Intervista al dottor Stefano Manera, anestesista e rianimatore che ha lavorato come volontario nella terapia intensiva dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, uno dei più affollati da inizio emergenza.
CoViD-19: errori da non ripetere, lezioni da imparare
di Valentina Bennati
(pubblicato su agerecontra.it il 25 ottobre 2020)
È arrivata finalmente l’opportunità di intervistare il dottor Stefano Manera, è un bel po’ di tempo che lo inseguo ma, quando ne vale la pena, si aspetta con pazienza il momento giusto.
Medico specializzato in Anestesia e Rianimazione, Manera nei mesi di marzo e aprile di quest’anno ha prestato servizio in modo del tutto volontario come anestesista e rianimatore presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha lavorato nel reparto di rianimazione e ha contribuito ad allestire, avviare e condurre un reparto intensivo di 15 posti letto istituito per l’occasione dell’emergenza epidemica.
Dunque ha avuto modo di osservare con i suoi occhi e toccare con le sue mani la drammaticità di ciò che stava succedendo intorno a tutti noi.
Questa intervista è l’occasione per rivolgergli varie domande, parlare di ciò che è stato, ma anche della situazione che stiamo vivendo adesso, di ciò che sarebbe opportuno fare o evitare per tutelare davvero la nostra salute e quella dei nostri figli.
Dottor Manera, lo scorso 18 marzo, nella fase più critica dell’emergenza, Lei ha lasciato a Milano la Sua famiglia e si è trasferito a Bergamo, per offrire il suo aiuto come medico volontario all’ospedale Papa Giovanni XXIII. Cosa l’ha spinta? In che situazione operavate voi medici? Ci sono state difficoltà legate a carenze logistiche o a carenze di approvvigionamento di farmaci e presidi?
“Sono partito per Bergamo come medico volontario rispondendo al bando di Regione Lombardia per l’arruolamento di medici da destinare agli ospedali e ai reparti di terapia intensiva, sono partito con la voglia di essere di aiuto e fare ciò che in realtà so fare: il mio lavoro di medico e rianimatore.
In quei giorni, nelle prime settimane, noi medici abbiamo lavorato con una grande tensione, i ricoveri erano tantissimi, continuavano ad arrivare pazienti e i nostri posti, anche se ampliati, erano limitati.
Era una situazione di tensione, di difficoltà e, all’inizio, anche di paura perché non sapevamo cosa fosse il CoViD-19 di cui tanto sentivamo parlare. Ricordo bene l’impatto emotivo del primo giorno, tuttavia poi, si sono creati dei bei rapporti tra medici, con gli infermieri e anche vere e proprie amicizie.
Ci sono stati, certo, anche momenti di grande difficoltà legati a carenze logistiche e di approvvigionamento.
Era molto complicato quando finivano i farmaci e i presidi perché a volte si doveva fare il giro delle sette chiese per recuperare un catetere o qualcos’altro che ci serviva, ma devo dire che le abbiamo superate tutte, noi rianimatori siamo resilienti, flessibili, siamo abituati a lavorare sempre al limite e ci sappiamo adattare molto bene alle situazioni, trovando sempre delle buone risorse.”
Qualcuno ha scritto che in rianimazione a Bergamo non tutti fossero positivi al tampone ma ci fossero anche casi negativi. Ho aspettato a lungo di intervistarla anche per chiarire questo punto non da poco, a mio avviso, visto che i numeri hanno avuto ed hanno un peso determinante in tutta questa storia. Dunque è vero che non tutti i ricoverati in terapia intensiva erano positivi al tampone? E, se sì, come è possibile? Il test non è affidabile o c’è un’altra spiegazione?
“Nelle rianimazioni CoViD-19 i pazienti non risultavano tutti positivi al tampone, sebbene la maggior parte lo fossero, poi abbiamo testato ovviamente anche gli antigeni che confermavano la positività.
