Fascinazione tecnologica Vs Percezione e capacità di decidere

Fascinazione tecnologica Vs Percezione e capacità di decidere
di Michele Comi
(pubblicato su stilealpino.it il 21 dicembre 2019)

E’ noto che un numero sorprendente di persone travolte dalle valanghe sono esperte o si accompagnano con esperti al momento dell’incidente.

Siamo a conoscenza di una vasta serie di errori umani che ci mettono nei guai, ma questo non pare essere accompagnato da un aumento comparabile delle conoscenze su come evitare questi errori.

Nonostante la maggior parte degli incidenti sia ricollegabile a un problema “umano”, riconducibile a decisioni e comportamenti errati, la pressoché totalità delle azioni di studio e prevenzione si interessa alle scienze della neve, ai dispositivi e alle tecniche di autosoccorso.

L’esperienza nella valutazione della stabilità del manto nevoso o la rapidità e preparazione nelle procedure di salvataggio può essere estesa in pari competenza nella capacità di prendere decisioni?

Perché l’apprendimento di “come prendere decisioni” è pressoché ignorato?

Sulla base di queste domande ho “postato” su facebook due approfondimenti relativi ai processi decisionali difficili negli ambienti naturali, agli inganni del cervello e le trappole in cui ci possiamo facilmente infilare.

Post n. 1
(dal profilo fb di Michele Comi, 16 dicembre 2019)

Scialpinismo e sci fuoripista: tecnica e fattore umano. Una proposta diversa.
L’acquisizione di informazioni sulla neve, sul meteo, sui mille apparecchi ARTVA, su sonde, pale e airbag non è in grado di supportare completamente la nostra capacità di decidere quando ci muoviamo nella neve.
Ogni imprevisto è certamente da ricondurre a un problema umano.

Mentre siamo fortemente attratti dall’approfondimento e dalla ricerca di solidità tecniche, razionali, troppo spesso ci scordiamo l’importanza delle altrettanto fondamentali e complementari competenze non tecniche legate al fattore umano.

In pratica l’ascolto di quel vasto mondo, cognitivo, sensoriale ed emotivo, legato alla sfera personale, che condiziona la presa delle decisioni si dà troppo spesso per scontato.

I progressi nelle apparecchiature, la popolarità e il fitness hanno portato a una curva di apprendimento sempre più veloce.

Non sempre però il miglioramento delle conoscenze si accompagna con un analogo perfezionamento dei processi decisionali.

Per chi fosse interessato propongo alcune semplici uscite di scialpinismo e fuoripista, per tentare di indagare un diverso approccio, non solo basato su fattori fisici come il cristallo di neve, il manto, la morfologia, le tecniche di autosoccorso…

Questa proposta non è da intendere come una critica nei confronti della formazione consolidata, ma al contrario, intende completare ed “esplodere” le conoscenze acquisite. Contattatemi per maggiori informazioni.

Post n. 2
(dal profilo fb di Michele Comi, 18 dicembre 2019)

Se intendiamo la montagna bianca come qualcosa di diverso da un “oggetto” a disposizione ben gestito, se muovendoci sulla neve intravediamo la possibilità di conoscere meglio alcuni elementi (neve, Terra, cielo, uomo) tra cui intercorrono relazioni assai complicate, se dopo esserci informati e preparati ci viene il dubbio che conoscenza ed esperienza aiutano a ridurre una certa quota di rischio e di errori, ma non forniscono certezze, né risolvono tutti i problemi, forse è possibile ricominciare ad occuparsi non solo di tecnica, ma di fiducia, paura, cura, emotività e “simpatia” con i luoghi, per allenare la propria esperienza sulla neve, unendo l’esplorazione di ambienti naturali significativi ad uno sguardo verso il proprio modo di attraversarli.

Scegliere le curve migliori non dipende solo da quante capacità abbiamo o dagli attrezzi che indossiamo, ma da una fitta relazione di aspetti condizionanti: elementi naturali e meteorologici in continua evoluzione, tempo a disposizione per decidere, pressione psicologica, comprensione di ciò che accade, complessità organizzativa, tecnica e umana.

In tal modo proveremo a sciare mettendo a fuoco relazioni con l’ambiente circostante e sensorialità, utili a ricordare che ciò che abbiamo a disposizione non è smisurato, così da ritrovare un senso della realtà e, perché no, anche del limite.

Destinatari:
– appassionati sciatori, principianti ed esperti, ragazzi e adulti desiderosi di provare qualcosa di nuovo;
– figure di riferimento tecnico e organizzativo di scuole sci, sci-club, CAI, gruppi sciatori;
– scialpinisti e sciatori fuoripista.

Luoghi di svolgimento: comprensorio sciistico della Valmalenco (Valtellina), in pista e fuori.

Periodo inverno 2018-2019: ogni mercoledì. Fine settimana su prenotazione. Contattateci per saperne di più.

Ho successivamente pubblicato un testo bislacco, un miscuglio confuso di proposte tecniche di autosoccorso in voga, completato con minuzie e tecnicismi stravaganti. Tutti i testi erano corredati da immagini sulla neve similari.

