Crater glacier: il ghiacciaio più giovane della Terra

Il ghiacciaio nato nel cratere del Mount St. Helens dopo l’eruzione del 1980.

Crater glacier: il ghiacciaio più giovane della Terra
di Giovanni Baccolo
(pubblicato su storieminerali.it nel maggio 2022)

Quando i ghiacciai si ribellano: ghiacciai che crescono
Ecco la storia di Crater Glacier, un ghiacciaio nordamericano che nonostante la limitata dimensione detiene due importanti primati. È il ghiacciaio più giovane presente sul nostro pianeta ed è allo stesso tempo quello che cresce con il ritmo più veloce. Avete capito bene, un ghiacciaio che cresce, possibile? Decisamente sì e in questo Crater Glacier non è solo.

Il cratere del Mount St. Helens con le due colate di Crater Glacier ben visibili. Foto: Jon Major (USGS).

Quando sentiamo parlare di ghiacciai le cronache fanno ampio ricorso a termini quali ritiro, sfacelo, declino, scomparsa. I ghiacciai sono il termometro del pianeta e in un mondo sempre più caldo lo spazio occupato da essi è inevitabilmente destinato a ridursi. Come dicevamo ci sono però delle eccezioni. Sulla Terra sono presenti alcuni (pochi) ghiacciai attualmente in espansione.

Nella maggior parte dei casi si tratta di sistemi glaciali che hanno un comportamento oscillante: si sviluppano e superata una soglia si ritirano, iniziando un nuovo ciclo espansivo. Ad alimentare queste dinamiche è lo sbarramento delle colate in espansione, che come vere e proprie dighe chiudono grandi corpi idrici, provocando l’accumulo di enormi quantità d’acqua. Quando questi diventano troppo grandi, le dighe collassano, portando all’improvvisa distruzione di una parte del ghiacciaio e all’avvio di un nuovo ciclo. A ben vedere questi ghiacciai non sono davvero in espansione, ma seguono un’evoluzione che a causa di condizioni al contorno particolari, fluttua periodicamente tra minimi e massimi.

L’anomalia del Karokarum da satellite: il comportamento del ghiacciaio Baltoro (Pakistan) tra il 1991 e il 2015. Nasa Earth Observatory.

In altri contesti è stato il cambiamento climatico a portare beneficio ad alcuni fortunati ghiacciai. Le conseguenze del cambiamento climatico non sono uniformi nel tempo e nello spazio (ne abbiamo parlato in merito a quanto sta accadendo nell’Artico). Se globalmente l’aumento della temperatura sta portando al declino della criosfera, ci sono casi per cui questo non sta avvenendo. In alcune sparute regioni il cambiamento climatico ha aiutato i ghiacciai, limitando il loro ritiro o addirittura portando a lievi incrementi dei bilanci di massa. Il caso più noto è quello della Karakoram Anomaly, che riguarda alcuni ghiacciai del Karakorum in Asia Centrale (propaggine occidentale dell’Himalaya). In questa regione arida il cambiamento climatico, anche grazie all’intensificazione dell’agricoltura e dell’irrigazione, ha fatto sì che negli ultimi anni il trasporto di umidità verso le montagne sia aumentato.

+ umidità = + neve

+ neve = + alimento per i ghiacciai

L’anomalia del Karakorum ai minimi termini. Forse qualcuno starà pensando che queste sono buone notizie. Non è così. Il mondo naturale è pieno di eccezioni che confermano la regola, è di questo che stiamo parlando. Su scala globale i ghiacciai si stanno ritirando a una velocità senza precedenti, a dirlo è un’intera comunità scientifica. I ghiacciai ribelli che si ostinano a crescere sono rari e non cambiano questo quadro preoccupante. A conferma di ciò, studi recenti mostrano che fenomeni come l’anomalia del Karakorum stanno svanendo, sovrastati dall’aumento delle temperature.

Anche se rari e poco significativi da un punto di vista globale, la comprensione dei meccanismi che si nascondono dietro a queste anomalie glaciologiche rimane un esercizio utile per apprezzare l’eterogenea complessità dei sistemi naturali.

Crater Glacier: un ghiacciaio nuovo fiammante
Tra i ghiacciai non ancora del tutto soggiogati dal riscaldamento globale, Crater Glacier è quello che nasconde la storia più particolare. Questo piccolo ghiacciaio non è solamente quello che negli ultimi vent’anni è cresciuto con il ritmo più veloce, è anche il ghiacciaio più giovane del pianeta. Caratteristiche così singolari nascondono una storia altrettanto unica. Crater Glacier è nato alla fine degli anni ’80 sul fondo di una grande nicchia scavata da un’eruzione vulcanica.

