Eroi o sfaccendati?

Paolo Crepet: “Chi denigra i morti del sommergibile uccide i sogni di Jules Verne”. Lo psichiatra: «Dai tempi di Ulisse il rischio è insito nell’uomo che si cimenta nelle grandi imprese. Non si può dare dell’eroe a Messner e degli inutili sfaccendati ai miliardari del sottomarino».

Eroi o sfaccendati
di Emanuela Minucci
(pubblicato su lastampa.it il 23 giugno 2023)

Chi meglio dello psichiatra Paolo Crepet, che ha appena concluso un saggio dal titolo Prendetevi la luna (esce il 27 giugno 2023 per Mondadori) in cui intervista fra gli altri un signore che andrà sulla Luna e poi anche su Marte, può rispondere alla domanda che in molti ci stiamo facendo: ma che cosa può spingere un uomo ad affrontare un’impresa tanto rischiosa come infilarsi in un piccolo siluro d’acciaio per andarsi a fare una gita attorno ai relitti del Titanic? Ma soprattutto, che cosa può spingere, come ha titolato qualche giornale, a pagare 250 mila euro per giocarsi la pelle?

Le vittime: da sinistra, Hamish Harding (58), ricco uomo d’affari britannico, ex sommozzatore e soldato della marina, il magnate pakistano Shahzada Dawood (48) e suo figlio Suleman Dawood (19), entrambi di nazionalita’ britannica, il francese Paul-Henri Nargeolet (77), pilota di sottomarini, soprannominato “Mr. Titanic” e infine lo stesso capo di OceanGate, l’americano Stockton Rush.

Professore, che cosa ha portato questi miliardari a imbarcarsi sul Titan che oggi qualcuno definisce aggeggio più rischioso di una roulette russa?
«Premetto che sono cresciuto in un’infanzia in cui si celebrava il Capitan Nemo. E anche se potrà sembrare strano, la cosa che più mi stupisce è che la scelta di queste persone risulti incomprensibile ai più. È dai tempi di Ulisse che il rischio è insito nelle grandi o anche piccole imprese umane. Chi denigra questi signori sono i Proci, le Sirenette, li chiami come vuole. Per arrivare a tempi più recenti non si capisce perché un signore come Messner o prima Walter Bonatti siano sempre stati qualificati come eroi. E questi invece dei miliardari sfaccendati che amavano rischiare la pelle e basta. Entrambi hanno sfidato la natura rispondendo al richiamo di una passione. E loro hanno, semplicemente, perso».

Ma perché secondo lei – come sostengono oggi molti commenti sui social – queste persone non hanno impiegato «meglio» il loro denaro in viaggi o attività, passioni che non fossero da kamikaze?
«Che cosa significa passioni che non siano da kamikaze? Anch’io ho guardato come fosse un extraterrestre il signore che ho intervistato per il mio ultimo libro, un fotografo tedesco che ha già fatto giri intorno alla luna e presto si augura di andare su Marte, ma se devo dirle la verità mi fanno molta meno simpatia i tizi che se ne stanno sugli yacht a spalmarsi le cremine che non queste cinque persone. Un equipaggio tra cui c’era anche un discendente di una coppia morta sul Titanic, lei capisce che in questo caso il richiamo è fortissimo…».

Quindi secondo lei è insita nell’animo umano la ricerca, diciamo così, dell’inusitato?
«Sì, per tutti. C’è chi rischia e chi rischia meno, c’è Max Verstappen che ogni domenica rischia la vita a 300 km l’ora e chi si fa il selfie aggrappato a un grattacielo. A tutti il brivido intriga anche quando se ne sta seduto sul divano, lo dimostra il fatto che quando c’è un incidente sul circuito di Formula 1 l’audience s’impenna».