Difficile dire quale dei contributi abbia destato maggiore interesse, ma il banale conteggio dei “like” ha sentenziato l’attrazione immediata verso il post dedicato agli strumenti, alle soluzioni tecniche e tecnologiche, nonostante le indicazioni stravaganti, come l’indagine delle interferenze degli apparecchi ARTVA con “pacemaker”, l’esplosione di zaini airbag, la “valutazione della CO2 deviata” durante prove di respiro con boccaglio o l’analisi delle ergonomie nelle “maniglie di sgancio”…

Siamo sicuri che i progressi in termini di attrezzature, popolarità, fitness e allenamento, uniti agli effetti dei nuovi media, oltre a portare un apprendimento più veloce per competenza, portino a un analogo miglioramento nella percezione e capacità di decisione?

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59 pensieri su “Fascinazione tecnologica Vs Percezione e capacità di decidere”

  1. Marcello hai ragione, ma il brutto computer della mela ha memorizzato solo il nome e non mi interessa cambiare, tanto si capisce che sono io, se lo facessi metterei un nickname come tanta strana gente, ma romperei lo stesso sempre, e sono troppo vecchio per non andare via di testa.
    Perdonami, non ho mai capito niente, ormai mi mancano pochi anni per cercare di capire qualcosa un poco generale e par cercare di imparare a scalare.

  2. Marcello non sono io quel Paolo. A meno che tu non conosca la persona in questione.

  3. Ammetto che pure io faccio fatica a sintonizzarmi sulle vibrazioni di Merlo.
    Mi ritrovo di più nel pragmatismo di Cominetti.
     
    Quindi, per stemperare, dirò questo:
    “Oè, siam mica qui a farci la barba col rasoio di Occam…”

  4. Non si tratta di attribuire significato. Si tratta di vibrazioni, di energia colta o meno. 
    In montagna e ovunque e sempre.
     
    La sorpresa del dialogo fra sordi allude alla non trasmissibilità dell’esperienza. 

  5. Il campo infinito non è quello dell’alpinismo ma è quello dell’esperienza che se ne può fare. L’alpinismo di per se, come la montagna stessa, è privo di significato se l’essere umano non glielo attribuisce.
    Credo che si sia travisato il significato di “esperienza” fin dal mio primo commento. E dire: l’esperienza non è mai abbastanza avrebbe dovuto sottintendere un’ovvia apertura in avanti, ma i rigurgiti verbali di Merlo (non ce l’ho con te ma semplicemente continuo a non capire perché ti esprimi in maniera così fastidiosamente contorta) hanno scatenato una corsa alla complicazione che sinceramente sembrava un dialogo tra sordi.
    Paolo, quando ti firmavi anche con il tuo cognome (non so cosa ti sia preso, ma sono fatti tuoi) esprimevi concetti più inerenti all’argomento che si commentava. Ora mi sembri troppo generalista e spesso fuori tema. Almeno, questa è la sensazione che ho quando ti leggo.

  6. E rieccoci all’Uomo: che bello !
    Checchè se ne dica esistono uomini eccezionali e uomini nullità e fra questi due estremi ve ne sono tanti altri diversi, dovunque e in qualsiasi campo della conoscenza.
    L’importante è saperli distinguere.
    Poi ogni uomo sceglie quelli che più si confanno a lui.
    Guide eccezionali e guide nullità e pure alpinisti, scienziati, giornalisti, politici, ladri, papi, insomma l’uomo è Uomo.
    Se ne discute sempre, ma raramente lo si accetta con i suoi limiti enormi.

  7. Non sono loro il problema, è l’affidarsi a loro che lo genera.
    La loro elezione spegne la relazione con noi stessi, gli altri e il terreno e la sua intelligenza, l’ascolto.
    L’alpinismo è un campo aperto, disponibile all’infinito, chiuderlo in campi limitati quali quello dell’esperienza, delle macchine, delle regole, delle abitudini alza il richio di lasciare fuori molto della sua e della nostra natura, della conoscenza attraverso la relazione.
    Affidarsi a strumenti vari imbratta la vibrissa che siamo.

  8. Merlo, abbi pazienza, ma se metti assieme: esperienza, regole, abitudini e macchine  e le consideri come un’unica cosa negativa, mi viene da dirti che sei molto confuso. Io non ho MAI capito nessuno dei concetti che cerchi di esprimere, sono una vera guida montanara, pragmatica ma anche antropologa per “esperienza” vissuta e mi pari un po’ fuori luogo. Ciao

  9. Bello Mic.
    Prendo l’attenzione sull’importanza personale.
    È una delle esiziali molle per interrompere la relazione con sé, gli altri, l’ambiente.
    La relazione è la sola modalità per alzare il rischio di produrre la miglior sicurezza.
    Affidarsi all’esperienza, alle regole, alle abitudini, alle macchine tende invece a farci perdere la relazione e con essa la disponibilità a cogliere le energie e le loro sottili informazioni.

  10. Bello leggervi, grazie.
    Un piccolo inizio per tentare di indagare aspetti che abbiamo sempre ignorato o messo sotto al tappeto.
    Quante volte attitudine, orgoglio, ego, arroganza – tratti comuni nei momenti più deboli di chiunque – possono produrre effetti indesiderati?
    Perché all’aumentare della dimensione del gruppo diminuisce la percezione dei rischi anche se in realtà occorrerebbe il contrario?
    Quanto tendiamo a filtrare le informazioni per soddisfare le nostre esigenze, perdendo di vista la complessità della situazione?
    Perché la percezione del pericolo spesso non è sincronizzata con il pericolo reale?
    In definitiva alla valanga non importa se abbiamo una riunione di lunedì o se abbiamo speso un sacco di soldi per trovarci in cima ad un pendio immacolato…

  11. Infatti, quanto dice Matteo conferma che l’esperienza non è trasmissibile.
    Stringendo il campo da infinito a finito avviene lo scambio unidirezionale o bidirezionale o circolare.
    Se l’esperienza fosse trasmissibile il campo condiviso – quale precondizione dello scambio – non avrebbe ragione di sussistere.
     
