Extradiario – 24 (24-24) – Sette lettere di Paolo Armando (AG 1967-013)
(scritte nel 1967)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort**, disimpegno-entertainment***
Torino, 10 gennaio 1967
Caro Sandro, ti scrivo solo oggi (ho ricevuto la tua lettera sabato) perché attendevo notizie dai giornali. Ora, siccome su La Stampa di oggi c’è scritto che Peppino Castelli & C. hanno fatto il Becco di Valsoera (si riferisce alla prima invernale della via Perego, NdA), non ci resta altro che partire decisi per le Dolomiti. Se per una ragione o per l’altra non l’avessero fatta, la meta sarebbe stata diversa perché mi hanno fatto decisamente girare le scatole.
E qui è il caso di narrarti un fatterello circa la Est del Dente.
Giovedì 22 dicembre mi avevano detto che andavano a sciare a Pila, giovedì 29 dicembre mi avevano detto che a Natale erano andati al Valsoera ed erano tornati indietro. Inoltre Peppino faceva l’offeso perché noi avevamo salito il Dente; per vie traverse sono poi venuto a sapere che alla vigilia di Natale e Natale stesso sono stati anche loro al rifugio Torino e non hanno potuto fare nulla per il brutto tempo. Forse questo è agire con onestà e da amici (sono parole loro).
Ma lasciamo perdere, speriamo solo che adesso che ha fatto il Valsoera, Peppino rinsavisca.
Veniamo invece alle salite dolomitiche: ieri sono stato a Milano ed Ettore (Pagani, NdA) mi ha detto che c’è Gigi Grana che sta svolgendo un allenamento intensissimo per il Gran Diedro Oggioni alla Brenta Alta. Non sochi sia il compagno, comunque Gigi è uno che ha abbondantemente le capacità per farlo. Regolati un po’ tu se vuoi andare prima al Gran Diedro e poi alla Concordia all’Ambiez oppure vuoi metterti in comunicazione con loro (magari tramite la Roberta) per combinare qualcosa assieme. A me non importa molto perché resterebbe sempre in Brenta la via delle Guide, che non mi dispiacerebbe andare a tentare.
L’altro ieri, domenica, sono andato con Fredino (Marengo, NdA) all’Uja di Mondrone per fare la via di Guido Rossa. Andava tutto molto bene malgrado il freddo, ma a un certo punto Fredino si è sentito male ed è quasi svenuto. Abbiamo dovuto rinunciare e anche scendere è stato un macello perché ho dovuto calarlo di peso (non era più in condizioni di fare corde doppie) e perché avevamo una corda sola (fortuna che avevo… sette cordini, due nella tasca destra, due nella sinistra, ecc.). Domenica prossima avevo intenzione di tornare all’Uja di Mondrone con qualcun altro perché Fredino, che tra l’altro ha un po’ di esaurimento, ha deciso di ritirarsi dalla scena per un paio di mesi. Ma, se decidiamo di andare alla Concordia, forse sarà meglio che io vada ad allenarmi un po’ sul Nibbio su vere difficoltà e su un tipo di arrampicata che si avvicina di più alla prossima “bandata”.
I tuoi programmi (treno e giorni) andrebbero benissimo per me. Quanto all’equipaggiamento, se vuoi un consiglio, ti compri dei calzari di piumino (per bivaccare) e faresti bene inoltre a portare un discreto assortimento di chiodi (dopo la batosta di domenica scorsa me ne sono rimasti sette). Ricordati della tendina. Ancora una cosa: sono riuscito a farmi prestare dei superleggeri, adesso ne ho dodici. Vedi un po’ se riesci anche tu, perché la Val d’Ambiez è lunga…
Quanto all’articolo su La Stampa di cui ti stupisci, ricordati la morale di Livanos: “l’importante non è fare molte salite, ma reclamizzare bene quelle che si sono fatte”. Scherzi a parte è successo che il mio press-agent (mio cognato) ha telefonato proditoriamente ad Arturo Rampini e assieme hanno concordato alcune piacevoli facezie (tipo vento e strapiombi ghiacciati); a nulla è poi valso il mio tardivo intervento per rimettere le cose a posto: evidentemente la mia non era una fonte d’informazione attendibile…
Apprendo in questo momento che la nutrita schiera di torinesi che era andata per conquistare la Becca di Moncorvé è ritornata con le pive nel sacco causa il freddo. Se la cosa t’interessa per questa domenica… gli sci si usano solo in fondovalle, in alto non c’è neve. Fammi sapere qualcosa prima di giovedì sera. Ciao, Paolo.
Torino, 6 marzo 1967 (dopo la prima invernale alla via Rossa dell’Uja di Mondrone e dopo il tentativo alla Via delle Guide, NdA)
Caro Sandro, anche se questo logicamente non basta a giustificare il mio lungo silenzio, almeno scrivendoti solo adesso posso dirti delle cose definitive. 1) La data del mio esame di tecnologia è il 20 marzo, data oltre la quale d’inverno ne resta pochino; 2) Quanto ad allenamento sono diventato meno di una merda (anche perché in questo mese mi sono ammalato due volte e oggi è il primo giorno che sono in piedi); 3) La neve adesso è caduta, anche se non abbondante.
Ci sarebbe poi a rincarare la dose la cronica mancanza di soldi che però abbiamo visto non rappresenta un impedimento fondamentale.
