Da qui si parte e qui alla fine si ritorna
(Montagne d’Abruzzo)
di Marta Sparvoli e Francesco Tavoloni
(pubblicato su Specchio della Stampa, 12 settembre 2021)
«Povero è colui che sa quanto prenderà a fine mese». Donato, l’ultimo pastore transumante di Castel del Monte, in provincia dell’Aquila, ha passato tutta la sua vita sui tratturi. In viaggio a piedi con il suo gregge di pecore, ha trascorso la maggior parte dell’anno in cammino, dall’Abruzzo alla Puglia, e ritorno. «Anche voi siete dei transumanti» sorride, mentre beve del vino rosso.
Castel del Monte è un piccolo paese, a poca distanza dal massiccio del Gran Sasso, dove la pastorizia ha sempre rappresentato l’attività principale della comunità. Quando gli uomini e i figli maschi lasciavano la famiglia, per iniziare il viaggio che li avrebbe portati al Tavoliere delle Puglie, le donne rimanevano in paese, continuando le altre attività del centro abitato. Donato lo ricorda con emozione. La voce roca, lo sguardo intenso, segnato dagli anni.
Gli manca il suo gregge, racconta, il rapporto con gli animali, la vita che faceva prima. In paese lo conoscono tutti, è una leggenda da quelle parti. «Lo trovi al bar, alle sei del pomeriggio, che si beve il suo bicchiere di vino» dicono i paesani. E in effetti è proprio lì, seduto su una sedia di metallo, a bere Montepulciano e conservare le memorie di un lavoro e di un tempo, antico come la terra.
La sua nostalgia è tangibile, specialmente ora che nessuno, secondo lui, ha più interesse a portare avanti la tradizione pastorale. Non solo per la durezza e la fatica del mestiere, ma anche per un amore verso gli animali e i luoghi in cui vivono, che le persone hanno perso nel tempo, sedotti dalle comodità cittadine.
A poca distanza da lì, nel versante opposto del Gran Sasso, passando attraverso i pascoli di Campo Imperatore e superando le cime ancora parzialmente innevate del Corno Grande, le sue parole fanno eco a quelle di Peppe. «Bei tempi, ma tutto cambia» ripete fra sé, mentre il suo sguardo si perde sulla montagna.
Peppe è un pastore sulla cinquantina. Lui e suo fratello avevano più di cinquecento pecore a Prati di Tivo, in provincia Teramo, e da quando sono piccoli pascolano il gregge in quei luoghi. Porta una camicia a maniche corte blu, aperta sul petto, e un paio di jeans. Profuma di fresco. Forse la sua barba appena rasata, o i suoi capelli grigi, curati e pettinati. Appoggiato al suo bastone, segue con lo sguardo il movimento del gregge, lanciando fischi per richiamare all’ordine gli animali. Le pecore, piacevolmente distratte, sfilano davanti a lui, in ordine confuso, brucando l’erba qua e là. Ringo, il suo cane pastore, le rincorre abbaiando, cercando di raggrupparle, sotto gli occhi attenti del padrone.
Solo un mese fa suo fratello se n’è andato. Peppe si è trovato costretto a ridurre il gregge e a fare i conti con la solitudine. Il lavoro non ha lasciato spazio per la sofferenza, che si legge solo nei suoi occhi, quando si ferma a guardare quei luoghi che ha sempre vissuto con lui.
Dalla morte di suo fratello, Peppe fa tutto da solo, racconta. Dorme il minimo necessario per non crollare, fermandosi anche a volte in una roulotte, che ha sistemato accanto al recinto degli animali. «Io sto qui da sempre, questa è casa mia».
Il rapporto tra il pastore e la terra che calpesta assieme al gregge è qualcosa di difficile intuizione. È fatto di luci e colori, di nomi di piante e odori intensi. Un legame che si risveglia presto ogni mattina e si addormenta con il bosco e i suoi abitanti.

Oggi di operai che possano aiutarlo non se ne trovano, nessuno vuole fare questo mestiere, difficile e pieno di sacrificio. Negli ultimi anni ci sono molti pastori moldavi e romeni che vengono assunti per gestire il gregge e portarlo al pascolo, spiega Peppe. Ma lui non si fida più, dopo un’esperienza negativa che ha affrontato. «Avevo anche io un pastore romeno che mi aiutava. Si distraeva spesso e il gregge si separava. Tornò un paio di volte con una pecora in meno, che aveva dimenticato durante il pascolo e non mi disse niente. Quando il gregge non è il tuo, ma lo fai solo per i soldi, è ovvio che non sei completamente attento. Preferisco lavorare di più, e farlo da solo».
