I massi della Valle di san Nicolò

I massi della Valle di san Nicolò (AG 1964-015)
(dal mio diario)

4 agosto 1962. Paolo Baldi ha imparato ad arrampicare con il corso di roccia proprio su questi massi. Immersi tra bosco e prati, sono abbastanza facilmente raggiungibili da Pozza di Fassa e Méida. Andiamo presto di mattina e subito scaliamo il Masso 3 per la fessura della parete sud, abbastanza facile.

Poi passiamo ad altri massi, alcune dei quali non numerati, e la cosa va bene anche lì. Infine andiamo al Masso 4 dove sono alcune vie molto belle.

C’è un tetto, chiamato il Naso, che esce in fuori di mezzo metro. Se si cade si fa un volo di circa due metri sull’erba.

Paolo non v’è ancora riuscito, nonostante che gli istruttori lo avessero assicurato dall’alto. Ora ritenta slegato, e ce la fa. Tento io e lo supero con una stile e un’eleganza pietosi. Poi facciamo altre cose, più o meno difficili. In seguito rifaccio il Naso, mentre lui fa una traversata di tutto il Masso 4. Alle 11.30 ce ne torniamo verso casa a Soraga, dove arriviamo stanchi morti alle 12.15.

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16 agosto 1963. Parto alle 9.19 da Soraga e alle 10.05 sono al Masso 4. Prima di tutto mi rivolgo al panciuto spigolo nord-ovest (il Naso) e lo supero agevolmente. Nella mattinata lo farò altre due volte. Poi faccio la parete nord per il diedro di destra. Quindi riesco anche a fare lo spigolo sud-ovest, deviando però un po’ a destra. L’inizio di questo è certamente V grado. Poi salgo la parete sud. In quella arrivano dei ragazzi con il padre.

Con loro vado al Masso 3 e salgo la fessura della parete sud (più o meno III+). Dopo essere sceso tento lo spigolo sud-est, ma è troppo difficile.

Ci trasferiamo al Masso 2, dove cerco di salire per la parete sud. Ci riesco per una via molto a destra (credo si di IV grado). Dopo torniamo al Masso 4, in tempo per vedere arrivare delle persone che conosco, armate di tutto punto: Paolo Cutolo, Gianni Storchi e un altro, nonché il famoso Pio Baldi, cugino di Paolo. Questi cominciano a piantare chiodi dappertutto. Fanno il Naso direttamente e in artificiale: io mi prendo la libertà di usufruire delle loro staffe. Poi loro tentano la diretta a ovest, ma io sono costretto ad andare via. Mi porta a casa il papà di quei ragazzi di prima, loro sono di Lavagna (GE).

Esercitazione in artificiale “fai da te” sul Naso del Masso 4
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Nel pomeriggio però ritorno ancora là, assieme a Paolo Baldi e ci dirigiamo subito al Masso 1, dove io salgo la parete est (III): Paolo, con i suoi scarponi nuovi, tenta ma non ci riesce. Per il sentierino di discesa sono subito da lui, che non è molto in forma. Facciamo anche una traversata sulla parte destra della parete, abbastanza difficile e non pericolosa visto è a mezzo metro da terra. Poi io cerco di fare una via, certamente più difficile, sulla sinistra della parete est, lungo una serie di cengette orizzontali. Sarà un IV- ma, senza corda, ho paura e rinuncio. Poi passiamo al Masso 2, dove ci perdiamo in tentativi senza concludere niente. Lo stesso al Masso 3. Ritorniamo quindi al Masso 4, il più piccolo ma il più bello di tutti. Paolo, sempre gnecco, fa le cose più semplici, io rifaccio più o meno quello che avevo fatto al mattino. Intanto ecco di nuovo quei ragazzi di Lavagna, con il padre e la madre e pure lo zio. Aiuto il più piccolo a salire il diedro di destra della parete nord, assicurandolo dall’alto con dei cordini legati assieme; poi faccio le altre due vie, facili, della parete nord, il Naso e anche un tetto sullo spigolo nord-est. Infine m’impegno sul giro del masso intero, tenendomi per tre quarti a metà parete e per il resto quasi in cima. Legando il cordino al Naso riesco a superarlo in artificiale dando spettacolo.

