Il cammino dell’idea (non ancora progetto) Montagna Sacra nel Parco nazionale Gran Paradiso in occasione del centenario (2022) è iniziato: il Consiglio Direttivo del parco lo ha messo all’ordine del giorno e ne ha discusso.
Come ampiamente presumibile, la proposta ha avuto reazioni negative da parte dei consiglieri rappresentanti delle comunità locali (i comuni del parco). E questo nonostante non si prefiguri di fatto alcun vincolo formale. Ma in questo caso si sconta un atteggiamento di pregiudizio ostinato, aprioristico.
Altri consiglieri sono invece possibilisti e considerano la proposta interessante.
Perplessità scontate sul termine “sacro”, oggettivamente impegnativo.
Il presidente è stato attendista, ma comunque non sfavorevole.
Il direttore (dimissionario) condivide in modo convinto l’idea, ma molto dipenderà dal nuovo direttore (bando pubblicato).
Si parla di dar vita a un comitato promotore composto da singoli e associazioni. Nel frattempo si valutano le reazioni.
Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso
di Toni Farina (consigliere del Parco Nazionale del Gran Paradiso)
Il Gran Paradiso, primo parco naturale italiano e fra i primi istituiti sulle Alpi, fra due anni compirà 100 anni di vita. Correva infatti il 1922 quando Vittorio Emanuele III di Savoia decise di donare allo stato italiano il territorio della riserva reale di caccia con lo scopo di tutelare le specie animali e vegetali, in particolar modo lo stambecco (Capra ibex).
Il toponimo “Gran Paradiso” non ha in realtà attinenza con il Paradiso. Ma è fuor di dubbio che tale denominazione abbia sempre contribuito ad arricchire di fascino queste montagne a cavallo fra Piemonte e Valle d’Aosta. E con molta probabilità abbia anche favorito la nascita di un parco naturale la cui vita non è certo stata facile.
Le “100 candeline” saranno occasione di festeggiamenti. Si organizzeranno convegni, si spenderanno molte parole. Il compleanno sarà anche occasione di ragionamenti sul futuro. Sui prossimi 100 anni, e non soltanto del parco. Momenti di riflessione sul rapporto fra Uomo e Natura.
Si parlerà di Limite. I “limiti allo sviluppo” di cui parlò Aurelio Peccei fin dagli anni ’60 del secolo scorso.
I parchi naturali sono nati anche per porre un limite. Nella società tecnologica del “no limit” suona quasi eversivo. Un limite vuol dire fermarsi, non andare oltre. Ma ci sono limiti accettati (il semaforo rosso) e altri no.
In un secolo il concetto di parco è però cambiato, si è evoluto in sintonia con i tempi. Nel 1922 il concetto di “sviluppo sostenibile” era di là da venire. Ai tempi nostri è un mantra. Oggi c’è convergenza sul fatto che i parchi naturali sono strumenti per costruire un diverso sviluppo, un diverso futuro. Strumenti per dare una possibilità al futuro umano.
“Give future a chance”, direbbe John Lennon. Il futuro dipende anche dai limiti che Homo sapiens saprà imporsi. Un limite allo sfruttamento dissennato delle risorse naturali, possibile solo con una rivoluzione economica e culturale. I parchi naturali servono anche a questo. La creazione di cultura ambientale è un loro compito essenziale.
Ed ecco allora una proposta il cui scopo è appunto la “creazione di consapevolezza”: istituire nel territorio del parco una Montagna Sacra.
Una Montagna Sacra per tutte le genti e per tutte le fedi. Una montagna “inaccessibile”, sulla quale l’Uomo si impegna a non salire mai. Si impegna ad accettare un Limite. Non per una regola imposta, ma per un impegno comune e condiviso. Una Montagna Sacra nel Gran Paradiso. Simbolo di pace fra Uomo e Natura. Per dare una possibilità al futuro.
Considerazioni
(a cura della Redazione)
E’ indubbiamente un’idea suggestiva. Si rifa alla cultura orientale, quindi alla montagna sacra perché residenza degli dei, ma con un approccio molto moderno (la necessità di rafforzare il concetto di limite ampiamente inviso e deriso ai nostri tempi occidentali). Un’idea valida, come del resto Farina sottolinea, solo se verrà condivisa e non imposta. Si può anche discutere sul termine “sacra”, anche perché questo non esprime correttamente quella che è la filosofia dell’idea.
Ma poi iniziano le difficoltà, perché bisognerà parlare di “quale” vetta scegliere. E’ realisticamente fuori questione che si promuova a “sacra” la vetta del Gran Paradiso stesso (4061 m), anche se in realtà sarebbe l’opzione più incisiva, quella che farebbe il giro del mondo. Troppi interessi e troppi tabù lo impedirebbero.
Se, come appare probabile, si andrà a cercare una vetta minore, anche se “alta”, come ad esempio potrebbe essere la Becca di Moncorvé, il risultato dell’operazione sarebbe un po’ scarso, considerato che su questa cima sale già ora ben poca gente. Sarebbe facile aderire, ci sarebbe una grande maggioranza entusiasta, ma agli effetti della credibilità si rischierebbe quasi il fiasco.
Naturalmente si può pensare a qualcosa d’intermedio: una cima bella, abbastanza nota e quindi discretamente salita, senza rifugi sui suoi versanti (che verrebbero condannati a una sensibile riduzione di visitatori). E qui finiscono le nostre riflessioni, in attesa di conoscere le reazioni di tutti gli appassionati di montagna.
7
Roba da pazzi !