Ho tardato a scriverti forse un po’ per pigrizia, ma soprattutto perché giorno per giorno vedevo sfumare i nostri progetti: un giorno nevicava, poi ero io che mi ammalavo, la domenica faceva sempre brutto (in un mese sono andato ad arrampicare una volta in Sbarua e sono venuti giù 20 cm di neve fresca! Fortuna che ero su una via di artificiale). Il colpo finale me l’hanno dato proprio stamattina telefonandomi che l’esame non è al 15 come pensavo bensì al 20.
Avrei potuto, come ti avevo promesso, cercare di metterti in contatto con qualcuno di Torino e in effetti avevo anche provato, se non fosse che salvo Ilio Pivano (quello che era per ultimo sull’Uja di Mondrone), tutti gli altri hanno deciso che per quest’anno ne hanno abbastanza di invernali.
Detto questo mi riesce un po’ difficile fare progetti per il futuro, un po’ perché penso di averti un poco deluso, poi perché rispetto all’ultima volta che ci siamo visti le mie condizioni sono peggiorate anche fisicamente ed infine perché penso che a Genova stia per scattare l’operazione “Scarason”.
Comunque, anche se visto come stanno le cose oggi il progetto mi sembra poco realizzabile, avrei sempre in testa la Carlesso alla Torre Trieste per la fine di aprile di cui mi sembra di averti accennato e alla quale non ho ancora completamente rinunciato.
Ti scriverò comunque ancora qualcosa in merito se in questo mese il morale mi torna un po’ su. Detto questo non mi resta che sperare che dopo la tua ultima visita a Milano tu non sia diventato padre di una bambina con una gambina di gesso (io mi sono limitato a prendere una ciucca come quelle dei bei tempi) e augurarmi nonché augurarti che sullo Scarason non ci sia del settimo grado. Ciao, Paolo.
P.S. Per toglierti un eventuale e sbagliato sospetto sulla mia rinuncia alle invernali sappi che non mi voglio più sposare (non mi piace più la ragazza con cui studio), in compenso ne ho conosciuta un’altra che… aspetto d’essere un po’ più in forze, per questo genere di attività non occorre un grande allenamento.
Secondo P.S. Ti ricordi quello spigolo che si vedeva dalla Est del Dente? Guarda sulla copertina della Rivista Mensile del giugno 1964: dev’essere il Mont Mallet. Sai se è stato salito? (si tratta effettivamente dello spigolo nord del Mont Mallet, che corre vicino e a destra dell’itinerario di Bérardini e Paragot sulla parete nord-ovest, 28 luglio 1953. Ancora oggi non mi risulta salito, ma potrei sbagliare, NdA).
Torino, 15 marzo 1967
Caro Sandro, ti scrivo piuttosto di fretta (lunedì devo dare quel maledetto esame) per raccontarti quali sono le prospettive per Pasqua.
Domenica sono andato in Grigna: ho fatto la Sant’Elia e la Boga al Nibbio con Ettore e ho visto che del tutto imbranato non lo sono ancora. C’erano anche due amici di Ettore che hanno fatto il primo tiro della McKinley e il secondo della Sant’Elia (combinazione definita via dei Ciuck di sinistra); ora, uno di questi due pare sia un cliente di Ettore (bei tempi quelli, in cui la professione abusiva era del tutto normale…, NdA). Si tratta di una persona nemmeno troppo imbranata, almeno fino a che è legata (pare che invece, una volta slegata, se la faccia addosso sul I grado, soprattutto se c’è un po’ di neve). Siccome Ettore parlava di andare alla Rébuffat all’Aiguille du Midi per Pasqua con questo cliente, io gli ho detto: perché non andiamo alle Cinque Torri in quattro, ce lo scarrozziamo un giorno a testa (nota che è in grado di fare vie come la Franceschi alla Torre Grande) e cerchiamo di tirarci fuori le spese? La cosa non è ancora sicura (Ettore aspetta notizie dall’Olanda: se viene giù Anna, andrebbe in Grigna), però mi sembra una proposta da prendere in considerazione. Per i giorni io preferirei essere di ritorno a Torino per Pasqua, però anche questo non è ancora sicuro (non vorrei che mi spostassero ulteriormente la data dell’esame). Se la proposta non ti va, per me va abbastanza bene andare in Grigna cercando però possibilmente di evitare programmi terribili, almeno quando si va in “palestra”.
Ettore mi ha detto che mi telefona qualcosa di più sicuro venerdì sera, io per combinare dubito di poter nei giorni prossimi scrivere ancora a qualcuno. Vuole dire che mi attaccherò al telefono una volta dato questo benedetto esame e sentirò un po’ le varie campane.
Per l’attività futura Ettore è “cissatissimo” e parla ancora di Carlesso al 25 aprile, non solo parla anche di Pilastro della Tofana ai primi di maggio (pare che in quest’occasione approfitti di una gita gratuita fino a Cortina: l’unico fatto positivo è che non è molto allenato, per cui forse riuscirò a ridurlo alla ragione.
Quanto a te lascia un po’ stare le donne e i sogni proibiti (leggi alpinismo) e cerca in questo periodo di studiare un po’… in fondo ci guadagni anche dal punto di vista montagna, no? Ciao, Paolo.