Parliamo di marzo e aprile, periodo in cui i tamponi erano meno attendibili di quelli in uso oggi e c’era, effettivamente, la possibilità di avere diversi falsi negativi, ma la clinica che ci trovavamo davanti era sempre comunque molto netta e le immagini radiologiche erano inequivocabili: non poteva che essere CoViD-19.
Poi avevamo la dimostrazione che le nostre cure funzionavano.
Quindi direi che la presenza dei tamponi falsi negativi all’interno dei reparti di rianimazione non ha rappresentato assolutamente un problema nei confronti della gestione clinica della malattia”.
Si è sentito dire che le autopsie sulle persone decedute siano state condotte quasi in segreto perché il Ministero della Salute aveva scoraggiato tale pratica, fu così che si è scoperta la vera causa di morte da CoViD-19: non polmonite ma CID, coagulazione intravasale disseminata. Questa informazione che è circolata è corretta? Se le autopsie fossero state fatte fin da subito per ogni decesso (come indicato dalla Società italiana di Anatomia patologica in un documento diramato il 22 marzo) e le informazioni a riguardo fossero circolate prima, si sarebbe potuto evitare un numero così alto di decessi?
“La circolare 08/04/2020 del Ministero della Salute sconsigliava che le autopsie fossero condotte in ambienti non adeguati, cioè in sale autoptiche che non avessero requisiti di sicurezza specifici. Bergamo, Niguarda e l’Ospedale Sacco hanno questi requisiti di sicurezza, pertanto in questi ospedali venivano condotte, all’inizio in misura limitata per una difficoltà oggettiva.
La verità è che le autopsie sono state fatte fin dall’inizio ed è proprio così che è stata scoperta la causa principale di morte che è appunto la CID (la coagulazione intravasale disseminata).
I pazienti in realtà avevano sia la polmonite interstiziale, sia la CID, ma anche altre patologie perché presentavano insufficienza renale, endocarditi, miocarditi, danni neurologici, quindi la presentazione clinica era estremamente variegata.
Le autopsie sono state fatte fin da subito, la CID noi l’abbiamo capita molto presto e di conseguenza l’informazione che è circolata non è proprio corretta, è una narrazione un po’ mitologica del CoViD-19 di quei primi mesi: aver fatto le autopsie due settimane prima non avrebbe cambiato l’esito e i numeri in maniera sostanziale”.
Si è parlato di ‘terreno fertile’ per lo sviluppo delle conseguenze più gravi dell’infezione da CoViD-19. Cosa avevano in comune i pazienti che sono andati incontro alle complicazioni più serie? Quanto ha influito sul numero dei malati e dei deceduti uno stato pregresso di infiammazione ?
“Oggi è cosa nota che il 95% dei pazienti positivi siano completamente asintomatici, il 5% invece si ammala; parte di questo 5% si ammala in modo grave e una parte ancora più piccola muore.
La mortalità è molto bassa, come è molto basso il numero della morbilità grave.
Generalmente i pazienti che si complicano sono quasi per la maggior parte persone con delle patologie pregresse su base infiammatoria come la sindrome metabolica, l’ipertensione arteriosa e le patologie autoimmuni.
Successivamente questo è cambiato e sono iniziate ad arrivare persone più giovani e poi anche persone con un’anamnesi completamente negativa, poche, ma ci sono anche loro.
Quindi è veramente un virus che può, in certi casi, cogliere alla sprovvista perché, in realtà, nessuno di noi sa quale sia effettivamente il proprio livello di salute, dato che viviamo in un mondo molto inquinato, respiriamo aria, beviamo acqua e mangiamo cibi spesso “avvelenati” quindi, sostanzialmente, nessuno di noi sa quale sia realmente il proprio livello di salute.
Questa purtroppo è la realtà dei fatti”.
Al di là del terreno individuale come mai, secondo lei, il nord Italia è stato così colpito? Eventuali altri fattori predisponenti o modalità errate nell’affrontare l’epidemia?
