Il cerchio perfetto
di Giusy Mandalà (esperta di cinema e media digitali)
(Il presente articolo è la continuazione di Volando sulle Ali de Lapecheronza)
Non si muore mai veramente se si vive di passione.
Per questo, Roby Manfrè Scuderi non è mai realmente morto, ma quel 18 giugno 1994 si è unito eternamente a quella montagna che ha così ostinatamente e devotamente amato, come in un racconto di antichi miti ed eroi. E se il cerchio della sua vita si è chiuso, quello della sua passione si è espanso penetrando tra le pieghe e le fessure di Monte Pellegrino, fondendosi nelle sue ruvidezze ed asperità come parte inscindibile.

È una specie di energia sottile che si propaga da Valdesi allo Schiavo, dall’Addaura alla Valle del Porco, la percepisci chiaramente, ma a Lapecheronza la senti vibrare come un cuore pulsante tra quei vecchi spit sfiorati per la prima volta dopo trent’anni. Ti attraversa il corpo insinuandosi nella mente, e in un istante ti ritrovi sospesa come in sogno in una dimensione senza tempo, Roby è lì davanti a te e danza con la roccia un valzer di amanti dove i corpi si fondono in un equilibrio perfetto di forza e grazia, fedeltà e venerazione, confessando ad ogni movimento desideri nascosti e promesse di devozione eterna. Lo segui volteggiare serafico passando di via in via, dagli abbracci delicati delle colate stalattitiche del 6a di Ciaramella, alle lotte dure con la placca grigia del 6c de La Sbandata, per poi sollevarsi tra cielo e terra sullo strapiombo del 6a+ di Camera con Vista e svanire leggero tra le linee verticali di Un Piede in Paradiso, accolto dal 6a+ delicato come in una promessa mantenuta di congiungimento immortale.

E nei contorni sfumati di questa visione onirica, il cerchio della tua passione si espande e vibra all’unisono in un atto di riconciliazione. Riscopri la roccia come se fosse il corpo di un innamorato, dove il conforto di un legame profondo si intreccia con l’emozione della scoperta di lati inesplorati. Ogni appoggio diventa una carezza, ogni passo un respiro trattenuto, mentre le barriere spaziali e temporali si dissolvono come un’inutile convenzione. Sali sulla placca nera e ruvida del 5c+ de Lapecheronza, cercando di mediare forza e controllo in quella ancora più aspra del 6b+ di Sono Spine e non Fioriranno. Dubbi e Incertezze si fondono ai tuoi pensieri, trasformando il 6a+ in un filo invisibile che segui con devozione, fino a sentir vibrare ogni parte del tuo corpo in sintonia col cosmo. E quando infine il sogno svanisce dissolvendosi nella realtà “dei piedi a terra”, la distanza tra chi c’era e chi c’è è ormai scomparsa.


I corpi cambiano, i cerchi della passione riprendono ad espandersi, come in un continuum dove inizio e fine coincidono. Non più Roby, ma Davide (Ruvolo) danza quell’infinita esplorazione in un gioco di tensione e rilascio tra curve, anfratti e sporgenze, come a ritracciare una nuova geografia interiore in cui ancora una volta ti riconosci. Scivola con le dita sul 6a di Gommaflex con la grazia di un’onda gentile, amalgamandosi alla placca liscia in un flusso naturale di gesti leggeri e disinvolti. Si lascia andare sui diedri e le fessure del 6a+ di Jurij come ritrovando la sua essenza più pura, seguendo in estasi la traccia scolpita sulla pietra del 6b di Ulli. La sua scalata è una coreografia solitaria, un abbraccio silenzioso tra il materiale e l’immateriale dove in ogni gesto risuona l’eco di una continuità che è sintonia, non eredità. E nel rituale di richiodatura, fonde vecchio e nuovo in una comunione trascendente in cui la pietra diventa carne e il corpo si fa pietra, consolidando l’essenza di un legame, quello con Roby, quello con Monte Pellegrino, che non ha mai smesso e mai smetterà di esistere.
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