Ultime notizie. Forse non sai che Ettore ha tenuto una conferenza “illustrando con delle spettacolari fotografie numerose scalate di V e VI grado sul granito della Val Masino, sui vetrati del Monte Bianco e sulle giallo-rosate architetture delle Dolomiti”, almeno così diceva il manifesto di presentazione. Come abbia fatto è un mistero, perché sulle vie dure la macchina fotografica non la porta per non rovinarla…
Torino, 8 maggio 1967 (subito dopo lo Scarason, NdA)
Caro Sandro, se tu avessi scorso con minor impazienza La Stampa di mercoledì 3 maggio, avresti forse scoperto in fondo a pagina 13 tra la pubblicità del pollo Arena, le vicende di un acrobata, nonché i colori della moda estiva maschile, un piccolo e striminzito articolo sulla grrrande impresa di due universitari, ma poiché la tua ricerca si è con molta modestia limitata alla prima pagina tra le vicende del SIFAR e del Mercato Comune essa ha avuto un esito infelice.
Certo l’articolo in questione non era la veste giornalistica che forse speravamo ma, visto che né tu né io apparteniamo alla Scuola Gervasutti o siamo membri del GAM (la A è proprio una A), anzi per quel che mi riguarda sono in aperta polemica con dette istituzioni (o meglio, con gli istituzionalizzati), dobbiamo accontentarci. La pubblicazione è già molto (sappi comunque che la notizia è stata trasmessa anche per radio).
Cercherò ora di dimostrarti che non sono stato completamente con le mani in mano in questo periodo. A parte il farmi vedere nelle numerose società cui appartengo, ho scelto anche altre vie. Per esempio non vedo perché dovrei cercare l’indirizzo di Biancardi sull’elenco telefonico visto che il signore in questione si è fatto vivo con una lettera (che ti accludo e che desidererei avere indietro, né vedo perché dovrei mandarti il suo indirizzo (dr. Armando Biancardi, via Miglietti 3, Torino), visto che me lo sto lavorando io.
A questo proposito però occorre precisare alcune cose: che né lui, né Maestri, né Aste hanno mai attaccato il “cimitero dei kamikaze”, che Aste tra un rosario e l’altro pare abbia però trovato modo di osservarla, amen, nonché di dire che si trattava di un notevole problema, amen, tale da richiedere un paio di bivacchi, amen, e pare che con il dito abbia indicato come via da seguire proprio la fessura da noi percorsa (non mi sono fatto precisare se lo ha anche infilato nel buco che abbiamo trovato all’altezza delle grotte ma generalmente i grandi non si perdono in questi dettagli).
Quello che invece è sicuro è che Biancardi ci terrebbe molto a fare una, anzi la prima, ripetizione, né si è fatto spaventare dalle difficoltà descrittegli: mostro, strapiombo erboso, ecc. (gli ho dato una mia relazione che ti accludo e che sarà bene che tu utilizzi assieme alla tua nella stesura di quella definitiva, cercando di renderla il più possibile chiara, stringata e accettabile letterariamente). Anzi, sentito il paragone con la via Buhl (alla Roda di Vael, NdA), si è lanciato in altri paragoni arditi, per esempio col Grand Capucin, paragoni che io ho cercato di frenare con considerazioni storico-altimetriche e di fomentare con considerazioni mistico-sportive.
La conclusione comunque è questa: vedi un po’ se riesci a trovargli lì a Genova un compagno super-forte, super-tirante e super-paziente per fare questa via. Io farò del mio meglio qui a Torino (forse più che un compagno sarebbero meglio due). Per intanto, per allenarlo, ho promesso di portarlo una di queste domeniche, su per… il Canalone dei Genovesi.
Altra cosa. Ieri sono andato a farmi vedere in Sbarua (c’era quasi tutta la Torino alpinistica) e ho trovato un tale il quale mi ha assalito dicendomi che dove avevano attaccato la parete loro sì che era difficile (bravi furbi!), che infatti erano saliti in libera (“infatti” l’ho aggiunto io), che loro stavano facendo una vera direttissima, che loro sì che erano bravi (non lo ha detto ma era implicito) e che erano scesi per difficoltà psicologiche (gli ho chiesto se dipendeva dal fatto che era finito il tratto con erba come genere di sostentamento, viveri, ma ha mostrato di non capire rispondendomi che “lui all’erba non si attacca mai”).
Non ho avuto bisogno di chiedergli chi era (o Mimo Folli o Aldo Tardito, che nel 1966 avevano fatto un primo assaggio sulla parete, NdA), credo però di aver sollazzato l’uditorio anche se mi era partitamente ostile, dicendogli che anche a me piacerebbe in linea teorica arrivare sulla luna a nuoto prima degli americani ma che, viste le mie capacità, mi limito a battere il crawl nella mia vasca da bagno, che le direttissime in generale si fanno direttamente, cioè senza voler strafare troppo con dei difficilissimi traversi e che secondo me doveva ancora chiarirsi i rapporti tra distanza psicologica e altezza della parete realmente percorsa. Poi siccome mi ha fatto arrabbiare gli ho fatto notare che in fondo chi aveva salito la parete eravamo stati NOI (“noi” scritto cubitale) e non lui (“lui” da leggere con lente d’ingrandimento) e che l’unica cosa che aveva dimostrato di saper fare era stata quella di imbranarsi alla quinta lunghezza e che se avesse cercato di ripetere la nostra via sarebbe stato un facile pasto per i corvi, sempre supponendo che arrivasse vivo fino a quel giorno. Dopo di che mi hanno tolto il martello di mano e mi hanno portato via. Spero comunque che vada a ripeterla.