“Non ho idea. È ancora tutto da capire. Possono esserci tante concause: l’inquinamento, la densità demografica della regione, gli spostamenti intensi all’interno del territorio, la presenza di aeroporti internazionali come Malpensa e Orio al Serio. Questo aspetto però purtroppo è ancora qualcosa di poco noto.
Ci sono tante ipotesi da prendere in considerazione, ma nessuna certezza. Il problema è anche stato quello di aver lasciato totalmente sguarnita e impreparata la medicina di territorio, aver lasciato i medici di base totalmente a loro stessi: si ammalavano, lasciavano i posti vacanti e i pazienti non potevano andare da nessuno, quindi si riversavano negli ospedali saturandoli.
Ma vanno considerati anche i tagli impressionanti alla sanità effettuati nel corso degli ultimi dieci anni, con favoritismi enormi e ingiustificati verso la sanità privata.
Questo impoverimento drammatico della sanità pubblica, purtroppo, ha portato a tutto questo. La scellerata condotta neoliberista applicata alla medicina ha portato a questo dramma”.
Il 24 aprile Lei e 32 colleghi, primo firmatario il prof. Piero Sestili, ordinario di farmacologia dell’Università di Urbino, scriveste un appello al ministro Speranza perché fosse incentivato l’utilizzo del desametasone in ambito extraospedaliero per frenare la famosa cascata infiammatoria riducendo l’aggravamento della malattia e di conseguenza il numero dei morti. Quell’appello è rimasto senza risposta ma, due mesi dopo, il Regno Unito annunciava al mondo intero che l’utilizzo di questo farmaco poteva avere un ruolo chiave nel salvare vite umane. Il 27 aprile Lei ha anche scritto una mail al Suo ordine di appartenenza rendendosi disponibile a contribuire ad un eventuale tavolo di lavoro per aiutare i colleghi impegnati sul fronte della cura a domicilio. Non solo questa mail è rimasta senza risposta, ma l’Ordine dei medici ha anche avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Come è andata a finire?
“Quello che lei dice è tutto vero, abbiamo scritto questa lettera indirizzata al ministro Speranza, ma è assolutamente caduta nel vuoto.
Successivamente un ampio studio dell’Università di Oxford, studio noto col nome di RECOVERY (Randomized Evaluation of CoViD-19 ThERapY), ha dichiarato che l’utilizzo del desametasone in fase precoce può salvare molte vite: noi l’avevamo già detto, ma il nostro appello è stato totalmente inascoltato, gli inglesi sono arrivati due mesi dopo.
Come è andata a finire? Nessuno ci ha mai interpellato, ma ad un certo punto, in uno dei protocolli terapeutici dell’Istituto Superiore della Sanità, che sono assolutamente consultabili e alla portata di tutti, compare come indicazione verde il desametasone.
Questo è successo dopo quel famoso studio inglese. Penso che almeno il Prof Piero Sestili, primo firmatario dell’appello, avrebbe dovuto ricevere una telefonata con delle scuse da parte di un ministro o del Presidente della Repubblica in un momento di così grave avversità per la Nazione.
Però nessuno l’ha fatto e questo riteniamo che dia veramente il polso della situazione. Non ci sono commenti da fare, se non fare i conti con tanta amarezza”.
Oggi cosa dice la clinica? Il CoViD-19 è cambiato? L’emergenza è mutata? Le persone possono vivere con più serenità o no?
“A fine settembre le avrei potuto rispondere di sì. Oggi, nel momento in cui le sto rilasciando l’intervista, non ne sono più così sicuro, si è attivata una seconda ondata, anche se per ora con toni decisamente minori rispetto a marzo e aprile.
