Lodi mondiali e qualche critica all’iniziativa del vate ambientale Yvon Chouinard.
Dall’invenzione dei chiodi per arrampicare senza rovinare la roccia alla fondazione di organizzazioni per finanziare la salvaguardia del Pianeta, la vita di Chouinard ha sempre avuto un punto fisso: il rispetto per la Natura.
La decisione di oggi di avere per la sua Patagonia “come unico azionista la Natura”, come ha dichiarato al Washington Post, è solo l’ultimo segnale della devozione di Chouinard per l’ambiente e del suo desiderio di continuare a surfare. Ma non da solo.
Nella sua rapida ascesa nel mondo dell’imprenditoria, Chouinard non ha mai smesso di portare avanti i suoi progetti per la protezione dell’ambiente e della natura e di mostrare consapevolezza per la sua responsabilità sociale: “Tutti i dipendenti hanno bisogno di orari flessibili per poter andare a fare surf quando ci sono le onde giuste o a sciare quando c’è la neve, o poter stare a casa ad accudire un bambino con l’influenza“, aveva già dichiarato.
Ancor più scalpore fece l’appello di Chouinard nel 2011 alla vigilia del Black Friday, la giornata di corsa agli acquisti. Il fondatore di Patagonia comprò infatti una pagina del New York Times per mandare il messaggio contrario rispetto all’ideologia dominante. Di fatto, incoraggiava i suoi clienti a non acquistare nuovi prodotti, ma a riutilizzare o riparare i vecchi. I suoi messaggi negli ultimi anni sono stati chiari: “Dobbiamo convincere le aziende, di qualsiasi tipo esse siano, che non hanno soltanto il compito di soddisfare gli azionisti e massimizzare i profitti, ma hanno la responsabilità di salvare il Pianeta. Questo si può fare in un solo modo: mettendo mano alle tasche e dando soldi a chi già si occupa di farlo“.
Al fondo di questo post pubblichiamo il sunto (a cura di Dario Donato) di un articolo di Bloomberg che mette in guardia da eccessivo entusiasmo.
Il nostro unico azionista ora è il pianeta
di Yvon Chouinard
(pubblicato su eu.patagonia.com il 15 settembre 2022)
Non ho mai voluto essere un uomo d’affari. Ho iniziato come artigiano, producendo attrezzatura per l’arrampicata per me e i miei amici, per poi dedicarmi all’abbigliamento tecnico. Da quando abbiamo iniziato a toccare con mano i danni del riscaldamento globale e della distruzione ecologica, scoprendo anche la grandezza del nostro impatto, in Patagonia ci siamo impegnati a cambiare concretamente il modo di pensare e di fare business. Se fossimo riusciti a fare la cosa giusta, guadagnando al contempo abbastanza per pagare le bollette, avremmo potuto influenzare positivamente i clienti e altre aziende, e forse cambiare il sistema.
Siamo partiti dai nostri prodotti, utilizzando materiali e tessuti che fossero i più responsabili possibili. Abbiamo donato l’1% delle nostre vendite, ogni anno. Siamo diventati una B Corp e una Società Benefit certificata in California, scrivendo i nostri valori nello statuto aziendale, in modo da preservarli. Più di recente, nel 2018, abbiamo cambiato il nostro scopo aziendale in: siamo in business per salvare il nostro pianeta.
Stavamo facendo del nostro meglio per combattere la crisi ambientale, ma purtroppo non era sufficiente. Dovevamo trovare delle alternative che ci permettessero di destinare più risorse alla lotta contro questa crisi, mantenendo però intatti i valori dell’azienda.
Un’opzione era quella di vendere Patagonia e donare tutti i soldi. Ma non potevamo avere la certezza che la nuova proprietà avrebbe tenuto fede ai nostri princìpi e avrebbe continuato a lavorare con i nostri colleghi e le nostre colleghe nel mondo.
Un’altra strada era quella della quotazione in borsa. Ma che disastro sarebbe stato. Anche società quotate con le migliori intenzioni sono messe sotto pressione per generare profitti nel breve periodo, a discapito della responsabilità nel lungo periodo.
A dire il vero, abbiamo capito che non c’erano opzioni valide. Così abbiamo deciso di creare la nostra.
