(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/croci-e-simboli-della-montagna-1/)
Croci di vetta: dai dualismi allo spirito del tempo
Reinhold Messner, l’alpinista tra i più importanti di tutti i tempi, collezionista e fondatore di musei tematici sulla sua idea della montagna – i «musei dell’avventura» con le «reliquie» di quelle storie – conoscitore profondo di culture e di alpinismo, in occasione di un’intervista del 2012 aveva espresso la propria critica a proposito delle croci sulle vette:
“Ma che cosa significano? Duecento anni fa non c’erano e ora sono dappertutto, e questa è una conquista del cristianesimo, è giusto? Il buddhismo in Asia non è andato sulle cime, è rimasto con i monasteri alla base delle vette[30]“.
Ritornando sull’argomento in modo più articolato in un’intervista del 2016 spiegava perché ogni simbolo (religioso, politico o espressione di una weltanschaung) apposto su una vetta sia secondo lui una «manifestazione di forza», «un abuso di luoghi visibili da lontano, per dichiarare quello che la montagna non ha per natura». Quando era giovane preferiva arrampicare piuttosto che partecipare con i ragazzi del suo paese a queste manifestazioni che implicavano notevoli sforzi fisici per issare croci in vetta. E conclude:
“Naturalmente le croci esistenti dovranno rimanere per motivi storici. E non vorrei mai difendere qualcuno che abbatte con l’accetta le croci, questo è quasi un atto terroristico. La mia arma rimane la parola[31]“.
A distanza di tempo non è sostanzialmente mutata la sua posizione, sebbene un ricordo della sua prima salita a cinque anni con il padre sulla cima del Sass Rigais 3025 m, la vetta più alta del Gruppo delle Odle nelle Dolomiti, sia collegato all’immagine della vetta con la croce, all’ansia in quel momento di percorrere i passaggi più difficili della cresta sottile fino a raggiungere quel punto.
“Di fronte a tante apposizioni di segni dell’uomo in vetta bisogna ora mettere un limite. Croci dappertutto, nel Pamir il busto di Lenin sul Picco Lenin, finanche Mao ha fatto portare il suo busto sull’Everest, almeno così si dice. E’ meglio non mettere niente, nessun simbolo. All’inizio delle prime salite gli alpinisti non hanno apposto croci ma costruito ometti di sassi per evidenziare una cima. Nessuna religione, nessuna filosofia, nessuna ideologia ha il diritto di occupare una vetta perché si tratterebbe di una dimensione ancora «di conquista», di forza. Il sentimento della spiritualità deriva dalla tensione che si crea in chi guarda la montagna provando rispetto, a riparo dal «dogma dell’univocità»[32]“.
In una società multireligiosa e multietnica, la croce di vetta è in genere un simbolo per lo più assimilato, tollerato e non desta più reazioni scomposte, provocazioni clamorose, come è accaduto nel 2005 con il caso emblematico della statua del Buddha sorridente. Destinato volutamente all’«impermanenza» perché il materiale era di fragile porcellana policroma, è stato apposto nel 2005 sul Pizzo Badile 3308 m in Val Masino (Sondrio) da un gruppo di alpinisti e guide alpine, buttato giù dalla rupe dopo due anni e ridotto in pezzi nel vallone, infine restaurato e mai più riposizionato[33]. Di recente non si assiste a nuove crociate contro il fenomeno e non si richiede la bonifica radicale di questi simboli da tutte le cime. Prevale la tolleranza, come si evince dalle risposte a un sondaggio online, proposto dalla redazione di Montagna.tv nel 2017[34] a seguito di due atti vandalici. Oggi che per necessità si appongono antenne e ripetitori in montagna, si costruiscono parchi eolici sui crinali e per business – con scopi turistico-commerciali tutti da riverificare alla luce dei nuovi cambiamenti epocali – si richiedono grandi infrastrutture sulle montagne «cantierizzabili», il tema della croce di vetta sembrerebbe quasi declassato. Piuttosto si sollecita a rispettare la storia (anche di testimonianza di fede), a tenere a mente i principi generali di equilibrio e moderazione, a non entrare in conflitto con gli impatti sull’ambiente e con la qualità paesaggistica[35]. Ma anche a verificare la sicurezza con la salvaguardia dell’incolumità individuale poiché destò sconcerto il caso di un ragazzo diversamente abile rimasto schiacciato nel 2014 dallo schianto in Valcamonica di una grande croce di vetta dedicata a Papa Wojtyla[36]. In ogni caso, a nessuno verrebbe in mente di togliere la bianca statua della Madonna issata nel 1954 sulla vetta del Gran Paradiso 4061 m dal prete-alpinista Don Pierino Balma, recentemente restaurata e riposizionata. (…)
L’orientamento moderno del CAI, esposto nel nuovo Bidecalogo, sceglie nel complesso una visione meno «colonizzatrice» della montagna in merito a ogni infrastruttura, nel mantenimento e nella manutenzione di quello che già c’è, o nella bonifica di ciò che è ammalorato e/o abbandonato nell’ambiente perché non si utilizza più. L’interrogativo allora sorge spontaneo: la croce di vetta o qualsiasi altro segno materiale apposto dall’uomo in cima è o meno un’infrastruttura? Tenteremo di rispondere a questa domanda nel capitolo successivo. Nel contempo colpisce che proprio in Svizzera la Banca Cantonale Grigionese nel 2021 abbia scelto come marketing pubblicitario di posizionare ben cento stele di metallo sulle vette (se ne prevedevano 150), perfino su quelle considerate di alto pregio ambientale, al punto che si è resa necessaria una petizione per farle rimuovere.