Il CoViD-19 non è cambiato, la clinica ci dice che è esattamente lo stesso. L’emergenza però è mutata perché lo sappiamo curare meglio, siamo più pronti, tanti medici adesso hanno capito, a differenza di marzo e aprile, che cosa devono fare, stanno agendo bene, c’è stata una gestione condivisa da tanti di noi.
Noi medici ci siamo attivati per fare “comunità” e redigere protocolli terapeutici per le fasi iniziali, cioè quelle più subdole e critiche.
Anche l’utilizzo nei luoghi affollati delle mascherine, sebbene possano avere un ruolo molto limitato, e il lavaggio delle mani, che è stato finalmente riscoperto, sono misure che hanno garantito che il virus si propagasse con più lentezza, ma gli ultimi giorni ci stanno dicendo che il virus è ripartito.
Sostanzialmente, le caratteristiche epidemiche in questo momento sono diverse rispetto a marzo e aprile, ma non sappiamo assolutamente cosa succederà nelle prossime settimane.
Io ragiono da medico e il mio lavoro è quello di curare le persone. Ho già dei casi di CoViD-19 tra i miei pazienti e conoscenti che sto seguendo, quindi quello che dico a tutti in questo momento è: non facciamoci prendere dal panico, ma osserviamo realmente che cosa sta accadendo.
A noi medici clinici è richiesto questo: dire esattamente le cose come sono, senza pregiudizi, presunzione e preconcetti. In base alla nostra osservazione dobbiamo poter raccontare alle persone la verità, attraverso la fotografia del momento e, chiaramente, la nostra esperienza clinica ci deve portare ad una interpretazione ed eventualmente anche ad una previsione.
Lei mi ha chiesto se le persone possono vivere con maggiore serenità. Rispondo affermativamente perché ci sono le cure, sappiamo curare meglio i pazienti e poi, lo ripeto, la mortalità da CoViD-19 è effettivamente molto bassa, così come bassa è la morbilità, quindi se le persone in questo momento adottano uno stile di vita congruo alla situazione attuale, cioè prestano attenzione, possono realmente vivere la situazione con una maggiore serenità, senza farsi prendere dal panico.
In questa fase l’attenzione è fondamentale: il 95% dei contagiati è asintomatico, ma chi può dire con certezza che non sarà incluso nel restante 5%?”
La comunicazione è importante e in questi mesi ha indubbiamente contribuito ad alimentare il panico tra le persone stimolando soprattutto ansia. Quali saranno, per quanto riguarda la salute, le conseguenze a medio e lungo termine?
“Questa grande epidemia parallela di paura e di terrore avrà purtroppo delle conseguenze a lungo temine gravi e impegnative e che avranno effetti maggiori rispetto al virus stesso sia sugli adulti, che sui bambini.
Vediamo già adesso persone che non sono più centrate, ma sono completamente coinvolte nella dinamica della paura.
L’altra epidemia, purtroppo drammatica e anch’essa con conseguenze molto severe e di lunga durata, sarà quella economica”.
Alcuni suoi colleghi sostengono che con la mascherina si respira male e si può andare in ipercapnia con rischi di svenimento connessi e che intorno a bocca e naso si può creare una cappa di aria viziata e piena di microbi. Si è parlato, in particolare, anche di rischi dovuti all’utilizzo delle mascherine in età pediatrica. Lei è anche padre, oltre che medico, qual è il suo pensiero a riguardo?
“Per quanto riguarda i bambini ritengo che l’utilizzo delle mascherine sia assolutamente sbagliato. Questo l’ho sempre detto. Un conto sono i ragazzini, ma i bambini proprio no.
I bambini si esprimono con la mimica facciale, con il pianto, con il sorriso, con il viso e con il contatto: togliere ai bambini questi aspetti significa limitare la loro espressione, il loro essere bambini, è qualcosa di profondo e grave.