© ZUMAPRESS.com / AGF

C’è addirittura chi ha accomunato la tragedia degli Youtuber con la Lamborghini e quella del sottomarino, entrambi divorati dal demone della sfida contro se stessi…
«Ecco invece questo è un paragone assai improprio. Nell’esplorazione del sommergibile chi ha scelto di andare a visitare i relitti del Titanic lo ha fatto certamente rischiando solo l’incolumità della propria persona. E poi animato da una passione, quella di conoscere, di risalire a una verità, di ritrovare le proprie radici. Era mosso da una spinta atavica. I ragazzi della Lamborghini, e non c’è bisogno di spiegarlo, sono persone che grazie ai social stanno gettando la loro vita nella spazzatura e che vanno puniti, come ho già detto, nel più severo dei modi».

Paolo Crepet

Il commento
di Alessandro Filippini

Paolo Crepet è uno psichiatra e devo inchinarmi di fronte al suo sapere. Io ho fatto solamente un tot di esami di psicologia. E anche qualcuno di pediatria: quelli da 30 e lode. Dall’alto dei quali mi permetto di affermare che questo suo ragionamento è piuttosto infantile.

Infatti non distingue il valore della vera avventura dall’esibizione (suicida in questo caso) del potere e della ricchezza.

Vorrei spiegare al professore che anche chi va sull’Everest oggi, sulla pista preparata dagli Sherpa, riverito e servito dagli stessi Sherpa in proporzione a quanto ha pagato (dai 60.000 ai 200.000 e più dollari), non fa niente di paragonabile alle salite himalaiane di Messner e di Bonatti (che di riuscite personalmente ne vanta una sola, però mai ripetuta…).

L’avventura cercata e praticata da Bonatti e, seguendone l’esempio (come quelli di Mummery, Preuss, Buhl…), da Messner era un modo di sfidare se stessi, i propri limiti, fisici e anche psicologici.

E per poter portare a fondo questa loro ricerca intima, per poter sentirsi come i primi uomini a contatto con la natura selvaggia, entrambi hanno cercato di limitare sempre e sempre di più proprio tutto ciò che li legava alla nostra civiltà e quindi a tutti i suoi ritrovati tecnologici.

Esattamente il contrario di quanto hanno fatto le sfortunate vittime del Titan.

La vera avventura non può essere comprata con i soldi e con la tecnologia.

Il commento
di Luca Signorelli

Il problema non è “eroi” invece che “miliardari che rischiano la pelle”. La differenza è fra gente che ha rischiato sempre di suo calcolando il rischio e gestendolo in autonomia, contro invece gente che si è affidata ad una tecnologia estremamente traballante.

Il commento
di Roberto Bob Condotta

Bisogna, secondo me, imparare a distinguere quella che è la vera avventura interiore (in genere messa a dura prova da fatiche fisiche che ci portano al limite delle forze) da quella che è “semplicemente“ un “salire a bordo” di una cosa preparata da altri.

Forse questo sfugge a coloro che non si sono mai portati “al limite“ delle loro forze e delle loro capacità, immersi in una natura selvaggia che li costringe a tornare ad una forma primordiale di istinto.

Le avventure vissute da personaggi del calibro di Diemberger (che ha vinto) e Hermann Buhl (che purtroppo ha perso) sul Chogolisa non possono assolutamente venire paragonate, ad esempio, a quelli di una ragazza che si fa attrezzare le vie da Sherpa che arrivano con l’elicottero dall’alto.

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Eroi o sfaccendati? ultima modifica: 2023-06-26T05:20:00+02:00 da GognaBlog

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24 pensieri su “Eroi o sfaccendati?”