Tanti sono infastiditi se in cima ad un monte trovano una croce e poi si chiede di istituire una montagna sacra. La sacralità della montagna è un paravento per giustificare il divieto di accesso ad una cima. Il divieto serve a porre un limite in quanto la maggior parte parte dei fruitori di vette é incapace di porsi limiti nel fruire del bene montagna. Quante contraddizioni. Vieto una montagna per continuare a salire in modo ossessivo le altre. Provare a partire dal fondovalle, rinunciare a lunghe trasferte in auto, a volte basterebbe questo atteggiamento. Un poco di auto limitazioni nella fruizione della montagna.
Vedete ben (46) che un’eventuale decisione in tal senso (“montagna sacra”) assunta dai dirigenti del PNGP (Parco Nazionale del Gran Paradiso) non è compresa né condivisa da tutti, per cui verrebbe vissuta da qualcuno come l’ennesima imposizione sulla pelle dei liberi cittadini. Meglio evitare mosse del genere, sono altri i campi in cui il PNGP può accentuare il suo impegno (già oggettivamente lodevole). Buona giornata a tutti!
Continuo ad essere d’accordo con l’etilico vate del nord-est (il Drugo, dico)
Che poi, dico: non sarebbe meglio se il Parco invece di proporre iniziative a caso si dedicasse ai suoi compiti istituzionali, tipo dotarsi del regolamento di fruizione?
Lo so che è difficile, ho capito che c’è da battagliare, scontrarsi e mediare, ma dovrebbe essere la ragion d’essere del Parco…
Più facile proporre iniziative inutili ma mediatiche che verranno scordate in pochi mesi.
E sopratutto che non tocchino lo status quo o che possano dar fastidio a chi conta.
qui la montagna è sacra oppure è il regno di lucifero?
Qualcuno potrebbe dire che guadagnarsi il pane è sacro.
L’idea non è affascinante. E’ una pippa mentale da snob.Affascinante sarebbe eliminare il balzello comunale della tassa per il fungaiolo.Che asportare dal bosco un po’ di H2o e MICOSINA al bosco fa una pippa.Affascinante sarebbe vietare l’uscita dal sentiero per andare a funghi. Che al bosco dà fastidio il costipamento dello strato umifero, non che qlcn gli raspi via quattro porcini.Affascinante sarebbe dare dei limiti alla frequentazione di certi habitat.Affascinante sarebbe avere il coraggio di dare dei limiti, possibilmente a rotazione (agraria) per la suddetta frequentazione.Affascinante sarebbe limitare i danni da selvaggina a certi habitat ANTROPIZZATI da qlc migliaia di anni e al contempo lasciarne a libera evoluzione altri.Affascinante è interagire con la natura.Interagire con un ideale lapideo della stessa è una pippa per intellettuali da parrocchia.
Rubo due minuti per sbrogliare un equivoco che mi pare essersi concretizzato e crea solo confusione di ragionamento. L’idea in sé è affascinante, chi l’ha mai negato, ma il punto non è se siamo capaci a capirla noi lettori di questo blog, bensì se verrà capita e accettata dall’intero popolo che assale le montagne. Questo popolo e’ insofferente rispetto alle leggi che stabiliscono restrizioni oggettive, figuriamoci di fronte a un concetto che nemmeno capisce. Ora poniamo che un alpinista ideologicamente poco “illuminato”, anche se tecnicamente “capace”, arrivi in zona proveniente da altra regione, dopo lungo viaggio, per fare una particolare salita. Mettiamo che scopra che non può salire la via scelta perché quella vetta è stata dichiarata “sacra” dal parco. Immaginatevi che putiferio uno così potrebbe piantare su internet “Il parco mi impone divieti e coercizioni!!!”. Il parco apparirebbe peggio dell’Inquisizione Spagnola: pura repressione sanguinaria. Che poi non lo sia, non incide: purtroppo viviamo nella società dell’apparire e non in quella dell’essere. In tale scenario, il danno di immagine a carico del parco sarebbe molto più pesante della positività collegata ad un’idea originale e “sfiziosa” sul piano ideologico. Occorre muoversi sul filo del rasoio e la comunicazione, oggi, è (purtroppo) un campo minato e molto insidioso. Buona serata a tutti!
Di fronte alla potenza evocatrice del sogno, la triste e grigia ragione e la pedante e meschina filologia storica non possono che cedere le armi e ritirarsi in buon ordine. Che si faccia dunque la Montagna inviolabile o la Montagna dell’astinenza per il centenario dell’ex riserva di caccia di sua maestà Vittorio, che sicuramente sentendo parlare di inviolabile e di astinenza se la riderà sotto i baffoni che certo astinenti non furono. E possano, attraverso la rinuncia, sollevarsi ad una dimensione più elevata le anime che ne sentono il bisogno. Questa storia dell’elevazione attraverso la rinuncia e il limite l’ho già sentita da piccolo, ma non riesco a ricordarmi dove, mi pare emerga nella nebbia del passato solo la figura di un tizio con una lunga sottana nera…ricordi confusi. Che gli dei della montagna mi perdonino e siano misericordiosi.Game over.
durante la mia attività alpinistica, non mi sono limitato a ripetere vie, ma ne no aperte sia estive che invernali. Questo perchè, secondo me, un alpinista, oltre ad essere un’arrampicatore è anche un esploratore. Sottolineo esploratore non conquistatore. Esploratore di se stesso e del mondo che lo circonda.
Quindi la curiosità di andare a vedere cosa c’è oltre, cosa c’è lassù, dove nessuno è mai stato, è personalmente molto forte. Anche di recente ho aperto una nuova via. Questa corsa all’esplorazione però non fa altro che cancellare il “mistero” che ci attira, che ci fa da stimolo e, come fa giustamente notare Alberto Paleari, alimenta il nostro essere alpinista.