Intanto nel 2009 la Diocesi di Trento, a seguito della sollecitazione della SAT (Società alpinisti tridentini, la più numerosa sezione del CAI) e dei movimenti ambientalisti, aveva emanato una «nota» sui segni religiosi in montagna suggerendo alle parrocchie di attenersi a quattro criteri pastorali. Si cercava di stabilire un orientamento comune visto il fiorire di croci metalliche illuminate da fari, alcune di misure sproporzionate, «legate a presunte apparizioni mariane, mai riconosciute», apposte su iniziativa di gruppi cattolici e di parrocchie[37].
Al di là di ogni credo religioso, al di là di chi si professa ateo o agnostico, nel tempo della vacua spettacolarizzazione del sé amplificata dai Social, la croce di vetta è usata per lo più come quinta scenica per una foto, ma è anche ricordo e la prova che si è arrivati su quella cima in quel dato giorno. In Appennino sono spuntate di recente «croci portatili», utilizzate per la frazione di pochi secondi giusto per scattare un selfie e riporre nello zaino il simbolo che garantisce «l’immagine coordinata», ben oltre le caratteristiche riconoscibili di ogni panorama di vetta.
Anche la croce di vetta potrebbe diventare uno stereotipo o un simbolo ormai laicizzato della montagna? I simboli della montagna, come ha ben dimostrato lo storico della letteratura Franco Brevini, permangono nell’immaginario collettivo anche per i loro aspetti oppositivi e contrari[38] (alto/basso, cima/abisso, cielo/inferno per esempio). La ricorrenza dello schema ascensionale, del movimento dal basso all’alto, è ricorrente nei sei simboli analizzati dallo studioso: gli animali alpini (l’aquila, il camoscio, lo stambecco, il cervo), il Cervino, lo chalet svizzero, l’Edelweiss (la stella alpina), Heidi, la piccozza. Simboli, che dal punto di vista estetico, nelle forme e nei significati, continuano a testimoniare «la persistente attualità» delle categorie filosofiche del Pittoresco e del Sublime che a partire dal Settecento hanno permesso di scoprire la montagna in sé, e di percepirla con un sentimento soggettivo moderno. (…) Simboli e croci di vetta destinati a rimanere si confrontano con lo spirito del tempo, più dinamico di quanto ci è dato pensare. Forse è il momento di osservare, rivedere definizioni e superare dualismi – gli schemi antinomici tipici della cultura occidentale – per approdare alla sfera del molteplice. Siamo immersi nella propaganda, nel linguaggio degli influencer, nell’artificialità che trasforma il corpo. Sono pronti i tempi per attingere al comune fondo umano come accade soprattutto nell’arte, nella cultura cinematografica, nella musica? Allontanate le reazioni troppo estreme, si avvicina la difficile ma più realistica accettazione della gravità del problema Pianeta, cui dovrebbe finalmente seguire un impegno collettivo, anche e non solo ecologico, per affermare in ogni campo i valori della sobrietà, dell’agire responsabile. Nell’Europa delle democrazie laiche e in Italia in cui si avverte un rinnovato risveglio del sentimento religioso e del sacro, la crescente secolarizzazione dei comportamenti e dei costumi impegnerebbe, al di là delle fedi, uno sforzo ben maggiore per affermare l’universalismo, l’inclusione delle pluralità religiose e di quelle laiche. Nella garanzia del principio di libertà è implicito negli spazi pubblici il rispetto di ogni credo e di ogni sensibilità. La Costituzione italiana sancisce la libertà di culto ponendo tutte le confessioni religiose sullo stesso piano, come sono pure sullo stesso piano la Chiesa cattolica e la Repubblica italiana in virtù dei vincoli del Concordato. In merito alle croci sulle vette ciò non si traduce nel cancellare i simboli della tradizione cristiana, ma piuttosto nel preferire – nel presente e nel futuro – l’assenza dell’ostentazione di ogni simbolo.
Note
[30] GAIA, Barbara 2012, p. 45. La polemica di considerare o meno le croci infrastrutture è contenuta nella replica di alcune lettere di soci CAI nella rivista Montagne360, settembre 2012, p. 64 in cui si riporta la nota citazione di Walter Bonatti – come ipnotizzato stendo le braccia a quella croce fino a stringerla al petto – al culmine della sua eroica impresa in invernale e in solitaria sulla Parete Nord del Cervino (1965).
[31] Intervista di ARNU, Titus del 31 agosto 2016, Reinhold Messner. Kreuze haben am Gipfel nichts verloren in «Süddeutsche.it»: https://www.sueddeutsche.de/bayern/alpinismus-reinhold-messner-kreuze-haben-am-gipfel-nichts-verloren-1.3144068
[32] Intervista inedita rilasciata il 24 marzo 2022 da Reinhold Messner a Ines Millesimi. Si segnala nei musei creati da messner la presenza di alcune installazioni e opere artistiche raffiguranti croci di vetta.