Le due colate del Crater Glacier. Sviluppato all’interno del Mount St. Helens, questo ghiacciaio circonda i nuovi duomi vulcanici sorti nel cratere dopo l’esplosione del 1980. Foto: John Pallister (USGS).

Cosa serve per creare un nuovo ghiacciaio? Un’eruzione vulcanica
Già alla fine dell’inverno la montagna aveva cominciato a tremare. Piccole scosse che si facevano via via più frequenti. Poche settimane più tardi gli strumenti evidenziarono che il vulcano stava anche deformandosi. Tutti segnali di una ripresa attività vulcanica, il Mount St. Helens, all’epoca uno strato-vulcano alto quasi 3000 metri, si era svegliato. Era da meta ‘800 che questo vulcano delle Cascades (Stati Uniti Occidentali) non dava segni di vita.

Mount St. Helens prima e dopo l’eruzione del 1980. Foto: Lyn Topinka (USGS).

La situazione precipitò il 18 maggio 1980, quando una scossa indotte dal movimento del magma provocò una grande frana lungo i versanti del vulcano. Fu come stappare una bottiglia di champagne: il crollo aprì la via al materiale in pressione all’interno del vulcano, dando il via all’eruzione. Tutta la parte sommitale dell’edificio vulcanico fu scaraventata a svariati chilometri di altezza. Terminato l’evento, la più devastante eruzione avvenuta in epoca storia negli Stati Uniti, il St. Helens aveva perso 400 metri, passando da 2950 a 2550 m. Una fossa prese il posto dell’antica vetta; una gigantesca cicatrice.

Vecchi e nuovi ghiacciai sul Mount St. Helens
Grazie alla quota e alle poderose tempeste di neve alimentate dalle correnti occidentali che investono le Cascades in inverno, il Mt. St. Helens vantava ben 14 ghiacciai distribuiti intorno al cono sommitale. Il versante settentrionale, grazie all’esposizione favorevole, era una vera e propria corazza di ghiaccio, ambita meta dagli alpinisti della costa occidentale degli Stati Uniti. A questo link trovate un bel racconto di una delle ultime salite alla vecchia cima prima dell’eruzione.

La parete nord del Mount St. Helens prima dell’eruzione. Foto: Joel Skok (panoramio).

La frana che innescò l’eruzione si staccò dal versante settentrionale della montagna. Lo stesso dove si era osservata la massima deformazione indotta dall’accumulo del magma. Fu quello il lato del St. Helens che esplose, distruggendo in pochi secondi la vetta del vulcano e la maggior parte dei suoi ghiacciai. Il calore rilasciato li fuse istantaneamente, alimentando enormi colate di fango e cenere che scivolarono dai fianchi del vulcano per decine di chilometri, distruggendo tutto ciò che trovarono sul loro percorso.

I ghiacciai del St. Helens prima e dopo l’eruzione del 1980. Immagine modificata dal report di Brugman & Post. Clicca per ingrandire.

Quando la coltre di cenere si dissipò, il Mount. St. Helens era un’altra montagna. Non solo la cima si era abbassata di quasi mezzo chilometro, ma una grande voragine occupava quello che prima era il fianco settentrionale della montagna.

Per qualche anno la nicchia creata dall’esplosione – larga due chilometri e profonda 700 metri – rimase un luogo molto poco adatto per la nascita di un nuovo ghiacciaio. Dal 1980 fino al 1986 il vulcano continuò infatti ad eruttare periodicamente, spargendo cenere incandescente ovunque. La temperatura era ancora troppo alta per permettere alla neve di conservarsi. Nel cratere non c’era traccia di ghiaccio e tantomeno di ghiacciai, solo ceneri ed esalazioni tossiche.

Solo quando l’attività vulcanica si interruppe, un poco di neve cominciò ad accumularsi anno dopo anno. Negli anni a venire fu chiaro che i nevai, diventati perenni, stavano ingrandendosi, cominciando a muoversi e a deformarsi sotto al loro stesso peso. Nel 1991 qualcuno parlò per la prima volta di un ghiacciaio. La sua superficie era di appena dieci ettari, sufficienti però per identificare Crater Glacier (anche noto con il nome indiano di Tulutsun Glacier): il ghiacciaio nato nel cratere del Mount. St. Helens. Solo dieci anni più tardi, nel 2001, la sua superficie era di oltre 1 chilometro quadrato, con uno spessore di 200 metri.