Mistero che oggi, con tutte le informazioni di cui possiamo facilmente disporre, è messo sempre più in dubbio.
Ora senza scomodare il “sacro” di cui personalmente so poco, oltre ad essere toscano, quindi di parolaccia facile, con il facile rischio di mancare di rispetto, come qualcuno già ha fatto notare, trovo che quello che ha scritto Alberto Paleari non sia ne fuoriluogo, ne mancante di rispetto. Ma solo di una grande sensibilità verso un luogo, un mondo, quello delle vette, così importante per tutti coloro che anelano a salirle.
Si insiste su regole e divieti e sulla preservazione di luoghi più o meno inviolati, ma il punto, qui, è la creazione di qualcosa che aspira a superare regolamenti e divieti e prescinde dal valore ambientale della cima scelta.
E’ la presa d’atto da parte nostra dell’esistenza e della giustezza del concetto di Limite, passando attraverso la libera decisione di non salire una cima che ne diventa simbolo tangibile.
Senza il riconoscimento e l’accettazione volontaria di questo concetto, la preservazione dell’ambiente (in senso generale, non di qualche zona qua e là) è impossibile.
Non piace l’utilizzo della parola sacro ? Chiamiamola la “Montagna Da Non Salire”.
Mia interpretazione, naturalmente 🙂
E’ utopia ? Romanticismo ? Snobismo orientaleggiante ?
A ciascuno il diritto alla propria opinione (e anche quello di sognare 🙂 ).
Ma voi quando arrivate in cima a una montagna non provate un senso di delusione? E se non lo provate perché allora una volta scesi volete salire in cima ad altre montagne a cercare quello che non avete trovato? Non vi basta la vittoria, l’affermazione di voi stessi, la gloria? No, perché sulla cima delle montagne cercate il sacro. Tutte le cime sono sacre, solo che nel momento stesso in cui le raggiungiamo smettono di esserlo perché il sacro lo è fino a quando è misterioso. Il caposaldo di ogni religione, e quindi anche dell’alpinismo, è il mistero, se togliamo loro il mistero ne togliamo le basi. Lo sanno bene gli ortodossi che nelle loro chiese hanno un tramezzo (l’iconostasi) che divide i fedeli dal luogo ove avviene il mistero del sacrificio eucaristico, lo sapevano bene gli antichi ebrei quando nel tempio di Salomone una tenda celava il sancta sanctorum dov’era custodita l’Arca dell’Alleanza. La proposta di Toni Farina è simbolica, oggi è sacro il senso del limite. Provate a fermarvi qualche metro sotto la cima, lasciate che le montagne restino sacre, ve lo dice un ateo arciconvinto.
Ovviamente i politici e i loro rappresentanti all’interno degli organi del parco continuano a spingere in una certa direzione, “affaristica” e antitetica all’idea stessa del parco. Io mi riferivo al sentiment della gente comune: oggi è rpobabile che un ragazzo della valle “veda” nel parco un elemento che innesca un possibile business di turismo sostenibile, 40 anni fa tutti prendevano a fucilate i camosci anche solo per ribellione verso l’istituzione che sentivano imposta. I politici sono, come ovunque, i rappresentanti di particolari interessi economici (palazzinari, società di impianti, ecc) e sono bramosi di nuovi territori da sfruttare. Su quel fronte occorre tener duro e non cedere un millimetro, altrimenti è un attimo vedere una selva di condomini stile Cervinia! So che la vostra opera è meritoria e faticosissima e vi sostengo in pieno. Ma proprio per questo i messaggi che si diffondono (anche con scelte innovative come quella in questione) vanno scelti con estrema precisione. Un errore su quel fronte comporta un effetto boomerang che sarebbe estremamente deleterio. Il popolo dei turisti alpini non è ancora pronto per una scelta del genere (“montagna sacra”): a tavolino io la comprendo e la condivido idealmente, ma al grande pubblico apparirebbe solo come un incomprensibile divieto in più. Farebbe allontanare dall’istituzione parco, anziché condividerne lo spirito. Forse fra altri 100 anni… chissà i tempi saranno cambiati… Ciao!
Rivoluzione nel PNGP? Forse ma tutt’altro che copernicana. Certo non ci sono più scritte minacciose sulle strade per Valsavara e Rhemes ma di lì a far propria l’idea di area protetta molta acqua dovrà ancora scendere da quelle valli e quelle canavesane uguale.
Lo verifico a ogni riunione di consilglio dove l’atteggiamento degli esponenti locali è tutt’altro che innovativo. E sul regolamento di fruzione ci sarà da vederne di ogni (anche con la prospettiva della futura nuova presidenza: è di turno il Piemonte).