    A parità di linguaggio potrebbe non corrispondere una parità di motivazione, di accodiscendenza, di sentimento idoneo.
    Da solo il linguaggio non copre il problema della comunicazione degli universi che siamo.

  12. Commento 38, Lorenzo.
    Concordo con quanto dici. Lo chiami “paritario” ma e’ semplicemente una persona che usa il tuo stesso linguaggio, sia semantico che concettuale.  L’insegnamento tradizionale a scuola si basa su questo, per gradi.  Ma quello che Matteo sostiene e’ esattamente quanto in pratica succede: per insegnare qualcosa occorrono le basi, che rendono insegnante e allievo “paritari” nel momento della trasmissione.  

  13. rumenta=spazzatura=ROCCIA in dialetto Leviglianese alta Versilia
    le cosiddette SEGHE (MENTALI) potrebbero essere usate come paravalanghe….magari sono efficaci.

  14. La parità di esperienza non è definita o affermata dagli interlocutori.
    Essi, in quanto attori del dialogo (campo chiuso), sono si pari esperienza.

  15. La chiesa cattolica ha una esperienza di due millenni.
    Mi sembra sempre un poco rigida nell’accettazione delle nuove conoscenze.
    Addirittura c’è ancora l’inquisizione, ma non come qualche secolo fa.
    Bisogna essere molto bravi e sempre stare attenti nel valutare l’esperienza propria e altrui, si rischia di fossilizzarsi.
    Però senza alcuna esperienza si capisce poco, si parla al vento e si resta dei bambocci.
    I bambini usano tutti i loro sensi per farsi una esperienza del mondo, per conoscere, e son capaci di farla evolvere.

  16. Il dibattito ora è davvero interessante. Sono più d’accordo con Matteo. Lorenzo potresti spiegare meglio cosa intendi tra paritari?

  17. Esperienza è (non sto consultando nessun dizionario né quel bidone di rumenta* che è wikipedia)  l’insieme di elementi appresi nel tempo che una persona possiede nei confronti di un determinato argomento e/o campo.
    Esperienza è anche un singolo episodio in cui la persona vive delle sensazioni legate all’attività che sta svolgendo, alle persone e ai luoghi, in cui e con cui, ci si muove, che  può essere positiva o negativa.
    Nel mio post passato mi riferivo al primo caso.
    Qui mi sembra che si stia girando intorno al problema con dei vezzeggiativi  che sinceramente mi sembrano inadeguati. Le valanghe cadono! Le decisioni vanno prese, l’atteggiamento richiesto non lascia spazio a dubbi o a temporeggiamenti, l’aver speso un botto di soldi per avere la migliore attrezzatura non ci mette al riparo dalle valanghe (non esiste nulla che sia anti-valanga come spesso si legge o sente dalla bocca di chi non sa di cosa sta parlando), possedere più esperienza possibile è la migliore delle condizioni e voi vi state a fare le seghe sulla trasmissibilità o meno dell’esperienza e cose così? State a casa.
     
    *rumenta=spazzatura in dialetto genovese.

  18. «E questa parte è ampiamente comunicabile o trasmissibile»
    Quanto dici sussiste tra paritari.
    Se sussistesse sempre non saremmo qui.

  19. Se esperienza è solo quella dei sensi, ovviamente non è trasmissibile: io sento quello che sento e per quanto io senta forte, tu non sentirai mai quello che sento io.
    Se l’esperienza è solo questo, non si và molto più lontano di come la mucca conosce il filo elettrificato del recinto (benché anche la mucca possa insegnare al vitello)
    Se l’esperienza è l’idea che io mi sono fatto e mi faccio continuamente dell’universo circostante, allora è parte importante anche l’elaborazione mentale con le sue deduzioni, induzioni e costruzioni. E questa parte è ampiamente comunicabile o trasmissibile.
    L’una parte non esclude l’altra ma la completa. Favorire l’una a scapito dell’altra porta come minimo all’essere incompleti e perciò vulnerabili e storti.
    Se pensi di sopravvivere in montagna affinando e affinandoti ai sensi come un camoscio, avrai la speranza di un camoscio. Credo che la mortalità si aggiri sul 30% in inverno (e tu non hai nemmeno la pelliccia del camoscio!)

  20. 37 – Giacomo Govi
    «Matteo chiama Esperienza l’insieme di nozioni e conclusioni, elaborate parzialmente con processi razionali, che derivano dalla Lorenzo-Esperienza, una volta processata e filtrata. Questa si e’ trasmissibile».
    A chi?
    Se lo fosse lo sarebbe a tutti.
    È invece trasmissibile solo al paritario.
    Solo all’interessato e allineato.
    Appena aumenti lo scarto dell’allineamento tra gli interlocutori, il processo di trasmissione si interrompe.
    Per questo si dice che nella comunicazione l’equivoco impera.
     
    Restringendo e condividendo il campo (per esempio matematico) si riduce il rischio di equivoco fino a zero.

