaini. Ma non diventa mai preoccupante. La natura incontaminata è un gioco e Joachim fa in modo che a vincere siamo sempre noi. Noi aspiranti selvaggi sperimentiamo con lui una perdita di controllo controllata. I puristi forse sentirebbero la mancanza della disperazione esistenziale. Io però mi sento molto bene al pensiero di non potermi perdere, e di non dover morire di sete.

Incontro con la volpe
“Dove troviamo della birra, dove troviamo del vino?”, grida Michael il pomeriggio del quarto giorno. Ride, ma suonano come i primi sentori di una seria disperazione. Ognuno di noi piano piano capisce cosa gli manca della civiltà. Io ho nostalgia di un posto normale su cui sedersi. A Kathrin manca il cuscino. Alla coppia del gruppo manca il caffè. E Michael ha sete. Alla fine prende il cellulare e controlla su Google maps dove si trova il villaggio più vicino. Torna dopo quasi tre ore, con lo zaino che si sente tintinnare in lontananza: due bottiglie di vino e un pacco da sei di birra corsa. Sediamo tutti insieme e brindiamo ai pregi della civilizzazione, senza parlarne.

Bastano pochi sorsi e già mi sento brillo. Mi siedo da solo su una roccia e percorro con lo sguardo la sagoma delle montagne corse. Mi chiedo se in questo o quel punto siamo già passati. A quest’ora a casa starei guardando Netflix. Qui sento che anche i massicci di rocce mi intrattengono. All’alba, mentre sono ancora steso nel sacco a pelo, qualcosa mi preme sul petto. Spalanco gli occhi: è una volpe. Mi tiro su, la volpe mi gira intorno. Per un paio di secondi ciguardiamo incuriositi negli occhi. Finché capiamo che vogliamo due cose completamente diverse: io un selfie con la volpe, la volpe invece una mia scarpa. La scaccio involontariamente con i clic e i flash della mia macchina fotografica.

Poco dopo la vedo portarsi via nel sottobosco una scarpa di Michael. Il mio grido sveglia Michael, che salta su e corre scalzo dietro la volpe lanciandole dei rami. Solo allora l’animale lascia cadere la scarpa e scompare tra i cespugli.

Finora avevo visto solo le volpi che in auto ho rischiato d’investire sulla strada provinciale. Per questo, una volta a casa, guardo con emozione e poi delusione le foto scattate: nel selfie si vede nitidamente solo il mio viso, della volpe non c’è molto di più di un punto arancione sfocato.

Ok, ho capito. La natura selvaggia non si può misurare né afferrare, figuriamoci portare a casa.

Informazioni pratiche
Arrivare La Corsica si può raggiungere in traghetto. Il sito traghettiper-corsica.it confronta orari e prezzi delle tre compagnie di navigazione (Corsica ferries, Moby, Blu navy) che collegano l’Italia all’isola.

Dormire Nel rifugio Chez Paul-Antoine, a Guitera-les-Bains, nella valle del Taravo, a poco meno di un’ora da Ajaccio, si può dormire e si possono gustare degli ottimi salumi. Da non perdere: il lonzu, il figatellu e la salsiccia d’asino (chez-paul-antoine.com).

Mangiare La table de Antoine (+33 04 95216103) è un piccolo ristorante che si trova in una strada molto animata nei pressi del porto di Ajaccio. Offre soprattutto cucina corsa. Gli antipasti partono da 12 euro e i piatti principali da 20 euro.

Leggere Jérôme Ferrari, Il sermone sulla caduta di Roma (Edizioni e/o 2014). Chi volesse acquistare dei libri sull’isola può andare alla libreria La Marge, ad Ajaccio, una delle ultime librerie indipendenti in Corsica (librairie-lamarge.fr).

Corsica, immersione naturale ultima modifica: 2020-09-05T05:21:23+02:00 da GognaBlog

Scopri di più da GognaBlog

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

5 pensieri su “Corsica, immersione naturale”

  1. Ho incontrato la corsica 20 anni fa, ci sono tornato nel 2003 percorrendo il GR 20, da allora sono tornato ogni anno sempre stupendomi.
    Mi ritrovo molto nel racconto che ho letto con un sorriso compiaciuto…

  2. Sono 35 anni che trascorro in Corsica le mie preziose ferie ma non penso di conoscerla a fondo, se non con gli occhi del turista. La Corsica è una sintesi tra razionalità francese europea e la cultura di una antica Toscana, un mix tra mediterraneo e dorsali di monti dai profili frastagliati. Quando mi trovo da quelle parti ad isolarmi dalla vita di tutti i giorni, dalle solite seccature, ci pensano vallate boscose in sequenza e miglia di mare. Quello che amo di più sono il clima ventilato, che rende sopportabile il caldo, e le acque dolci e salate che invitano a tuffarsi.

  3. Anche se non ho attraversato la Corsica da sud est a nord ovest la frequento da 30 anni nel periodo estivo ma non solo e riconosco quanto raccontato, compreso l’incontro serale in giardino con la volpe avvenuto più volte. Corsica isola unica e regalo della natura da non sciupare!!! 
     

  4. Amo immensamente la Corsica. Abbiamo infatti comprato tanto tempo fa un piccolo appartamento a Lumio. E ogni qual volta si può, corriamo a rifugiarci in questo angolo meraviglioso di paradiso chiamato Corsica. Un abbraccio 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.