Un’altra vista del Mount St. Helens e di Crater Glacier. Foto: a cura di Bergman Photographic Services, per conto dell’USGS, tratta Schilling et al. (2004)

Vulcano e ghiaccio: un rapporto complicato ma proficuo
Fino al 2010 il ghiacciaio avanzava un metro ogni giorno, e si inspessiva 5 metri all’anno. Nonostante da allora la velocità sia diminuita, il ghiacciaio continua a espandersi ancora oggi, rendendo Crater Glacier il ghiacciaio con il più alto tasso di crescita della Terra.

I motivi di questo sorprendente comportamento sono diversi. Innanzitutto sono state le caratteristiche del nuovo cratere a rendere particolarmente favorevole la conservazione della neve e del ghiaccio all’interno della voragine. Orientata perfettamente verso nord, la gigantesca nicchia accumula grandi quantità di neve convogliate dalle valanghe che precipitano dalle pareti circostanti. Grazie a esse il ghiacciaio è come sovra-alimentato e riceve più neve di quella che cade per semplice deposizione atmosferica. Crater Glacier è nato perché l’eruzione ha creato un luogo ideale per la sopravvivenza di un ghiacciaio.

Un altro fattore che rende il ghiacciaio resistente ai cambiamenti climatici è la sua composizione. Il ghiaccio che definisce questo piccolo apparato è composto per un terzo da materiale vulcanico (ceneri e scorie) e solo per due terzi da ghiaccio vero e proprio. Visto il luogo dove Crater Glacier si è accresciuto, non c’è da stupirsi. Nelle fotografie si nota chiaramente che il ghiaccio di questo apparato è scuro e ricco di detriti.

Il fatto che il ghiaccio sia così sporco e “pesante” fa sì che in estate, quando la superficie va in fusione, il materiale presente nel ghiaccio che fonde si accumula sulla superficie stessa del ghiacciaio, formando uno strato che isola il ghiaccio dai deleteri raggi solari.

La colata orientale di Crater Glacier. L’aspetto gonfio e la fronte ripida sono chiari segni che indicano l’espansione del ghiacciaio. Foto: John Pallister (USGS).
La fronte di Crater Glacier, è evidente l’abbondanza di detrito vulcanico frammisto al ghiaccio. Foto: brewbooks.

L’ultima caratteristiche che rende anomalo il comportamento del ghiacciaio è un poco più tecnico ed è da ricercarsi all’interfaccia tra il ghiaccio e il vulcano stesso. I materiali vulcanici che riempiono l’anfiteatro del ghiacciaio sono in gran parte poco consolidati: ceneri e pomici che creano uno spesso strato di materiali altamente permeabile. I ghiacciai montani come Crater Glacier sono nella maggior parte dei casi di tipo temperato, vale a dire che almeno parzialmente fondono e accumulano acqua liquida all’interfaccia tra il ghiaccio e il substrato roccioso sottostante. L’acqua è importante perché lubrifica il ghiaccio, permettendogli di muoversi e scorrere con maggior facilità.

Le prospezioni indicano che a Crater Glacier, sebbene sia a tutti gli effetti un ghiacciaio temperato, manca completamente l’acqua basale. L’ipotesi più solida per spiegare questa mancanza è che a causa dell’alta permeabilità del substrato vulcanico l’acqua di fusione va perduta in profondità sotto al ghiacciaio. Niente acqua = niente lubrificazione. Il movimento del ghiacciaio risulta quindi ostacolato, limitando lo scivolamento verso valle e favorendo la conservazione della preziosa massa ghiacciata in quota.

Come sta Crater Glacier oggi?
L’esistenza del ghiacciaio è continuata tranquilla e pacifica fino al 2004, quando il vulcano si è nuovamente destato, cominciando a brontolare. Il movimento del magma ha dato il via a una nuova fase di deformazione del vulcano che si è concentrata proprio nella parte alta della nicchia, quella occupata dal ghiacciaio.

Il nuovo duomo vulcanico che a partire dal 2004 si è accresciuto intorno a Crater Glacier. Foto: Jim Vallans e Stephanie Konfal (USGS).

