Giulio Giorello – 2 (2-3)
(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/giulio-giorello-1/)
Come una molla carica di energie intellettuali
di Salvatore Veca (il filosofo)
(pubblicato su la Lettura, 12 luglio 2020)
C’è una bizzarra immagine che mi accompagna costantemente quando mi accade di pensare a Giulio Giorello. Cosa che mi accade spesso da quando Giulio ci ha lasciati. È l’immagine di una specie di molla che alterna fasi di assorbimento di energia a fasi di sua dissipazione. Ecco, penso all’opera e alla vita filosofica di Giulio come al succedersi nel tempo di fasi del tipo di quelle della strana molla.
Ho conosciuto Giulio in Statale nel 1966 quando mi presentò la sua tesina di filosofia teoretica. Ricordo ancora quei fogli, scritti a mano con stile calligrafico disciplinato e sorvegliato, dedicati al concetto di tempo nella Critica di Kant. Giulio era nella fase della molla che assorbe energia. Due anni dopo, nel 1968, si sarebbe laureato con Ludovico Geymonat e nel 1971 avrebbe chiuso i suoi studi a Pavia con la laurea in Matematica. Nel 1978 sarebbe succeduto a Geymonat sulla cattedra di Filosofia della scienza della Statale. Ed ecco che la molla si espanse con impressionante intensità.

Giorello, alla fine degli anni Settanta, si dedicò con tenacia e brillantezza intellettuale alla epistemologia post-popperiana, sino a proporre la prospettiva dell’anarchismo metodologico di Paul K. Feyerabend. L’espansione accelerata della molla era un’esperienza di liberazione da vincoli e dogmi — un tema che sarebbe divenuto cruciale nel pensiero di Giulio. La liberazione intellettuale riguardava, in quel caso, i dogmi e i vincoli di una prospettiva marxista nella teoria della conoscenza, ispirata da una rinnovata versione dell’antico materialismo dialettico, sostenuto da Geymonat.
È noto quanto il tema della libertà sia stato a cuore a Giorello. Mi è caro ricordare la prefazione a On Liberty di John Stuart Mill che pubblico nel 1981 con Marco Mondadori, uno dei grandi amici della sua e della mia vita. Giulio non ha mai elaborato teorie della libertà, né si è mai sistematicamente confrontato con gli sviluppi della filosofia politica contemporanea. La molla in espansione generava una intensa voracità di una varietà di temi, questioni, problemi etici, culturali, civili e politici che hanno caratterizzato la produzione di Giorello: da Topolino alla lussuria, dall’ateismo alla laicità, da Joyce all’ironia, dal fantasma al desiderio, all’Apocalisse.
Ho sempre avuto l’impressione che la molla in espansione coincidesse con un processo di liberazione di Giulio. Ma, viene da chiedersi, liberazione da che cosa? Credo che la risposta sia: liberazione dal sé che si è stati, liberazione dal disciplinamento e dai vincoli che ti modellano. Per questo, Giulio appassionava i suoi differenti uditori e letteralmente si divertiva. Come un bambino che poteva giocare con il «Mondo Tre» di Popper, quello delle idee e delle teorie. Ed è ciò, caro Giulio, che ha dato e dà un tratto inconfondibile alla tua voce filosofica.

La sua apertura mentale era sempre spiazzante
di Edoardo Boncinelli (il genetista)
(pubblicato su la Lettura, 12 luglio 2020)
Una delle prime volte che lo incontrai, ebbi a dire a Giulio Giorello che non avevo grande simpatia per le cosiddette domande ultime, di cui vanno tanto fieri i filosofi. Lui mi rispose: «Sarà come dici tu, però non possiamo fare a meno di porcele». E io: «È vero, ma bisogna saper resistere alla tentazione di rispondere. Tanto non troveremmo nessuna risposta seria e saremmo costretti a inventarcela». Mi aspettavo che si arrabbiasse, ma la prese abbastanza bene. Mi sorrise con compatimento, come faceva spesso, specialmente quando indulgevo in sciocchi (per lui) giochi di parole.
Cominciò così la nostra amicizia, che è poi cresciuta viaggiando spesso sui binari di una sorta di patto di non aggressione. Il nostro è stato un bel sodalizio, che ci ha portati a scrivere alcuni libri a quattro mani su argomenti abbastanza diversi. Ora per esempio mi ha lasciato alle prese con la revisione di un piccolo libro sui punti di forza e sulle debolezze dell’idea di democrazia oggi. Qualche settimana fa ne avevamo concluso la registrazione magnetica di una prima stesura. Adesso avremmo dovuto riprendere il tutto e dargli una verniciata finale. Ma lui non c’è più, e tutto il peso, concettuale e materiale, dell’operazione ricadrà su di me. Soprattutto considerando che il libro sarà criticato da più parti, e non ci sarà qualcuno a fianco a me che risponderà con la sua, di Giulio, preparazione e autorevolezza. E soprattutto con il suo straordinario senso della storia. Ma non è possibile perdere qualcuno senza perdere qualcosa. Specialmente se questo qualcuno ha la statura intellettuale e culturale di Giulio.