Hippies, Elysian Park, Los Angeles, 1967
Saltando di palo in frasca, credo che Gian Piero (Motti, NdA) andrà a ripeterla. A proposito mi ha detto che ti scriverà lui per mandarti la relazione di Torre Castello), spero veramente che ci vada, che ci riesca e che butti giù ancora qualche sasso perché tutto sommato mi sembra una bella via e una volta chiodata potrebbe diventare quasi classica (si vede che sono seduto al sicuro di casa mia).
Ti accludo l’articolo che c’era su La Stampa (mandamelo indietro) e ti sfido a trovare altre inesattezze oltre a quelle sottolineate (non però la nostra età, l’esposizione o la quota dello Scarason) e non mi dire che è impossibile, visto che già tutto l’articolo è sottolineato.
Quanto alle foto sono un po’ deluso, spero che quella che mi hai mandato sia la foto più brutta. Se è così mandami le negative di quelle belle, perché il postino mi spiegazza sempre le lettere. La foto della Cima delle Saline è chiarissima. Qual è lo spigolo in questione, quello che ho segnato con una freccia? Se sì, strapiomba per un centinaio di metri, direi. Spero di averti detto tutto, per cui chiudo con un “memento cunei” e ritorno a studiare. Ciao, Paolo.
Torino, 22 maggio 1967
Caro Sandro, quando riceverai questa mia lettera probabilmente ti avranno già fregato all’esame di Analisi perché immagino tu non ti sia lasciato sfuggire l’occasione di esporre, in un simile qualificato consesso, la famosa equazione “A3=4ch.malsicuri+5cunei-vecchi-marci” oppure l’altra un po’ più elaborata “Integrale di (ch+cunei)*(colpi sulle dita)= Sxcxaxrxaxsxoxnx (stai attento che nell’integrare chiodi e cunei non sono costanti ma funzioni complesse dei colpi sulle dita. Ma non te la prendere. Non sarà che una conferma in più che i tempi non sono ancora maturi per l’alpinismo matematico. Tu non ti scoraggiare e continua coraggiosamente per la tua strada di precursore, quasi mi sembra di avertene qui indicato un nuovo sviluppo: l’analisi infinitesimale alpinistica. Non voglio essere certo io, poco fiducioso in questa materia, a sviscerartela, ma penso che un esempio non guasti.
Analizziamo per esempio un tratto di VI grado. Generalmente se ne specifica la lunghezza (i limiti) e generalmente ci si ferma lì, supponendo la costanza della funzione VI grado per tutto il passaggio. Cosa che tu sai benissimo non essere esatta. Di Vi non ci sono che pochi determinati istanti (per esempio in un cambio di meno, il momento in cui si resta appesi sull’appiglio con i due mignoli e i due anulari, oppure certi momenti in cui ci si allunga allo spasimo per prendere un appiglio lontano, o quando la trazione su un blocco instabile raggiunge certi livelli, ecc.). Sarebbe quindi più interessante giudicare un passaggio come sommatoria di infiniti passaggini infinitesimi. Esiste una difficoltà pratica: la legge di variazione di difficoltà non è esprimibile generalmente con una funzione continua. Comunque si potrebbe superare tale scoglio con uno stringiculografo (credo che il nome sia indicativo del tipo e del modo d’applicazione dell’apparecchio: ne esistono in commercio di diverso tipo, a microscopio, a fiato, a pressione interna. Non solo, ma credo che mi perdonerai l’eleganza matematica della trattazione se misuro un fenomeno utilizzandone uno parallelo con le inevitabili imprecisioni di taratura, ecc. dell’apparecchio in questione) procedendo comunque a un’integrazione grafica dello stringiculogramma. Dividendo per l’ampiezza del diagramma si avrebbe poi con semplici operazioni la difficoltà effettiva del passaggio.
Che te ne pare? Si tratta di un campo nuovo e inesplorato. Se desideri maggiori chiarimenti te ne posso dare a patto che tu partecipi a queste conversazioni disarmato, senza martello e con le unghie tagliate. Potresti comunque trovare subito un’applicazione pratica a quest’importante intuizione affibbiando a Gian Piero un po’ di compitini delle vacanze su questo tema in modo che resti un po’ occupato e non si sbafi tutti gli ultimi problemi di Torre Castello. Va bene fare una guida, ma pensa poter scrivere: “questo spigolo rappresenta uno dei più formidabili problemi del gruppo ancora insoluto” e poi andare a farlo il giorno prima che esca la guida.
E adesso veniamo al dunque, cioè alla famosa questione di agosto. Io ho trovato una bellissima fanciulla e quest’estate me ne vado al mare. Detto questo non resta che scegliere il posto. Né io né lei abbiamo preferenze purché non si tratti di Genova (per via della conosciuta inospitalità degli indigeni) o del Mar Morto (non abbiamo costumi da bagno del colore adatto).
Scommetto che detta così all’improvviso la notizia ti ha lasciato con la bocca piena di… pardon volevo dire di merda. Comunque è bene specificare che il mare che intendo è un mare di ghiacci e di roccia e che la bellissima fanciulla la sto ancora cercando. Perciò potremmo benissimo cominciare dal Monte Bianco. Capisco che è molto facile fare i teorici sui vantaggi delle Dolomiti soprattutto quando si passa prima un mesetto a Courmayeur. Ora, non tanto, ma un 10-15 giorni a seconda del tempo non mi dispiacerebbe dedicarli a quest’amena località. Non so se hai mai sentito parlare delle Grandi Giurasse e soprattutto della Valcher (grafia storica). Sarebbe mio desiderio, se il diavolo non ci mette la neve, di andare a picchiarmi con codesta parete.