  1. Questo articolo mischia insieme tanti ingredienti per un perfetto pasticcio finale. Mi limiterò’ a commentare il parallelo fra Bonatti – Messner e questi sventurati. La differenza che passa fra un alpinista ed uno di questi, morti nel sommergibile, è’ che il primo fatica, il secondo no. Molto semplice. L’avventura alpinismo implica un progetto, spesso totalizzante sia che si tratti di un fuoriclasse o di chi esce dalla fabbrica e corre ad allenarsi, o spende i pochi risparmi mensili in una corda nuova. La differenza e’ nella fatica, nella dedizione, nell’impegno che un alpinista mette ogni giorno in quello che fa e che non ha prezzo. Non si compra (visto che faccio fatica a chiamare alpinisti tutti quelli che comprano gli 8000). Ciò’ che invece si compra a suon di dollari non è’ paragonabile a chi fa alpinismo, tanto meno a due fuoriclasse insuperati. Per non parlare di Verstappen che è’ un fior di professionista, talentuoso di natura che è’ su un aereo tutto l’anno e quando non è’ sull’aereo è’ in auto a oltre 300 all’ora, poi le prove le riunioni…. Una fatica bestiale, molto ben pagata e fanno quello che piace loro ma non paragonabile a chi compra un biglietto per un sommergibile solo perché ha un conto bancario rilevante. Per questo il paragone non regge. Poi per me liberissimi di andarci, ma per favore il paragone con Messner e Bonatti no dai.

  2. Per arrivare a una profondità di 4000 metri (ma anche solo di oltre 250 metri) è necessario affidarsi alla “tecnologia” (commento #13 e #21 tra gli altri). Quindi direi che la ricerca dell’avventura e del limite non si valuta dai soldi spesi per inseguire questi sogni. Anche un alpinista che passa la vita a girovagare e scalare è un privilegiato (fa parte dell’one percent della popolazione: non tutti, o quasi nessuno, possono permetterselo). Fa pensare che sia proprio il popolo dei «Settimogradisti parassiti sociali» a dare del “cornuto all’asino”. Non credo si possano classificare sogni di serie A e sogni di serie B: l’essere umano vive per un desiderio. Non sarei sceso in quel batiscafo perchè non posso permettermelo, e perchè patisco i luoghi ristretti, né avevo mai pensato alla fragilità della struttura sotto quella enorme pressione che non lascia scampo. Però quante volte ho sognato di raggiungere il fondo della Fossa delle Marianne con Piccard! Così come non critico chi va sull’everest spendendo 60.000$ senza mai essere stato in montagna: non è ciò che ammiro e non vorrei mai salirlo così (…ma a 70 anni, chissà, magari cambierò idea e ci farò un pensiero). Lasciamo in pace quelle povere cinque anime per favore.

  3. Non penso che i partecipanti a questa tragedia del mare credessero di “imbarcarsi” (scusate il gioco di parole) in un’impresa a elevatissimo rischio. È vero che avevano firmato delle carte in proposito, ma immagino che lo avessero fatto come una specie di atto burocratico previsto da escursioni marine di quel genere. Credo, invece, che avessero ricevuto ampie rassicurazioni sulla sicurezza del batiscafo che li ha convinti a “imbarcarsi nell’impresa” (altro gioco di parole …sorry). A conferma di quanto penso ci sono i seguenti elementi:
     
    1) la decisione del miliardario inglese di origine pachistana di portare anche il figlio. Se pensava che fosse un viaggio ad altissimo rischio immagino che avrebbe prevalso un normale “istinto di conservazione” (io non porto mia figlia ad arrampicare con me e non la “spingo” verso questa attività per lo stesso identico motivo…)
    2) tre dei cinque componenti lo sfortunato equipaggio erano persone esperte del mondo delle immersioni e quindi in grado di valutare la solidità del mezzo su cui si imbarcavano (certo meglio dei vari “scriventi” compreso il sottoscritto …).
    3) il titolare dell’impresa che organizzava l’escursiome marina faceva parte dell’equipaggio il che contribuiva a far pensare che la sicurezza fosse a livelli elevati (escludendo … istinti suicidi da parte del suddetto personaggio).
     
    Siamo pertanto in presenza di una “gita negli abissi” finita male. Paragonarla alle avventure alpinistiche mi pare piuttosto azzardato in particolare tirando in ballo personaggi del calibro di Bonatti e Messner che rischiavano consapevolmente a livelli elevati, forti della loro bravura e preparazione.
    Forse una qualche analogia la si può riscontrare con le cd “spedizioni commerciali” che portano clienti facoltosi in punta agli 8.000 della terra. Ma anche in questo caso si tratta di situazioni assai diverse anche solo in relazione allo sforzo fisico richiesto a questi signori che non trova riscontro in chi sale come passeggero in un batiscafo.
    Terrei, quindi, le due situazioni separate evitando paragoni impropri.
    That’s it !

