Accettate le regole del comunismo
di Cecilia Attanasio Ghezzi
(pubblicato su La Stampa il 21 agosto 2021)
«Il Tibet può svilupparsi e prosperare solo sotto la guida del Partito e del socialismo». Così, con una cerimonia in grande stile di fronte a ventimila partecipanti e trasmessa su tutto il territorio nazionale dalla tv di Stato, Pechino ha celebrato i 70 anni della «liberazione pacifica del Tibet», il «patto» del 1951 con cui i rappresentanti tibetani furono costretti a riconoscere la sovranità cinese che fu considerata illegittima e ripudiata dal Dalai Lama nel 1959 quando, appena ventiquattrenne, scappò in India per formare un nuovo governo provvisorio.
Da una gigantesca tribuna rossa, dominata dai ritratti dei leader comunisti e da una gigantografia di Xi Jinping, posizionata proprio di fronte al Potala, palazzo iconico del buddhismo tibetano a Lhasa, i dirigenti cinesi hanno snocciolato le cifre del loro successo. Il PIL della regione nel 1951 era di appena 17 milioni di euro mentre oggi ha superato i 25 miliardi, l’aspettativa media di vita è passata dai 35 ai 71 anni, la povertà assoluta è stata definitivamente eradicata e tutta la popolazione è stata scolarizzata. E come se non bastasse ferrovie, autostrade e 140 collegamenti aerei hanno reso accessibile il tetto del mondo a 160 milioni di turisti solo negli ultimi cinque anni. Di fatto il turismo di massa ha trasformato i luoghi sacri in attrazioni per i visitatori e intere regioni, un tempo inaccessibili, sono state dotate di aeroporti e autostrade.
La narrazione dei dominatori è quella di un «progresso miracoloso» che non sarebbe stato possibile senza la tenacia con cui la Repubblica popolare ha saputo tenere a bada «la cricca del Dalai Lama» e le «influenze straniere». «Nessuno ha il diritto di puntare il dito contro la Cina sui temi legati al Tibet», è la versione delle autorità cinesi, che non si stancano di ripetere che il leader del buddhismo tibetano «non è solo una figura religiosa, ma un esiliato politico impegnato in attività separatiste» e che per questo Pechino «si oppone con fermezza ad ogni contatto tra funzionari stranieri e Dalai Lama».
Ma nonostante sia vero che fin dal 1642 il ruolo della massima autorità tibetana è stato insieme politico e spirituale, nel 2011 Tenzin Gyatso ha abdicato al suo ruolo temporale proprio nella speranza, poi dimostratasi vana, di tranquillizzare la Cina. Mentre il suo governo, mai riconosciuto dalla Cina, è rimasto in esilio a Dharamsala a studiare le scritture e a meditare, il popolo tibetano è stato costretto a una sinizzazione forzata con tanto di campi di rieducazione politica e graduale sostituzione della lingua cinese a quella tibetana. A niente sono valsi gli oltre 150 monaci che si sono dati fuoco per protesta. Il controllo cinese si è espanso persino all’interno dei monasteri, mentre in molte case private il ritratto di Xi Jinping ha sostituito quello dell’ormai 86enne Dalai Lama.
Così mentre Pechino si vanta da sempre di aver liberato il Tibet da una teocrazia di stampo feudale, il 14esimo Dalai Lama ha provato a difendere la sua autonomia nei consessi internazionali per decenni senza ottenere altro risultato che il premio Nobel per la pace nel 1989. Nel 1995 il Panchen Lama, seconda carica del buddhismo tibetano e figura chiave per riconoscere la reincarnazione della guida spirituale suprema, è stato rapito e sostituito da un bambino che da allora vive nella capitale cinese. Inoltre il peso economico sempre maggiore della Repubblica popolare ha reso sempre più difficile l’incontro dell’attuale Dalai Lama con i capi di stato di altre nazioni.
Così a Tenzin Gyatso non è rimasto altro che ipotizzare che anche il ruolo spirituale del Dalai Lama possa esaurirsi con la sua morte. Cosa succederà ce lo farà sapere quando compirà 90 anni ma nel frattempo Pechino, per non farsi trovare impreparata, ha emanato una legge che obbliga il leader spirituale del buddhismo tibetano a reincarnarsi all’interno del territorio della Repubblica popolare. Cosa questo possa significare lo scopriremo solo alla sua morte. O alla sua reincarnazione.