  21. Lorenzo chiama Esperienza il complesso insieme di effetti che l’interazione con il mondo esterno produce sulla persona. E’ specifico, non riproducibile, in parte non prevedibile e dipende da una miriade di fattori. Come tale e’ ovviamente non trasmissibile, se non altro perche’ non vi e’ neppure ( necessariamente ) consapevolezza di tali effetti. Matteo chiama Esperienza l’insieme di nozioni e conclusioni, elaborate parzialmente con processi razionali, che derivano dalla Lorenzo-Esperienza, una volta processata e filtrata. Questa si e’ trasmissibile.  

  22. Ma non si tratta di considerare l’esperienza sostituibile con altro (mi sembra un ossimoro).
    Si tratta della concezione della natura dell’esperienza.
    Essa è trasmissibile? Sì. No.
    Chiunque si ponga in osservazione della questione può uscire fuori dal cappuccio buio del razionalismo da sotto il quale aveva creduto che l’esperienza fosse trasmissibile.
    Si può prendere qualunque contesto didattico, cognitivo e psicomotorio, qualunque contesto psicoterapereutico, di comunicazione per riconoscerne l’evidenza.
    Didatti, terapisti, ecc cambiano il registro della loro azione appena mettono al centro l’uomo e sottraggono dal centro la tecnica o il loro sapere.
    E se l’uomo non capisce non è perché è stupido è perché la nostra formula era a lui inidonea.

  23. Chiamala comunicazione e non trasmissione, se vuoi imitazione. Nel singolo processo sarà anche meno efficiente, non ho dubbi.
    Ma è molto più facile e sicura.
    E se siamo quello che siamo, nel bene e nel male, è perché esiste. Altrimenti saremmo come tutti gli altri animali, incapaci di prescindere dall’istante del qui e ora, senza memori del passato e senza futuro se non casuale.
    Tu chiamala come vuoi, per me è comunicazione. Culturale, se vuoi distinguerla dalla quella, diciamo, primaria; ma comunicazione di esperienza oltre che di tutto il resto.

  24. Certamente nulla può sostituire l’esperienza personale. I simulatori di volo furono inventati dagli americani durante la seconda guerra mondiale e diminuirono in modo incredibile gli incidenti mortali durante l’addestramento. Ancora oggi vengono usati durante tutta la carriera dei piloti e sono obbligatori. Certo non sostituiscono le ore di volo. Primo o poi avremo dei simulatori anche per l’addestramento per lo sci/alpinismo , ci sono già per altre complesse abilità, ma non penso sostituiranno mai le ore di volo reale.

  25. 32 – Matteo:
    1. «E’ ovvio che l’esperienza […] è comunicabile e condivisibile, almeno fino a un certo».
    No. Quell’apparenza di comunicabilità sussiste solo dove emissario e destinatario già dispongono di un patrimonio specifico simile (dialogo).
    Non è trasmissione ma richiamo di esperienza.
    2. « […] posso arrivare a capire che è meglio non martellarsi sul dito e a prestare la dovuta attenzione».
    Questo può accadere ma non si tratta di trasmissione, ma di imitazione. Un processo che non raggiunge l’efficienza dell’esperienza direttamente esperita.
    L’autenticità della mia descrizione dell’esperienza sussiste in me solo se ho direttamente esperito.
    Diversamente anche la descrizione sarà scimmiottata, poco sentita.
    (Dopo di che si entra nelle ideologie).
     
    Di martellate e guanti antinfortunistici è piena la storia. Tuttavia ogni generazione ha bisogno di perdere l’unghia di persona.
     
    Se l’esperienza fosse trasmissibile non saremmo qui.
     
     
     

  26. Lorenzo, qui stai arrivando al gesuitismo spinto:
    “Ciò non corrisponde ad una trasmissione di esperienza ma ad una ri-creazione personale relativa al tema d’interesse. Se si prende un campione di persone tutte interessate, ognuna svilupperà una progressione autopersonalizzata. Ovvero ognuna farà riferimento a sé sulla via della ri-creazione”
    E’ ovvio che l’esperienza (da esperire=provare, tentare, mettere in pratica) non può che essere personale e quindi non trasmissibile, però è comunicabile e condivisibile, almeno fino a un certo punto.
    Se non prendo una martellata sul dito non faccio esperienza del dolore. Ma se qualcuno me lo racconta (o mi fa vedere il suo dito spappolato) posso arrivare a capire che è meglio non martellarsi sul dito e a prestare la dovuta attenzione. E se qualcun altro mi dice che con la mano che tiene il chiodo al muro infilata in un guanto antiinfortunistico si è fatto molto meno male, posso anche ricavare misure adeguate senza aver effettivamente fatto l’esperienza.
    Questo io chiamo comunicare l’esperienza ed è, credo, una forma di trasmissione. E’ la forma docente-discente, maestro-allievo, che può essere declinata in molti modi differenti e con differenti possibilità di riuscita.
    Esiste credo in tutti i campi, con eccezione forse delle visioni paranormali difficilmente esprimibili a parole (sempre che tu scelga di crederci, ovviamente).
    Il problema di questo mondo è che cerca di convincerci che sia possibile ottenere un risultato usando solo una parte dei fattori in gioco; in particolare quelli monetizzabili, cioè la tecnica e i materiali.
    Se hai comprato l’ultimo capo in SoftSboreTex @TM e hai ramponi autoadattanti, autobloccanti e ghiacciosorvolanti della AustrasianAlpine Ltd o della Selawà GmbH sei in una botte di ferro e puoi fare tutto quel che vuoi.
    Quello che dice qualcosa di ragionevole: attenzione, che si tende a sopravvalutare i ciarpicchi tecnici rispetto allo studio, alla conoscenza e al “sentire”. E ciò non è bene.
    E propone un percorso per porre rimedio. E questo mi pare molto apprezzabile

  27. per quanto riguarda la trasmissione dell’esperienza  io credo di avere RICEVUTO da chi ne sapeva più di me. Sarà che ero molto interessanto e mi sono messo li ad ascoltare ?
    Poi ho dovuto metterci del mio.