  4. Esatto, credo che la differenza sia tra chi ci mette del suo, oltre beninteso ai soldi, e chi si affida semplicemente ad un viaggio organizzato, pericoloso quanto si voglia, ma pur sempre organizzato. I primi alpinisti facevano gli alpinisti, i primi esploratori esploravano l’ignoto con i loro protantini…. Invece fino alla tragica fine, quel batiscafo era pur sempre un aggeggio che aveva fatto altre immersioni senza problemi le cui testimonianze si ritrovano sui social. La firma per il richio di morte? Una firma come un’altra: anche per una semplice operazione alla gamba o dal dentista ci fanno firmare ma sono quelle cose che ormai si fanno senza starci troppo a pensare… Vogliamo mettere sullo stesso piano i voli suborbitali “commerciali” di cui iniziamo a sentir parlare con le varie missioni Apollo o Challenger?

  5. Mi pare che sapessero bene quel che facevano e quel che rischiavano.
    Sarei curioso di sapere se avessero dato disposizioni di NON soccorrerli in caso di “incidente” (o “fallimento”)

  6. Benestanti in cerca di emozioni erano anche coloro che hanno dato l’avvio all’alpinismo.
     

  7. All’Ulisse di Crepet, che è lo stesso eroe di Dante, preferisco il Galileo di Brecht: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Del resto l’Ulisse di Dante si trova all’inferno: non è un santo, ma un peccatore.
     

  8. Mah non capisco tutto questo livore per chi è morto in quel batiscafo.Non comprendo se è per il modo, se è per il costo, per l’invidia di non poter fare altrettanto.
    Che dire di chi muore scalando pareti di roccia, facendo il subacqueo, andando in motocicletta, aereo acrobatico……sono scelte di vita che vanno comunque rispettate.
    Il resto è solo per sfigati invidiosi.

  9. Da un lato è vero che qui non c’è la fatica fisica e la responsabilizzazione di sé che c’è nell’alpinismo, ma ci si affida a una navicella che altri hanno costruito e che altri guidano, il tutto a peso d’oro.
    D’altro lato si tratta sempre di “conquistatori dell’inutile” (cit.) un po’ folli, e in questo senso non si può negare loro una parentela di fondo (seppur alla lontana quanto volete) con il desiderio di chi si arrampica su una parete.
    Credo che al di là delle simpatie e posizioni personali (e per inciso io non ho molta simpatia per questi qua) sia pericoloso soprattutto dar corda ai discorsi sui “rischi inutili” di qualsiasi tipo siano: è brutto in sé, al di là di “cosa” sia volta per volta questo “inutile”/misterioso/rischioso” che si desidera avvicinare.
    Vedo intorno a me una massa crescente di gente incapace di desiderare alcunché di più emozionante che il possesso dell’ultimo iphone, e mi fa molta più paura.

  10. Sicuramente i tratti i personalità di questi “cercatori di esperienze forti” è un tema interessante, ne abbiamo parlato anche in passato, ma quello che trovo intrigante è l’attrazione per questo relitto. Ad Halifax ho visitato il museo del mare dove un’intera sezione è dedicata al Titanic (i resti umani e materiali furono portati lì) e ho visto con i miei occhi le emozioni che suscitavano nei visitatori, me compreso.

  11. Beati loro che sono morti facendo quello che più desideravano in quel momento.

  12. Credo anch’io che il paragone con l’alpinismo fatto da Crepet sia improprio. A me sono sembrati solo personaggi molto benestanti in cerca di emozioni esclusive purché controllate dalla tecnologia. Piuttosto, a livello psicopatologico è interessante la figura di Stockton Rush, che -come si può vedere dai vari video di suoi interventi a conferenze o interviste- aveva dei palesi tratti di immaginazione grandiosa di tipo maniacale, grazie ai quali non avrà avuto molta difficoltà a convincere gli altri tre più il ragazzino.