L’Abruzzo è una terra ospitale per la pastorizia e l’agricoltura, per chi il territorio lo preserva e lo custodisce. Anche i viaggiatori trovano dei sentieri puliti e ben segnalati. Le vette imponenti del Gran Sasso e quelle più scoscese del Monte Velino, lasciano via via spazio a percorsi più semplici e un panorama che discende a valle. Non è difficile innamorarsi di questi paesaggi e della natura selvaggia che cresce immutata lungo l’Appennino. Sono luoghi che rimangono dentro, che si radicano nel cuore, anche a chilometri di distanza.
Lo sa bene Angelo Angelini, che in un piccolo paese nel basso abruzzese ci è nato, e dopo venti anni in California ha deciso di ritornare. Pacentro è considerato uno dei borghi più belli d’Italia, come indica la placca sul muro principale, all’entrata del paese. È qui che Angelo ha deciso di avviare il progetto “Salva la terra”. Una missione, la definisce, che muove le sue giornate ormai da quattro anni. «Io mi sveglio e risolvo problemi» sostiene Angelo con ironia.
In Abruzzo è ritornato nel 2017, dopo un lungo periodo in California, in cui ha lavorato per industrie di energie rinnovabili e aziende di agricoltura biologica, fondando anche un pastificio bio che l’ha messo in relazione con tutti gli altri produttori biologici della zona.
Quando ha trovato Pacentro in uno stato che lui definisce di emergenza, per quanto riguarda la salute della terra, ha deciso di intervenire. Chiedendo ai compaesani e recuperando i terreni, ormai incolti, di chi negli anni era deceduto o aveva abbandonato il paese, è riuscito a ricavare tre ettari di terreno. Ha iniziato così, piano piano, a coltivare, applicando tecniche di permacultura e agricoltura biologica. I suoi terreni hanno iniziato a produrre fagiolini, pomodori, cipolle, ceci, olio extravergine d’oliva e il pregiato aglio rosso di Sulmona.

Le sue mani ruvide e terrose, sono il simbolo materiale di un sogno che Angelo mantiene vivo dentro di sé, e alimenta giorno per giorno nell’orto. «Procedo un passo alla volta, con calma, ponendomi obiettivi piccoli, in un disegno più grande. Sono convinto che la mia esperienza possa essere di spunto e di esempio alle generazioni che verranno. La missione è di offrire al pubblico prodotti sani, e custodire queste terre che per troppo tempo sono state abbandonate».
Appassionato di arrampicata, Angelo assimila il progetto “Salva la terra” a una montagna da scalare. Con i piedi ben saldi, lentamente, mettendo le mani sulla roccia più vicina, ma sempre con la testa alta a vedere la cima. Intorno a sé, vede però il territorio cambiare. La stessa sensibilità e cura per la natura a cui lui dedica il suo tempo, non è sempre condivisa e incoraggiata. Nei dintorni del paese, aziende edili e di estrazione proseguono il loro lavoro incessante, costruendo e sfruttando il terreno per altri scopi, ben diversi dalla salvaguardia e la protezione.
Nonostante questo, girando per Pacentro, tra un panificio e un negozio turistico di souvenir, si può incontrare il furgoncino bianco di Angelo, con l’inconfondibile logo verde e giallo “Salva la terra”. Dividendosi tra i clienti dei ristoranti e le piazze del borgo, dove vende direttamente i suoi prodotti, promuove la sua attività e condivide il sogno di vedere il suo paese vivere in armonia con il territorio che lo ospita.
Lo riconoscono, lo salutano, gli offrono un caffè, chiedendosi magari cosa abbia spinto quel ragazzo ventenne a partire per la California, e ritornare lì a Pacentro vent’anni dopo, con quelle idee rivoluzionarie. Poi aprono gli occhi e guardano quella terra e quel panorama: e capiscono perché.
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«Povero è colui che sa quanto prenderà a fine mese».
https://www.ladige.it/cronaca/2021/10/08/quattro-arresti-a-spini-stavano-tentando-di-rubare-un-gregge-di-pecore-che-era-in-val-dei-mocheni-1.3016844
SERVE ALMENO SAPER CONTARE LE PROPRIE PECORE ,sembra facile..ma e’ alla base dell’aritmetica.Pecunia e’ originata da “pecus”, bestiame . Se la conta della sera e’in aumento, si aggiungono sassolini (calculi)alla bisaccia o tacche al bastone , se ci sono piu’ sassolini alla sera che almattino, qualche pecora e’ assente(smarrita, morta, rubata).