  28. @merlo  “Ciò non corrisponde ad una trasmissione di esperienza ma ad una ri-creazione personale relativa al tema d’interesse.
    Se si prende un campione di persone tutte interessate, ognuna svilupperà una progressione autopersonalizzata.Ovvero ognuna farà riferimento a sé sulla via della ri-creazione.”
     
     
    lo hai detto meglio, ma volevo dire proprio quello :o)
     
     

  29. ho fatto parecchio alpinismo invernale, le condizioni possono variare molto velocemente, in Apuane questi cambiamenti repentini li ho sperimentati veramente molte volte. Quindi  la capacità di valutazione sul momento è determinante, avere esperienza è decisamente utile. Ma anche possedere un certo fiuto e buon spritito di adattamento.
    Quello che ritengo pericoloso della  familiarità, è l’abitudine a fare le cose a cui può portare. Si ripetono così tante volte gli stessi movimenti, le stesse tecniche, che si tende a memorizzarle, a darle per scontate. Stessa cosa è la ripetuta frequentazione di un’ambiente che diventa così familiare tanto da sottovalutarlo, nonostante si sappia, dentro di noi quali possano essere i pericoli.
    Poi è chiaro che saper fare le cose ed avere un ampio bagaglio di esperienza , ci da un vantaggio. Più hai e più puoi.
    Sull’esempio dell’uso delle protezioni veloci, sono d’accordo. Esperienza e  occhio nel vedere quello che la roccia ti può affrire, per piazzarle,  fanno la differenza.

  30. 27 – gullich: «[… ] in quel senso qualcosa si trasmette, sia sotto il profilo dell’esperienza …»
     
    Prendi un campione di persone al cospetto di un tema qualunque.
    (Per limitare i casi), tra questi c’è il più motivato al tema e il disinteressato.
    Apparentemente si trasmette qualcosa all’interessato.
    Di fatto se le maglie di questo non sono idonee al linguaggio con il quel il tema è trattato, anche l’interessato tende a non raccogliere nulla.
    Indipendentemente dalle maglie, l’interessato potrà raccogliere solo e soltanto ciò che è al suo gradino successivo, ammesso gli sia stato proposto.
    Ciò non corrisponde ad una trasmissione di esperienza ma ad una ri-creazione personale relativa al tema d’interesse.
    Se si prende un campione di persone tutte interessate, ognuna svilupperà una progressione autopersonalizzata.
    Ovvero ognuna farà riferimento a sé sulla via della ri-creazione.
     

  31. @benassi ” L’abitudine a fare le cose, la familiarità  è il nemico numero uno di noi stessi.”
     
     
    Non sono del tutto d’accordo.
    Ritornando al tema e agli spunti del pezzo di Comi: se la familiarità si trasforma nel dare per scontato e nell’automatismo, indubitabilmente può costituire un’inisidia, non solo in montagna, vale sottoacqua, vale nel lavoro e anche nei rapporti umani.
     
    Tuttavia una eccellente familiarità con una certa attività (intesa come skill) è sicuramente fattore di sicurezza e miglioramento, laddove presuppone prassi e tecniche acquisite e messe in atto senza necessità di eccessiva elaborazione (penso ad esempio alle manovre di sicurezza o all’abilità di proteggersi per una consolidata esperienza nell’uso delle protezione veloci). 
     
    Sono andato per una vita sott’acqua, oltre che in montagna ed è un ambiente che a me ha sempre ricordato moltissimo l’esperienza su neve e ghiaccio, la capacità di valutazione e di scelta è determinante. 
     
    Essere esperti ed automatici in mote cose non significa necessariamente essere superficiali, poichè da molti commenti sembra trasparire la teoria che il fare le stesse cose da quarantanni porti inevitabilmente ad una confidenza che porta alla sottostima e all’incidente.
     
    A mio avviso non è così, anche se un margine di possibile cazzata da eccessiva fiducia in se stessi può starci (perchè siamo uomini e non macchine). 
     
    Un’ultima nota sulla trasmissibilità dell’esperienza: è ovvio che il bagaglio di esperienza personale non è direttamente trasmissibile (perchè deriva dal nostro vissuto e dal nostro esperito in via diretta), ma l’elevato livello tecnico ed esperienziale di un soggetto può certamente aiutare il neofita a progredire assai più velocemente  sulla strada dell’acquisizione di una propria capacità individuale: in quel senso qualcosa si trasmette, sia sotto il profilo dell’esperienza  che della sensibilità…
     
    Io molto ho imparato da solo e sulla mia pelle, ma il contatto e il confronto con gente più forte mi ha fatto crescere enormemente. Sotto il filosofico potremmo dire che è esperienza comunque mia, ma credo che affondi le radici anche in quella degli altri. 
     
    ovviamente nessun airbag o arva di ultima generazione potrà sostituire il dato personale di capacità di valutazione e scelta e, sotto questo profilo, molta pubblicità che si vede in giro potrebbe portare erronee suggestioni… anche se ritengo che nessuno si butti giù per il MArinelli con gli sci solo perchè ha comprato l’ultimo zaino esplodente
     
    Viceversa credo che il miglioramento della tecnologia, a dispetto di quanto continua a scrivere i nostalgici, abbia portato sia nella scalata e che nella sciata enormi miglioramenti per coloro che utilizzano i materiali in maniera consapevole. 
     
