Volando sulle ali de Lapecheronza
di Giusy Mandalà
“Ho cercato fin dal principio la libertà dentro di me. L’ho salvaguardata per tutta la vita come un guardiano il faro (Reinhold Messner)”.
Ciò che rende l’alpinista un essere eccezionale è la sua abilità di sognare ad occhi aperti.
Traccia linee invisibili tra le forme e i colori della roccia immaginando l’impossibile, sfida i propri limiti fisici e mentali scalando veloce tra gli anfratti, inseguendo il suo destino.
Talvolta però il tempo interrompe bruscamente la sua ascesa consegnandolo alla leggenda, così alla morte alcune sue “opere” restano incompiute o vengono in seguito abbandonate, trasformandosi negli anni in una sorta di enigmi irrisolti, sospesi in un tempo indefinito in attesa di essere sciolti.
Questo il destino toccato a Lapecheronza, sulle pendici di Monte Pellegrino a Palermo, altra “figlia” dell’instancabilità di Roby Manfrè Scuderi, dieci tiri chiodati nel 1991 e nascosti tra le spine per quasi trent’anni dalla vita frenetica che è corsa veloce tutt’intorno.
Si elevano per più di venti metri passando tra le colate rosse, la placca scura e il calcare bianco della roccia. Salgono leggere sui diedri e le pancette, frapponendosi a canne, clessidre e stalattiti con movimenti delicati sulle parti lisce ed equilibri precari sulle tacchette appuntite, pronte ad accaparrarsi un brandello di pelle e del sangue al primo errore. Ulli, Un Piede in Paradiso, Ciaramella, Sono Spine e non fioriranno, La Sbandata, Gommaflex e Jurii, l’omonima Lapecheronza, Camera con Vista, Dubbi e incertezze. Sono le creature di quel fine tecnicismo in cui non c’è un passo scontato, ma tutto è frutto di una visione esperta, meticolosa e profondamente intuitiva, tipica di Roby.
Avvolta in quel silenzio di chiodi arrugginiti, erba alta e rovi, le immagino come dovevano apparire una volta. Vibranti sotto l’eco di chiacchiere e bestemmie cadenzate dal tintinnìo di rinvii e moschettoni, le corde colorate stese sulla parete a delinearne le linee, e le tracce bianche di magnesite sparse qua e là che segnavano le prese sui passaggi chiave da memorizzare.
E posso solo intuire l’emozione di riportarla in vita, ma mi basta guardare gli occhi di Davide Ruvolo illuminarsi per comprenderne la forza dirompente. Nel suo sguardo traspare il cortocircuito emotivo che, tra estasi e tormento, rivela un’intrinseca connessione, un legame forte e profondo, fisico, quasi si trattasse di una parte di sé ritrovata, in cui si completa.
Ognuna delle vie è infatti un’anfora di memoria che rianima il ricordo del “sottobosco di istintivi” alla ricerca di un lembo di libertà tra vie ricolme di speranza e vegetazione, per citare Luigi Cutietta. Lui adolescente con Isabella Anastasi, Chiara Cianciolo, Luigi Cutietta, Fabrice Calabrese a inseguire Roby, mentore e amico, quasi padre, e le sue mille idee verso sfide sempre più impegnative. Roby, il fulcro di tutto, con quel suo carisma travolgente cui non potevano dire di no, non volevano dire di no, spinti dall’illusione di invulnerabilità in cui tutto appare possibile.
In quei vecchi spit e cordoni logori vedo Davide viaggiare nel tempo e travalicare lo spazio. Muove sinuoso il corpo tra i diedri e le fessure abbracciando le ruvidità dolorose della placca e le morbidezze riposanti di canne e clessidre, e in quel gioco di mani e piedi rivive se stesso, rivive Roby, nella loro rincorsa tra sogni e speranze, ostacoli e fallimenti. Monte Pellegrino, Capo Gallo, Monte Monaco, Pizzo Mirabella, e poi Sella, Monte Rosa, Monte Bianco.