[33] Sul tema «Buddha o croce?» si vedano, oltre il cortometraggio del 2013: https://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/29/buddha.html; http://www.montagna.tv/media/1994/rotto-in-mille-pezzi-la-fine-del-buddha-sul-badile-intervista-a-jacopo-merizzi/
[34] Ricostruendo oggi i risultati del sondaggio del 13 ottobre 2017 «Croci e madonnine sulle vette, diteci la vostra» si è verificato che ha prevalso con grande stacco sulle altre risposte (903 voti) l’affermazione seguente: «Croci e madonnine fanno parte della tradizione e stanno bene sulle vette delle montagne». Si veda Montagna.TV 2017.
[35] Ricca è la sitografia a riguardo, i mass media e i Social offrono un quadro vivace dei punti di vista e delle dichiarazioni ufficiali delle associazioni ambientaliste. Di rilievo è qui segnalare che la stessa posizione enunciata nel documento del 2013 da Mountain Wilderness è stata assunta pubblicamente dalla Commissione Pastorale del Vescovado di Trento. https://www.mountainwilderness.it/etica-e-cultura/infrastrutture-e-croci-sulle-vette/
[36] https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/valcamonica_croce_cevo_wojtyla_cristo_ragazzo_disabile_morto_schiacciato-384287.html
[37] I criteri sono riportati nell’articolo di Diego Andreatta su Avvenire del 21 gennaio 2009: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-sacro-sale-in-vetta-ecco-le-regole_200901211011048330000
[38] BREVINI, Franco 2017, p. 202 sgg
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Stefano. Vediamo quanto dura Albino Ferrari come Direttore Editoriale. Troppo libero e autonomo per tacere e accettare certe logiche. Non è lui ad avere bisogno del Cai ma viceversa. Regge ormai benissimo sul mercato da solo. Non mi meraviglierei si dimettesse ora o al prossimo incidente diplomatico. Buonanotte.
https://www.cai.it/croci-di-vetta-il-presidente-generale-montani-chiarisce-la-posizione-del-cai/
Bravo Pasini.!.
Storia emblematica quella del Monte Pittaine. La gente ci sale dopo la posa della croce non per ignoranza ma per un processo caratteristico della nostra specie. Noi abbiamo bisogno di dare un senso a ciò che facciamo. Crice e delizia del nostro vivere. I simboli, con il loro contenuto emotivo ed evocativo, sono fornitori di significato. La croce nel mondo cristiano è uno dei più potenti: la salvezza attraverso il sacrificio e la sofferenza. La Madonna il simbolo della madre protettrice e ausiliatrice che sta dentro di noi dalla nascita. Senza la croce salire su quel mottarozzo per alcuni ha poco significato. Una gita banale. Per altri invece lo ha ugualmente, anzi. Ci metti la croce o una cappella, o nei secoli scorsi un Santuario ed ecco che magicamente diventa un’esperienza significativa ed interessante per tanta gente. Potenza dei simboli. Siamo fatti così. È interessante anche il fatto che spesso ai “cammini” oggi molto di moda venga dato un qualche aggancio simbolico: diverso è dire Via Francigena o Cammino della Luna da sentiero 112 A.
Dimenticavo, un’amministrazione comunale di non molti anni fa, farneticava di costruire una seggiovia che portasse sul Monte Pittaine (io lo chiamo ancora così).
Faccio presente che nella località di S.Maria Navarrese, Comune di Baunei c’è una cima rocciosa che domina l’abitato dal nome di Monte Pittaine di 482m.
Ricordo che da ragazzino (vivevo lì) si trattava di una gita nella macchia mediterranea poco battuta dove il sentiero si perdeva facilmente e ci si graffiava volentieri. Non ricordo più quanti anni fa, ma sulla cima venne posta una croce in metallo ben visibile dal paese. Poi si aggiunsero anche le stazioni di una via crucis e la cima cambiò persino nome per diventare: Croce Pittaine. Ebbene, da quando apparve la croce molti locali iniziarono a salirci. La cosa stupefacente è che prima non ci saliva praticamente nessuno.
Oggi il sentiero, che non è segnato, si segue bene e non ci si graffia più per la frequenza con cui viene percorso. Oltretutto è una bella gita, descritta su numerose guide apparse nel frattempo, frequentata da turisti e locali. Mi sono sempre chiesto come mai prima della croce i locali (molti li conosco personalmente) ignoravano totalmente quell’ascensione mentre oggi la frequentano assiduamente. La cosa è sicuramente positiva, intendiamoci, ma il dubbio che l’umanità, attratta da simboli convenzionali e codificati, sia un po’ rimbecillita, ce l’ho sempre avuto.
Meno male che, in questo caso, camminare su un sentiero fa bene.
Bertoncelli. Scusa Fabio però il tema sollevato da Stefano era la posizione del Cai sui simboli religiosi di vetta. Non tanto ciò che piace a te o a me. Personalmente io sono un “minimalista”, pochi sassi se proprio uno vuole ma bisogna fare i conti con l’esistente e con quello che viene aggiunto continuamente. Oggi sono stato su una cima dell’entroterra alla ricerca della fresca faggeta. In cima (dove mancavo da un anno) ho visto aumentare l’arlecchinata di segni, adesivi, segnavia, scritte… la povera e semplice statuetta della Madonna mi ha fatto tenerezza in quel ciarpame. Era la più modesta e discreta. Un segno di benevolenza e protezione materna anche per un miscredente come me. Le ho chiesto scusa per quella dimostrazione di arroganza e di esibizionismo umano.