    State bene  
     

  32. Visto che oggi è il 14 febbraio possiamo dire che anche nell’amore l’abitudine a fare le cose e la familiarità, se mal gestite, possono essere pericolose creando false e riposanti sicurezze che non esistono se non nella nostra mente e “sempre allegri bisogna stare”😃

  33. Sembra che l’esperienza e la familiarità coi luoghi possa portare, non tanto a sottostimare il rischio, ma a sovrastimare la capacità di gestirlo.

    mi sembra che si sia scoperta l’acqua calda.
    L’abitudine a fare le cose, la familiarità  è il nemico numero uno di noi stessi.

  34. Ma non si è appena parlato di coscienza e incoscienza ?
    Forse il desiderio di spaccare il capello in quattro fa perdere la visione d’insieme e fa finire col camminare sempre zoppi.
    “Res generalia non sunt umpiccicatoria”, ribadiva sempre il prof di storia e filosofia.

  35. La formazione proposta da Comi non elimina la formazione tecnica ma la affianca. Giustamente lui propone un lavoro sui processi decisionali individuali e di gruppo in ambienti difficili e sulle trappole che possono portare a scelte sbagliate. E’ un’impostazione molto moderna che tiene conto degli studi fatti sulle dinamiche degli errori in vari campi e nello specifico alpino  sugli incidenti da valanga. E’ un discorso che abbiamo già fatto in seguito all’articolo di Crovella. Sembra che l’esperienza e la familiarità coi luoghi possa portare, non tanto a sottostimare il rischio, ma a sovrastimare la capacità di gestirlo. Ecco la necessità di una meritorio lavoro di consapevolezza e di prevenzione.

  36. [senza polemica] Domina, più che campeggia.
    L’esperienza non è trasmissibile.
    Non saremmo qui.

  37. Lorenzo, eddai, ho anche scritto l’appunto apposta per te: trasmessa nel senso di insegnata, comunicata.  E ho fatto la differenza con “propria”.
    In questo senso si che si trasmette, non saremmo qui
     

  38. Si’  gullich ma sembra che qui ti dia tutto fastidio, allora che ci stai a fare se tutto ti da fastidio

  39. Sottoscrivo in toto matteo e cominetti.
    che mi sembra non stoa distante, nell’essenza, dalle riflessioni di comi.
    quanto a massettini, perche si legge cio che interessa(e anche un po quello che mi pare, la tua obiezione e puerile) e quando lo si trova infestato da divagazioni tautologiche si puo, assai banalmente, provare fastidio.

  40. Molto semplicemente io direi che l’esperienza, propria o trasmessa (per Lorenzo, comunicata, insegnata), è fondamentale.
    Ma lo sono anche la tecnica e la sua figliola, la tecnologia.
    I guai iniziano quando l’una prevale sull’altra, vuoi per convinzione, vuoi per circonvenzione, vuoi per stupidità.
    Perché con tutta la tecnologia del mondo sulla Brenva (ma basta molto meno) muori facile. Ma la storia insegna che in mutande anche tutta l’esperienza (e la forza) di Castiglioni, servono a poco.
    In questo momento viviamo l’illusione che la tecnologia sia tutto e che possa rendere tutto sicuro in qualunque momento. 
    Credo che lo scritto di Comi si riferisca a questo. E mi pare molto ragionevole.
     

  41. Se gullich trova fastidioso quanto scritto in questo blog, non si capisce perché viene a leggere

  42. Probabilmente il fatto che io sia una guida alpina ha confuso le idee a molti in merito all’argomento trattato. Lungi da me tirare acqua al mulino delle guide, ma vorrei spiegare cosa intendo per esperienza, al di là delle considerazioni filosofiche e linguistiche di accademica inutilità, perché le valanghe sono soggette alla sola forza di gravità!
    Nell’esperienza ci metto:
    -conoscenza del terreno, manto nevoso e sua evoluzione, ecc…
    -conoscenza e consapevolezza dei propri mezzi psicofisici e quindi pure tecni
    -avere con se l’attrezzatura indispensabile, nè di più, nè di meno
    -sapere perché siamo laddove saremo e cosa ne vogliamo trarre. Siamo orgogliosi di carattere? Siamo coraggiosi, fifoni (io sono un fifone), siamo influenzati dal giudizio altrui? Cerchiamo like? Ecc, ecc.
    Avrò sicuramente dimenticato qualcosa, ma vorrei fosse chiaro che l’esperienza che uno accumula è un qualcosa di molto variegato e necessita solamente di tempo per svilupparsi, accumularsi e quindi rendersi utile a chi ce l’ha.
    Se passo 180 giorni l’anno sulla neve, la conoscerò più di chi ci va la domenica e, vi assicuro, la temerò più di quest’ultimi. Avrò sicuramente più possibilità di restare sotto a una valanga semplicemente perché passo più tempo laddove possono scendere, nonostante l’esperienza mi faccia prendere tutte le precauzioni possibili, e anche di più.L’ho già scritto qui che penso di avere imparato a conoscere la neve più spalandola intorno a casa che frequentando mille corsi in cui sicuramente si apprendono cose utili ma che non licenziano in infallibilità applicata, come molti teorici credono.Lo stessoWerner Munter dice che se vuoi stare al sicuro, sulla neve non devi andarci.Detto ciò, filosofeggiate pure, ma personalmente sono felice di non essere ancora crepato sotto a una valanga e di cercare con tutti i miei sensi più o meno sviluppati, di fare di tutto per non finirci, inclusa qualche bella litigata con chi voleva proseguire quando secondo me il rischio c’era e imponevo una ritirata.
     
