Il Capo (the Chief)
Che rapporto ha l’arte con l’etica? E’ un fatto che ci sono brutture in senso lato che possono essere nobilitate dall’arte?
Abbiamo scelto di parlare de Il Capo, un film “corto” di Yuri Ancarani, “vecchio” ormai di cinque anni.
“Le cave di marmo sono luoghi così incredibili e violenti che quasi ti sembra di essere a teatro o sul set” commenta Yuri Ancarani, il regista di Ravenna (nato nel 1972) che ha girato un “corto” di 15’ sul “Capo” di una cava di Monte Bétogli (Carrara).
L’idea del documentario nasce dall’osservazione del lavoro dei cavatori e al loro straordinario modo di comunicare, un linguaggio non convenzionale fatto di gesti e di segni, un codice cui il capocava ricorre per superare l’assordante rumore di fondo. Mentre uomini e macchine scavano la montagna, il Capo controlla, coordina e conduce cavatori e mezzi pesanti utilizzando un linguaggio fatto di soli gesti e di segni. Dirigendo la sua orchestra pericolosa e sublime, affacciata sugli strapiombi e le vette delle Apuane, il Capo agisce in un rumore assoluto, che si fa paradossale silenzio.
“In molti documentari esistenti sulle cave di marmo – dice il regista – i cavatori vengono mostrati come archetipi neorealisti, uomini duri fatti di sudore e imprecazioni. Io invece ammiro la loro intelligenza pratica, è una forma di eleganza che ha molto da insegnarci, e che il mio Capo cavatore possiede: è un uomo che ha stile, nei gesti, nei modi. In un ambiente così duro e pericoloso, ho voluto mostrare un aspetto di delicatezza”.
L’ufficio stampa aggiunge: “Il lavoro è realizzato nell’insolita e affascinante cornice delle Alpi Apuane, tra il bianco accecante delle cave e gli impervi crepacci, un polveroso paesaggio lunare quasi impraticabile. Luoghi inaccessibili, tali da rendere ancora più eroica la continua sfida con la montagna”.
E’ evidente che Ancarani sia stato rapito dall’extraterrestre ambiente che circonda le cave. Ci ha passato quasi un anno a girare: “Ero così preso dal Capo (Franco Barattini) e da come questi potesse far muovere blocchi di marmo giganteschi con gesti così leggeri e precisi”.
Le recensioni
Bruno Carmelo definisce Il Capo “un lavoro monumentale, esteticamente e geograficamente parlando”.
Su Indie-eye.it Michele Faggi lo giudica “un sorprendente corto sospeso nel tempo e per certi versi molto vicino all’essenza dei documentari industriali realizzati da Ermanno Olmi“.
2010, 67° Festival del Cinema di Venezia: il regista Yuri Ancarani (a sinistra) e il sindaco di Carrara Angelo Zubbani
True/False Film Festival, Columbia, è affascinato dalla regalità dei monoliti, così giudica che non si vedeva un capolavoro così dai tempi di 2001 Odissea nello Spazio, dove convergono all’arte elementi della natura, uomo e macchine.
Victoria Large, su Notcoming: “Il film termina con ampie visuali delle montagne che circondano la rumorosa cava, forse la testimonianza dell’energia di quel lavoro, forse espressione di sbalordimento di fronte a tutto ciò che non possiamo spostare”.
“Il regista sa trovare e riprendere la grazia e l’armonia di questo universo maschio, meccanizzato e violento” scrive Frabrice Marquat su Bref Magazine. E continua: “Ancarani lavora la sua materia cinematografica allo stesso modo brutale in cui il marmo è staccato dalla montagna: senza alcuna infioritura. Né musica, né movimenti di telecamera vanno a disturbare i sapienti piani fissi entro i quali si svolge la sinfonia meccanica”.
E’ vero. Il Capo, abbronzato, a torso nudo e in short, è senza saperlo un direttore d’orchestra inaspettato. Il suo fisico esprime tutta la durezza del lavoro manuale (viso segnato, sguardo truce e concentrato), nonché i suoi pericoli. Un primo piano su una sua mano ci rivela infatti l’assenza di due dita, di certo un incidente di lavoro.
Poi, il tocco artistico. Il crocefisso sul torace del Capo riesce, nel silenzio, a portarlo in una dimensione eroica: sembra “aver ricevuto un dono di Dio e, dall’alto della sua montagna, gli si avvicina toccando il cielo con le sue dita mutilate (Fabrice Marquat)”.