35 parole sante e sagge.
Fabio la 1 o 3, le altre due mi viene sempre un po’ di depressione…
Ma dimmi non è bello vedere a tipo 300 metri piu’ sotto la croce di metallo illuminata dal sole che riflette e di indica la meta? meta fisica ma forse anche ben altro.
Oramai vado anche oltre l’aspetto religioso che cmq c’è eccome…religioso, sociologico e storico..
1) Sulla cima del Corno alle Scale (Appennino Bolognese) si innalza un enorme traliccio metallico a forma di croce, alto almeno una dozzina di metri e visibile da molti chilometri di distanza.
2) Sulla cima del Sasso Tignoso (Appennino Modenese) spunta un’umile e vecchia croce arrugginita che arriva a malapena a un metro d’altezza.
3) Sulla vetta della Cima dell’Omo (crinale tosco-emiliano) fino a pochi anni fa si trovava solo un ometto di pietre; ora anche lí c’è una croce di metallo alta due metri.
4) Sul Balzo Nero (Appennino Lucchese) esiste solo una pignatta col libro di vetta. Sfogliandolo, ho scoperto firme di inglesi, tedeschi, francesi, belgi, addirittura norvegesi; gli italiani erano in minoranza.
Voi che cosa preferite?
La tecnica della polarizzazione conflittuale assomiglia a quei rotoli adesivi che si facevano pendere dal lampadario in cucina per acchiappare le mosche. Come quei terribili rotoli non è un bel vedere. Anche se funziona. Non c’dubbio. Basta vedere quante mosche ci restano impigliate.
Grazie Pasini, la tua spiegazione puo’ essere plausibile visto con chi abbiamo a che fare (i giornalisti), per ora ritiro le considerazioni e faccio quello che mi hai suggerito
Stefano. Ti suggerisco di leggere con più attenzione la nota uscita sullo Scarpone a firma di Lacasella. Non si parla di rimozione dei simboli religiosi di vetta. La posizione sostenuta in quella nota e’ molto più articolata di come alcuni giornali l’hanno riportata, con la solita tecnica acchiappa-lettori della polarizzazione conflittuale. Siamo alle solite abitudini dei media di ogni colore come per altri argomenti dei quali anche qui abbiamo parlato.
Oramai è diventato di dominio pubblico su tutti i giornali la posizione anti croci del CAI. Anche il CaI accarezza (si fa per dire) il nuovo filone (imposto).
Agenda 2030, cambiamenti climatici tutti da dimostrare, iper fobia verso il covid (vabbe’ ci sta visto che molti soci sono anzianotti, poi peccato che ti facciano fino al 2022 firmare un modulo CHE NON PUOI FIRMARE perché ti chiedono se hai avuto il covid facendo un’autodichiarazione che per il dpr 455 non è possibile certificare stati di salute, ma lasciamo stare).
Ora le croci, via le croci… la cancel culture.. chi cancella il passato porta la societa’ verso la dittatura.
La dittatura non vuole simbolismi del passato, deve esserci solo lei.
La dittatura (il COMUNISMO) voleva togliere tutto, sradicare l’umanita’ e la soggettivita’ fondendo tutto con il collettivismo.
Togliere le croci non è altro che portare avanti la cancel culture.
Complimenti a chi lo fa, che ovviamente nemmeno immagina che razza di danno fa per il futuro.
Ovviamente 2023 ultimo anno socio e faro’ opera di proselitismo informando di questo fatto chi conosco. Molti se ne fregheranno, qno straccera’ la sua tessera.
Spero Gogna che non cancelli senza motivazione anche questo intervento. Grazie
Sul primo numero de La Rivista del CAI nuova veste c’è un articolo dell’antropologa Irene Borgna, che a quanto riportato dalle note biografiche, sta facendo anche lei un dottorato. L’articolo parla dell’abitudine umana di lasciare tracce in montagna. Parla delle lapidi commemorative dei caduti e dei tabelloni esplicativi, ma stranamente non parla dei simboli religiosi. Singolare. Eppure sono la “traccia” decisanente piu’ diffusa, almeno da noi. Tra l’altro sarebbe interessante da qualche parte raccogliere opinioni sulla nuova versione della Rivista. Magari la Redazione del blog potrebbe lanciare uno stimolo in proposito, così magari usciamo da certe dinamiche che stanno diventando veramente noiose e senza valore aggiunto ormai.
Per tutti gli interessati, segnalo che domani MARTEDI’ 14 marzo alle ore 21 il CAI Lazio organizza l’evento di presentazione con slides del volume Croci di vetta in Appennino. Invito tutti voi a partecipare in piattaforma facendo domande o una riflessione. Ecco il link GOOGLE MEET ztd-fctp-wyb
Ho già espresso altre volte la mia preferenza per scelte metodologiche molto differenti. Ad esempio quelle seguite dai siti torinesi istituzionali (Sezioni CAI, Scuole alp/scialp, ecc). Lì non è un porto dj.mare dove uno transita, magari del tituo incidentalmente, e lascia quello che gli passa per la testa formandosi Zorro o Capitan America o Paperino. evidentemente quelle scelte sono sensibilmente influenzate da parametri sabaudi. Essendo io un sabaudo prediligo spazi dj dibattito dove sia chiaro a tutti chi sta intervenendo e che sia persona accreditata a farlo piuttosto che un potto di mare aperto a chiunque.
