Proprio in questi giorni si sta svolgendo Keep K2 clean 2023, iniziativa dell’associazione EvK2CNR che ha unito alpinisti italiani e pachistani per ripulire i ghiacciai più frequentati del Karakorum.
Questo genere di operazioni, per quanto lodevole, non è per nulla nuovo: la stessa EvK2CNR ha iniziato già dal 2006 a produrre lo sforzo utopistico di ripulire le vastità del ghiacciaio del Baltoro, percorso annualmente da migliaia di trekker, alpinisti e portatori e per di più caratterizzato dalla presenza militare delle forze pakistane impegnate nell’assurdo conflitto indo-pakistano. Il problema dei rifiuti è dato semplicemente dal fatto che né i militari né i turisti di vario rango sono abituati o costretti al recupero dei propri scarti e delle proprie immondizie. EvK2CNR riferisce che in dieci anni il peso dei rifiuti è arrivato a 80 tonnellate e non abbiamo alcun motivo per pensare che questa sia una cifra esagerata.
L’articolo che segue, pubblicato recentemente sul quotidiano Domani, oltre a qualche imprecisione, a volte grossolana, avrebbe lo scopo di rendere ottimisti sul futuro di queste zone tra le più belle della Terra, mentre chi scrive è convinto che queste spedizioni non siano più utili che lo scopare con la scopa il mare. Il problema dell’immondizia si risolverà solo con una regolamentazione adeguata, non con annuali operazioni i cui risultati possono apparire anche notevoli, ma che in realtà scalfiscono appena l’entità del disastro.

Occorre infatti dire che chi scrive è stato uno degli organizzatori della primissima utopia di pulizia, quel Free K2 di Mountain Wilderness che risale ormai al 1990. In quell’occasione Fausto De Stefani e compagni si prodigarono per ripulire lo Sperone degli Abruzzi del K2 fino a 7000 metri. Le due tonnellate di materiale raccolto fecero impressione, ma lo sperone già dall’anno dopo si ritrovò nelle stesse condizioni che avevano provocato l’intervento di Free K2… Mentre delle pesanti attrezzature per un corretto smaltimento lasciate a Skardu (un deferrizzatore e una pressa) già l’anno dopo si erano perse le tracce…
Anche l’iniziativa del CAI, che nel 2004 rese possibile a più di 500 appassionati la visita al campo base del K2 (in occasione del cinquantenario della conquista), aveva previsto la pulizia del Baltoro. Operazione nella quale che scrive è stato impegnato per 60 giorni con risultati senz’altro ottimi se vengono giudicati in termini assoluti, ma modesti se visti con gli occhi oggettivi della realtà non mediatica.
Nessuna delle due storiche iniziative appena citate è stata ricordata nell’articolo seguente, ma non ne facciamo colpa all’articolista bensì agli estensori del relativo comunicato stampa che non so quanto consapevolmente le hanno ignorate. Comunque ci sentiamo in buona compagnia, visto che non c’è nazione che nel tempo, da 33 anni ad oggi, non abbia prodotto almeno una spedizione di pulizia ai vari Ottomila e adiacenze. Alcune solo di facciata, in puro stile green washing. Con i risultati che tutti oggi possiamo vedere, alla faccia della buona volontà.
Il Karakorum dei rifiuti
di Rudi Bressa
(pubblicato su Domani il 18 agosto 2023)
Sono sempre più numerose le campagne lanciate per ripulire dai rifiuti i ghiacciai e le montagne più famose del pianeta, dall’Himalaya fino alla catena montuosa Karakorum e al K2. L’ultima in ordine di tempo quella realizzata dall’associazione EVK2CNR che ha visto impegnati una dozzina tra ricercatori, alpinisti italiani e pakistani, per ripulire una delle aree del Pakistan a maggior affluenza di trekker e spedizioni alpinistiche: K2, Broad Peak, Gasherbrum I e Gasherbrum II e Gasherbrum IV. Le campagne di pulizia dei ghiacciai dai rifiuti lasciati da turisti e alpinisti sono un progetto che nasce oltre dieci anni fa in collaborazione con le autorità locali, come il Central Karakorum National Park (CKNP) e la Provincia del Gilgit-Baltistan e che ha visto, durante l’ultima campagna del 2021, il personale di EVK2CNR e del CKNP raccogliere e smaltire circa 7052 chili di rifiuti. In 10 anni si è arrivati a circa 10 tonnellate.