Vivere in Tibet sotto il controllo della Cina
di Guido Santevecchi
Foto di Giancarlo Radice/Parallelozero
(pubblicato su corriere.it nel 2014)
La vita sotto il controllo cinese sta causando profondi cambiamenti nella società tibetana
Reparti di sicurezza cinesi in uniforme nera, con i caschi, manganelli in pugno sono stati visti marciare per le strade di Lhasa e delle città principali nelle province tibetane in questi giorni. Una manifestazione di forza «senza precedenti», secondo le fonti che hanno riferito l’avvenimento a Radio Free Asia. La polizia della Repubblica popolare ha voluto mandare un segnale inequivocabile, a 55 anni esatti dal marzo del 1959, quando a seguito di un’insurrezione anti-cinese fallita il Dalai Lama fuggì dalla regione. Blindati dei reparti paramilitari sono stati piazzati sulle strade d’accesso, i viaggiatori tibetani vengono fermati, identificati e interrogati, racconta l’emittente. Il Dalai Lama è dall’altra parte del mondo. «La Cina è una grande nazione, ma il suo sistema di governo è dannoso», ha detto a fine febbraio il leader tibetano in esilio che sta facendo un giro di conferenze negli Stati Uniti ed è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Obama, scatenando le consuete proteste di Pechino. «I cinesi hanno il diritto di conoscere la realtà. E una volta che oltre un miliardo di cinesi conosceranno questa realtà saranno davvero in grado di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male», ha detto dal pulpito della cattedrale di Washington. Ma è molto probabile che la realtà di cui parla il Dalai Lama, i cittadini cinesi non la conosceranno. La polizia cinese il 4 marzo ha arrestato un monaco tibetano nella prefettura di Chamdo della Regione autonoma del Tibet: l’accusa è di aver cercato di condividere informazioni «politicamente sensibili» dal suo cellulare, secondo una fonte locale. Pochi giorni prima, un altro monaco era stato picchiato per aver nascosto scritti e video vietati. Anche qui la fonte è dell’opposizione ed è stata rilanciata da Radio Free Asia.
La nuova forma di lotta: le autoimmolazioni
Dopo le proteste diffuse del 2008, alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino, i tibetani non sono più scesi in strada a dimostrare contro il governo centrale. Hanno cambiato strategia. In modo tragico, con l’arma del fuoco e delle auto-immolazioni. Sono stati 127 gli uomini e le donne che si sono bruciati vivi in territorio cinese; altri sei hanno compiuto il gesto estremo in India e in Nepal. Il Dalai Lama si è detto turbato. Ma il governo di Pechino sostiene che in realtà i suoi uomini incitano i tibetani, spesso i più giovani, ma anche madri con figli, a uccidersi con il fuoco, davanti alla gente. La polizia ha anche trovato sul web una sorta di manuale con le istruzioni per il suicidio e sostiene che sia stato scritto da un leader molto vicino al vecchio religioso buddista Premio Nobel per la pace nel 1989. Difficile verificare, sulla rete corre di tutto e i giornalisti hanno molta difficoltà ad ottenere visti per recarsi nella regione. Bisogna accontentarsi dei segnali che arrivano, a volte dalle montagne del Tibet, a volte da Pechino.
Sviluppo economico e repressione politica
L’anno scorso, a giugno, alla Scuola centrale del partito comunista nella capitale, si è discusso della combinazione di sviluppo economico e repressione politica. E secondo le relazioni, gli esperti del partito avrebbero convenuto che il sistema non funziona e avrebbero suggerito un nuovo approccio «creativo». Sono circolate voci secondo le quali in alcuni monasteri non era più vietato esporre i ritratti del Dalai Lama. All’ambasciatore americano è stato consentito di andare in missione in Tibet per tre giorni. I politologi hanno ricordato che Xi Zhongxun, il padre del presidente Xi Jinping, rivoluzionario maoista della prima ora, era stato il proconsole di Pechino per il Tibet ed era stato elogiato da Mao per essere riuscito a domare una rivolta nella regione senza usare la forza. Possibile che il nuovo leader della Repubblica popolare cinese abbia deciso di aggiustare rotta? Ma sull’altro piatto della bilancia ci sono i rapporti di organizzazioni per i diritti dell’uomo che denunciano l’istituzione di «nuovi villaggi socialisti» nel Tibet, dove sarebbero stati spostati a forza due milioni di abitanti locali dal 2006. Poche settimane dopo Pechino ha chiarito la posizione. Il numero quattro del Politburo è andato nel Gansu tibetano a dire che «la battaglia sarà portata fino in fondo». E secondo una ONG la polizia ha sparato sui monaci che festeggiavano il compleanno del Dalai Lama.