Chiuda (almeno da parte mia) la parentesi fuori tema rispetto sll’articolo di Ines. Anzi le chiedo scusa per esser andato fuori tema, ma una chiosa era opportuna. Buona serata a tutti.
Sta storia del nome la trovo tediosa. Primo perché il valore va dato a cosa si dice e a come lo si dice. Francamente noto molta violenza e volgarità nei toni anche in questo blog. Questo mi fa paura che mettendo il mio nome mi ritrovo C. P. S. o qualche altro sotto casa con un bastone.
E comunque per commentare va lasciata una e mail.
A me personalmente interessa poco l’anonimato. Si possono scrivere cose interessanti o no, firmando o non firmando. Magari infastidiscono un po’ di più gli insulti anonimi, ma come già detto in tal caso ci troviamo di fronte al dilemma della zanzara sui testicoli d’estate mentre dormi solo con Chanel N. 5 addosso. Se la schiacci può essere peggio. Meglio contare sulla “resilienza” dei tessuti. Certo, come ogni scelta, ha un significato, compreso il “nom de plume”che si usa. Esattamente come la scelta di metterci la faccia oltre al nome su tutti i social. Le foto che le persone mettono su FB o whatsapp ad esempio sono sempre molto interessanti, anche i cambiamenti periodici, un po’ come quelle sulle tombe o sui manifesti dei funerali che però normalmente sono più stabili. Una forma popolare e a buon mercato dei ritratti per i posteri che i ricchi commissionavano ai vari pittori a seconda delle loro possibilità economiche. La democrazia popolare del ritratto ?
Stamattina sono stato all’ENEL, di me hanno voluto sapere cod. fisc. e numero cliente. In banca sono stati piu discreti, hanno voluto sapere il numero di conto , poi il mio nome me lo hanno detto loro, se fossi stato una SNC o S.A. il mio nome non interessava. I partigiani non si chiamavano certo per nome e cognome, e riguardo ai contrabbandieri il Davide Bernascono Van De Sfroos dice ” Mai ciamas per nom, mai fa frecass:”
Per chi negli anni ’80 leggeva l’AVANTI, alzi la mano chi sa chi si nascondeva negli articoli firmati Ghino di Tacco.
Anche Ulisse non si presentò al Ciclope con nome e cognome.
Se vado in internet e digito il mio nome e cognome escono almeno 10 persone e io non mi chiamo certo Mario Rossi.
Per cui…
Io direi che “il problema dei nick inventati è” tale solo per chi non riesce a “dedicarsi alle cose di sostanza, dal valore individuale”, cioé di chi non è capace di valutare gli argomenti, ma da loro un peso in base all’autorità, vera o più spesso presunta, di chi scrive.
DISCLAIMER: Quanto precede non vuole in alcun modo supportare gli sproloqui di Ratman 🙂
Ines, il problema dei nick inventati è antico come il mondo (specie se riferito a questo Blog, attivo dal 2013), anche perché è corposa l’impressione che molti nick, gira e rigira, facciano capo ai medesimi individui. Cambiano spesso maschera per motivi che sono i più vari (il più banale è cercare di illudere gli altri lettori che ci siano in “tanti” quelli allineati su certe posizioni). Il problema si risolverà solo e se il Blog modificherà la procedura di autentificazione per essere accreditati ai commenti. Nel frattempo, bisogna abituarsi: “non ti curar di loro…” anche se comprendo a che a volte diano sui nervi. Occorre dedicarsi alle cose di sostanza, dal valore individuale per il singolo ricercatore, come possono essere il lavoro sulle croci per te i quello sullo scialpinismo per me. Condividere con la comunità “seria” dei lettori (quella che non ha necessità di nascondersi dietro nick inventati) è di per se una bella soddisfazione. Aspettiamo ulteriori sviluppi. Ciao!
Ricordo a chi si cela in pseudonimi, tipo RATMAN 9), non rivelando la sua vera identità, che ciò segnala uno scarso senso di responsabilità personale e di autostima; tuttavia la scelta di un nome rispetto a un altro è però indicativa. RATMAN (alter ego di Deboroh La Roccia) è un personaggio di fumetti che incarna l’uomo comune. In effetti ci sta tutto leggendo il commento, piuttosto sgrammaticato e sconclusionato, che prescinde dal corretto uso-significato delle parole, ma procede per impulsi pulsionali sull’onda di stereotipi d’antan.
Detto questo, rivendico l’obiettivo del libro nato da un’accurata ricerca accademica, che porterà entro l’anno a un articolo scientifico su rivista indicizzata collegata all’Università di Innsbruck. Non un articolo su un giornalino parrocchiale o sul sito di CEPU International, per intenderci. Infatti io e il mio collega Dottorando Antonio Pica cercheremo di rispondere con rigorose tabelle al FENOMENO delle croci di vetta in Appennino, in Dolomiti e sulle Alpi per fasce altimetriche: rispettivamente over 2000 m, 3000 m, 4000 m slm. Ci stiamo lavorando. A questo proposito ringrazio Roberto Pasini che in un altro suo pensiero, pubblicato a proposito del primo articolo di Luigi Casanova sul volume, ha posto delle domande stringenti sui dati: erano le nostre! A cui speriamo di dare risposte esaustive.