Un esempio: la Sp 50 del Nivolet. Sono ormai molte le strade di alta montagna dove ci sono numeri limitati e pedaggi. Lassù no, è difficilissimo, puoi salire con auto e moto a 2600 metri (domeniche di luglio e agosto a parte, ti fermi a 2300) e non paghi parcheggio. Lo si fa al Pian della Mussa (Valli di Lanzo) da anni e nel centenario PNGP no. La ragione? Ci sono già i vincoli del parco, ci mancherebbe anche questa… (citazione). Paradossale, o no…
@35: anche da parte mia, molto rispetto e sostegno all’attività del PNGP. Per ragioni personal-familiari (che non sto qui a raccontare nei dettagli) sono molto legato alle valli del parco e in particolare all’Istituzione parco. Da semplice supporter seguo per interesse culturale i vostri lavori e la vostra evoluzione e so quanto sia faticoso condurre un parco, un qualsiasi parco/riserva, ma in particolare un parco che non ha la proprietà dei terreni su cui agisce, tema annoso e che rappresenta il male di fondo del contendere in quelle valli. Di persona ho assistito però a una rivoluzione copernicana, passatemi il termine, nell’atteggiamento dei valligiani (mi riferisco al lato VdA, le valli piemontesi hanno una storia diversa) fra gli anni ’60-70-anche 80 e quello dei gg nostri. Allora i residenti nelle valli dicevano (in sintesi) “Che sfiga NON esser nati nelle valli a Nord (Valtournanche, Ayas, Gressoney) dove ci sono i grandi caroselli sciistici e relativo business. Qui – a Cogne, a Dejoz, a Rhemes – il parco mi blocca anche solo per una nuova legnaia esterna”. I padri detestavano il parco, i figli-nipoti, oggi, hanno una mentalità diametralmente opposta (salvo eccezioni) perchè vedono nel parco l’opportunità di un turismo consapevole. Questo è il tassello da sfruttare appieno, lì pigerei l’acceleratore, sia per accattivarsi definitivamente i residenti sia per attirare ed educare i turisti. Da questo punto di vista, urge l’elaborazione del regolamento citato da Farina e lì indirizzerei le risorse dei responsabili. Buon lavoro e grazie di cuore per tutto quello che fate. Ciao!
Caro Toni, non so se tu abbia proprio ragione.
Gli alpinisti (con la minuscola, però) hanno un rapporto ambivalente con il limite: passano la vita a cercare di superarlo e contemporaneamente a inventarsene di nuovi e più stringenti.
Però quando il limite è stupido, imposto, velleitario, ambientalmente inutile, e sospetto quanto a finalità fanno benissimo a odiarlo.
E magari dimostrano l’utilità sociale dell’alpinismo.
Farina, forse non siamo riusciti a farci capire. La contrarietà non è perché gli alpinisti non vogliono rispettare i limiti, come tanti adolescenti caratteriali e indisciplinati. Molti di noi hanno trovato l’iniziativa e soprattutto lo slogan “Montagna Sacra” inappropriata proprio sotto il profilo storico e culturale e ne sono state ampiamente argomentate le ragioni (condivisibili o meno) sostanzialmente sintetizzabili nell’espressione piemontese “esageruma nen”. Salva assolutamente la buona fede, ovviamente. Poi starà a voi prendere o meno in considerazione questo feedback sincero e diretto, come sta nelle regole di una educata società civile. Con rispetto.
Una risposta a Crovella del quale leggo spesso gli interventi su questo blog. Le riserve dette “integrali” come già detto hanno finalità precise e possono anche essere temporanee legate a situazioni di tutela contingenti. Es. la ristretta area del piviere tortolino al Nivolet d’estate, soggetta a notevole disturbo antropico anche da parte di molti fotografi o presunti tali.
La proposta (al di là del sacro) è eminentemente un progetto “culturale” (se il termine non pare eccessivo …) che sta trovando contrarietà soprattutto in ambito “alpinistico” al contrario dell’ambito “naturalistico”. Evidentemente gli Alpinisti mal tollerano il limite … (lo so, questa affermazione mi procurerà molti guai).
Infine. Il PNGP è tutt’ora mancante di un organico regolamento di fruizione previsto dal piano d’area appprovato un anno fa dopo lunga gestazione.
Paradossale in un parco quasi centenario.
Il piano dovrà definire tante cose: non abbandonare i sentieri … le bici sui sentieri… la fruizione in ambiente innevato … limiti insomma, seppur molto diversi dalla proposta e soprattutto affidati a regole. Prevedo grandi dissidi.
A proposito: vedasi il piano del Parco regionale Mont Avic, confinante del PNGP
E’ vero che le riserve integrali hanno senso solo dove esistono da sempre in natura, come in Val Grande o all’isola di Montecristo. Crearle in un Parco storicamente esistente da molto tempo (100 anni!) e, pur con tutti i vincoli, frequentabile in ogni suo risvolto, è una forzatura. In più tali nuove aree ristrette sarebbero “limitate” a un puro cocuzzolo senza alcun valore in termini scientifici e ambientalisti: il masso su cui è posata la Madonnina e che costituisce la vetta del Gran Paradiso è sostanzialmente un masso a oltre 4000 m, spazzato dal vento e arrostito dal sole. Non c’è una ecosistema da preservare. Lo stesso per le mille altre vette del PNGP. L’iniziativa avrebbe quindi un altro obiettivo, ideologico e non scientifico. Non voglio risultare offensivo, ma lo trovo inadatto. Il parco esiste da 100 anni, le vette sono state calcate da milioni di persone, considerando anche il tempo pre-parco. Diversa è la realtà asiatica, dove alcune vette sono state considerate sacre fin dall’antichità (salvo esser profanate di recente, per esigenze di business). Tornando al PNGP io temo che un’iniziativa del genere, concepita assolutamente in buona fede, rischierebbe un effetto boomerang, perché solleverebbe la ribellione di chi non vuole “divieti” in montagna e darebbe a tutti l’impressione che il PNGP è ancora quello che vieta, che censura, che soffoca la libertà umana. E’ da tempo che rifletto sul ruolo dei parchi nel terzo millennio, di tutti i parchi intendo (non solo del PNGP), e sono giunto alla conclusione che è definitivamente archiviata la fase in cui la difesa della natura si esprimeva sostanzialmente nei divieti agli umani per preservare la natura. Oggi occorre fondamentalmente educare: educare i turisti outdoor ad una fruizione consapevole e matura dell’ambiente. Seminari, tavole rotonde, ma soprattutto uscite in ambiente con l’accompagnamento di personale preparato e predispoto (è la nuove “versione” dei guardiaparco, non più sorveglianti anti-bracconaggio come nei primi tempi, ma individui acculturati e appassionati che insegnano a frequentare le valli affiancandosi alla fauna selvatica e non “cacciandola” anche solo in termini fotografici). Il PNGP ha già una lodevole attività di questo tipo: è lì che occorre dirigere le risorse, non solo economiche, per ampliare ancora di più l’attività e utilizzare i parchi come vere e proprie “scuole” di vita outdoor. Frequentatori maturi e consapevoli, non scolaretti indisciplinati cui si vieta questa o quella vetta: questo il messaggio che va diffuso a piene mani. Non voglio che ci siano equivoci sulla mia posizione, che non è assolutamente di critica verso il PNGP, ma di pieno sostegno alla sua attività (che so essere faticosissima) e di stimolo verso l’ulteriore sforzo in quella direzione. Ciao a tutti!