Al “going public” abbiamo preferito il “going purpose”. Invece di estrarre valore dalla natura e trasformarlo in profitti per gli investitori, useremo la prosperità generata da Patagonia per proteggere la vera fonte di ogni ricchezza.
Ecco come funziona concretamente: il 100% delle azioni con diritto di voto viene trasferito al Patagonia Purpose Trust creato per tutelare e proteggere i valori dell’azienda, mentre il 100% delle azioni senza diritto di voto va all’Holdfast Collective, un’associazione non profit che si dedica a combattere la crisi ambientale e a difendere la natura. Questi finanziamenti arriveranno direttamente da Patagonia. Ogni anno i profitti dell’azienda, una volta reinvestiti internamente, verranno ridistribuiti sotto forma di dividendi, e contribuiranno alla lotta contro la crisi climatica.
Sono passati quasi 50 anni da quando abbiamo fondato Patagonia e abbiamo iniziato il nostro esperimento di business responsabile, ma siamo solo all’inizio. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero, e non solo un’azienda viva e prospera tra 50 anni, è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Questo è un nuovo modo che abbiamo trovato per fare la nostra parte.
Nonostante la sua immensità, la Terra non ha risorse infinite ed è chiaro che abbiamo superato i suoi limiti. Ma il nostro pianeta è anche resiliente. Se ci impegniamo, possiamo ancora salvarlo.
Chi sono i proprietari di Patagonia?
I nuovi proprietari di Patagonia sono l’Holdfast Collective e il Patagonia Purpose Trust. L’Holdfast Collective possiede ora il 98% dell’azienda e tutte le azioni senza diritto di voto, mentre il Patagonia Purpose Trust possiede il 2% della società e tutte le azioni con diritto di voto. Le azioni senza diritto di voto hanno un valore economico, ma non decisionale. Al contrario, le azioni con diritto di voto hanno sia valore economico che potere decisionale.
Che cos’è e cosa fa l’Holdfast Collective?
L’Holdfast Collective utilizzerà ogni dollaro ricevuto per combattere la crisi ambientale, proteggere la natura, la biodiversità e le comunità, il più rapidamente possibile. In quanto organizzazione senza scopo di lucro 501(c)(4) è la dicitura prevista dall’ordinamento americano), l’Holdfast Collective può sostenere cause e candidati politici oltre a fare donazioni e investimenti per la salvaguardia ambientale.
I finanziamenti per l’Holdfast Collective proverranno da Patagonia. Ogni anno i profitti in eccesso, ovvero i soldi che otteniamo dopo aver reinvestito i ricavi nell’azienda (compreso il denaro che vogliamo accantonare per gli eventi imprevisti, come una pandemia), saranno distribuiti come dividendi all’Holdfast Collective.
Che cos’è il Patagonia Purpose Trust?
Il Patagonia Purpose Trust è stato creato esclusivamente per proteggere i valori e lo scopo della nostra azienda. Possiede, infatti, tutte le azioni con diritto di voto e, di conseguenza, ha il potere di prendere decisioni chiave, come ad esempio nominare i membri del Consiglio di Amministrazione e stabilire quali modifiche possono essere apportate allo statuto legale dell’azienda, compresi gli obiettivi e gli impegni come B Corp.
In altre parole, il fine di Patagonia è: “Siamo in business per salvare il nostro pianeta”.
Questo rende Patagonia una non profit?
No. Patagonia resterà un’azienda a scopo di lucro, una B Corp e una Società Benefit certificata in California, che realizza prodotti della migliore qualità possibile, onorando il proprio impegno a preservare la propria salute finanziaria, tenendo sempre in considerazione l’impatto che l’attività ha sui collaboratori e le collaboratrici, sui clienti e sulle comunità.
La nostra influenza deriva proprio dall’operare come azienda a scopo di lucro. Continueremo a essere un faro per l’intera comunità imprenditoriale, dimostrando che finalità e profitto sono inestricabilmente legati.
Chi gestirà l’azienda in futuro?
Ryan Gellert in qualità di CEO, insieme a tutti i dipendenti di Patagonia, continuerà a gestire l’azienda sotto la direzione del consiglio di amministrazione. La vera novità è la gestione aggiuntiva da parte del Patagonia Purpose Trust.