Osservazioni
Il film è senza dubbio artistico e riesce di certo a nobilitare, santificare quasi, il duro lavoro del cavatore. L’arte è bella perché è libera, fa quello che vuole. Noi siamo invece prigionieri di un’altra arte, quella della natura, di cui vediamo fare scempio quotidiano proprio e principalmente sulle cave delle Alpi Apuane. Eppure, anche il più fanatico ambientalista, non può rimanere indifferente a questo film. Ma il motivo è semplice: il film non ci racconta cosa sta dietro, il marmo svenduto, la pietra ridotta a carbonato di calcio, i laboratori del marmo che chiudono perché ormai lavorato altrove. Non ci fa vedere, il film, la montagna disgregata, esplosa, cancellata dalla geografia. Non ci mostra la massa di detriti che invade i valloni, pronta a farsi trascinare dalla prima piena per investire gli abitati. Non ci informa dell’inquinamento da marmettola, del nuovo mercato del marmo in polvere. Non ci fa vedere le bassezze delle amministrazioni. E soprattutto ci vuole illudere sul fatto che un certo tipo di uomo, di cui certamente l’ottimo Franco Barattini è splendido esemplare, e un certo tipo di vita siano a contatto con l’eternità. L’unica eternità che hanno per pochi secondi è quella che rubano alle montagne, per i pochi secondi in cui i blocchi cadono o si polverizzano. Per il resto questi tipi sono condannati, e lo sappiamo tutti, anche il regista.
Il film, come del resto la sua critica, insiste su alcune parole chiave. Continua sfida con la montagna, sbalordimento di fronte a ciò che non possiamo spostare, come se l’uomo dovesse per sempre continuare ad aggredire la natura e dovesse farlo usando macchine sempre più Gozilla al suo servizio, come se fossimo condannati a mostrare a Dio quotidianamente la nostra miseria di eroi silenziosi e mutilati.
Suggerisco ad Ancarani di fare altri film, ne ha certamente le capacità e le doti. Probabilmente riuscirebbe a farci commuovere anche sulle vicende di un bravo torturatore di Guantanamo, di un macellaio metropolitano di Shangai o di un fanatico terrorista e boia dell’Isis: tutti professionisti che possono fare il loro lavoro in silenzio religioso e con la croce al petto (o simboli similari).
Per parafrasare Marquat, abbiamo bisogno anche di un universo femminile, naturale e pacifico.
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Ciao Alessandro, forse nella mia lettura notturna non avevo colto la chiave di lettura che proponi e che condivido: nel caso di questo film sarebbe senz’altro stato utile, da parte dei critici più attenti, ricordare al pubblico tutto quel che c’è dietro e che Ancarani ha scelto di trascurare. Bel tema comunque. Magari capiterà di chiacchierarne a voce.
Marco Ribetti, da facebook 29 settembre alle ore 9:47
caro MARCO RIBETTI vieni a farti un giro in Apuane. Vai a Campo Cecina, fatti un giro intorno al monte Sagro, ect, ect, poi se ne riparla.
La foto del regista assieme al sindaco di Carrara…tutti e due sorridenti. Il Sindaco lo so perchè sorride. Il regista invece cosa ha da ridere?? ma si è guardato intorno mentre faceva le riprese?
Caro Marco, se rileggi attentamente ti accorgi di quanto anche io sia stato colpito da questo film. Lo dico più volte nell’articolo, sfioro anche il concetto che l’arte nobilita ogni cosa. E qui siamo nell’arte. La mia lettura, alla fine, si concentra più sui significati affibbiati al film dalla critica. Cenerentola è una favola bellissima che ha affascinato tutti i bambini e continua a farlo. Quando però diventa adulto, il bimbo capisce che quella era una fiaba e che la realtà non contempla alcun genere di principe azzurro. Io ho semplicemente sottolineato che è bene non confondere la bellezza de “Il Capo” con la realtà.
Scusa Alessandro, ma non posso essere d’accordo con te! Francamente un giudizio come il tuo su un lavoro di qualità rara (se non unica) nel mondo del cinema di montagna mi sembra quantomeno fuori luogo. Almeno quanto lo è il mio costringere “Il capo” nella cerchia angusta dei film d’alta quota.
Ha un respiro che va ben oltre il giudizio sui pro e contro delle cave di marmo e da un lavoro di quel genere non si dovrebbe pretendere che quel giudizio arrivi!
Valutare il risvolto etico di un’opera d’arte sarebbe corretto se da parte dell’artista fosse evidente una qualche presa di posizione etica, appunto. Ma Ancarani non mi sembra fare un’apologia dello sbancamento delle Apuane: si concentra su aspetti estetici e formali ben lontani dai temi su cui lo coinvolgi! Lo dici tu stesso: non racconta tutto quel che sta dietro quel mondo. Fa una scelta registica precisa, quindi. Il tuo giudizio invece è mosso da un fervore ambientalista che è assolutamente apprezzabile e che personalmente condivido, ma non ha nulla a che vedere con quelle immagini, quei rumori e quei gesti che si inseguono in un ritmo perfetto. Non c’entra. E trovo che affibbiargli quella lettura significhi non coglierne il valore artistico. Che per definizione va invece sempre rispettato.
Marco Ribetti da facebook, 28 settembre 2015
ciao Giorgio
magari evito la chiusura del blog ma in compenso mi faranno saltare la macchina….
io non sono informato nel dettaglio del perchè tutto questo succede e del perchè molto occhi rimangono chiusi…..su certi modi di lavorare. Non sono inserito in certi ambienti, sono solo uno che abita quà e frequenta da decenni le Apuane arrampicando e camminando.
Gli occhi per vedere però la mia mamma me li ha fatti e basta volersi guardare intorno.