I bambini hanno inoltre una fisiologia respiratoria caratteristica e l’utilizzo delle mascherine la influenza moltissimo, quindi i bambini non dovrebbero assolutamente indossare la mascherina, anche perché la sporcano mentre parlano, perdendo muco e la mascherina diventa quindi qualcosa di sudicio, un ricettacolo, un terreno di coltura per batteri opportunisti.
Come dice il prof. Donzelli, c’è il gravissimo rischio di inalare nuovamente i propri virus, quindi di aumentare e amplificare tantissimo la propria carica, questo succede anche per gli adulti.
Allora il mio pensiero in questo momento, e mi riallaccio a quello che dice il prof. Donzelli, è: sì alla mascherina nei luoghi chiusi e affollati, con persone a stretto contatto le une con le altre, no all’uso della mascherina all’aria aperta o per le vie della città, a meno che non ci si trovi in ambienti affollati.
Diversamente, indossare mascherine all’aperto, quando è possibile mantenere delle distanze adeguate, è assurdo e contrario a ogni conoscenza medica”.
Attualmente c’è un gran caos sul certificato medico per la riammissione a scuola degli studenti dopo un’assenza per malattia. Secondo il Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri Paolo Biasci “Non c’è modo di distinguere un’influenza stagionale dal CoViD-19, di conseguenza va eseguito sempre il tampone”. Dal Prof Zuccotti, direttore della Cinica pediatrica dell’ospedale Buzzi di Milano, invece, è arrivato l’avvertimento che l’abuso di tamponi sta facendo danni ai bambini. Davvero per un pediatra non è possibile distinguere tra i sintomi di una normale influenza e CoViD-19? I test salivari potrebbero rappresentare una soluzione efficace e indolore?
“I sintomi iniziali dell’influenza e del CoViD-19 sono totalmente indistinguibili, soprattutto nei bambini, e pertanto è molto difficile poter fare una diagnosi differenziale, bisogna affinare molto l’osservazione.
Per evitare un numero esagerato di tamponi ai bambini, già molto tempo fa avevamo proposto di praticare un periodo di quarantena di 10 giorni. Se il bambino, alla fine di questo periodo, non ha febbre né sintomi di alcun tipo, si può considerare che non ha più una carica virale elevata, e quindi non è più infettante ed è guarito, di conseguenza, è possibile evitare di eseguire il tampone.
Questo oggi è stato messo in pratica ed io concordo in pieno con questa condotta.
Sono assolutamente d’accordo anche con il prof. Zuccotti quando ha dichiarato che siamo in presenza di un vero e proprio abuso di tamponi, ma qui purtroppo, da un lato ci troviamo di fronte alla medicina difensiva e dall’altro, ci sono tanti colleghi che sono molto impauriti e hanno perso, in questo momento, la capacità di ragionamento. Molti, ma non tutti.
I test salivari potrebbero essere certamente una soluzione efficace e indolore”.
L’utilizzo dei gel disinfettanti può essere pericoloso alla lunga per il microbiota cutaneo? Al di là di un buon lavaggio delle mani con acqua e sapone, ci sono alternative ugualmente efficaci e migliori?
“Sì, l’utilizzo dei gel disinfettanti può alla lunga essere pericoloso per il microbiota cutaneo. Sono assolutamente contrario che i bambini usino gel idroalcolici. La pelle giovane dei bambini si può danneggiare, possono comparire eczemi, ragadi, dermatiti e questo è sicuramente un problema.
Un buon lavaggio con acqua e sapone è la cosa migliore. Inoltre usare gel idroalcolici è totalmente inutile perché i bambini si toccano continuamente gli occhi, la bocca e la mascherina, così che le mani sono come prima di aver messo il gel.
Il gel può essere usato dagli adulti che hanno un’accortezza maggiore, ma soprattutto va usato in ambiente ospedaliero dove poi comunque si indossano i guanti, ma lì è un altro discorso”.