Masso 4, spigolo sud-ovest
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22 agosto 1963. Con la corriera delle 9.19 arrivo a Pozza. Da lì a piedi e poi, grazie al gentile passaggio di una Lambretta, arrivo al Masso 6, che è abbastanza distante dagli altri blocchi, l’1, il 2, il 3 e il 4 da me precedentemente visitati. Paolo mi ha parlato di uno spigolo che lui ha fatto con il corso di roccia l’anno scorso: mi ha detto che è molto bello e che sarebbe da rifare. Credo di riconoscere quello spigolo in quello a est. Naturalmente poi saprò che è l’ovest…

Intanto lo spigolo ovest lo faccio quasi tutto; poi lo ritento e questa volta arrivo in cima. Scendo per la via normale, che è un diedro vicinissimo allo spigolo ovest, sulla parete nord.

Quindi tento lo spigolo est, ma non arrivo neppure a metà e torno indietro, aiutandomi con dei cordini allacciati a uno spuntoncino. E’ troppo difficile. Questo mi fa sospettare che Paolo intendesse lo spigolo ovest. Al che me ne vado al Masso 1. Qui rifaccio la parete est, per la via normale di III. Poi mi rivolgo al Naso del Masso 4 e faccio delle esercitazioni in artificiale, con un solo chiodo e dei cordini.

26 agosto 1963. Con Paolo Baldi e Franco Fantini partiamo alle 14.24 e andiamo al Masso 6. Lì Paolo tenta lo spigolo ovest, ma senza riuscirci. Io invece lo faccio. Franco guarda e tenta anche lui di fare qualcosa. Poi io tento la parete nord, ma non ci riesco perché ho paura di impegolarmi e di non saper più scendere. Infine giriamo alla parete sud. Lì c’è una muraglia strapiombante, che Paolo ha visto fare al corso di roccia per dimostrazione. Il primo pezzo è una fessura strapiombante a tetto. Poi c’è una specie di terrazzino e poi la parete. Ebbene, con l’aiuto di un chiodo e di un cordino, raggiungo il terrazzino-piazzuola. Poi, con un salto, torno a terra.

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Ce ne andiamo al Masso 4. Qui c’è una compagnia di romani, tra i quali un certo Luca. Con lui cerco di fare in direttissima lo spigolo sud-ovest. Arriviamo quasi in cima con tre chiodi, ma alla fine devo rinunciare e lui anche: la difficoltà è troppa. Così poi, per recuperare i chiodi, Luca gira la corda a un albero in cima e io salgo con i nodi Prussik, sotto gli occhi estatici dei genitori di Paolo che intanto sono arrivati, della madre di Nicola Ricci e di altre signore anzianotte, mai viste e conosciute.

Levo due chiodi, i più alti. Il terzo lo leva Luca. Con la corda di Luca, Paolo e io insegniamo la manovra della corda doppia a Franco e Nicola, che se la cavano onorevolmente. Mentre Paolo fa le sue esercitazioni, io faccio fare a Franco il diedro di destra della parete nord, assicurandolo dall’alto. Poi faccio il classico Naso, per la prima volta senza aiutarmi con il ginocchio. Quindi mi trasferisco al Masso 1, dove c’è un sacco di gente che si allena. Lì, non assicurato, faccio sulla parete est quella via di cengette che il 16 non avevo avuto il coraggio di fare. Salgo anche la via normale della parete est senza una mano, con la sola destra.

8 luglio 1964. Vado un po’ ad allenarmi, ma non è lo scopo principale, che è invece quello di conoscere un po’ di gente per eventuali gite. Incontro Rino Rizzi, guida di Pera di Fassa, e parliamo di un po’ di tutto. Tra l’altro scopro anche l’ubicazione del Masso 5, fino ad oggi a me sconosciuto: però non è bello, dunque non credo che lo frequenterò molto.

Masso 6, spigolo ovest
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11 luglio 1964. Ho fatto conoscenza un po’ più approfondita con Paolo Cutolo di Roma. Lui, per mezzo di amici, mi ha fatto conoscere Antonio Bernard di Parma, che già conoscevo di vista. Si può dire che Antonio sia il re dei massi, perché non c’è paretina che non abbia fatto. E non si creda sia solo un alpinista da roccette, anzi… Comunque facciamo subito amicizia e, visto che Paolo e io ce la caviamo piuttosto, ci porta sul diedro del Masso 2, parete nord. Lì ci sono un tre metri da fare in libera, ma pazzeschi. Li attacca e li fa bene, conoscendo gli appigli a memoria. Ci riesco anche io, dopo due o tre tentativi. Così siamo in cinque ad averla fatta: Aldo Gross, Toni Gross, Donato Zeni, Antonio Bernard e io… Poi mi dirigo al famoso (per me) spigoletto sud-ovest diretto del Masso 4, che l’anno scorso mi aveva fatto penare tanto. Quest’anno salgo benissimo, senza neppure pensarci. Con Antonio programmiamo di tornare qui nei prossimi giorni, lui è sicuro che posso fare tutto anche io, basta che mi muova articolando braccia e gambe in modo precedentemente studiato e con qualche trucchetto.