Condivido al 100% il ragionamento di Drugo. Le parole hanno un preciso significato. Non è lecito usarle a sproposito. Parlare di “montagna sacra” in un contesto come il Gran Paradiso, scegliendo poi una vetta che non disturbi troppo il business dei rifugi (come dice la postfazione), significa fare un’operazione impropria di importazione di un simbolo storicamente rilevante che viene ridotto a formuletta banale, perdendo così tutto il suo carico originario di significati. La buona fede non è in discussione. Le virtu’ tuttavia non sono come le ciliege, non viaggiano in coppia. Buona fede e buon gusto non sono necessariamente collegate. Amen.
Alberto permetti, ma questo è tutto un altro discorso!Che si chiami Valgrande, Valvattelapesca, Antartide o altro, la “macchia bianca” sulla carta, l’area naturale da lasciare a libera evoluzione è un’altra cosa. E con i dovuti distinguo, ovvero se ce la possiamo permettere, ben venga. Sulle Alpi, sulla costa o in Culandia.Ma qui si parla di una montagna, tipo il Gran Paradiso. E per quanto mi sia dato sapere su una montagna così, un mucchio di sassi, neve e ghiaccio, prosperano più umani sogni e desideri che comunità biotiche da lasciare evolvere liberamente. Una “montagna” di per sé non è una “valle”, non è un insieme di ambienti, ma solo un rilievo con pochi habitat che in passato i mammiferi attraversavano solamente se proprio dovevano. Banalizzando, al massimo ci puoi trovare licheni, ragni e piogge di afidi portati dalle termiche. E allora? Che esista una montagna sulla quale non si possa, anzi voglia, mettere più piede non ha senso. Tra l’altro, mi par di capire che il desiderio romantico vorrebbe una montagna emblematica. Un simbolo. Ma perché? Ripeto, non ne capisco il senso.Ritornando al tuo discorso, ben altro significato ha il precluderci l’accesso ad ambienti realmente ricchi di vita, i quali possono avvantaggiarsi della umana assenza.Provo a spiegarmi: se, tanto per dire, decidessimo di poterci permettere la nostra assenza sul Pelmo dal Boite al Maè, la cosa potrebbe avere un senso. Ma decidere di escludere l’accesso umano dalla cengia di Ball in su, che senso avrebbe se non puramente (e inutilmente) romantico?Ma probabilmente sono io che non ho sensibilità in merito. Ciao!
Una”Montagna Impossibile” in fondo al Sudamerica aveva, nel secolo scorso, attratto vari alpinisti che volevano salirla proprio perché ritenuta tale. Bocciato!
Montagna sacra, intoccabile, inviolabile.
Sarà per la mia vena illuminista, ma mi verrebbe da chiamarla riserva naturale integrale (come ad esempio il “sacta santorum” del Parco nazionale dell’Engadina).
Forse sbaglierei, perché questa proposta va oltre, è il confine infrangibile alle aspirazioni dell’uomo non la manifestazione di qualcosa di esterno di astratto.
Delle anacronistiche colonne d’Ercole, finis mundi.
Anacronistiche eppure fortemente simboliche, proprio oggi che vediamo il mondo sgretolarsi per la nostra mancanza di limiti.
Forse non Montagna Sacra, ma montagna impossibile?
Il “Monte Impossibile” al centro del parco, alla periferia della nostra cultura, un obelisco nero piantato in mezzo alla nostra incoscienza.
Magari a termine, lo cambieremo quando avremo imparato a vivere senza distruggere.
Mi vien da pensare che il significato intimo dell’iniziativa non sia stato compreso appieno 🙂
Pazienza.
I fatti e la storia mostrano che “indietro non si torna”, cioè, al popolo non puoi dare certe cose che migliorano la sua condizione e poi togliergliele, anche se non tutti sono d’accordo.
Come ho detto nel commento 1,è un’iniziativa che proprio non mi convince. La sacralità di un luogo, qualunque significato le si voglia attribuire, si afferma in base a spiritualità che da noi non esistono più, o nei decenni per altri motivi.
Deciderla a tavolino, con conseguente business plan (magari non voluto dall’ideatore, che mi sembra in buona fede, ma che qualcuno redigerebbe alla svelta) a me sembra proprio solo una fastidiosa trovata pubblicitaria. Se il mio amato monte Vettore, sui Sibillini, qualcuno lo trasformasse in sacro in questo modo, chiedendomi di non salirlo più, mi girerebbero. E farei sacrifici al dio Picus con le ruote delle macchine degli ideatori. 🙂
Ma al di là dello scherzo (spero che Farina non se la prenda), i luoghi mai toccati da mani umane vorrei che continuassero ad esistere. Benché, confesso con umana sincerità egoistica, vorrei andarci subito. Ma so bene che non potrei per colpa degli imbecilli che li rovinerebbe.