Mi sono chiesto spesso che cosa ci tenesse in sostanziale consonanza, nonostante fossimo persone così diverse e che le nostre vite si fossero dipanate in due maniere tanto differenti. Avevamo in comune alcune simpatie intellettuali, per esempio una grande considerazione della ricerca scientifica e della matematica, ma anche della grande letteratura, e soprattutto certe avversioni. Per la politica avulsa dalla cultura, per la ringhiosa chiusura dei diversi specialismi, per la superficialità e il conformismo sciatto, per la seriosità e il sussiego, per l’apriorismo irragionevolmente ostinato, per la cocciutaggine spacciata per coerenza, per la supina adesione a un credo e a una parrocchia; per tutto ciò, insomma, che si subisce senza farlo proprio, ritenendo magari di trarne vantaggio.
Che cosa mi mancherà di più di Giulio? Innanzitutto il coraggio, il coraggio di prendere di petto qualsiasi tema; poi l’apertura mentale, folgorante e spiazzante; ma anche il rifiuto dell’abiura della razionalità, lo spettro che si aggira oggi nella testa di molti; per non parlare della tendenza a semplificare invece che ad arruffare le matasse; e infine l’assenza della paura di vincere, che attanaglia e zavorra tanti intellettuali italiani.

La sua tavola per i paperi: “archimedepitagorica”
di Tito Faraci (il fumettista)
(pubblicato su la Lettura, 12 luglio 2020)
Giulio non resisteva mai al richiamo di una bevuta con gli amici. Vino o birra, e soprattutto chiacchiere. Con lui, mai banali. Mai prevedibili. A un certo punto, arrivava sempre uno spunto, anche soltanto una parola, che apriva una strada lunga, magari tortuosa, ma affascinante. Ti portava con sé in un viaggio, fatto di riflessioni, ricordi, teorie e fantasie.
Una volta l’avevo chiamato all’ultimo momento. Era già pomeriggio. Gli avevo chiesto se gli andava di unirsi a me e a due miei compari, per lui perfetti sconosciuti, in un’osteria in Bovisa, quella sera. Gli avevo spiegato che il posto era «un ex circolo anarchico» e che quei due erano «tipi interessanti». Parole magiche, per Giulio. «Non so, non potrei», mi aveva risposto sulle prime. «Avrei un impegno. C’è anche il sindaco». Non stiamo a specificare quale sindaco fosse, all’epoca. Ma mi sembrava ovvio che Giulio sarebbe andato lì. Ubi maior. E invece, quella sera, si presentò da noi. Con stupore mio e dei due amici, il professor Giulio Giorello si materializzò nell’osteria, muovendosi con quella sua strampalata grazia, degna di Paperoga. «Ma hai bidonato il sindaco?» gli chiesi. Giulio fece un vago gesto nell’aria, spiegando che comunque il primo cittadino non sarebbe stato da solo, per poi snocciolare una serie di nomi grossi e grossissimi. A cui aveva preferito una serata in Bovisa.
Al primo giro di bicchieri, stavamo già parlando di fumetti, argomento che Giulio amava moltissimo. La nostra amicizia era nata da lì. Non so come, si arrivò a considerare il fatto che i personaggi disneyani (Topolino, Paperino, Zio Paperone…) hanno quattro dita per mano. «Chissà come fanno a contare» disse qualcuno di noi, scherzosamente. E Giulio prese la cosa molto sul serio. Tirò fuori una penna, cominciando a macchiarsi d’inchiostro (perché era fatto così), e si mise a progettare un sistema matematico su base otto. Lo assecondai, con un certo fervore. Provai a stare al suo passo. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20… e così via. E arrivammo a costruire una tavola pitagorica (cioè, «archimedepitagorica») e un metodo per fare i quattro calcoli principali. Il tutto su tovagliette di carta che, a pensarci oggi, avrei dovuto portarmi a casa e appendere in soggiorno.
Giulio Giorello riusciva ad abbattere le barriere fra scienza e fantasia. La sua era una cultura multidimensionale. Umanistica e scientifica, classica e rivoluzionaria, rigorosa e divertente. Segno di un’apertura mentale straordinaria, geniale. Per inciso, due giorni dopo mi telefonò per spiegarmi come ci fossero già state, nella storia della matematica, varie teorizzazioni di calcolo su basi diverse da dieci. Doveva essersele andate a cercare e studiare tutte, magari dando buca a qualche altro importante impegno.
(continua in https://gognablog.sherpa-gate.com/giulio-giorello-3/)
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