Patagonia, come azienda, continuerà a donare l’1% delle proprie vendite per il pianeta?
Si. Patagonia continuerà a donare ogni anno l’1% delle vendite ad associazioni ambientaliste non profit. Questo impegno fa parte del nostro statuto aziendale, che da ora non potrà essere modificato senza l’approvazione del Patagonia Purpose Trust.
Che cosa faranno i fondatori adesso?
La famiglia Chouinard guiderà il Patagonia Purpose Trust, eleggendo e supervisionando la sua leadership. I membri della famiglia continueranno a far parte del consiglio di amministrazione di Patagonia, insieme a Kris Tompkins, Dan Emmett, la Dottoressa Ayana Elizabeth Johnson, Charles Conn (Presidente del consiglio di amministrazione), e Ryan Gellert, il nostro CEO. La famiglia seguirà anche il lavoro filantropico svolto dall’Holdfast Collective.
Cosa significa tutto questo per i dipendenti di Patagonia?
I dipendenti sono il fulcro del successo di Patagonia e questo nuovo assetto proprietario è un impegno irrevocabile a proteggere le finalità e i valori che hanno attirato tutti noi in questa azienda. Continueremo a realizzare tutte le campagne e iniziative che hanno reso Patagonia quello che è, e l’azienda farà del suo meglio per essere un ottimo datore di lavoro.
Patagonia si limiterà ora a massimizzare le vendite?
No. Questa non è una scusa per ignorare la reale tensione che continueremo ad affrontare tra la crescita e l’impatto ambientale delle nostre attività. Questo nuovo assetto ci offre un modo del tutto nuovo per mettere al servizio della crisi climatica il valore economico che deriva da una crescita responsabile.
anni, caratterizzati da tanti esperimenti, e intende rimanere in attività
Yvon Chouinard, il fondatore di Patagonia che ha «donato» la sua azienda a una non profit
di Fausta Chiesa
(pubblicato su corriere.it il 15 settembre 2022)
Secondo Forbes, ha un patrimonio stimato in 1,28 miliardi di dollari. Ma se pensate che Yvon Chouinard sia un miliardario contento della sua ricchezza vi sbagliate. Infatti, si è appena liberato — donando le azioni a un trust e a una non profit ambientalista — della sua “miniera d’oro”, l’azienda di abbigliamento tecnico e sportivo che — suo malgrado (sapevo che sarebbe arrivato questo momento, dichiarò con rammarico) — è diventata uno dei brand più di successo al mondo: Patagonia. L’ha fondata quasi 50 anni fa, nel 1973, a Ventura in California. Nato nel Maine nel 1938 da un padre franco-canadese, si trasferisce da piccolo (1947, NdR) in California (suo padre era il classico tuttofare, idraulico e meccanico che sa lavorare e trasformare gli oggetti, NdR). Giovane appassionato della natura, Yvon ama il mare e le montagne. Fa surf, scala le pareti rocciose ed entra in quella che è stata definita la «Golden Age of Yosemite Climbing». Scopre la passione per l’arrampicata a 14 anni e con il maestro Don Prentice si cala giù per le falesie dove fanno i nidi i falchi. (Spesso salta le lezioni del liceo per andare a surfare, oppure per arrampicarsi nell’Alta Sierra. Per gli appassionati di montagna il suo nome è legato a quello di Royal Robbins, con il quale è un precursore dell’arrampicata libera e senza chiodi: i due sono stati determinanti nel cambiare la cultura dell’arrampicata della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, incoraggiando l’uso e la conservazione delle caratteristiche naturali della roccia, NdR).
«Quelli di noi che erano stati rapiti dalla cultura del surf e dell’arrampicata erano, come Pete Sinclair disse, gli ultimi americani liberi», scrive nella prefazione del libro California Surfing and Climbing in the Fifties (T. Adler Book).