Sarei un imbecille anche io? Naturalmente NO! Mi direi…
Ma appunto: mi direi, semplicemente.
Tendo ad essere piuttosto d’accordo con Drugo e con Pasini circa la probabile finalità della proposta e quindi la sua insensatezza.
Molto interessante la conferenza di Galimberti che mi ha spiegato e rafforzato in me le ragioni della totale idiosincrasia per la parola “sacro”, sopratutto se codificato, imposto, formale. E applicato alla montagna!
qui in Toscana una cosa simile è l’isola di Montecristo, dove l’uomo non può liberamente entrare e comunque in punta di piedi.
Chi sa quante vie di scalata si potrebbero aprire a Montecristo che è tutta di granito !!!
Alberto, cerca sul blog. Nel luglio dello scorso anno è uscito un pezzo sulla Val Grande. Alessandro Gogna penso ci abbia lasciato un pezzo del suo cuore in epoche lontane. Come Ivan Guerini. Paleari è casa sua. Vieni a farci un giro una volta, senza guardare le cave di marmo di Candoglia lungo la strada. Ma non d’estate. Ciao.
Pasini, bello che si sia un luogo come questo. E bello che pur stimolato dalla umana curiosità, te ne tieni a debita distanza.
Benassi, a due passi da Milano esiste un luogo dove l’uomo non mette piede da 50 anni. La Riserva integrale del Pedum, in Val Grande. Senza fanfare, strepiti ed etichette orientaleggianti. Ogni tanto vado a guardarla dall’alto del confine a Nord (in questa stagione è magica) e ne resto sempre affascinato pensando agli animali , ai fantasmi e agli gnomi che la popolano. Decenza e Discrezione versus Fanfara e Fuffa.
Drugo non ti stimola l’idea che in questo mondo ci possa ancora essere un luogo, che non deve per forza essere una montagna, dove l’uomo non abbia messo piede?
Una specie di “mondo perduto”. A me si!
Se ci fosse, direi che dovremmo proteggerlo dalla nostra invadenza, se anche la più rispettosa, porta pur sempre un cambiamento.
E’ questo snobbismo orientaleggiante??? Non credo proprio, è solo sognare ad occhi aperti.
Mi devi consigliare del buon vino, forse hai ragione, in quello che ho bevuto ci doveva essere troppo bisolfito che mi ha confuso la mente
MES, Recovery Fund.
Caro Alberto, qui sembra che a un sacco di gente faccia schifo fare il suo lavoro, con modestia, passione e accuratezza. Tutti si vogliono inventare qualcosa di straordinario che rompa lo schermo e gli dia visibilità e poi quando piove viene giù tutto e fa morti e distruzione. Ma va a lavura’ !,,,io gli direi con grande rispetto.
Poi sicuramente io sono ingenuo e tutto questo, come scrove Pasini, è solo un bel lamo per fà abboccà i lucci.
Francamente, trovo un po’ una mancanza di rispetto usare una simbologia come la “montagna sacra” , di antichissima origine e larghissima diffusione, come etichetta recuperata al mercatino dell’usato del marketing alpino. Consiglierei di reclutare un copywriter di livello un po’ più elevato, magari oggi con le difficoltà del Covid vien via con poco. Qui mi sembra che siamo in area romagnola, con grandissimo rispetto per l’originale e scusandomi per il fatto che non si può riprodurre l’accento: “Venghino signori ,venghino che questo non è un Parco come tutti gli altri, che al massimo c’hanno la riserva integrale. Qui c’abbiam la Montagna Sacra. Siamo ad un altro livello. Vi facciam sentire le vibrazioni, cara signorina, non solo quelle dell’elicottero che ve la fa visitare dall’alto e poi c’abbiamo anche l’acqua minerale della Montagna Sacra e il Genepy Sacro e mi voglio rovinare, ci mettiamo nel pacchetto anche lo Stambecco Sacro” . Siamo seri per favore. La montagna sacra nell’ex riserva di caccia del regio trombatore ? Suvvia, che gestiscano bene il Parco e al massimo, se proprio vogliono, studino la possibilità, se ha senso, di una riserva integrale come nella Val Grande ossolana. Cosa ci tocca sentire! Manco quel visionaro un po’ matto di Jodorowky ci sarebbe mai arrivato. Che gli dei della Montagna Sacra siano misericordiosi con loro: essi non sanno quello che fanno.
DRUGO trovi questo elitario? Snob?
No non lo è ! Perchè non ho detto una montagna per pochi. Ho detto un luogo per nessuno.
Poi hai ragione, meno strade, no elicotteri, no rifugi, no funivie. Insomma meno attrezzature .
Drugo, permetti, leggi bene. Ho scritto sacralità dell’ambiente naturale che non viene più rispettato ed invece dovremmo.
Il ragionamento che ha fatto Geri Steve non mi è sembrato elitaro. Solo un auspicio di rispetto.
Poi se dietro tutto questo si nascondono dei secondi fini , non lo so. Può anche essere.
Io certamente non li ho e ci credo in un maggior rispetto.
Mi piacerebbe che ci fosse una montagna , un luogo, un deserto, una giugla, dove l’uomo non ha messo ancora il suo potere di dominio.
Credo che prima di tutto dovremmo fare un po’ di chiarezza sul termine “sacro”.