Sono inoltre riconoscente non solo a Pasini 20) che dimostra di aver letto e sfogliato il libro, ma anche a Crovella 10) e a Regattini 13). Io penso che questo studio possa aprire a nuove porte e interpretazioni meno foderate da paraocchi. Soltanto se si parte dalla letteratura sul tema e non si giudica “di pancia”, si può tentare di comprendere il FENOMENO nella sua affascinante intensità. Mi hanno invitata a illustrare il volume sia Atenei, sia Sezioni CAI, sia Circoli culturali o biblioteche, a riprova che il tema è transdisciplinare e si presta a diverse letture e punti di vista. Non da ultimo, anche la televisione controllata dalla Conferenza Episcopale TV2000, mi ha invitata in diretta a parlare del FENOMENO proprio ieri mattina, e ne è venuto fuori un punto di vista breve ma interessante, molto godibile, e per tutti. L’ho pubblicato sul mio profilo FB per chi è interessato.
Guardare alle montagne come fonte di riconoscimento tribale è preistorico: basti pensare alla Valcamonica.
Colonizzare, appropriarsi delle vette (almeno quelle accessibili) lo è altrettanto, se non altro come punti di avvistamento e difesa, ma successivamente anche di culto.
Con la cristianizzazione tutti i precedenti punti apicali di riferimento e culto sono stati colonizzati da eremi, cappelle, chiesette. L’arco alpino e la dorsale appenninica sono pieni di esempi.
L’accelerazione, che daterei da fine ‘800 in poi, ha un’evidente significato di appropriazione etnica e nazionale, cioè di potere, con la scusa della religione (che a ben guardare è da sempre lo scopo della religione organizzata)
Adesso la religione è diventata l’economia, quindi il senso e lo scopo mi sembra siano rimasti invariati: l’appropriazione e lo sfruttamento.
Direi che mettere croci e metterle sempre più grosse, se inizialmente riguarda solo alcuni posti (più accessibili o più visibili) porta a un sentimento di appropriazione che conduce alla “valorizzazione”.
Occorre cambiare radicalmente il modo di rapportarsi con il diverso, il “selvaggio”; occorre modificare il nostro modo di rapportaci con esso.. Il nostro sentire deve evolvere e deve evolvere in un modo differente, rispettoso.
Deve essere superato, appunto.
Le croci magari non deturpano di per se’, quelle piccole…
ma poi crescono!
Certo che è così. Il crocefisso nell’attuale visione laica è un segnavia, ma non è un segnavia qualunque. Evoca quella cultura occidentale, da te sintetizzata, che però oggi come oggi è del tutto slegata dalla fede del singolo individuo.
Che la pratica sia relativamente recente è chiaro a tutti, prima non si andava sulle vette! ciò nondimeno è lo spostamento in alto di segnavia (religoisi o culturali poco rilieva) che dal Medioevo vediamo in molte nostre valli.
Pasini. Cero che la croce di vetta ha un valore tribale, cioè di appartenenza, in genere ad un insieme culturale. Sensato che siano state posizionate in particolari da gruppi istituzionali e non da singoli. Lo stesso valore immateriale, più o meno, avevano i canti di vette delle gite ufficiali dei gruppi (sezionali CAI o similari). Ci si radunava in vetta, anche sotto la tormenta, per un rito di appartenenza. In questo io “vedo” il particolare valore ideologico delle croci di vetta, a prescindere dalla fede individuale, che a questo punto storico non c’entra proprio più nulla.
Rubando il titolo ad una famosa opera filosofica, possiamo dire che la montagna è per noi uomini “Volontà e Rappresentazione”. Il lavoro di Millesimi, anche se relativo ad una zona specifica, è un contributo importante nella ricostruzione della montagna come “Rappresentazione. Appartengono infatti a questa dimensione i manufatti simbolici che gli uomini nel corso dei secoli hanno lasciato sulla cima delle montagne e lungo i percorsi di accesso. Una nostra caratteristica e’ sicuramente quella di lasciare segnali simbolici, di potere ma non solo, ovunque arriviamo. Penso ad esempio ai graffiti rupesti e alla bandiera sulla Luna. Chissà cosa si domanderanno gli alieni sul significato delle stelle e delle strisce e sul loro numero. Il libro di Millesimi è molto bello anche per la parte iconografica. Un’immagine vale a volte mille parole. Peccato non poter postare foto. Ci sono anche molti spunti di riflessione di vario genere che andrebbero discussi in modo non virtuale, con tranquillità, magari in una serata Cai. Ne segnalo due che mi hanno colpito. Il primo. La pratica di posizionare sistematicanente croci in cima alle montagne è abbastanza recente, risale all’Ottocento e quindi alla fase di inizio della frequentazione sistematica. Inoltre è quasi sempre iniziativa di gruppi. C’è dunque una dimensione “tribale” inportante, che richiede uno sforzo e una fatica di gruppo, almeno prima degli elicotteri. Il secondo. A quanto pare sulle cime prevale la croce senza il Cristo, mentre la simbologia mariana sembra più diffusa lungo i percorsi, in linea con il ruolo di “Ausiliatrice” della componente femminile del culto cristiano. La croce nella sua essenza e semplicità è un simbolo evocatore potentissimo ed è innegabilmente legata al nesso sacrificio/salvezza che caratterizza da sempre la nostra cultura cristiana e sul quale siamo un po’ tutti stati educati, almeno qui in Occidente. Non credo sia un “segnavia” qualunque, paragonabile ad una picozza, un chiodo, una targa et similia. Evoca anche in un laico contenuti che risiedono nel profondo, consciamente o inconsciamente.