15 luglio 1964. Porto due ragazze Chiara Moltarello e Maria Rosaria (questa con il padre) a vedere come è fatta la roccia: vogliono infatti fare un corso di arrampicata. Chiara è molto appassionata, gli altri due sono solo curiosi.

Masso 6, spigolo est
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Questo però al mattino. Al pomeriggio ritorno a Pozza e m’incontro con Antonio Bernard, che lì ha una bellissima casa estiva. Lui ha tutta l’intenzione di dividere con me lo scettro di “re dei massi”. Infatti quel giorno riesco a fare in libera, sul masso non numerato vicino al numero 5, una via che nessuno aveva mai fatto! Adesso posso dar spettacolo davvero! I miei pezzi forti sono: Masso 2, parete nord; Masso 1, fessurina alla Dülfer centrale con prosecuzione diretta o con deviazione a destra su per una placca davvero liscia; Masso 4: parete ovest direttissima (che l’anno scorso neppure pensavo si potesse fare e che adesso so a memoria), parete ovest via di Sinistra (subito a destra del Naso), spigolo sud-ovest (salita e discesa, V+/VI-), spigolo sud-ovest diretto (questa via l’ho trovata io). Sono tutti passaggi al limite, che in parete non posso neppure sognare, ma che servono per fare le dita.

17 luglio 1964. C’incontriamo di mattina al Masso 4: Pietro Menozzi è il compagno di cordata di Antonio. Anche lui è di Parma e fa medicina. Naturalmente Antonio gli ha già detto del mio titolo di reuccio e a me “tocca” dare qualche saggio di merito. In compenso Pietro, avendo saputo delle mie gare di marcia, mi affibbierà il nomignolo di “Pamich”.

18 luglio 1964. Continuiamo i soliti esercizi, alla presenza di spettatori vari. Antonio mi confida la sua ammirazione per Paul Preuss e per il suo modo di andare in montagna. Tra l’altro lui si è già fatto la via Kiene alla Est del Catinaccio, solo e senza corda. Così decidiamo di fare qualche salita insieme ma slegati. Non so cosa ci sia preso a tutti e due. Per fortuna che poi non abbiamo mai messo in atto quel proposito. Io però ho fatto peggio, sono andato da solo, e per ben più che una volta, dando a credere a tutti, meno che ad Antonio e Pietro, di essere andato in compagnia.

24 luglio 1964. Con Pietro Menozzi e Sergio Caroli. Non ricordo neppure più cosa abbiamo fatto, senz’altro le solite acrobazie su due dita.

10 agosto 1964. Con Paolo Cutolo, Paolo Piazza e Franco Mangia. Niente da dire. La figlia dodicenne del ministro Andreotti, Marilena, ha voluto cominciare ad arrampicare e noi l’abbiamo aiutata. Nel pomeriggio sono sempre là, con Alberto Poirè. C’è tantissima gente: lui non arrampica male, anche se è da ottobre che non tocca roccia.

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19 agosto 1964. Con Pio Baldi, Cesare Badaloni, Piero Badaloni, Imma Bossa, Franco Mangia, un tal Filippo e un altro ancora. Questa volta andato per fare imparare qualcosa ai due Badaloni e a Imma. Poi finisce che le solite acrobazie ci scappano sempre.

20 agosto 1964. Con Piero e Cesare Badaloni, Franco Mangia, Gianni Storchi, Francesco Bossa e un altro. Andiamo al Masso 6, dove non sono ancora stato quest’anno. Qui faccio con due chiodi (perché è bagnata) la parete nord. Mi seguono Piero e Franco, Piero assai male. Poi passiamo dall’altra parte e facciamo un po’ di artificiale.