Diritti umani e leopardi delle nevi
A ottobre, quando a Ginevra si è riunito il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per discutere di diritti umani e civili in Cina, un gruppo di attivisti ha scalato il palazzo issando in cima uno striscione che chiedeva libertà per il popolo tibetano. La foto non è stata pubblicata dalla stampa di Pechino, che ha preferito pubblicare un lungo libro bianco governativo dal titolo «La politica in Tibet è corretta». Per il resto, sulla stampa cinese, solo notizie di «cultura e società» dalla lontana regione. Come quella su uno studio dell’Università di Pechino che rivela come i quattromila leopardi delle nevi (Panthera uncia) sopravvissuti a cacciatori, bracconieri e allevatori in Cina sono protetti dalla rete dei monasteri tibetani. Meglio che dai programmi governativi: il motivo è che i monaci dei 300 monasteri nella regione del Sanjiangyuan, oltre ad essere persone tranquille, considerano i leopardi sacri, da quando il Dalai Lama proibì di usare la loro pelle. Quindi si comportano da guardie ambientali, pattugliando le zone di montagna abitate dai felini. In più, i monasteri non seguono le divisioni amministrative della zona e quindi la rete di protezione non subisce disfunzioni burocratiche.
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per conoscere meglio il rapporto tra bon e buddismo : http://studybuddhism.com/it/studi-avanzati/abhidharma-e-i-sistemi-di-principi/le-tradizioni-tibetane/il-bon-e-il-buddhismo-tibetano
Oltre al Dalai Lama in esilio nel nord dell’India, c’è una grande comunità tibetana, apolide, infatti i componenti non hanno cittadinanza indiana, che si è stanziata soprattutto in Ladakh, dove viene portata avanti ed insegnata la cultura, la religione e le tradizioni tibetane. E’ possibile vedere ad esempio l’attività di insegnamento ai bambini nei siti dei TCV … ed è possibile adottare a distanza uno di questi bimbi tramite associazioni che non espongono alcun costo di gestione come la lecchese Italian Amala
Assolutamente no sig.Benassi. e concordo non esistono Buoni.
Io mi vergogno ancora per quello che i nostri nonni Italiani brava gente ha fatto in giro per le afriche orientali o presso cugini spagnoli e francesi o i fratelli greci. etc etc.
Qui non è una gara a chi.la fa più sporca nel nome delle ideologie presenti o passate o del caporale di turno o del maestro elementare che sia.
Ma del capitale che muove sempre le guerre e lacera la società che poi i straccioni devono ricucire e rimettere insieme.
Anche se diamo nomi ed etichette variopinte ai fatti storici ,sono solo uomini che depredano altri uomini anche laggiù in Tibet.
Io avrei voluto Gino Strada per rappresentante della nostra repubblica e non un banchiere o altri similari che magari un giorno diano l appoggio dell ennesima esportazione democratica italiana senza avermi avvisato.
Ma è andato avanti troppo presto.
Pareva …ma di striscio si parlasse di porcherie cinesi…
Non di hamburger
Sovi-etici. Ameri-cani.
invece i paesi capitalisti sono buoni, bravi e rispettosi delle altrui culture.
Soprattutto quando esportano la loro “democrazia” .
cencio dice male di straccio.
“ma sradicare cultura e tradizioni fa parte strutturale del piano lento di appiattimento del singolo così caro ai paesi comunisti.” digitò sul suo smartphone, mentre al fastfood aspettava che arrivasse il suo hamburger…
Mah! Tra le SS e i cinesi, è come fra un canchero e un malanno, come dicono a Lucca
Il controllo sul tibet è una cosa mentre quello sui tibetani un altra.
