Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
Dolomiti di Fassa – 1 (1-6) (AG 1964-016)
(dal mio diario, 1964)
12 luglio 1964. I primi giorni dell’estate a Soraga sono caratterizzati da un tempo abbastanza incerto che non mi permette molto di più delle uscite nelle palestre di roccia e magari su per le frane e cascate del rio Zester. Poi finalmente arriva il momento, non più acrobazie a pochi metri da terra, bensì la traversata delle Tre Torri del Sella. Considerando bene le cose, questa è per me la prima vera ascensione nelle Dolomiti, per questo all’attacco sono abbastanza emozionato. Invece Paolo Cutolo, più esperto di me e che ha già fatto questa traversata, è tranquillissimo.
Paolo è di Roma, in queste note ho già un po’ parlato di lui. Ma adesso siamo amici, prima solo conoscenti. La guida di Ettore Castiglioni dà la via Trenker alla Prima Torre di III con un tratto di IV, ma io non ne so nulla, non avendo letto alcuna relazione. E’ mattina non presto, ma neppure tardi.
Attacco prima io e, dandoci il cambio, arriviamo al tratto di IV che, sfortunatamente, tocca a me superare per primo. Ho un po’ di difficoltà, ma siccome ci sono i chiodi già in posto, passo. Molta difficoltà è stata per me determinata dal fatto che, pur avendo io salito più volte cose del genere, in questo caso si trattava di salire in grande esposizione e forte altezza da terra: qui mi si è rivelata la forte differenza tra le due cose! Comunque procediamo bene, se pure un po’ a rilento. Però ce la stiamo prendendo comoda. E’ magnifica arrampicata, non fa freddo, perché correre? Alla fine però terminiamo la via, quasi in vetta alla Prima Torre. Traversiamo subito alla Seconda, al famoso diedro Gluck, che è di III grado. In due tiri siamo fuori, entusiasti di questa magnifica gita. Però qui dobbiamo filare per raggiungere Romedio che ci indica i chiodi delle doppie per scendere all’attacco della via Jahn. Superiamo bene anche quest’ultima, felici di questa gioia offerta dalla montagna. Discesa regolare fino a Passo Sella.
Il 17 luglio 1964 salgo da solo e in autostop al Passo Sella. Avevo un mezzo appuntamento con Piergiorgio Ravajoni ma, non vedendolo, vado a rifarmi da solo la via dei Camini alla Prima Torre di Sella.
20 luglio 1964. L’idea con Antonio Bernard e Pietro Menozzi è quella di volare basso. La cresta di Masaré è estremamente dentellata e tormentata, a sud della Roda del Diavolo, lunga c. 500 metri, fine meridionale del gruppo di Vaèl. Si erge a ovest dell’anfiteatro detritico e circolare al cui margine orientale sorge il rifugio Roda di Vaèl. Presenta numerosi torrioni e pinnacoli. Nell’ordine si possono menzionare sette punte o torri: la Settima, la Sesta e la Quinta Torre formano la prima metà della cresta, scarsamente individuata; la Quarta (Torre Paolina o anche Torre del Rifugio 2605 m c., salita nel 1906 da Zelger e Pardeller; la Terza (Punta delle Roe delle Stries 2607 m), caratterizzata da una stretta fessura, ben visibile da est, che ne biforca la vetta; la Seconda Torre 2579 m, che una profonda forcella separa dalla Prima, nota soltanto con l’antico nome di Punta del Masaré 2564 m. La cresta sale dalla Punta di Masaré verso la Roda del Diavolo con andamento di massima quasi orizzontale, con però un saliscendi di picchi e forcelle fantastico e complicato. Il toponimo “Roe delle Stries” si riferisce a paurose leggende, così numerose in questo angolo dolomitico (Roe=ghiaie, Stries=streghe). La Punta del Masaré si riferisce agli sfasciumi del suo fianco sud-ovest (masaré=macereto). raramente le punte di questa cresta sono meta di ascensioni a se stanti: più spesso sono toccate dalla traversata (oggi la traversata delle Punte del Masaré è banalizzata dalla via Ferrata del Masaré, NdR).
Per raggiungere la cima della Punta di Masaré scegliamo l’itinerario per la parete nord-est (III+), aperto il 16 agosto 1936 da G. Pirani, E. Fusco, Lea Pirani e G. Nencini. E’ una bella parete, di circa 150 m, che superiamo senza difficoltà alcuna. Siamo soli in questo angolo dolomitico: a nord la cresta si estende fino alla Roda del Diavolo ed è un ben bizzarro spettacolo quello delle torri allineate in coda.