Parliamo di prevenzione. I dati presentati in una delle sessioni di apertura del Congresso europeo e internazionale sull’obesità di quest’anno (ECOICO 2020), hanno mostrato la chiara relazione tra l’obesità e la gravità della malattia CoViD-19. Dunque è sempre più evidente che, alla base, c’è un precario stato di salute (pregresso al virus) e che, forse, sarebbe opportuno fare informazione per cambiare lo stile di vita e di alimentazione, piuttosto che far credere che distanziamento, mascherine, test, tamponi, vaccini e quarantene possano salvarci. Invece il martellamento dei media è stato, e continua ad essere, su questi argomenti piuttosto che su un approccio più salutogenico. Almeno questa è la mia opinione. Qual è la Sua dottore?
“Cambiare stile di vita e alimentazione è fondamentale, sono coautore di un libro che parla proprio di prevenzione e ne sto scrivendo uno da solo sempre su questa tematica.
Dobbiamo tornare a fare una medicina realmente preventiva. Se vogliamo innalzare il livello di salute, l’unica possibilità che abbiamo è quella di garantire un terreno che non sia inquinato e che sia il meno possibile suscettibile alle infezioni.
Lavorare sulla prevenzione non è qualcosa in più, ma qualcosa che deve essere considerato primario”.
Inevitabilmente in questi prossimi mesi anche una sintomatologia banale creerà un grosso allarme. Quali sono i suoi consigli per fare una buona prevenzione e migliorare l’immunocompetenza di adulti e bambini?
“Innanzitutto rivolgersi a dei medici che parlino questo linguaggio, che conoscano il problema e ci lavorino quotidianamente.
Ogni persona ha bisogno della propria prevenzione, come della propria medicina.
La prevenzione deve essere individualizzata sulla persona, non si possono dare protocolli generalizzati, il grosso del lavoro deve essere fatto sempre con il paziente di fronte per capire quali sono le sue esigenze e se deve apportare correzioni al proprio stile di vita perché, molto spesso, si deve fare proprio questo.
Pertanto ogni paziente avrà una sorta di piano terapeutico differente.
Ovviamente l’alimentazione è fondamentale per tutti, è necessario avere un’alimentazione disinfiammante che significa: non consumare cibo industriale e raffinato, eliminare le farine raffinate, ridurre il consumo di glutine, ridurre, se non azzerare, il consumo di latte vaccino e derivati, quindi ridurre anche l’introito di caseina. Dovremo azzerare il consumo di zuccheri. Mangiare molta frutta e verdura biologica, viva e vitale, a chilometro zero vero e certificato. Dovremo lavorare sul nostro intestino per renderlo sano, perché è lì che si generano la maggior parte delle malattie.
Dovremo lavorare con una terapia probiotica individualizzata, specifica per le singole esigenze.
Dovremo disinfiammare anche con prodotti specifici, come ad esempio la lattoferrina che funziona molto bene o altri prodotti che vanno ad integrare la dieta, ma che hanno anche un ruolo molto importante da questo punto di vista.
Anche lo stimolo attraverso le citochine come insegna la cosiddetta Medicina di Segnale può essere estremamente funzionale per far trovare il nostro sistema immunitario più pronto a fronteggiare un’eventuale infezione e, soprattutto, meno incline a sviluppare le famigerate cascate citochiniche che generano malattia”.
RingraziandoLa per la Sua disponibilità, un’ultima domanda per chiudere questa intervista, Dottor Manera. In questa vicenda durissima che ci sta coinvolgendo tutti ormai da tanto (troppo) tempo, quali sono, secondo lei, le lezioni da imparare e quali gli errori da non rifare?
“Gli errori da non rifare sono prevalentemente quelli soprattutto legati alla distruzione della medicina del territorio, ma purtroppo questi mesi sembrano non aver insegnato nulla perché ci ritroviamo di fronte ad una medicina del territorio che è ancora molto impaurita e sguarnita.
Gli errori da non rifare sono anche quelli di non considerare la medicina preventiva che, invece, è fondamentale.