Come quando da Maquignaz a Arnad scorrono greggi e lardo e le pedule sul substrato scorrono come skioline ,le greggi come oro greggio sporcan tutto con dileggio.qui si vive con il pastor Nicolas Bourbaki avanti a Comptes Rendus che come un randez vou con l’Alberth Perth ……..semper semper pu se da du…
Quando da Trentino e Bellunese in autunno le greggi scendono in pianura e poi in primavera risalgono..e’uno spettacolo.Pero’quando anziche’seguire argini e prati erbosi attigui a fiumi, entrano in prati di periferia urbana con abitazioni vicine e percorrono strade (evitabili allungando un poco il percorso, specie le gia’scarse ciclabili ),costellandole di caccole e pisciate che rimangono per mesi..finchè ‘non piove abbondantemente e lava via, un poco fanno girare le scatole.Il BUON SELVAGGIO A VOLTE pensa solo al suo comodo .
@3..infatti vorrei tanto sapere di quanto sono aumentati vecchi fienili,baite , pascoli e chi si li e’ accaparrati in gare d’appalto o acquisto.Parlando con un pastore sulle prealpi Friulane, mi ha raccontato della sua vita , delle difficolta’ e…di essere dipendente di un investitore che si era aggiudicato in concessione per n anni ben 40 pascoli sparsi lungo l’arco alpino.Un Network ovino .La specie di pecore allevata non era molto buona per latte , ma per la sua lana fine che poi dopo la tosatura veniva venduta e ditte di tessuto di lusso, per finire in capi costosissimi, non quella considerata scarto da smaltire. Si sviolina troppo sulla vita green sostenibile, poi magari sotto esiste una la quotazione in borsa o l’investimento fianaziario di chi quella vita la vedra’solo alla domenica “nel verde”…con presentatori(conduttori ?) vestiti “green griffato”.” Adotta una pecora.. una mucca” e poi cosa ci sara’sotto?
Tanto muore
Qualcosa rinasce
Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare
…………………………………Ah perché non son io co’ miei pastori?
Condivido Paolo (e anche Albert).
La politica va in direzione disumana. L’uomo è mercificato. Gli esuberi sono al pari di carta da macero.
Ciò che è stato buttato in cambio di qualche effmero vantaggio è quello che “sta in mezzo”, cioè tutto. I sentimenti solidali con questo articolo e queste persone e territori e vita sono a loro volta mercificati. Come un folkloristico souvenir.
“Povero è colui che sa quanto prenderà a fine mese».IL GUAIO E’PER QUELLI CHE SE NE TROVANO DI MENO DI QUANTO LAVORATO.
Altri alti dirigenti invece se fanno male vengono (licenziati) incentivati a dimestersi con congrue liquidazioni e trovano porte girevoli aperte ,se fanno bene oltre al fisso con premi di produzione rapportati ai buoni risultati.Poi si danno arie green se si ritirano e comprano baite ,ville di campagna , aziende agricole, vigneti , greggi ..e si vestono stylish come i veri pastori e contadini
Generazioni a confronto, ai due estremi della scala, il vecchio pastore, il professionista che torna alla terra. Manca tutto quello che c’è in mezzo, la chiave per capire il recente passato ed il presente di quelle terre, che sono anche un po’ mie.
Lì ho imparato i rudimenti dell’alpinismo e lì torno periodicamente d’inverno, per non perdere il contatto con il rigore degli altopiani. Ci vado da solo, creo un vero e proprio appartamento sotto la neve e ci infilo la tendina. Ho trascorso anche giorni sotto la bufera, tranquillo e contento.
Quella del pastore non è una storia idilliaca. Da ragazzo ho visto bene cos’è quel vivere. Lasciavo i monti per la costa ridente ad ogni sopraggiungere dell’autunno, i pastori restavano là.
L’uomo d’oggi che torna alla terra lo invidio e lo rispetto. Certo ci vuole un certo gruzzolo per farlo, non è per tutti. La gente è la burocrazia d’oggi, quel che sta nel mezzo di cui sopra, non è che rendano le cose facili.
È un articolo che racconta delle cose al benestante turista cittadino. E ne fa venire in mente molte altre a chi quelle esperienze le ha vissute e viste da vicino, a luci della bucolica nostalgia spente.