     
     

  43. Per stemperare la tensione…
     
    Scusa, “gullich”, ma che cos’è l’onanimsmo puro?
    😂😂😂
     

  44. non credo che ci si debba liberare del bagaglio che, accumulato negli anni, forma la nostra esperienza.
    Costruire questo bagaglio ci è costato: tempo, fatica, tanti rischi e un pò di fortuna, come i bimbi che l’ha in braccio la madonna.
    Di certo questa nostra esperienza deve essere malleabile , adattabile alle diverse situazioni e anche disponibile ai cambiamenti, perchè potremmo anche avere acquisito dei convicimenti errati o comunque non più adatti alle mutate situazioni. Insomma apertura mentale.
     
     
     

  45. devo dire che la lettura di questo blog è desolante e finisce di far passare la voglia non solo di interloquire ma pure di leggere…
     
    ad ogni bello spunto (come una parte dei commenti  in calce all’articolo di Gasparini, che potevano condurre a belle riflessioni su nuove modalità di approccio sostenibile) si finisce sempre in una avvilente girandola autoavvitante di considerazione più o meno ad minchiam (dall’autocelebrazione all’onanimsmo puro), sì che il tema centrale si perde di vista. 
    Esperienza deriva da esperire, ovvero :
    ”  1. Provare, sperimentare: eun’indagineele vie legali; tentare, mettere in opera: etutti i mezzi possibili per riusciresono state esperite senza esito tutte le vie d’uscitalito disertoChe mai non vide navicar sue acque Omoche di tornar sia poscia esperto (Dante), che abbia, cioè, sperimentato il ritorno (sia esperto ricalca il lat. expertus sit). 2. ant. a. Conoscere per prova: Sia da quegli empi il valor nostro esperto Ne la più aperta luce (T. Tasso). b. Dimostrare, dare prova: credo oggi aver esperto Ch’essere amato per valore io merto (Ariosto).”
     
    é la lingua italiana (o la treccani,se preferite), non sono io, che lo dice.
     
    Allora le teorie  sul maschile e femminile, il sentire, la chiusura e quant’altro son molto belle e mi fanno venire in mente quei bei corsi dove un coach motiva gli astanti a suon di chiacchiere . 
     
    Tuttavia uno che non ha mai visto un rampone avrà ben poco da ascoltare  in mezzo alla brenva poichè , non avendo mai esperito nulla in quell’ambito specifico, il suo intuito e sua sensibilità  superfemminile  sarnno prove delle necessarie coordinate di ascolto e se li potrà utilmente attaccare  … allo zaino, ed è probabile che muoia  nel giro di pochi metri.  
     
    Uno che ha grande esperienza e tende a fidarsi di se stesso senza stare comunque e sempre in campana è probabile farà la stessa fine (meno, perchè gli automatismi comunque son meglio dell’inesperienza, ma a volte fregano… a me han sempre detto che la valanga non lo sa che sei bravo, e mi pare avessero ragione).
     
    Colui che ha buona esperienza, buona tecnica, buona attrezzatura e mantiene viva la capacità di sentire ed ascoltare (sulla scorta dei propri dati di archivio, ovvero di ciò che ha già esperito) è probabile che se la cavi, se non gli dice proprio sfiga.  
     
    Sia che abbia gli sci dritti che sciancrati. 
     
    NOn dovrebbe essere difficilissimo mettere in fila una serie di dati simili, abbastanza banali, e trarre dall’articolo di Comi spunti di riflessione sensati, poi la crovellata sparsa ci sta… mi pare che sia ormai cifra di questo blog.
     
    ma la deriva totale è davvero insopportabile.
     
    state bene . 
     

  46. Sì.
    Con l’impiego dell’esperienza in quanto presunto ordine superiore, noi diamo importanza a noi stessi, che la portiamo in dote.
    Ciò implica un coinvolgimento vanesio e personale nel processo decisionale.
    E restare legati all’importanza personale è una cruna dalla quale l’infinito stenta a a passare.
    Tutto cò che potevamo cogliere e apprezzare è vagliato, castrato dall’esperienza.

  47. A me sembra chiaro e condivisibile quello che dice Merlo: se non siamo in grado di liberarci (o almeno di mettere in pausa) del nostro bagaglio di esperienze, siamo sordi, tendiamo a ripetere gli stessi comportamenti senza metterci in discussione. Come dire: ho sempre fatto così e non ho motivo di dubitare che quella sia la strada giusta perchè fino ad ora mi è sempre andata bene. Non che l’esperienza non serva ma le va dato il giusto peso.