«Sul ghiacciaio Baltoro si potevano trovare cumuli di rifiuti che si accumulavano fin dagli anni Cinquanta, che venivano poi inglobati dal ghiacciaio e portati a valle» racconta Agostino da Polenza, alpinista e presidente dell’associazione EVK2CNR. «Si trattava di rifiuti abbandonati nel corso degli anni da tutte le spedizioni che si sono avvicendate, da quelle italiane a quelle coreane, dai giapponesi ai francesi».
Per questo motivo negli anni è stato avviato un piccolo centro di raccolta a Concordia, dove i rifiuti vengono differenziati nelle principali tipologie di rifiuto, come plastica, ferro e alluminio. «Abbiamo anche un impianto ormai un po’ datato per l’incenerimento che era stato realizzato da un’azienda italiana pensato per funzionare in alta quota» continua Da Polenza.
Le altre campagne
Quella del Karakorum non è l’unica spedizione di pulizia dai rifiuti generati per lo più dalle spedizioni per raggiungere le vette più famose. Nel 2021 l’alpinista nepalese Nirmal Purja, noto per aver scalato tutti i quattordici “ottomila” in poco più di sei mesi, lanciò la campagna Big mountain clean-up, con lo scopo di ripulire il K2 prima, l’Everest, il Manaslu e l’AmaDablam, con un progetto che durerà almeno fino al 2024. All’annuncio dell’iniziativa l’alpinista scriveva sui suoi canali social “In media, ogni scalatore genera 18 chili di rifiuti mentre è sulla montagna, abbandonando tende, bombole di ossigeno, contenitori per cibo e acqua, attrezzature e ovviamente rifiuti umani. I rifiuti hanno un grande impatto sulle montagne e le persone, contaminano le scorte idriche e causano gravi rischi per la salute delle popolazioni locali“. Da qui anche la volontà di dare un contributo economico a sherpa e alpinisti che in discesa dai vari campi porteranno con sé i rifiuti prodotti o incontrati durante la scalata.
Anche l’imprenditore e alpinista francese Luc Boisnard ha realizzato qualcosa di simile: col progetto Himalayan Clean-Up nel corso di dure risalite, ha raccolto insieme ad una decina di sherpa oltre 3 tonnellate di rifiuti, la metà di questi composti da plastica.
La montagna mercificata
Certamente una riflessione è d’obbligo. Sono ancora vive le immagini che fecero il giro del mondo nel 2019, con circa 200 alpinisti in coda per raggiungere la vetta dell’Himalaya. Una scena che accade puntualmente. «L’alpinismo è questo. Quest’anno sono arrivate anche 140 persone in cima al K2», sottolinea Da Polenza. «Un turismo estremo d’alta quota dove basta pagare e si ha tutta una serie di servizi, massaggiatori inclusi. Sarebbe importante se le agenzie che organizzano questi tour mettessero a disposizione dei servizi per la conservazione della natura». Ecco, probabilmente istituire un sistema di tassazione che preveda anche il mantenimento e la pulizia dell’area potrebbe essere una delle soluzioni.
Un po’ come accaduto col Central Karakorum National Park, dove è stata introdotta una tassa di qualche decina di euro a beneficio delle casse del parco. «L’anno scorso la direzione ha potuto raccogliere cifre importanti, impiegate per la pulizia dei ghiacciai».
Il Pakistan oggi ospita 7.200 ghiacciai, la più grande risorsa di acqua dolce dell’Asia. Ghiacciai che hanno subito una forte fusione negli ultimi otto mesi.
Motivo in più per cui la missione italiana sta realizzando l’inventario di tutti i ghiacciai del paese, grazie anche all’installazione di una rete di stazioni meteorologiche su alcuni di quelli più significativi a quote più elevate. In questo contesto verranno condotte le analisi dello stato del ghiacciaio del Baltoro e dei ghiacciai confluenti, l’installazione delle stazioni di rilevamento ad Askole (3000 m), Urdukas (3900 m) e sulla morena sopra Concordia (5000 m) e l’installazione di aste di verifica della fusione dei ghiacciai di Passu e Gulkin fino a una profondità di dieci metri. Monitorare lo stato di salute di questi giganti risulta fondamentale per il futuro di quest’area, ma anche per la geopolitica del paese.
Certamente, come sottolinea anche Da Polenza, la situazione della gestione dei rifiuti in quota sta lentamente migliorando, vuoi per una maggiore presa di coscienza da parte degli alpinisti e delle comunità locali, vuoi anche per le numerose campagne di sensibilizzazione avviate negli anni.
Queste cime, una volta riservate a pochi solitari alpinisti, sono oggi meta agognata per molti, forse troppi, disposti a pagare migliaia di dollari per realizzare certamente un sogno, un’impresa ancora considerata epica, ma che lascia dietro di sé delle tracce che segneranno la montagna probabilmente per secoli.
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