Questo video di Umberto Galimberti penso possa aiutarci in tal senso. Provate ad ascoltarlo e poi a riflettere sulla proposta di Toni Farina, soprattutto sulla “cultura del limite”.
https://youtu.be/W3iUPY10PaA
Alberto? Ma TU ti troveresti d’accordo con una simile proposta? Tu?Una idea che definire pura fuffa è eufemistico? Un concetto che ha il sentore di elitarismo distante mille miglia? Un concetto che francamente fa schifo, pena, malinconia [cit.]. Tu? Ma gatu bevùo roba piena de bisolfito?Alberto, permetti. Ma se vogliamo “una” montagna sacra, togliamole tutti gli ausili all’avvicinamento e vedrai che diverrà “sacra” anche senza volerlo. Togli aerei ed elicotteri in Alaska o gli sherpa in altri lidi e vedi quanto la sacralità tornerà da sola. E sulle Alpi basterebbe togliere rifugi e servizi vari. Che sia chiaro, non è assolutamente quello che auspico. E ripeto, per me questa idea è una boiata pazzesca che olezza di snobismo. E del suo significato filosofico o etico non me ne può fregare di meno.Se poi ci dà fastidio che siamo in troppi sugli stessi posti, ripeto, togliamo gli ausili e vedrai che la frequentazioni in taluni posti tenderà allo zero.Mi pare di ricordare che un cacciatore appassionato più della pratica che del carniere quale M.R. Stern, alla domanda su cosa si sarebbe potuto fare per limitare i danni della attività venatoria (ovviamente domanda legata a condizioni diverse dalle attuali) rispose dicendo che sarebbe bastato chiudere le strade forestali e far partire il cacciatore dal paese. Non c’entra niente con la “montagna sacra”. Ma credo che possa dare l’idea. Se vogliamo rendere “sacro” un mucchio di sassi che sacro non è, siamo proprio alla frutta. Ovvero siamo talmente satolli di tutto da permetterci delle platoniche pippe pure coi sassi. Purtroppo sono un grezzo e non riesco a cogliere la magia di un monte del quale “consapevolmente” ci vietiamo l’accesso. Per fortuna.
Se le Riserve Integrali nel Parco del Gran Paradiso non ci sono ancora, perché non istituirle se si vuole salvaguardare davvero l’ambiente?Questa storia della montagna sacra mi sa del solito inciucio per chiedere soldi al fine di produrre gesti eclatanti ma di poca sostanza. Specie perché si possono raggiungere gli stessi scopi muovendo meno risorse. I am a dreamer, but I’m not the only one.
Più che sacra inaccessibile. La sacralità appartiene alla fede. In questo caso si chiede di porre un limite, un divieto di accesso ad una cima giustificando con il sacro. Di sacro non c’è nulla, solo un divieto che stimolerà alcuni ad infrangerlo. Su tutto l’incapacità del singolo a porsi un limite. A volte, se si vuole limitare l’accesso ad un monte, basta chiudere la strada di accesso più a valle. Per esempio, volete meno gente sul Rocciamelone? Fermate le auto a valle o, perlomeno, al termine del tratto asfaltato. Questo è solo un esempio, ovviamente.
concordo con Geri Steve sull’opportunità che vengano istituiti dei luoghi ambientalmente “SACRI” da cui l’uomo se ne stia alla larga. Penso che se c’è qualcosa di veramente sacro in cui credere e di conseguenza da rispettare, questo è l’ambiente naturale. Le montagne potrebbero essere dei luoghi che ben rappresentano il “sacro” vista il loro elevarsi verso l’infinità dell’universo.
Non vorrei però che verranno sacrificati i soliti alpinisti/escursionisti ma altri se ne approfitterrano.
PERCHE’ SI’ AD UNA MONTAGNA SACRA
Sono favorevole alla istituzione della montagna sacra perchè ritengo giusto porre dei limiti allo sviluppo umano e quindi anche all’alpinismo. Aggiungo che spero sia un “primo esempio” che potrebbe essere seguito in altri gruppi montuosi.
Sono anche favorevole al nome “sacro” pur essendo io ateo e illuminista, e vorrei spiegarne il perchè.
Quando ero studente, giustamente ribelle alla religione impostami a scuola, mi domandavo perchè mai i greci credessero all’esistenza degli dei sull’Olimpo, visto che era facile salirci e verificare che gli dei non c’erano.
Quando ero un cicloturista che viaggiava con tenda e fornelletto nel leccese ero interessato alla preistoria e alla relativa archeologia, per cui mi sono messo in caccia di menhir e dolmen che lì abbondano. I miei interessi si sono rafforzati in direzione antropologica perchè scoprivo che la sacralità di menhir, di dolmen e altro permaneva. In una chiesa ho visto un masso con un foro in cui tuttora si infilano donne per avere un figlio; ci sono voluto passare anch’io. Ho scoperto quanti menhir o pietrefitte sono oggi inglobati in chiese e legati a culti cristiani con processioni che ricalcano la antica danza della pioggia in cui si invocava il temporale estivo simulando tuoni e fulmini prima con tamburi e fiaccole e oggi con i fuochi d’artificio.
La Puglia è ricchissima di oliveti ma poverissima di alberi naturali, per cui la sera faticavo molto a trovarmi il mio boschetto per attendarmici e mi è successo di dover tornare indietro a boschetti già visti, perchè vicini a un dolmen. Così ho capito che quel boschetto naturale era sopravissuto allo sfruttamento agricolo perchè inconsciamente era stata tramandata la sua sacralità, proprio come gli antichi greci non salivano sul monte Olimpo perchè era sacro agli dei.