La spinta del magma ha gonfiato un nuovo duomo di roccia e cenere che ha letteralmente bucato il ghiacciaio, schiacciandolo verso le pareti del vulcano. Nonostante si temesse che il rinnovato flusso di calore proveniente dal vulcano fondesse il ghiacciaio, questo non è successo e anzi l’interazione con l’attività vulcanica ha dato una nuova spinta a Crater GlacierDeformandosi a causa dello schiacciamento, il ghiaccio nella parte superiore si è ulteriormente inspessito, provocando una nuova accelerazione al ritmo di avanzamento del ghiacciaio.

La spaccatura nel ghiacciaio causata dall’emersione del nuovo duomo vulcanico. Foto: a cura di David Weiprecht (USGS).
La pressione provocata sul ghiaccio dal duomo vulcanico ha deformato notevolmente il ghiaccio di Crater Glacier, aprendo giganteschi crepacci. Foto: Steve Schilling (USGS).

L’interazione con le emissioni vulcaniche ha inoltre prodotto dei giganteschi condotti verticali all’interno del ghiaccio. Questi sistemi di caverne sono stati in parte percorsi, regalando immagini a dir poco suggestive. Per motivi di copyright non posso riportarle, ma se questa storia vi ha conquistato consiglio di dare uno sguardo all’articolo pubblicato sul National Geographic che documenta queste esplorazioni.

Crater Glacier, e quindi?
La storia di Crater Glacier mi affascina perché ricorda che quando si ha a che fare con il ghiaccio e i ghiacciai non è sempre così scontato parlare di declino e sfacelo. A ben vedere ci sono stati altri casi in passato di nuovi ghiacciai comparsi successivamente a grandi eruzioni. Cito a esempio il ghiacciaio nato nella caldera del vulcano Katmai in Alaska, dopo l’eruzione del 1912.

Non fraintendetemi, ribadisco che questi piccoli ghiacciai e il loro comportamento ribelle non cambiano il quadro drammatico che descrive oggi la criosfera. È però importante ricordare che i ghiacciai sanno (e hanno saputo) fare anche altro che non arretrare e scomparire.

Quando ghiacciai e altri fenomeni naturali interagiscono, grandi cose accadono! Crater Glacier ci racconta proprio questo.

Per saperne di più
Brugman & Post (1981) Effects of volcanism on the glaciers of Mount St. Helens. USGS Circular.

Farinotti et al. (2020) Manifestations and mechanisms of the Karakoram glacier AnomalyNature Geoscience 13:8-16.

Horling (2022) Crater Glacier: A story of renewal in the aftermath of destruction. Post pubblicato sul blog dedicato alla Criosfera dell’European Geoscience Union.

Muller & Coulter (1957) Incipient glacier development within Katmai Caldera, Alaska. Journal of Glaciology 3:13-17.

Schilling et al. (2004) Posteruption glacier development within the crater of Mount St. Helens, Washington, USAQuaternary Research 61:325-329.

Sieberson (2013) The last ascent of Mount St. Helens. guidepost.

Walder et al. (2007) Emplacement of a silicic lava dome through a crater glacier: Mount St Helens, 2004–06Annals of Glaciology 45:14-20.

Welch & Guth (2020) See the eerie glacier caves carved by Mount St. Helens’s fiery breath. National Geographic.

Zemp et al. (2017) Historically unprecedented global glacier decline in the early 21st century. Journal of Glaciology 61:745-762.

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Crater glacier: il ghiacciaio più giovane della Terra ultima modifica: 2022-08-11T05:54:00+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Crater glacier: il ghiacciaio più giovane della Terra”

  1. 4
    grazia says:

    Grazie per l’articolo!
    Davvero molto interessante!

  2. 3
    Mario says:

    Articolo istruttivo, l’ho apprezzato.

  3. 2
    Giorgio Daidola says:

    Una storia affascinante, ben scritta, che tutti dovrebbero conoscere, alunni delle scuole dell’obbligo compresi, per capire cosa sono i ghiacciai, imparare ad amarli, temerli e rispettarli.  Per chi, come chi scrive, avrebbe voluto vivere in un epoca di grandi glaciazioni, leggere di questo nuovo ghiacciaio permette di sognare un po’…

  4. 1
    Alberto says:

    La vista del Mt. St. Helens è bellissima sia da ovest da dove si vede il cratere sia da Sud dove si il cono vulcanico che è rimasto dopo il 1980

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