Il 12 agosto 2019 – era lunedì – ho letto in queste pagine un articolo dal titolo Ci aveva avvisati di Lorenzo Tosa. Molto condivisibile e comprensibile nella sua genesi e nel suo teorico intendimento. Ma a mio parere orfano di entrambi i genitori, ovvero della politica che ha generato lo stato di cose che preoccupano Tosa e tanti altri. Ho postato un mio commento di qualche riga ricordando l’importante dimenticanza e facendo presente implicazioni, ulteriormente sconvenienti, che vivono tra le righe dell’articolo. Le parole di Diversamente è guerra, provano a delimitare la prospettiva con la quale ho criticato Ci aveva avvisati.

La metto in pura filosofia. In quanto in essa c’è in nuce ogni relativa pratica. Lo faccio, solo e soltanto mosso dalla certezza che i passi che compiamo hanno sempre uno stimolo maieutico. Ovvero, li compie chi accoglie la provocazione. Tutti gli altri avranno bisogno di altri stimoli o di altri tempi. A quel punto però il passo è nostro e nessuno ci fa più vacillare.
Con la ragione, con atteggiamento da proselitismo si possono ottenere successi, lo vediamo quotidianamente, ma questi sono soggetti ad altre ragioni e ad altre sirene. Basta cambiare canale. Insomma far cambiare bandiera, generare opportunisti facendoli credere astuti, implica aver seguito una linea che non condivido in quanto superficiale, salvo usare lo shock per tirare qualcuno fuori dal panico.
Spero che queste righe, forse insufficienti e scadenti per sintetizzare un bel po’ di umano, inducano qualcuno a guardarsi dentro: diversamente avrò fallito.
Diversamente è guerra
di Lorenzo Merlo
(12 agosto 2019)
La storia si ripete. Le sue circostanze non sono infinite. A cicli ritmici si ripropongono travestite da nuove maschere, animate dalle stesse emozioni, generate dagli stessi sentimenti. Sono infatti proprio questi la ragione dei cicli, della certezza che quanto la storia ci ha mostrato ancora lo vedremo.

Il miglior argomento razionale non basta a modificare una fioritura pregna di entusiasmo. Razionalità e cosiddetto buon senso volano nel poco spazio che l’intelletto riesce a prendersi. Un intelletto peraltro gonfiato fin dai tempi di Cartesio, egregiamente seguito dagli scienziati, capaci di arrivare al bosone ma non di riconoscere l’anima e il mistero delle nostre azioni e malattie.
Se quella fioritura frutto darà, non potremo che concludere che la pianta è stata ben e lungamente accudita. Chi teme dunque che la parabola discendente possa imboccare direzioni sconvenienti ai propri valori ed ideali dovrebbe analizzare il proprio passato più che giudicare il presente e premonire il prossimo di un futuro terrifico.
Non significa che non ci sia nulla da fare allora, in questo momento critico. Nei momenti di crisi c’è un paesaggio insolito dove è possibile osservare aspetti altrimenti tenuti nascosti sotto i divani del benessere o zittiti dalle raffiche di mitra.

Il boom economico del nostro dopoguerra ha trovato la sua linfa emozionale tra le macerie. Gente comune e imprenditori avevano visto a che punto erano arrivati gli uomini. Sapersi sopravvissuti al peggio li ha stretti a corpo unico. Avevano macerie intorno e invece che dedicarsi al lamento, hanno scavato sapendo che avrebbero trovato la linfa vitale senza la quale tutto è impossibile.

È un elisir segreto finché si cerca nel prossimo la ragione della propria condizione di pena. È una brocca dionisiaca e creativa per chi raggiunge le doti per guardarsi dentro e trovare in sé lo stato del mondo. Allora, qualunque sia la condizione storica, sapremo mantenere la nostra spinta creativa, il nostro equilibrio. E così sfruttare al meglio ciò che ci propone. Evolvere cioè nella condizione apollinea, la sola idonea a riordinare e armonizzare il caos. Diversamente è guerra.

Ma.
Nessuna politica, dedicata ed esaurita nella sola dimensione economica del mondo potrà mai dedicarsi a tanto. Il compito è individuale. Cosa banale se si è assunta la responsabilità del mondo. Impensabile e ridicola se ancora in attesa di qualcuno che faccia le cose per noi.

Nel primo caso ci dedicheremo ai figli affinché facciano dell’ascolto e dell’assunzione di responsabilità un piano di lettura della realtà. Affinché non pensino più che il sapere consiste nel misurare e nello scomporre, ovvero che sentano l’organismo di cui sono espressioni, loro e gli altri.
Nel secondo ci occuperemo ancora di noi stessi. E credendoci separati dagli altri cercheremo di prenderne le distanze, esaurendo cioè l’infinità realtà nel giudizio con la quale ce la rappresentiamo.

Nel primo caso evidente come fosse tangibile la parabola che sboccia dai nostri sentimenti e si alza per andare a creare la realtà ad essi corrispondente. Diventa banale pensare all’amore cristico (1) – ora non più chimerico – come la sola possibile evoluzione disponibile agli uomini. Diventa chiaro come non possiamo astrarci dal contesto e giudicarlo e soprattutto identificare in quel giudizio l’esistente. Appare ovvio che ci muoviamo entro un volume in cui si muovono forze differenti. Diventiamo capaci di chiaroveggenza perché quelle forze le vediamo come goccia d’inchiostro nell’acqua. Senza incertezza le sappiamo evitare se nocive, cavalcare se opportune. Nel primo caso siamo sulla via dell’equilibrio, della forza, della bellezza. Nel primo caso siamo noi, finalmente capitani adatti a tenere la rotta indipendentemente dalla burrasche che attraversiamo.

Nel secondo resteremo dove siamo e concorreremo a ripetere la storia nonostante la nostra nobile ideologia. Sdegnati segnaleremo con l’indice cosa va e cosa non va. Penseremo di non essere responsabile di ciò che osserviamo e con le toghe d’ermellino crederemo di poter restare assisi di fronte al mondo. Non arriveremo a sentire la natura della nostra natura. Strati ideologici di ogni stirpe la ricoprono, lasciando agli archeologi della psiche il compito andarla riprendere.
Nel primo arriveremo ad abbracciare la vita, nel secondo a imbracciare le armi. Sì, noi, proprio noi, così per bene e onesti.
Nota (1): “cristico” è il prossimo livello di coscienza al quale è chiamata la nostra umanità.
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