Errori sono anche quelli che hanno portato a non considerare anche le voci non ufficiali, le voci non sempre istituzionali che però, magari, hanno anche loro qualcosa di importante da dire e non necessariamente sciocchezze come erroneamente si presume.
La lezione da imparare è che bisogna tornare a una medicina della persona, questa epidemia ce lo sta chiedendo.
Bisogna tornare a una Medicina illuminata che accetti il dialogo, la critica, il confronto, che accetti anche pareri diversi, mettendoli insieme.
Si deve tornare a vedere l’uomo nella sua centralità e non il profitto, non i numeri, non il budget.
La Medicina deve tornare a curare la persona, il medico deve tornare a praticare l’Arte Medica che è l’arte lunga, come la definì lo stesso Ippocrate, Medicina come arte che ascolta.
La Medicina non è una scienza, è un insieme di scienze, è una procedura scientifica, la Medicina è prevalentemente ascolto.
O torniamo a questo tipo di Medicina o altrimenti non saremo più in grado di curare le persone, i medici saranno solo dei professionisti tecnici, molto preparati, ma allontanati definitivamente dal piano umano.
E questa sarebbe sostanzialmente una condanna a morte per la Medicina”.
FONTE: https://valentinabennati.it/covid-19-gli-errori-da-non-ripetere-le-lezioni-da-imparare-2/
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Quindi è veramente un virus che può, in certi casi, cogliere alla sprovvista perché, in realtà, nessuno di noi sa quale sia effettivamente il proprio livello di salute, dato che viviamo in un mondo molto inquinato, respiriamo aria, beviamo acqua e mangiamo cibi spesso “avvelenati” quindi, sostanzialmente, nessuno di noi sa quale sia realmente il proprio livello di salute. Questa purtroppo è la realtà dei fatti”.
Su questo ci sarebbe da pensare per giornate intere, altro che covid19
Massimo concordo con te.
Matera credo tema di potersi trovare tra incudine e martello e che questo detti la sua posizione; in ogni caso parte dalla sua esperienza clinica e di questo vuole si parli, evidentemente preoccupato che non si ripetano quegli errori.
Mi pare ragionevole e lo apprezzo molto, perché anche da quel punto di vista e molto urbanamente, sta dicendo che il re è nudo
Per Matteo. Allora aggiungo altro (anche se probabilmente l’ho già scritto in questo blog, ma ‘repetita adiuvant’).
Al 31 maggio a Bergamo e provincia, secondo stime non mie basate su ragionamenti attendibili, ci sono stati 3090 morti ufficiali e 6100 reali (intendendo il differenziale tra i decessi storici e quelli del 2020, tenendo anche conto che i primi due mesi del 2020 hanno avuto meno decessi di quelli statistici). Di questi, secondo mie stime 3550 sono stati morti inutili: se Bergamo avesse avuto lo stesso trend di Varese, Como, Lecco, Milano, Monza, Pavia, Mantova … i decessi sarebbero stati 2550. I decessi per provincia sono comunque solo un dato stimato: le statistiche ufficiali – escluso solo un dato a metà marzo – menzionano solo i decessi per l’intera regione e non quelli per provincia. Sommando anche Lodi, Cremona e Brescia, che hanno avuto un trend simile a Bergamo anche se molto più soft, soprattutto in termini specifici (contagi per milione di abitanti) non è fuori luogo pensare che da 7000 a 8000 persone su 16000 siano morte per nulla. Questo solo in Lombardia. Ma anche Piacenza ed alcune altre province fuori Lombardia hanno anomalie simili. Chi è responsabile per questo? Chi ha presentato 4 esposti tra marzo e inizio giugno neppure è stato contattato dalla Procura di Bergamo. E’ evidente che c’è troppa gente da coprire: i funzionari del Ministero della Sanità (non Conte che non c’entra, ma chi lavora nei ministeri si), le Sanità regionali, le Sanità locali, i responsabili dell’organizzazione della partita (FIFA in primis, ma anche chi ha lucrato sull’evento perchè 46000 persone presenti a 100 Euro a persona fanno 4 milioni e mezzo di Euro …, chi ha concesso San Siro, che è del Comune di Milano, la Questura di Milano che ha autorizzato l’evento sapendo cosa c’era in giro, il giornale locale di Bergamo che ha pompato l’evento per cui a Milano sono finite due volte e mezza le persone che ci sarebbero state nello stadio di Bergamo ….), i responsabili che hanno concesso gli assalti alle piste di sci a Bergamo e Brescia l’1 e l’8 marzo quando era già scoppiato il caso Codogno …. Ci sarebbe da mettere in galera mezza Italia (e non solo …)!