Con questo non vorrei frenare te e Gian Piero: se l’avete in programma, cominciate pure a sacrificarle le punte dei piedi, so benissimo che la via in questione è raramente in buone condizioni e bisogna acchiapparla quando vuole lei senza attendere nessuno, altrimenti si corre il rischio di innalzarsi di così poco lungo lo spigolo da avere anche una caduta non mortale! Del resto io vedrò di arrampicarmi con la Roberta (non è il suo punto di arrivo? Così almeno poi la smette di andare in montagna) o con Ettore se non arriva alla fine troppo grasso come al solito e con una voglia di mare localizzata in alcune parti del corpo. Quanto poi al tuo programma in Dolomiti mi va abbastanza bene a parte il fatto che arrivando dal Bianco si potrebbe anche passare dai tuoi e ripartire dopo (spero non denutriti) per il Vazzoler. Ti chiarisco soltanto alcuni punti base: in Dolomiti diffido delle vie storiche (generalmente sono delle fregature), preferisco le vie con molta fama e poca difficoltà (a proposito, ce ne sono?), non ho mai voglia di camminare, mi piace arrampicare all’ombra se ho caldo e al sole se ho freddo (Armandus, trattato De Cengibus), mi piacciono anche i prati e le ragazze (non solo in Dolomiti). E veniamo alla regola base su cui assolutamente non transigo: sia ben chiaro che comandano le fanciulle (belle, evidentemente). Per il resto fai pure tu il programma, a me andrà bene. In ogni caso mi divertirò sufficientemente nel vederlo modificato dai seguenti fattori (in ordine alfabetico): fame, grandi alpinisti, io, perdita di tutto il materiale che ci limiterà alle vie di libera, ragazze, tempo, vino, ecc.
Tieni presente solo che non mi spiacerebbe, visto che non ne vuoi sapere di vie nuove, fare per lo meno una schiodatura storica (per esempio la Cassin alla Ovest o la Brandler-Hasse alla Grande, naturalmente il giorno prima di partire dalle Tre Cime). Altra cosa che non mi spiacerebbe fare (naturalmente in Bianco) è di dar fuoco a una via tutta su cunei.
Veniamo ora a un poco di cronaca locale: Due domeniche fa ho portato la relazione a Bastianin (l’allora custode del rifugio Garelli, NdA), la mia (quella cioè dove do di V il mio cespuglio e di IV, massimo IV+, le robe che hai tirato tu… Per l’occasione sono andato a cimentarmi con lo spigolo Aste-Biancardi alla Punta Tino Prato. La relazione è molto chiara: si attacca alla sinistra del secondo caminone. Noi invece siamo stati molto stupidi (Ilio ed io) e abbiamo attaccato a destra. Risultato, un paio di tiri piuttosto salatini che ci hanno portato alla spalla, sotto all’ultimo salto. Abbiamo assaggiato un po’ di V e VI di Aste: banale, roba da dilettanti nei confronti anche semplicemente di ciò che avevamo salito prima sul filo dello spigolo. Ilio aveva rotto l’orologio ed era convinto che fosse tardissimo, così abbiamo traversato al Canalone dei Genovesi. Lì mi sono lanciato verso l’alto anche se Ilio era convinto che fosse talmente tardi da voler scendere. Ma visto il mio menefreghismo non ha potuto far altro che inseguirmi e siamo andati assieme in punta. Importante questione: la nostra è da qualificare come Variante al Canalone dei Genovesi oppure allo spigolo della Tino Prato? Nel dubbio non ci dormo la notte… Siamo discesi ancora da lì (più di metà sul culo) e alle 13.30 eravamo al rifugio con mia grande rabbia e balbettamenti di Ilio. Comunque l’occasione è stata buona per fare amicizia con Bastianin il quale è proprio un brav’uomo: per 500 lire ci ha dato: 3 etti di salame, 2 caffè, 2 grappini e due bottiglie di ottimo dolcetto. Sono riuscito a partire prima che m’imprestasse la moglie, la figlia di sei anni e che mi chiedesse l’autografo.
Della domenica dopo credo che qualcuno di Genova ti abbia già raccontato qualcosa, comunque non mi dispiacerebbe ritrovare ancora una volta tutta la banda di Genova (è vero che l’11 giugno vanno al Corno Stella?). Se quando puoi sfruttare il telefono della SUCAI m’informi su dove vanno, mi fai piacere. Mica male la rossa, neh? Pensavo quasi di chiedere se non mi accettano come istruttore per l’anno prossimo. Se non altro non sono una banda di merdosi come a Torino. Scusa il turpiloquio, comunque credo di aver finito. Ciao, Paolo.
P.S: in culo alla balena.
(NdA: La lettera è su doppio foglio scritto fittissimo e sfruttando alla fine gli esigui spazi laterali, pertanto Paolo conclude, riferendosi al fatto che gli avevo scritto su carta intestata SUCAI: “come vedi, la carta scarseggia a Torino, dove non si può rubarla in SUCAI”).
Torino, 15 giugno 1967
Caro Sandro, ti scrivo un po’ di fretta altrimenti penserai che io sia stato colto da paralisi al braccio destro, il fatto è invece che mi sono messo a lavorare (solo mezza giornata) e di tempo libero me ne resta pochino. Spesso e volentieri vado a dormire… il che, aggiunto alla mia ormai proverbiale velocità nel risponderti, mi spinge quasi quasi a fare un programma delle salite invernali 1968-69! Meno male che sono contrario per natura a fare programmi per cui ti risparmio.