È fuori dubbio che la Cina anticipo’ altre” invasioni “che si sarebberi potute cosi infiltrare pericolosamente nel suo territorio ma sradicare cultura e tradizioni fa parte strutturale del piano lento di appiattimento del singolo così caro ai paesi comunisti.
E mettersi al riparo da ricadute da insurrezioni e autonomie.
Accusare il Dalai Lama di collusioni col nazismo è come accusare Fabio Bertoncelli di complicità con gli Ultracorpi che stanno invadendo il mondo.
Harrer nazista che era entrato nelle SS diventato amico del teocrate dalai lama.
I due se la intendevano e raccontavano bene, non poteva che nascere un’amicizia…
http://iltibetegialibero.blogspot.com/2013/02/amicizie-del-dalai-lama-heinrich-harrer.html
Segnalo il libro “Sette anni in Tibet” di Heinrich Harrer che descrive bene il periodo pre e post invasione cinese.,,.e descrive come scappò il Dalail lama(allora un bambino) in India. Lo stesso Harrer divenne suo amico…..
Chi ha sempre vissuto sostenendo l’uguaglianza fra popoli senza discriminazioni e senza alcuna forma di razzismo, di pregiudizio ecc. non potrebbe mai accettare l’operato del delinquenziale govero cinese ed essere indifferente nei confronti del massacro degli abitanti del Tibet. Per socialismo , non intendo una dittatura , ma diritti uguali per tutti e libertà di espressione. La dittatura comunista è identica a quella fascista . Non riesco a vederne la differenza, Sono dei veri criminali senza un credo e senza un minimo di umanità Gli U.S.A. sono corrotti e mafiosi , ma più diplomatici, ossia uccidono e rubano a destra e a manca in nome di Dio,( ipocrisia); pensa che hanno arrostito Sacchi e Vanzetti perchè volevano difenrente i diritti degli immigrati
Abu Tahir 924..3 persone hanno rovinato l’umanità,un pastore,un guaritore,e un mercante di cammelli.quest’ultimo era il peggiore.Federico II 1227 la scomunica. Parla di tre imbroglioni,Gesù Mosè e Maometto. La sostanza di una religione poi si manifesta così come in Tibet con una casta,ma lo è anche il comunismo che usa leve di popolo per apparentemente elevare lo stesso ma sopratutto garantire se stesso, al pari di una casta religiosa. Anche la religione primaria del Tibet probabilmente lo era,e prevedeva sacrifici umani. Il martirio poi non è una novità. Niente di nuovo quindi sotto il cielo, è solo la presenza di una elite ovvio locale che evolutasi per vari fattori può portare ad una progressiva miglioria dello stato delle cose. Sempre ch le condizioni al contorno lo permettano.
Magari viaggiando sul Treno ad Alta Velocità più in alto del mondo…
https://www.alamy.it/foto-immagine-un-monaco-dorme-sul-treno-tibet-tibet-railway-16746915.html?pv=1&stamp=2&imageid=378A1911-1E8C-4A3B-B2B1-AA8F391F0C3A&p=54048&n=0&orientation=0&pn=1&searchtype=0&IsFromSearch=1&srch=foo%3dbar%26st%3d0%26pn%3d1%26ps%3d100%26sortby%3d2%26resultview%3dsortbyPopular%26npgs%3d0%26qt%3dtibet%2520railway%26qt_raw%3dtibet%2520railway%26lic%3d3%26mr%3d0%26pr%3d0%26ot%3d0%26creative%3d%26ag%3d0%26hc%3d0%26pc%3d%26blackwhite%3d%26cutout%3d%26tbar%3d1%26et%3d0x000000000000000000000%26vp%3d0%26loc%3d0%26imgt%3d0%26dtfr%3d%26dtto%3d%26size%3d0xFF%26archive%3d1%26groupid%3d%26pseudoid%3d%26a%3d%26cdid%3d%26cdsrt%3d%26name%3d%26qn%3d%26apalib%3d%26apalic%3d%26lightbox%3d%26gname%3d%26gtype%3d%26xstx%3d0%26simid%3d%26saveQry%3d%26editorial%3d1%26nu%3d%26t%3d%26edoptin%3d%26customgeoip%3d%26cap%3d1%26cbstore%3d1%26vd%3d0%26lb%3d%26fi%3d2%26edrf%3d%26ispremium%3d1%26flip%3d0%26pl%3d
Una breve risposta al commento n. 7 di Albert. Sopra la base irrinunciabile di un regime corretto e rispettoso dei cittadini, la sua proposta sarebbe un modo intelligente per mantenere in vita lo splendido patrimonio di monasteri e opere d’arte che arricchiscono il Tibet e per farlo conoscere a tutti.