  48. Dovrebbe essere abbastanza ovvio che l’esperienza abbia un ruolo determinante sia nell’evitare di mettersi nei guai, che nell’aiutare a togliersi dai guai. Rimane  contradditorio il fatto che una buona percentuale di incidenti accada in presenza di esperti, cioe’ di quelli che, appunto, hanno o dovrebbero avere l’esperienza di cui Comi parla. 
    Per quanto riguarda il ruolo della tecnologia, siamo al solito dibattito tra chi ha comprato la lavatrice e chi dice che preferisce  fregare le lenzuola alla fontana. Usare l’abs non significa sciare con la mano sulla manopola. Credo lo capiscano non so se tutti, perlomeno in molti. Ma direi che possiamo lasciare il piacere a guide in cerca di clienti e veci caiani ansiosi di auto-celebrazione di affermare che nonostante gli aggeggi, la gente non sa andare in montagna.
    Mi lascia perplesso il finale:
    “Siamo sicuri che i progressi in termini di attrezzature, popolarità, fitness e allenamento, uniti agli effetti dei nuovi media, oltre a portare un apprendimento più veloce per competenza, portino a un analogo miglioramento nella percezione e capacità di decisione?”
    Siamo sicuri di no! Perche’ dovrebbero? Non credo che nessuno lo affermi.

  49. L’esperienza in qanto bagaglio se inconsapevolmente impiegato come autoreferenza di se stessi tende ad impedire l’ascolto.
    Con l’ascolto possiamo conoscere.
    Per esempio in contesto didattico, ascoltando alziamo il rischio di trovare (creatività) la formula idonea ad entrare in contatto con tutti i nostri interlocutori.
    Fcendoci anticipare dalla nostra esperienza (pretesa) – tanto più vero quanto più accreditata – alziamo in vece il rischio di non cogliere i segni che la realtà emette, ed opportunamente impiegarli in funzione dello scopo.
    Accade sempre, in tutte le relazioni.
    Ascoltare è vibrissa in grado di raccogliere il minimo cambiamento di flusso energetico.
    Affermare no.
    L’ascolto è femminino, accoglie, unisce.
    L’affermazione è mascolina, giudica, separa.

  50. La creatività va bene. Ma purtroppo, o per fortuna, Stefano, l’esperienza conta davvero tanto. Che poi una persona molto, molto esperta resti vittima di un incidente, accade. Ma chi è sopravvissuto ha sempre raccontato due versioni molto precise: l’imponderabile (che in Natura esiste e forse ormai solo quando si ha a che fare con Lei); la “forzatura”, il “dovrebbe andar bene, dai”, “vado veloce e vedrai che va bene…” ecc. In una parola, l’errore da azzardo, che spesso coinvolge chi è esperto.
    Alla fine è una questione di scelte. Ma anche di istinto. Non lo si racconta quasi mai, ma tutti qui credo, qualche volta, avranno sentito dentro di loro “qualcosa”… No, non vado, alt. Qualcosa non mi torna. “Sento” che non va…
    Difficile discutere di questo. Ma quante volte ci siamo sentiti meglio, tornando sui nostri passi, quel giorno, in quel momento.

  51. Riferirsi all’esperienza, chiude all’ascoltoe quindi alla creatività.
    L’esperienza è solo uno degli strumenti.
    Se esaltato fa danno come qualunque altro se considerato portatore di verità.

  52. Michele (ciao), quell’insieme emotivo-sensoriale che elenchi e sottolinei è sicuramente la porzione più importante tra gli elementi che occorre tenere presenti quando ci si muove sulla neve. Io, molto più banalmente, la riassumo nella parola: esperienza, che include anche la conoscenza e l’uso dei dispositivi tecnici.  Questi ultimi sono troppo spesso esaltati da chi non ha sufficiente esperienza, appunto, e ripone le proprie sicurezze (badate bene che non le chiamo certezze) prima nell’acquisto e poi dell’esibizione, anche a se stessi, dei vari ammennicoli . L’esperienza però non si può insegnare come fare una curva o azionare l’airbag, ma occorre mettere nella testa di chi ne ha meno che per farsela ci vuole tempo e non denaro o attrezzi. Considerando poi che l’esperienza non è mai abbastanza, mi sembra di chiudere il cerchio citando anch’io il tuo primo concetto, ovvero: che gli incidenti accadono, anche e spesso, a chi si accompagna a esperti o agli esperti stessi che per essere tali passano molto tempo sulla neve e i suoi rischi.  

  53. E’ noto da tempo che io considero come (molto) negativo l’eccessivo di tecnologia in montagna, specie nella veste innevata.
    Io lo chiamo “doping tecnologico”: gli individui sono psicologicamente “dopati”, si muovono su livelli superiori a quelli delle loro oggettive capacità, non ragionano più (rapiti dalla frenesia del fare) e si affidano ciecamente agli aggetti tecnologici, che siano gli artva o gli sci sciancrati.
    Basta guardarsi intorno: nessuno sa più tracciare in salita con gli sci. Tutti vanno a casaccio, gli allenatissimi si sparano su dritti per la massima pendenza e basta…. “tanto – pensano tutti – ho l’artva e con il cellulare si chiama l’elicottero che arriva in pochi minuti”.
    E’ un modo demenziale di andare in montagna.
    Invece quando c’era meno intrusione della tecnologia, erano più marcate le barriere tecniche individuali di ingresso alla montagna. Chi superava tali barriere, lo faceva dimostrandosi più “consapevole”.
    Per cui il doping tecnologico è un fattore negativo, perché consente di utilizzare “meno” cervello e non “più” cervello (per cervello intendo non solo le facoltà razionali in senso stretto, ma tutto quell’insieme di fattori immateriali dell’esperienza: fiuti, istinto, sensazione, capacità di ascolto, velocità decisionali immediate…ecc ecc ecc).
     

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