Ti posso invece divertire un po’ visto che a te la montagna non piace, e non ci vai più, raccontandoti le ultime notizie di cronaca alpina. Posso riassumere brevemente. Dopo che abbiamo fatto il Monviso sono andato in Grigna dove ho preso una ciucca memorabile, talmente memorabile che il giorno dopo sono riuscito a stento a salire il Torrione Fiorelli dalla via normale, dopo aver inutilmente tentato di risalire per la mia via (mi hanno fermato i primi tre metri). Ritornato alla SEM e rinfrancatomi con qualche buon bicchiere ho tentato l’attacco della via del Triangolo Industriale, ma non sono riuscito ad alzarmi di neppure un passo. A questo punto, preso dallo scoramento (hai fatto due vie nuove e non riesci neppure a salire un infinitesimo) non mi è restato altro da fare che fermarmi sui prati ad insidiare fanciulle, cosa che ho fatto con grande piacere.
Domenica scorsa invece le cose sono andate un po’ meglio. Ho fatto la Nord del Ciarforon, con Ilio Pivano, Gian Carlo Grassi, due dei Falchi e un mio compagno di scuola. A parte la salita che non rappresenta nulla di eccezionale per via dell’abbondante neve (la cordata seguente però, con terrazzini e qualche gradino già fatto, è arrivata in vetta mezz’ora dopo) ho avuto modo di constatare la bontà dell’allenamento in discesa. Le cose sono andate più o meno così: mi ero fermato un po’ e quando ho ripreso il gruppo, li ho trovati intruppati che battevano dieci metri per uno sfondando fino a metà gamba (bisogna fare un lungo traverso in piano per tornare al rifugio); ho provato a battere un po’ anche io e uno per volta li ho persi per strada. Solo Grassi ha resistito fino alla fine (sempre con un distacco di 100-200 metri) e aveva pure il coraggio di gridare “fermati, che batto un po’ anch’io”.
Al rifugio Vittorio Emanuele festival delle facce stravolte. Ho avuto comunque modo di constatare che Attilio Farina (quello che vuole fare e finanziare la spedizione in Sud America l’anno prossimo) è ancora un duro ed è arrivato terzo. Non ha più parlato per mezz’ora ma è arrivato terzo.
E adesso parliamo un po’ di salite da farsi. Evidentemente non di quest’estate, che sono ancora troppo lontane per poter fare progetti. Stabiliamo prima il giorno, 24-25 giugno (due giorni di festa e il primo è il mio compleanno e festa di san Giovanni. Se tu non puoi per gli esami punto e basta, salta quello che scrivo sul retro e ricomincia dall’asterisco*.
Mi è capitata sotto il naso una bella foto del Cervino, come pure per caso la guida del Cavazzani e ho scoperto che sulla Nord esiste una via molto classica (o meglio molto storica…). Sì, sono completamente pazzo, però è una pazzia che ha una sua ragion d’essere. Non so se ti ho mai detto che qualche anno fa ho passato qualche giorno alla Staffelalp; ero lì per salire il Cervino dalla cresta di Zmutt ma non ho potuto evidentemente impedire alla Nord di essere lì anche lei… Ti posso assicurare che è bellissima (almeno a vedersi). Poi è successo che, leggendo la guida, apprendessi che detta salita è percorsa con frequenza ai primi di luglio. Ma non solo, dopo nevicate abbondanti (un po’ dopo naturalmente, per via delle slavine) pare che la via guadagni in semplicità (l’hanno fatta anche in sole 12 ore). Ora, viste le condizioni generale delle vie di ghiaccio di quest’anno, un’occhiatina andrei a dargliela… come abbiamo fatto l’anno scorso per il Monviso. Completi di termometro: se non fa abbastanza freddo si resta a cuccia o si va a vedere per esempio la Furggen.
logicamente bisogna mettere nel conto anche l’allenamento che ci si sente di avere e valutare anche se nella settimana precedente si è faticato poco o tanto. Dammi comunque una risposta ponderata senza preconcetti e senza entusiasmi (stavo quasi per dire matematica, ma mi sono tenuto a tempo).
S’intende che per una salita del genere bisogna riservarsi il diritto di tirarsi indietro se si è presi dalla paura all’ultimo momento. Per me dal punto di vista degli esami andrebbe piuttosto bene perché ne avrò uno probabilmente il 23 giugno. Fammi comunque sapere qualcosa, altrimenti combino qualcos’altro con i milanesi.
* Se hai da fare, ricomincia a leggere qui, ma mi resta peraltro poco da dirti a parte il fatto che la Major, la Crétier al Maudit e il Pilastro Gervasutti (almeno quello sul Tacul) penso siano vie che ben allenati e con un po’ di fortuna si possano fare in fine settimana da Torino. Per cui quest’estate potrebbero servire da allenamento nel caso che gli esami mi riducano come un morto in piedi (sto scherzando, li considero sempre dei vioni ma un bel po’ meno degli altri). Quanto alla Cassin all’Aiguille de Leschaux (prestigiosa… chi sono i primi salitori?) penso che non sia molto bella e sia più che altro una questione di estetismo storico, ma ammetto che non mi spiacerebbe metterci il naso.
