La Val Venosta, come altre grandi valli delle nostre Alpi (ad esempio la Valle d’Aosta, la Valtellina o la Val Pusteria) presenta grandi varietà di paesaggio a causa del sensibile dislivello tra la testata e lo sbocco: in pratica cime di quasi quattromila metri convivono in area ristretta con i vigneti e i meleti. È quindi una terra di grandi contrasti panoramici che riassume in pochi km la grande capacità di adattamento dell’uomo a climi e quote diverse. Per il turista questo significa grandi possibilità di azione nell’arco delle quattro stagioni: e questo non è soltanto teoria, come infatti dimostrano i dati di frequenza, soprattutto grazie al turismo di lingua tedesca. La Val Venosta non conosce quindi affollati periodi di superfrequenza, bensì un afflusso distribuito su tutto l’anno (un esempio è proprio Merano, considerata la Sanremo della montagna).
Situata alla confluenza tra Val Monastero e Val Venosta, la città di Glorenza (Glurns) 907 m è caratterizzata dall’antico borgo cinto da una perfetta cerchia di mura medioevali splendidamente conservate. Malgrado le devastazioni belliche, la successiva decadenza e le alluvioni, il tessuto urbano è rimasto quasi intatto, secondo il disegno datole nel ‘500. La storia di Glorenza ha senza dubbio origini antichissime, confermate da ritrovamenti preistorici sulla vicina collina di Tarces; tuttavia, durante il periodo romano, il borgo, denominato «Gloria Vallis», non aveva l’importanza dei paesi vicini poiché non era disposto sulla via Claudia Augusta Padana che passava a circa due chilometri a nord, tra Sluderno e Malles.
La città viene nominata per la prima volta nel 1163 con il nome reto-romano «Glurns», e con la sempre maggiore frequentazione della via di comunicazione lungo la Val Monastero l’abitato acquistò importanza. Nel 1294 il conte Mainardo del Tirolo ordinò che i grandi mercati, fino ad allora svolti nella svizzera Val Monastero, fossero traslocati a Glorenza, circondando il borgo con un muro merlato e intendendo in questo modo contrapporsi al vicino centro politico e commerciale di Malles dei vescovi di Coira. Il 30 aprile 1304 il paese venne elevato al rango di città dal duca Ottone del Tirolo.
Glorenza fu così il punto di smistamento delle merci: i carri che venivano da sud trasportavano grano, tessuti, vino, agrumi, droghe e olio, dal nord provenivano lana, pellami e, soprattutto, il prezioso sale estratto nelle miniere del Salisburghese. A Glorenza venivano cambiati i cavalli prima di affrontare i passi alpini e le «misure» di Glorenza divennero d’obbligo nell’alta Val Venosta: tutte le merci che passavano per la valle dovevano essere portate a Glorenza per venire pesate. La città conobbe quindi un periodo di prosperità, troncato bruscamente nel 1499 dalla guerra con l’Engadina. Il 22 maggio 8.000 contadini e borghesi e 4.000 cavalieri tirolesi attendono, presso il ponte della Calva, allo sbocco della Val Monastero, l’arrivo dei tanto temuti svizzeri. Gli 8.000 soldati engadinesi aggirano lo sbarramento attraverso la valle di Slingia, sorprendendo i tirolesi alle spalle. Lo scontro è terribile e sul terreno rimangono 2.000 svizzeri e ben 5.000 tirolesi; la città di Glorenza, come tutti i paesi venostani da Nauders a Silandro, viene saccheggiata e incendiata, la popolazione civile trucidata. L’imperatore Massimiliano promise di ricostruire Glorenza, fortificandola con nuove e più alte mura contro gli engadinesi. Infatti temeva che i venostani si unissero ai confederati. Anche la Chiesa voleva evitare che gli abitanti diventassero protestanti come gli engadinesi; perciò ambedue i poteri, civile ed ecclesiastico, si unirono per non perdere il loro predominio sull’alta Val Venosta, emanando norme che proibivano l’uso della lingua retoromana (romancio), fino ad allora parlata, nei tribunali, nei comuni e nelle funzioni sacre e si favorì l’afflusso di alemanni in modo da togliere il mezzo di comunicazione che legava venostani e svizzeri. L’antica lingua da allora in poi regredì, sostituita dal tedesco.
Nel 1500 si cominciano a costruire le nuove mura della città che ancora oggi danno impronta alla città. La costruzione durò quasi 80 anni e, quando ormai era terminata i costruttori si accorsero che ormai era forse troppo tardi, poiché le armi da fuoco sempre più potenti non sarebbero state fermate da quel muro; atti del 1607 dicono di non sprecare più altri soldi per la difesa della cittadina, perché in caso di guerra per Glorenza non ci sarebbe stata salvezza. La città, dopo la distruzione svizzera, tornò a conoscere periodi di prosperità, malgrado catastrofici incendi naturali, come quello del 5 gennaio 1732 che durante una bufera di neve ridusse in cenere la città, o quello causato dai soldati francesi nel 1799; in particolare, si racconta che i franchi radunarono nella canonica gli abitanti per bruciarli vivi ma il parroco salvò i concittadini facendoli fuggire da una porta secondaria. Le mura salvarono comunque la città dall’inondazione dovuta allo straripamento del Lago di S. Valentino alla Muta; il 16 giugno 1855 l’ondata di piena portò via con sé i paesi di Burgusio, Clusio e Laudes, ma i cittadini di Glorenza salvarono la città chiudendo i portoni. L’acqua bagnò le mura fino ad una altezza di due metri e mezzo, entrò in parte in città, ma il fango e il ciottolame rimasero fuori.
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