Mi domando…c’è un Ente Parco, si sono le varie autorità. Dove sono?
L’Ente Parco dice che non ha poteri. Va bene non avrà poteri. Ma può benissimo intevenire denunciando.
Possibile che si chiudè la scalata alle pareti del Solco d’Equi perchè si disturba l’aquila ma si permettono certi scempi!
Io non ce l’ho con i cavatori. Molti li conosco, con alcuni ci vado anche a scalare. Io non dico di chiudere le cave, se ne è parlato molte volte . Ma c’è modo e modo di lavorare. Non si può distruggere tutto, senza ritegno.
Non si può svendere le ricchezze del nostro territorio agli stranieri.
Mi dicono che nella zona di Carrara molte delle concessioni sono state date a società estere che hanno il solo interesse a portare via il più possibile.
Buongiorono Alberto,
perchè non scrivi un articolo da pubblicare qui in questo blog, in cui tu, che sei in loco e sai cosa succede nel dettaglio, ci spieghi dal tuo punto di vista il “cosa”, il “come” e sopratutto il “perchè” di questa devastante distruzione ?
Magari trovando modo di evitare denuncie e chiusura blog!
Contatta Alessandro via mail.
qui non c’è ne arte ne etica. C’è solo DISTRUZIONE e della peggior specie.
Venite a vedere cosa fanno, COME lo fanno e cosa lasciano.
Poi ne riparliamo.
«L’opera d’arte è l’oggetto visto sub specie aeternitatis; e la vita buona è il mondo visto sub specie aeternitatis. Questa è la connessione tra arte ed etica.»
Ludwig Wittgenstein
Dopo aver letto l’articolo e i commenti, stringato quello di Alberto ma si capisce il giudizio…, e quello di Giorgio che condivido appieno, ho guardato il trailer, non essendo un tecnico non esprimo giudizi sul lavoro da questo punto di vista. Un film o un corto, come si usa adesso, dovrebbe trasmettere sensazioni od esprimere valori, come ogni altra forma d’arte, sinceramente l’unica sensazione che ho provato è stata di profonda tristezza…… credo veramente che il problema alla base di questa società, dei suoi comportamenti e di tutto quello che ne consegue sia la mancanza di etica
E’ meglio che me ne stia zitto o rischio una denuncia con relativa condanna e sopratutto di fare chiudere il blog.
Dovrei vederlo il film (che non conoscevo) e temo non sia facile reperirlo ora (è forse disponibile legalmente sul web?).
Ma posso dire due impressioni anche se non ho visto tutto il film ? 🙂
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A vedere il trailer, si capisce subito che il regista “ha le palle” tecnicamente: fa cose belle con la macchina da presa. Ma sono perplesso sul soggetto, cioè sul punto di vista della visione del regista. Nobilitare in astratto la “arte operaia” … “maschia”… ? Nobilitare una tecnica estrattiva elevata ad arte del movimento dei monoliti marmorei con le ruspe ?
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Provo a rispondere alle due domande iniziali:
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Che rapporto ha l’arte con l’etica?
L’etica è un prerequisito per un arte che si elevi sopra il tecnicismo, il manierismo, l’estetica. Ma voglio esagerare: l’etica è l’unica possibilità che ha OGNI essere umano su sto pianeta. l’UNICA!
Potrei dire esagerando ancor di più: chissenefrega dell’arte poi (per dirlo io…): in fondo è l’ultimo dei problemi umani…
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E’ un fatto che ci sono brutture in senso lato che possono essere nobilitate dall’arte?
No.
Si, può esserci “arte cinematografica” su qualsiasi soggetto. Ma l’arte non può nobilitare il male. Mai. Vi provi pure, ma non ci riuscirà.
Per esempio, e per citare una donna (e che donna!): Leni Riefenstahl è stata una grandissima cineasta, però ha avuto il torto “etico” di stare dalla parte “sbagliata”…: il nazismo (suo malgrado?).
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La grazia e l’armonia di questo universo maschio, meccanizzato e violento ?
Non senso. “Mission Impossible”.
L’armonia è data dalla somma delle due parti: maschio+femmina (e non mi riferisco al corpo umano), o no?!
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Contesto con fermezza la affermazione dell’ufficio stampa:
“Luoghi inaccessibili, tali da rendere ancora più eroica la continua sfida con la montagna.”.
Luoghi inacessibili ? Purtroppo no! ma ecco questa etica eroica mi ricorda l’esaltazione del superuomo (o superdonna) della Riefenstahl 🙁 Un eroismo operaio al servizio del capitalismo… No, non ci stò.
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Il Capo “è senza saperlo un direttore d’orchestra inaspettato”…
Si, ma la musica è una musica di morte (della pietra).
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Certo che sono d’accordo invece sul fatto che abbiamo bisogno anche di un universo femminile, naturale e pacifico. E tutti noi, universi maschili e femminili, comunque abbiamo bisogno di un’etica prima che di un’arte.
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Ora ci toccherà fare un contro-film a difesa dei monoliti 🙂
W le Apuane decavizzate (neologismo mio).