Oltre la fisicità della roccia, tra il qui e ora del sé in un senso di libertà estremo.
L’amore per ciò che è stato si fonde, però, col dolore per ciò che si è perso. La morte di Roby, il lutto, l’esser cresciuto all’improvviso senza esserne pronto e aver dovuto cercare da solo la sua strada, riscrivere il suo destino. Quella perdita così ingombrante si è trasformata in un senso di mancanza perenne, dove la nostalgia, negli anni, si è mescolata alla consapevolezza che tutto ciò che ha un inizio ha inevitabilmente una fine.
Ma in quel volare sulle ali de Lapecheronza il sé ragazzo e il sé uomo si incontrano e si ricongiungono in un dialogo intimo fatto delle fragilità che solo il tempo sa far riconoscere.
È il peso della memoria, un legame indissolubile di persone e luoghi tra passato, presente e futuro, e la responsabilità di custodirla.
Nota
L’attività di richiodatura de Lapecheronza è tutt’ora in corso. Ad oggi soltanto alcune delle vie sopracitate sono state richiodate. Il 18 giugno 2024 ha segnato il trentennale della morte di Roby.
Giusy Mandalà è esperta di cinema e media digitali.
16
Fabio, si è un complimento!! Senza tornare alla lotta coll’alpe, credo che un pò più di romanticismo, oggi, in questa attività, non farebbe male.
La nord delle Courtes è stata una bellissima salita che, oramai parecchi anni fa, feci con mia moglie. Niente sport ma tanta ammirazione per le grandi pareti glaciali, ricche di storia, che avevamo intorno.
ciao Fabio,
sì, sui sogni nulla da eccepire.Quello è meraviglioso.
Caro Alberto, sono un romantico? Spero di sí!
In ogni caso lo considero un complimento.
A giudicare dai tuoi pensieri, pure tu lo sei: scali i monti con animo limpido. Non dirmi che sulla parete N delle Courtes svolgevi attività sportiva, eh!
Fabio, visione romantica che oggi è fuori tempo.
Ora mi dedico alle escursioni, alle vie normali.
Credetemi: non è la stessa cosa. Pur belle, l’entusiasmo che sono in grado di accendere nel cuore non è quello di una volta.
Davide, concordo: l’alpinista non è di per sé un uomo eccezionale.
Però ammetterai che sogna a occhi aperti, cioè vive di entusiasmo, come presumo facciano anche i velisti, i viaggiatori e altri ancora, in misura piú o meno simile (forse meno che piú?).
A me successe cosí. Avendo osservato gli altri compagni di avventura e dopo aver letto innumerevoli autobiografie e racconti di alpinismo, penso che sia cosí per tutti coloro che scalano montagne per decenni, per tutta una vita, finché le forze sorreggono.
Dopo, si vive di nostalgia…
Questa affermazione mi fa ribaltare dal ridere… e anche un tanticchia dal piangere.
Una citazione per la bellezza del mare e della spiaggia: «Valdesi è, per chi non lo sapesse, una piccola località sulla via di Mondello, vicinissima anzi a Mondello, che a sua volta è la spiaggia piú rinomata di Palermo. Chi non ha visto, specie verso sera, il colore dell’aria a Valdesi, il colore, la vibrazione, la luce dell’aria sulle pendici di Monte Pellegrino, che in quella parte sono tutte rosse, con l’argento degli olivi nella piana sottostante, il grigio-perla del mare, il cinereo di Monte Gallo dalla parte opposta, non ha visto, io credo, la luce piú bella del mondo. Luce nitida, sveglia eppur non crudele come per sua nitidezza è qualche volta in paesi stranieri; né, d’altra parte, luce morbida come per velature, sia pure impercettibili, di nebbia, spesso avviene nelle contrade del nord: ma luce calma, ferma, d’una virile, umana dolcezza» (Bonaventura Tecchi, L’isola appassionata con tre nuovi racconti, Torino, Einaudi, 1961, pp.11-2)