  13. L’aventure, c’est l’inconnu.
    Vivre est une aventure.
    A chacun la sienne.
    Et assumer ses choix.

  14. Ho controllato: Titanic è terzo, dopo Via col Vento e Avatar (a valori monetari attualizzati). Amore e Guerra, Fantasia e Sogno di Armonia, Disastro, Amore, Morte e Ricordo. 

  15. Matteo. Giusta osservazione. La cosa interessante dal punto di vista della psicologia umana è il fatto che un disastro dovuto ad un tragico errore diventi un “oggetto del desiderio” in grado di attirare non solo la fantasia popolare ma anche il rischio di perderci la vita per chi se lo può permettere. Ci metterei sopra anche i meccanismi di creazione del “mito” attraverso le narrazioni che si sono succedete nel tempo fino al film di Cameron, se non sbaglio il film che ha incassato di più nella storia del cinema o giu’ di lì. 

  16. Chi non ha il coraggio di realizzare i propri sogni , a mio avviso, non vive, ma sopravvive.Saluti Alessandro

  17. Fosse un serio studioso della mente umana e delle sue dinamiche, Paolo Crepet si interrogherebbe sul bisogno di andare a vedere il relitto di un incidente di cui si sa assolutamente tutto (sia del relitto che dell’incidente).
     
    Ma è Paolo Crepet.

  18. Certamente stiamo parlando di mondi ben diversi e di fatiche personali non paragonabili, però è anche vero che molte conquiste dell’alpinismo storico sono frutto del sogno di signori molto ricchi non saprei quanto sognatori e quanto annoiati dall’equitazione e dalla caccia alla volpe nella campagna inglese. Anche l’enfasi mediatica sui soccorsi dei conquistatori dell’inutile rispetto ai poveri cristi in pericolo perché cercavano un misero utile non e’ una novità. Così tanto per ricordare. Crepet è ormai un personaggio dello show business e quando scelgono quella strada anche quelli partiti bene diventano delle macchiette con abito di scena appropriato e distintivo, dalla barba, al capello e all’abbigliamento. “La vanità è il peccato che preferisco, ci cascano sempre” disse il diavolo di noi poveri umani. 

  19. va beh ma crepet e’ una macchietta!!! su internet si trovano decine di “meme” e video che lo prendono in giro…ognuno con i soldi si suicidi come vuole pero la cosa triste e’ che per cercare queste persone hanno mobilitato addirittura la marina americana, per salvare le centinaia di naufraghi del mediterraneo…nulla

  20. I tipi del sommergibile mi ricordato i “paperoni” che pagano (almeno) 100.000 USD per affidarsi alle spedizioni cosiddette commerciali e farsi portare in cima all’Everest. Avventura? Zero assoluto! Solo esibizionismo di un ego smisurato. E probabile che loro siano davvero convinti di fare una cosa da fighi, ma, a prescindere dal fatto che ci restino secchi o meno, sono solo dei poveri di spirito.

  21. Una cosa è raggiungere i “limiti” dopo un lungo cammino di esperienze, segnato da tentativi, errori, rinunce, rischi, incidenti, delusioni.
    Un’altra facendo un bonifico un paio di giorni prima “l’avventura”, inserendo la data tra appuntamenti di lavoro e apericene.
    Il viaggio è la meta. Lo dimentichiamo troppo sempre.

  22. Condivido i 3 commenti alle parole del prof. Crepet e in particolare quello di Alessandro Filippini. A me pare, forse banalizzando ma non credo più di tanto, che il professore sia semplicemente andato “fuori tema”, sbarellando in un campo sconosciuto e troppo lontano dalle sue competenze.

  23. Sono pienamente d’accordo con Alessandro Filippini. La ricerca dei propri limiti, l’esplorazione di montagne mai scalate non hanno nulla a che vedere con l’avventura per certi versi bislacca dei cinque, spinti solo dal desiderio di “toccare con mano” un relitto in fondo al mare. Poi, ognuno è libero di rischiare la propria vita come meglio crede, però non sono d’accordo nel fare paragoni come quelli messi in campo da Creper.

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