Uhmmmm…………. non credo che una corce (di limitate dimensioni) comporti per intero tutto quel processo…. ci sono ben altre ragioni, tendenzialmente economiche.
Io sono contrarissimo alla montagna antropizzata e mi batto per una montagna con meno essere umani (sia alpinisti che montanari). Ma non sono le croci qua e là che la deturpano. Occorre fermare il fenomeno, questo sì, specie laddove genera cose abominevoli come le mega strutture.
(il fenomeno è reltivamente recente perché prima di fine Settecento-inizio Ottocento manco si prendeva in considerazione l’idea di andare sulle vette delle nostre montagne, figurati metterci ina croce o un qualsiasi altro simbolo. La propensione è venuta dopo. Però cappellette e piloni votivi nelle vallate e nelle borgate – nonché pilastrini di confine, finemente cesellati a mano – risalgono anche al 5-600).
Molto semplicemente perché il riflesso di marcare il territorio è quello che porta a modificare e antropizzare la natura, comunque, sempre ed ovunque. E’ l’inizio di un rapporto bulimico e stupratore.
All’inizio con croci, madonnine e ometti (beninteso simbolo di cultura europea, fede popolare e valori secolari), poi con segnavia, paline e cartelli (che poi la gente rischia di perdersi), per proseguire con frecce e scritte pitturate, aggiustamenti dei sentieri spianando qualche saltino di roccia (ma solo per la sicurezza neh…) e quindi rifugi o bivacchi. Finendo poi con carrarecce o sterrate (ma solo jeep con autorizzazione e a pagamento), rifugi con menu a la carte e pacchetti vacanze “immersi nella natura” e esperienze “mozzafiato” di discese nella neve incontaminata con l’elicottero a prezzi accessibili…d’altra parte in montagna la gente deve pur vivere e chi vive in città non deve parlare.
L’atto di usurpare una montagna con una croce, cosa che come faceva notare qualcuno è piuttosto recente e ben poco storica, è l’inizio di una strada che arriva al nefando “padroni a casa nostra”
Perché “dovremmo superare”?
Io mi batto esplicitamente (su ogni fronte dell’esistenza, non solo in montagna) perché vengano difesi e conservati inalterati i nostri valori. Valori laici che nulla hanno a che fare con l’aspetto religioso. Chi possiede anche questo, lo aggiunge, ma è un di più, non l’essenza delle croci di vetta in essere.
Regattin, “probabilmente è più unico che raro” non lo è, mi ricordo che a Paklenica alla base della classicissima Brahm c’è qualcosa di simile…è in fondo al vallone e non in cima, ma siamo li!
Quello che dovremmo superare, da cui dovremmo evolverci è la volontà di marcare il territorio, il riflesso animale di pisciare dovunque come cani al parco per affermare il nostro potere.
Ma la vedo dura…sopratutto quando si inizia a vaneggiare di “cultura europea” e “valori secolari inalterati”.
…e con tanto di bandierine pseudo tibetane. Il cattivo gusto intriso di modernità temo la vinca sempre….e tutti a correre per farsi un selfie. Sulle panchinone, i chiodoni, le crocione dovrebbe crescere erba alta da coprirle e perché l’erba cresca basta non calpestarla. Disertiamo tutti i luoghi “valorizzati”
Alla voce simboli, eccone uno che probabilmente è più unico che raro:
https://www.montagna.tv/142123/un-monumentale-chiodo-darrampicata-sulla-vetta-del-tuglia-il-cervino-della-carnia/
Meglio o peggio di una croce? In realtà quello che temo è che si profili all’orizzonte una gara a chi ha più fantasia, oggi un chiodo, domani una piccozza gigante e via andare. La domanda è perchè tra chi vuole una cima sgombra da simboli e chi li vuole apporre vincono sempre i secondi?
9. Se qui c’è qualcuno che sta banalizzando è colui che non ha la più pallida idea del significato del termine “fenomeno”. In rete si trova tutto, buona lettura, possibilmente prima di partire in quarta con assurde polemiche.
Crovella:
Madonna di 13 metri a Motta di Campodolcino vicino a Madesimo.
Una ventina di anni fa , dopo alterne vicende, ne era stata posata una mostruosa di vetroresina bianca in Valsassina. Meno male che ci pensò il vento a farla cadere e demolire.
Cosa abbastanza curiosa, che i pochi metri quadri di terreno dove c’era il basamento erano risultati di proprietà di una società con sede in Lussemburgo.
???? MISTERI DELLA FEDE!