Così ho rivisto le mie concezioni negative sull’irrazionale rispetto dei sacri tabù: con gli strumenti di cui allora disponeva, l’umanità si era data delle regole da rispettare volontariamente e così sono rimaste a lungo inviolate montagne boschi e sorgenti, che oggi invece sono state degradate a stabilimenti di imbottigliamento.
Mi piace che si costruisca un nuovo concetto di sacralità come volontario rispetto di una bellezza naturale.
Geri
In quanto autore del testo mi paiono opportune alcune puntualizzazioni:
Nessuna regola bensì solo libera accettazione. Oltre a non essere opportuna una eventuale regola violerebbe lo spirito dellsa proposta e non avrebbe alcun appiglio giuridico. Le riserve dette “integrali” di norma collocate all’interno di aree protette (parchi naturali) hanno finalità specifiche derivanti dalla necessità di tutela di un dato habitat o di specie naturali ben definite. Il piano d’area del Gran Paradiso (in buona misura da applicare) le prevede ma allo stato attuale ancora non sono istituite.
Semmai la proposta diventasse un progetto più definito la scelta della montagna dipenderà da molti fattori, in primis dall’eventuale adesione dell’ente gestore, assai problematica. In ogni caso rappresenta un po’ “il manico del cesto”. Importante certo ma non determinante. Sicuro non potrebbe essere la cima principale da cui il parco prende nome. In ogni caso dovrebbe essere una cima sul confine fra le due regioni.
Da ultimo (ma non ultimo) l’aggettivo “sacro”, convengo assai problematico. Ma altri di tale efficacia non ci sono. Inorridiranno teologi, filosofi e antropologi ma una sua attualizzazione anche alla luce della Laudato Si’ sarebbe opportuna.
Saluti e grazie.
Qui, https://www.mountainwilderness.it/?s=montagna+sacra sono stati pubblicati molti pareri autorevoli sulla proposta di Toni Farina.
Tra tutti, a mio avviso, quello di Luigi Ranzani, è quello che più di tutti va al cuore del problema: “Perchè questa sostanziale impossibiltà? Da dove questa incongruenza? Si potrebbe rispondere: dal Sacro stesso, dalla sua realtà e dinamica ontologica. Come potrebbe essere diversamente? Sacro è, infatti, ciò che per sua essenza si manifesta da sè: una rivelazione violenta e distruttiva, impersonale, non temporale, antistorica e antinaturalistica. E che quindi non prevede – dal suo interno – la possibilità che un soggetto possa reintegrarlo dentro l’ordine intenzionale di un progetto operativo pratico-politico”.
Per la tutela ambientale esistono già le Riserve Integrali, mi sembra. La proposta mi ricorda gli “angeli” (secondo me più diavoli) che si prodigavano a suo tempo per ottenere il patrocinio UNESCO per le Dolomiti, con i risultati ambientalmente disastrosi (ma economicamente ottimi) che oggi possiamo vedere.
Non mi stupirei se il Gran Paradiso divenisse una montagna sacra e vedessimo degli slogan del tipo: motociclisti venite a scorazzare ai piedi della montagna sacra! Da noi succede.
Mi viene anche in mente l’esempio dell’Ama Dablam in Nepal. Montagna sacra e intoccabile per gli Sherpa, che appena scoprirono di poter ottenere soldi dagli alpinisti, per poterla scalare (oltretutto è bellissima e non facile), misero da parte tutti i loro Dei per aprire le porte al dio con la $. Tutto il mondo è paese.
L’imposizione attraverso “regole e sanzioni” sarebbe il fallimento a priori dell’iniziativa, tradendone lo spirito ispiratore.
Solo attraverso l’accettazione libera e volontaria è possibile introdurre nella nostra cultura quel concetto del Limite così auspicato per la continuazione della nostra specie (e non solo della nostra).
Decidere volontariamente di non salire una vetta come riconoscimento dell’esistenza e della giustezza di questo concetto, non sarebbe che un piccolissimo passo.
Saremo capaci di compierlo ?
P.S. Interessante la moderna connotazione data alla parola “sacro”.
L’idea della montagna sacra ha suo fascino, ma temo che non sarebbe minimamente compresa nella ns società occidentale e scatenerebbe principalmente reazioni negative, di ribellione verso regole non comprese e considerate quindi come delle imposizioni antidemocratiche verso “alpinisti sudditi” (cui qualcun altro impone dove possono o non possono andare). La conseguenza di tale reazioni negative, specie se molto diffuse e intense, è che la negativita si estenderebbe al tema chiave citato da Farina, quello dello sviluppo sostenibile e dei “limiti” che dobbiamo porre allo sfruttamento del pianeta. Per quel che vale la mia opinione (che potrebbe però non essere un’opinione “qualsiasi”, perché, per vicende personali, sono molto affezionato alle valli del Gran Paradiso, che ho frequentato assiduamente nella mia vita), io concentrerei l’attenzionrmediatica (per i e 00 anni) sui temi ambientalisti e relativi comportamenti umani, anche di spiccioli quotidianità (es come muoversi in gita in modo adeguato con il rispetto dell’ambiente). C’e’ ancora molto da lavorare e insegnare su questo versante. Ciao!
Personalmente la trovo un’iniziativa inutile. Un colpetto mediatico di cui, tranne gli appassionati, nessuno ricorderebbe niente dopo qualche mese. Già vedo l’elicottero Rai che pone i giornalisti di linea bianca in vetta, una volta ogni tanto.
Non contesto eventuali chiusure (metteranno certamente regola e sanzione, altrimenti si rischia che tutto resti chiacchiera boomerang). Mi preoccupano i soldi che verranno spesi e che potrebbero servire a livello locale, ad altro.