26 agosto 1964. Questa giornata segna l’apoteosi (e anche la fine) delle mie esibizioni su questi massi. Eh sì, perché questa volta mentre sono al Masso 4 con Pietro Menozzi incontro tre soci della Sezione Ligure del CAI con i quali c’è una certa amicizia: Vittorio Pescia, Giorgio Noli e Gino Dellacasa. Non sto a raccontare per filo e per segno. Dirò solo che gli facevo vedere i vari passaggi e loro provavano, senza riuscire. E naturalmente giù le lodi più sperticate! Dopo il repertorio del Masso 4, passiamo a quello dell’1, ancora più sensazionale. Impossibile contare quante volte provano la famosa fessurina in Dülfer! Sono molto contento di questo, non perché ho piacere che vedano “quanto sono bravo”, ma perché Pescia, soprannominato Luci, è proprio il tipo che andrà a riferire in sede, a Genova, tuto quello che ha visto. In effetti lo farà. Questo servirà a far sì che tra gli amici del CAI di Genova io sia un po’ più considerato. Direte voi… questa è ambizione! E invece no, perché per me l’essere considerato in qualche cosa è ragione di vita: a scuola non sono un super-intelligent, in casa non posso dir nulla delle mie attività, con le ragazze valgo ben poco e cerco di evitare ogni cosa perché sono capace a niente. Almeno avere uno sfogo e non essere un fallito del tutto!

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I massi della Valle di san Nicolò ultima modifica: 2017-03-05T05:15:20+01:00 da GognaBlog

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7 pensieri su “I massi della Valle di san Nicolò”

  1. Caro Luca, Antonio Bernard è rimasto giovane nello spirito e (quasi) giovane nel fisico. Beato lui!
    Ricordo che quando feci il corso roccia al CAI di Modena (non vi dico l’anno perché mi vergogno), lui tenne una lezione teorica. Noi diciottenni eravamo in adorazione. Lo ricordo anche un’altra volta alla Pietra di Bismantova (alla Palestrina del CAI di Reggio). Io e il mio amico, anch’egli reduce dal corso, sostavamo ai piedi di una paretina di venti metri: come si fa a salire? Mah…
    Bernard era nei paraggi e, umilmente, con “i diti” intrecciati alla Fantozzi, gli chiedemmo la cortesia di mostrarcelo. E lui, con noncuranza, come se stesse passeggiando lungo i portici, in un battibaleno era in cima. Mamma mia!
    Alla Pietra di Bismantova esiste la Via del G.A.B. (cordata Gogna-Bernard), a quei tempi la piú difficile. Se il nostro Gogna – giovane pure lui – volesse informarci di qualche aneddoto a proposito… Noi siamo qui, in adorazione.

  2. I massi di cui al racconto sono sulla destra idrografica del rio San Nicolò, in corrispondenza del primo ponte che s’incontra venendo da Pozza-Meida, nei pressi dell’attuale ristorante Soldanella (quindi più di 1 km prima della malga del Crocefisso).

  3. Ma dove sono per la precisione questi massi in Val San Nicolò? Non ne sapevo nulla. E quella valle l’amavo particolarmente, ci si entrava spesso, anche dopo il film della domenica nella chiesa-cinema di Meida. Si andava pian pianino fino alla Malga al Crocefisso per mangiare la panna montata (oppure alla limitrofa Malga Aloch). Delle volte si arrivava in fondo, al Ciampie, sempre leggeri, perché la Valle di San Nicolò era di una tale bellezza che ti conciliava attorno e dentro. L’attuale situazione, con il traffico regolamentato, i divieti, i bus-navetta, la ferrata dei Maerins… non mi attirà più.
    Noi di Vigo andavamo nel bosco sopra la curva del Belvedere, verso Vallonga, e avevamo scoperto un masso, chiamato “massogrosso”, su cui facevamo più o meno le stesse cose, persino dei bivacchi pomeridiani, assicurati ai chiodi piantati da uno zio guida alpina (un Rizzi) a 3 metri di altezza con i panini per la merenda.
    Degli amici di Moena mi hanno raccontato che il loro masso stava nella direzione di Costalunga e durante una prova di discesa a corda doppia rischiarono di strozzarsi.
    Che bel racconto, Alessandro! E che tipo Antonio Bernard che va a farsi la Kiene in Catinaccio, a quell’età, da solo e senza corda!

  4. C’ero anch’io allora e mi pareva solo un gioco: non mi ricordo che ci annotassimo i gradi dei vari massi, le “Roccette” come le chiamavamo. Tu invece, Alessandro, prendevi nota di tutto, orari delle corriere compresi (ma spesso, da buon Pamich, venivi a piedi da Soraga alla valle di San Niccolò!)

  5. quei due di Parma sono ancora adesso (si fa per dire) , tosti per per che concerne l’arrampicare

  6. Meno male che non c’è scappato il morto.
    Quando sul finire degli anni ’70 si vedevano le prime scarpette da arrampicata (PA, EB….) Pescia le chiamava scarpe da “bulicci”, sostenendo che per scalare ci volevano gli scarponi rigidi e pesanti! Se no non era alpinismo.
    A parte le sue limitate doti tecniche è stato anche molto umano aiutando pure il sottoscritto. Ciao

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