Io do una lettura a-religiosa e soprattutto estranea al cristianesimo di questi simboli, che sarebbero simboli cristiani. Nonostante l’assenza in me, purtroppo, di un fede genuina e profonda, io mi batto per la conservazione di croci e Madonne di vetta, come per le cappelletti e i piloni votivi lungo i sentieri. Sono marcatori del territorio, testimoni della cultura europea che ha casa proprio qui e che qui vuole restare, nella continuità inalterata dei suoi valori secolari.
A scanso di equivoci, ribadisco che sono invece contrario alla posa di simbolo ex novo, a maggior ragione se di “disumane” proporzioni, come la croce sopra Madesimo (13 m!).
Ah senti chi parla! Non farei cambio di persona/personalità con lei neppure se mi dessero diecimilamilionidimiliardi di euro. Se ne stia pure nei suoi ragionamenti falsamente elevati e, all’atto pratico, vuoti di acume.
Gentilissima Ines Millesimi.
Parlare delle croci di vetta come un “fenomeno” significa banalizzare un fatto che ha a che fare con il sentimento del sacro diffuso nella popolazione che ha abitato la montagna e frequentato la montagna per molto tempo. Con la sacralità che la montagna ha in molte culture come luogo abitato dagli dei.
Crovella.
Lei non è ne Eliade ne Levi-strauss, e lo si capisce dal suo totale fraintendimento della questione che testimonia in questo intervento tra il banale e l’assurdo.
Rinvio al mio intervento n.1 in calce al post di qualche settimana fa, cioè
https://gognablog.sherpa-gate.com/croci-di-vetta-in-appenino/
Io non considero croci e Madonnre di vetta come simboli religiosi, anzi. Li vedo come segnali della nostra cultura. Sono marcatori di territorio: “qui ci siamo noi”. Lo sottolineiamo con i simboli della nostra cultura che non ha niente di religioso. Per cui gli stessi simboli ormai hanno perso ogni significato religioso, ricoprendo invece altre finalità.
Qui da noi, nei tratti di confine con la Francia, si incontrano ancora i pilastrini di confine risalenti addirittura al Sei-Settecento, con i simboli scolpiti: di qua la croce della Savoia, di la’ il giglio di Francia. Mutatis mutandis, croci e altri simboli di vetta hanno assunto lo stesso compito.
Tranquillo che in Europa non è necessario autoeliminarsi, la popolazione europea è già in crescita molto limitata da decenni e le proiezioni demografiche la vedono in calo da qui in avanti. In Italia, dove non abbiamo nulla da imparare, siamo all’avanguardia, con una decrescita già dall’ultimo censimento. Stai sereno e guarda altrove.
Per curiosità, con l’adorazione delle pietre morte intendi le battaglie contro le cave delle Apuane?
Grazie dei vostri pensieri, di fatto è un “problema” forse anche di impatto antropico e culturale, bisogna prendersene carico conoscendolo. Spero che il metodo della ricerca (soprattutto la catalogazione di quello che c’è) sia esteso in altri ambienti montani, in particolar modo nelle aree naturali protette. Con un censimento, anche fotografico, si potrebbe avere la misura del fenomeno, il che non significa essere pro e contro. Significa conoscerlo.
La scristianizzazione dell’occidente è un dato di fatto così eclatante che queste discussioni sulle croci di vetta paiono quasi una sinfonia di rutti alla fine del fiero pasto cui il laicismo più becero ha fagocitato ogni sentimento che non fosse quello dell’usabilità dell’umano e la sacralizzazione della fantomatica “natura”.
Questo a discapito di ogni cultura e tradizione: religiosa o letteraria. L’idea leopardiana di una natura matrigna è naufragata in un sentimentalismo rugiadoso che ha sostituito Dio, ma ha mantenuto l’esigenza dell’adorazione: dell’orso, del lupo, delle pietre morte. Una umanità che odia se stessa, che fa del darsi la morte un valore espressione di libertà, del sottrarsi alla vita un paradossale ringraziamento alla vita.
Mi chiedo quanti del coro “siamo troppi sulla terra” sarebbero disposti a partire da loro, dai loro cari per sottrarre un peso alla mitica famigerata “Gaia”.
Il cristianesimo come lo conosciamo ha i giorni contati: le chiese sono vuote, la Chiesa è diventata una sorta i ong, la fede un fatto intimo senza nessun correlato sociale.
Così le montagne, ormai non luoghi fantastici, sfondo di onanismo performativo o di sentimentalismo fuori moda, e comunque di ambizioni personalissime fuori da una dimensione di relazione con la materia roccia.
Sul monte Summano anni fa’crollò una croce vetta e uccise un povero ragazzo disabile che stava mangiando un panino dopo aver dato l’anima per arrivarci….la hanno rifatta alta quasi il doppio.
A me non piacciono perché ritengo rappresentino il clero più che il dio, ancor meno le bandierine tibetane che c’entrano con la nostra cultura come l’ananas nella pizza
Già la vetta, un’altare rivolto al mondo, ci invita a riflettere sul senso del divino. Ad ognuno di noi il suo. Non c’è bisogno di altri simboli.
La presenza del Divino in montagna è così spesso evocata a vivaci parole che non ci sarebbe bisogno di nessun altro ingombrante simbolo.
“legate a presunte apparizioni mariane”
non mi basterebbero due vite se dovessi erigere una statua in tutti i posti dove ho visto la madonna!