Adesso smetto perché mi accorgo che sto cadendo nei programmi (cosa inutile e molto pericolosa, almeno per la tranquillità di quando si è a casa) e perché devo andare a studiare. Ciao, Paolo.
P.S. Ti rimando la lettera di Comino. Mandami quelle di Biancardi, se le poste lo permettono.
Torino, 15 novembre 1967 (in pieno periodo di preparativi per l’invernale alla Nord-est del Badile, NdA)
Caro Sandro, ti rispondo un po’ in ritardo ma sono impegnato con tesi e sottotesi e siccome domenica ho voluto lo stesso andare in Sbarua non ho trovato tempo prima.
Non so come siano andate a finire le molto probabili 300.000 lire del Corriere della Sera, comunque già mercoledì scorso avevo rivisto Attilio Farina (quello dei Falchi) che mi ha rifatto lo stesso discorso dell’altra volta: organizziamola noi dei Falchi (nulla in contrario se arrivano soldi da qualche giornale, però), cosa vuoi che venga a costare, non sarà mica più di mezzo milione, io spendo due milioni all’annodi pubblicità, poi parecchio materiale potrei fornirlo io.
Questa voglia gli ho spiegato la cosa con più dettagli: si è anche offerto di prendere parte alla prima fase della scalata (eventualmente attrezzatura di cento-duecento metri) e magari anche di stare alla base per mantenere il contatto con noi.
Adesso dovrei fargli una specie di preventivo e non so bene da che parte incominciare per diversi motivi: non conosco i prezzi, non so bene e non mi sento di decidere da solo di quale materiale speciale ci sia bisogno, non so di preciso cosa eventualmente già abbiamo o possiamo trovare a prestito o gratis.
Ho detto un paio di volte a Gian Piero di informarsi presso quella fabbrica di corde, ma credo non ne abbia ancora fatto nulla.
Credo proprio che sarebbe meglio trovarsi qui a Torino perché io sono piuttosto preso (per le spese dei viaggi, anche quello a Chamonix, si potrebbe mettere tutto sul conto in attesa di un finanziamento da qualche parte. Stavo per scrivere “potremmo creare noi un fondo-cassa, ma mi sono ricordato di avere mille lire in tasca. Dovrebbe esserci anche Attilio Farina, così da conoscerci tutti e da decidere sul materiale.
Comunque prima di venire, cerca di mettere giù (cosa che farò anch’io) una scaletta col materiale che ti sembra necessario, se possibile anche con i prezzi, così poi l’incontro sarebbe più sveltito.
Probabilmente, se i soldi li fornisce Attilio, il materiale non resterà nostro ma sarà della società alpinistica Falchi (il che non vuole dire che non si possa più usarlo per altre occasioni), anche in vista di una spedizione nelle Ande che Attilio vorrebbe organizzare (finanziata da lui, ma senza il tempo per organizzarla), che credo sia un altro punto interessante su cui battere.
Ancora Attilio mi ha detto che lì in fabbrica ha una piccola officina dove si potrebbero far fare i picchetti da neve o altro materiale del genere, magari gli apparecchi per risalire sulle corde). Per il momento non ho altro.
A proposito, dimmi qualcosa della Domenica del Corriere. Se non è andata bene potremmo provare io e Gian Piero con La Stampa, o qualche altro giornale di Torino. Non è il caso di abbassare troppo il “prezzo” ma anche se arrivasse qualcosa di meno (aumentabile magari con la riuscita della salita) potrebbe bastare con il contributo di Attilio.
Ancora io andrei molto adagio a parlare fino a Sant’Ambrogio, quando avremo visto le condizioni della parete e misurata un po’ la nostra capacità: dopo, anche se trapela qualcosa (magari senza precisare, anzi spostando ad arte la data) non ci farei più molto caso, anzi potrebbe essere un fatto positivo.
Rispondimi comunque qualcosa presto, magari per telefono (dal CAI naturalmente) e non t’inguaiare troppo con le ragazze, cosa che sto già facendo io a sufficienza per tutti e due.
Alcune notiziole di cronaca spicciola: Gian Piero, Ilio e altri hanno aperto domenica una via al Monte Plu (Diretta dello Sperone Grigio). Io sono stato in Sbarua per fare una via nuova ma sono stato bloccato da una specie di fessura terrosa (forse era melafiro) in cui i chiodi tenevano pochino. Il mio secondo ha tirato un sospiro di sollievo visto che era già volato un paio di volte e siamo scesi. Penso che la lascerò stare lì magari fino al 3 dicembre ammesso di non essere troppo ciucchi dopo la cena del GAM. A proposito, pare che né a me né a te bastino i punteggi per entrare, forse non sono capaci di fare addizioni con cifre troppo grandi…
Per quel che riguarda l’articolo su Tuttosport sono successe diverse cose: quel giornalista ha cominciato a scrivere un articolo sulla cordata, poi ha cambiato e ha scritto un articolo polemico e provocatorio prendendo spunto da alcune mie affermazioni sull’ambiente di Torino; adesso credo che stia ancora cambiando e scrivendo un articolo sulla mia strabiliante carriera alpinistica. Chissà comunque se pubblicherà mai qualcosa. Ciao, Paolo.
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Caro Ugo (permettimi la confidenza), ti ringrazio per la risposta.
La commozione e le lacrime di Fredino Marengo ne rivelano la passione “alla vecchia maniera” e me lo rendono simpatico. La sua fine però è stata brutale.