Sta bene ciò che dice Manera. Ma è solo una parte del problema, e neppure forse la parte principale, almeno per quanto riguarda il pregresso della scorsa primavera.
Saluti.
Massimo Silvestri
Ma guarda, guarda, nell’intervista ci sono praticamente tutte le cose che ho sostenuto nei mesi passati circa le mascherine, la comunicazione terroristica, le misure inutili…oltre a molto d’altro che solo un medico può dire.
Allora non sono proprio rincoglionito del tutto!
Circa quello che scrive Massimo, credo che Manera voglia proprio evitare di scatenare polemiche in modo che il messaggio che ricava dalla sua esperienza sul campo possa avere la possibilità di passare: e non i sento di dargli torto in un periodo di informazione assolutamente polarizzata e irrazionale come questo.
Bellissimo articolo, complimenti al Dr. Manera e a tutti i suoi colleghi per il loro impegno in prima linea.
A mio modestissimo parere, il messaggio si sintetizza nella seguente sua frase (che è poi metafora dell’analisi dell’attuale società, iperconsumista ma anche edonista fino alle estreme conseguenze: produttori e consumatori sono correi in pari misura, chissà se questi ultimi capiranno la lezione di vita e alzeranno il piede dall’acceleratore dei consumi. Questi trend sono collegati con la sbandata sanitaria in corsa – troppa attenzione ai consumi individuali, si è perso il senso del “collettivo”, compreso il sistema sanitario capillare dei medici “della mutua”):
Si deve tornare a vedere l’uomo nella sua centralità e non il profitto, non i numeri, non il budget.
Il dr. Manera non affronta il punto cruciale della questione. Cio’ che e’ successo a marzo ha origine nella assoluta mancanza di ogni ricerca preventiva del virus (ovvero di tutte quelle polmoniti atipiche che si sono manifestate gia’ da ottobre 2019) che avrebbero dovuto bloccare tutti i macroeventi diffusivi (vedi le partite di calcio – Aralanta Valencia insegna, ma non e’ il solo caso, ce ne sono stati molti altri – e gli assalti alle piste di sci dell’1 e dell’8 marzo) alterando completamente la probabilita’ di diffusione che in condizioni normali e’ proporzionale alla densita’ abitativa. Invece a marzo fatti 100 i decessi a Bergamo (400 abitanti per km2) la media delle province lombarde escluse Lodi Cremona e Brescia ma inclusa Milano era a 15!
Guardate infatti cio’ che sta accadendo ora: dove si verificano i contagi? A Milano, a Monza entrambe zone con densita’ superiore a 2000 persone per km2, a Bergamo ora sono quasi inesistenti! Questo conferma l’atipicita’ di quanto accaduto a marzo, non siete d’accordo?
Chi doveva tracciare? Tutti. Il Ministero della Sanita’ (il Cts era di la’ da venire a gennaio…), le regioni, le Ats locali … tutti! Esattamente quello che e’ stato fatto per casi di meningite nella zona del basso Sebino a fine gennaio. E non e’ stato fatto nulla!
Per il momento non aggiungo altro.