Un compromesso sarebbe mantenere i monaci e tutto il folklore rituale come marketing attira turismo ..magari con figuranti stipendiati e restaurando i templi e ricostruendo quelli abbattuti. Pure in altre zone del mondo lo si fa e..muove viaggi organizzati . Basti considerare la dislocazione dei santuari sorti attorno ad apparizioni a pastorelli o umili contadini.Niente cambi affinche’ tutto cambi..senza violenza o repressione e fiumi di denaro (la vera religione universale)
Come tutte le teocrazie, insorgono solo quando vengono toccati i loro privilegi…
PS – Il lamaismo non era la religione tradizionale del Tibet, era il Bom, stroncato nel sangue dai monaci tibetani per imporre come religione di Stato la propria.
“Quanto era bello e pittoresco il Tibet al tempo dei Lama!”
https://www.ossin.org/miscellanea-99182/127-quando-era-al-potere-il-dalai-lama-il-95-dei-tibetani-poteva-essere-venduto-come-merce
Sono stato in Tibet anni fa, quando già era presente la realtà della dominazione cinese su quel Paese. Insieme ai miei compagni di viaggio ho avuto la possibilità di girare a lungo per tutta la regione, anche nelle poco frequentate zone del nord. Come si possono sintetizzare le due realtà del Tibet, prima e dopo l’invasione cinese? Prima dell’invasione esisteva una casta sacerdotale che reggeva il Paese secondo canoni feudali, mantenendo la popolazione in uno stato di mancanza di istruzione, di povertà e di sfruttamento vergognose. Con l’invasione dei cinesi si è passati a uno stato di sottomissione totale a una potenza straniera nemica di ogni canone democratico, che ha calpestato ogni cultura e tradizione locale in nome di una prevalenza totale del fattore economico. Che senso può avere il tentativo di fare un confronto tra il prima e il dopo? Si tratta, a mio parere, di due situazioni entrambe gravi e condannabili senza riserve, neppure paragonabili ai regimi in cui i cittadini, periodicamente e disciplinatamente, si recano alle urne per decidere chi dovrà governarli per il successivo quinquennio. Naturalmente questa è solo la mia modesta opinione e nulla più. In ogni caso però (e questo lasciatemelo dire con chiarezza e con forza) non vorrei più dover ascoltare delle frasi del tipo: “Quanto era bello e pittoresco il Tibet al tempo dei Lama!”
Prima ci devono provvedere i cinesi cittadini..in casa propria.I Monaci mantenuti sono stati sostituiti da una miriade di poliziotti mantenuti supportati da telecamere e controllo informatico…cambia solo l’abito.Vale ancora la strategia “divide et impera” tra etnie , arresto degli oppositori e poi”notte e nebbia”.
FERMARE PECHINO, lo sostiene perfino Federico Rampini (firma storica delle Repubblica):
https://www.ibs.it/fermare-pechino-capire-cina-per-ebook-federico-rampini/e/9788835712152?gclid=EAIaIQobChMIu46mh73n8wIV2eF3Ch3xqQCfEAAYAiAAEgIDwPD_BwE
FERMARE PECHINO: la realtà del Tibet ci fa capire come potrebbe essere il mondo fra qualche decina di anni.
Come riuscivano i contadini e laici a mantenere una miriade di monaci ?La teocrazia di stampo feudale è stata sostituita con metodi drastici e repressivi, mancano testimonianze su come erano governati prima. Si trovano notizie su libro di Craig Storti” Monte everest”