Nella mia biblioteca di montagna conservo la tua autobiografia. Ma, soprattutto, ricordo i tuoi avvincenti racconti di ascensioni che apparvero sulle varie riviste di montagna negli anni Settanta e Ottanta. Stupendi!
Ti auguro di scalare ancora per tanti anni, a dispetto del tempo che passa spietato per tutti.
Fabio Bertoncelli
Risposta a Fabio Bertoncelli.
Claudio Sant’Unione é effettivamente nato a Modena, poi la famiglia si trasferì in Piemonte.
Fredino Marengo è stato un alpinista torinese, da giovanissimo scalò con Paolo Armando con il quale apri anche delle nuove vie. Scalò anche con Gian Carlo Grassi e con altri della cerchia torinese. Era un tipo esuberante, molto forte fisicamente e bravo scalatore, oltre ad essere scherzoso e divertente. Era molto legato ad Armando. Alcuni anni dopo la morte di Paolo smise di scalare.
Nel 1985 effettuai la prima invernale della via Armando- Marengo-Pivano sulla parete del Forquin di Bioula nel Gran Paradiso. Sull’ annuario. Scandere 1988 della Sezione di Torino scrissi un articolo su questa ascensione e, con l’occasione, tratteggiai la figura di Paolo Armando. Qualche tempo dopo ricevetti una telefonata: era Fredino Marengo che mi disse all’incirca la seguenti parole: <<Ugo, ho letto il tuo articolo sul Fourquin, debbo confessarti che per la commozione provocata dal ricordo di quei giorni mi sono messo a piangere; ho deciso che riprenderò ad arrampicare.>>
Riprese e come ad arrampicare arrivando fin a raggiungere difficoltà di 7c. La sua grande passione era divenuta però la motocicletta ed in moto si schiantò perdendo la vita
Interessanti gli occhiali a foro stenopeico (giá in uso nella Grande Guerra) sulle montature di moda del ’67.
Nelle lettere di Armando é bello notare competizione, polemica, cultura, umorismo, vino e donne. Oggi cosa è cambiato?
Sicuramente meno vino, cultura e le donne… Gioia e dolore d’ogni tempo, ce ne sono di alpiniste piú brave e forti di certi uomini che sono pure delle gnoccone!
Claudio Santunione è di origine emiliana? Io sono della provincia di Modena.
Non ho mai sentito nominare Fredino Marengo. Chi è? Che ne è stato?
Le invidie, i pettegolezzi caustici, le malelingue – a volte le cattiverie gratuite – sono purtroppo una costante di ogni consorzio umano. E naturalmente vengono trasportate anche sui monti. A dispetto di quanto i monti e l’alpinismo potrebbero insegnarci.
Insomma, alcuni scalano le montagne per dimostrare di essere migliori, non per diventare migliori nello spirito (ho scoperto l’acqua calda…).
Ho letto con il sorriso sulle labra le lettere di Paolo Armando che ricordo molto bene ed é ancora vivo in me il rammarico per la sua prematura scomparsa. Dagli scritti emerge il vero Paolo con il suo senso dell’umorismo; ma un umorismo caustico e provocatore che gli ha provocato conflitti ed antipatie soprattutto nell’ambiente alpinistico torinese. Conflitti che si erano poi erano attenuati, quasi scomparsi, nel suo ultimo anno di vita.
Paolo arrivò un giovedì sera alla sede CAI Torino per cercare compagni per scalare nel fine settimana. proveniva da Milano e nessuno lo conosceva. Nessuno lo considerò (atteggiamento abbastanza tipico nell’ambiente alpinistico torinese di allora). Ci restò male e la domenica successiva, alla Rocca Sbarua, i suoi commenti ironici sulla capacità dei torinesi di scalare in artificiale lo portarono quasi a venire alle mani con Antonio Balmamion.
Il suo atteggiamento provocatorio lo portò in conflitto con molti esponenti dell’alpinismo torinese di allora tanto che tra i compagni di cordata torinesi di quegli anni non troviamo nomi noti ma giovanissimi emergenti come Claudio Sant’Unione e Fredino Marengo. Naturalmente gli scambi di cortesie erano reciproci: Paolo non amava l’arrampicata un fessura alla Dulfer, un giorno, legato con Fredino Marengo, si trovò a scalare la via Cavalieri Mellano Perego al Becco di Valsoera dietro ad una cordata formata da Peppino Castelli ed Alberto Marchionni. Terminata la via Castelli e Marchionni continuarono per la cresta che raggiunge la vetta del Becco e che non era ancora stata percorsa. Paolo decise di seguirli, giunti ad una difficile fessura da “Dulfer” non se la senti di superarla da primo e si fece buttare la corda. Non erano ancora rientrati che la notizia di questa pecca si era già diffusa a razzo nell’ambiente alpinistico.
Non ho mai arrampicato con Paolo, tante volte abbiamo parlato di progetti e di alpinismo e non abbiamo mai avuto contrasti. Quando, ormai, superate dispute ed incomprensioni, apprezzato da tutti per la sua attività alpinistica, venne invitato ad illustrare questa attività in una serata pubblica a Torino, volle che fossi io a presentarlo. Pochi mesi dopo cadeva sulla parete Nord del mont Greuvetta nel tentativo di aprire una nuova via.
Gentile Alessandro Gogna,
La fotografia con la didascalia: “1967. Proteste in Cina” sarebbe opportuno specificare che sono avvenute a Hong Kong (per precisazione evitando equivoci).
Cordiali Saluti.