Questa traversata fu effettuata la prima volta il 24 agosto 1904 da W. Fink ed è di III+ molto discontinuo. Ci minaccia il maltempo, ma noi proseguiamo fino in fondo, salendo anche su qualche punta minore. Io salgo anche sulla Torre del Rifugio, di solito evitata perché più difficile della media. E’ infatti di IV-IV+. In cima salgo solo io, perché sta per piovere e così abbiamo fretta. Dopo la mia discesa in doppia, arriviamo finalmente all’ultima torre, la settima, e anche da lì scendiamo in doppia nel canalone con la Roda del Diavolo. A rotta di collo verso il rifugio Roda di Vael e poi verso il Ciampedie e poi ancora a piedi fino a Vigo. Sono molto dispiaciuto che i miei due compagni non abbiano potuto salire la Torre del Rifugio, perché questa è bellissima e aerea, seppure molto breve (2 lunghezze).
23 luglio 1964. Ed è venuto il momento di mettere in pratica tutti i miei progetti più “scemi”, primo dei quali quello di andare da solo, alla Preuss. Così parto bello solo alla volta della via Dibona alla Roda del Diavolo. La ragione di ciò sta nel fatto che eravamo già al 23 luglio e avevo fatto solo due belle ascensioni. Se continuavo così arrivavo ad agosto con ben poco bagaglio. Tra l’altro non mi si presentava alcuna futura occasione: Cutolo era impegnato, e così pure Menozzi e Bernard. La via Dibona alla parete ovest della Roda del Diavolo è di III+. Alle 8.15 sono all’attacco: pioviggina. Percorro tutta la lunga cengia ascendente da destra a sinistra. Imbocco un canale sulla destra e cerco il camino, chiave dell’ascensione. Sulla guida c’è scritto che alla base del camino c’è uno spuntone ad avancorpo. Ma, dove dovrebbe essere, c’è solo una grande frana! Il camino c’è, al di sopra, ma è inaccessibile. Così come è diventata, la via Dibona per me è impossibile. Non è cosa da tutti i giorni vedersi la via distrutta! Arrabbiatissimo riscendo, cerco un altro camino, ma è per lo meno di V grado e devo riscendere; allora torno sulla cengia, la percorro ancora oltre fino a che si esaurisce nella parete nord. Per questa salgo, lungo un camino bagnato fradicio di IV, fino a sboccare sulle roccette superiori e fino a uno spuntone sulla cresta nord-est. Dalla vetta, scendo per la via normale, fino alla base della Torre Finestra. Ormai piove pioggia vera e io sono fradicio. Comunque arrampico lo stesso e mi faccio la diretta di III+ alla Finestra. Da lì, senza saperlo, mi vado a buttare sulla via Eisenstecken, di VI grado. E’ chiaro che a un certo punto mi accorgo di non poter continuare e così riscendo alla Finestra. da qui traverso a destra fino allo spigolo sud e superandone l’ultimo risalto esco in cima. Risceso, vagolo ancora verso la parete est della Roda del Diavolo, ma poi rinuncio. Scendo a Soraga a piedi, passando per malga Palua.
Solo in seguito appuro ciò che ho fatto sul fianco settentrionale della Roda del Diavolo. Leggendo Lo Scarpone, vengo a sapere dell’itinerario dei bolzanini V. Montagna e F. Millo (28 agosto 1962): è di certo l’itinerario che ho seguito anche io, lo si apprende dalla relazione e dal numero dei chiodi che corrisponde perfettamente a quelli trovati da me. Dunque prima ripetizione e prima solitaria.
Certo l’andare da soli in montagna comporta più rischi che andarci in compagnia, però una cosa è indubbia: l’assoluta concentrazione dell’alpinista sulla via. Mi sono trovato sulla parete nord della Roda del Diavolo e posso garantire che non pensavo ad altro che a me e alla roccia. E’ raro che si compia qualche sciocchezza quando si è soli. Ogni movimento calcolato al secondo e al millimetro. Un uomo solo è sempre più vulnerabile. Due scalatori si danno fiducia, anche tacitamente. Il solitario è solo con se stesso e deve avere una grande sicurezza interiore per non cadere all’improvviso.
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L’ultimo paragrafo mi rimarrà stampato nella memoria finché campo.
Il Masaré è l’inizio frastagliato di una delle più belle curve del mondo e mi rattristai quando la attrezzarono.