I chiodi per scalare
Ed è proprio per scalare meglio che, non ancora ventenne, crea inizialmente per sé e poi per clienti sempre più numerosi il suo primo prodotto, chiodi in acciaio per arrampicare. Nel 1957 va da un rigattiere e acquista una fucina a carbone usata, un’incudine da 62 kg e alcune pinze e martelli, e impara il mestiere da fabbro da autodidatta. Chouinard ricava i suoi primi chiodi da una vecchia lama da mietitrice e li prova durante le prime scalate del Lost Arrow Chimney e della parete Nord della Sentinel Rock nello Yosemite. Chouinard apre un piccolo negozio nel cortile dei suoi genitori a Burbank (ma i chiodi li tiene nel bagagliaio della macchina e li vende all’occorrenza agli appassionati, NdR). Nel 1965, Yvon si mette in società con Tom Frost e insieme fondano la Chouinard Equipment. Durante i nove anni in cui Frost e Chouinard sono soci, riprogettano e migliorano quasi tutti gli attrezzi da arrampicata per renderli più forti, più leggeri, più semplici e più funzionali. Nel 1970 Chouinard Equipment è il più grande fornitore di ferramenta per arrampicata e alpinismo negli Stati Uniti. L’anno dopo si sposa con Malinda Pennoyer e avranno due figli.
La sostenibilità
Dai chiodi all’equipaggiamento da arrampicata su ghiaccio il passo è breve: Yvon produce una nuova attrezzatura per scalare pareti su ghiaccio. Ma sarà l’amore per la natura e il Pianeta a fargli capire che i prodotti devono essere sostenibili dal punto di vista ambientale: i suoi chiodi infatti lasciano piccoli solchi nelle rocce dello Yosemite e con il socio Tom Frost Yvon decide di non produrli più e di cambiare materia prima: dopo la prima metà degli Anni ‘60 arriveranno gli Hexentrics e gli Stoppers in alluminio, ma soprattutto nascerà un nuovo concetto di arrampicata «pulita».
Nasce Patagonia
(L’espansione della sua attività imprenditoriale nel settore dell’abbigliamento outdoor comincia nel 1970, con la compravendita di magliette da rugby acquistate in Scozia e rivendute negli Stati Uniti: è il primo passo per la nascita di un’azienda destinata a diventare un marchio a livello mondiale, NdR).
Nel 1973 fonda Patagonia. Voleva creare vestiti per le condizioni atmosferiche dure e difficili di posti come il Sud delle Ande o Capo Horn. «In un momento in cui l’intera comunità alpinistica fa affidamento sui tradizionali strati di cotone, lana e piumino, che assorbono l’umidità – si legge nella storia aziendale – noi cerchiamo altrove ispirazione e protezione. Alla fine decidiamo che un punto fermo dei pescatori del Nord Atlantico, il maglione in pile sintetico, può essere uno strato perfetto per la montagna, perché isola bene senza assorbire l’umidità. Ma abbiamo bisogno di un po’ di tessuto per testare la nostra idea, e non è facile trovarlo. Alla fine Malinda Chouinard ascolta il suo istinto e si reca al Merchandise Mart di Los Angeles. Trova quello che cercava a Malden Mills, appena emersa dalla bancarotta dopo il crollo del mercato delle finte pellicce. Cuciamo alcuni campioni e li testiamo sul campo in alta montagna. Il pile sintetico presenta un paio di inconvenienti, ma è sorprendentemente caldo, in particolare se usato con un guscio. Funge da isolante quando è bagnato, ma si asciuga in pochi minuti e riduce il numero di strati che uno scalatore deve indossare».
L’imprenditore ribelle
Yvon Chouinard da arrampicatore, scalatore e surfista diventa un imprenditore di successo, ma contro-corrente. Anzi, ribelle, come si descrive nell’autobiografia, Let My People Go Surfing: La filosofia di un imprenditore ribelle (del 2005, tradotto in 16 lingue con vendite oltre le 500mila copie, NdR). La storia di sostenibilità di Patagonia, diventata la prima B Corp in California, si intreccia a quella del fondatore, che nel 1985 decide di devolvere l’1% delle vendite alla tutela e al ripristino dell’ambiente naturale. Nel 2002, Chouinard ha creato (assieme a Craig Mathews, NdR) un’organizzazione non profit per incoraggiare altre aziende a seguirlo. L’iniziativa si chiama «1% for the Planet» e ha raccolto più di 250 milioni di dollari (“1% for the Planet” rappresenta infatti una rete globale di aziende, individui e organizzazioni ambientaliste che affrontano i problemi ambientali più urgenti del nostro Pianeta, NdR).
Fino alla decisione di questi giorni di trasferire la proprietà dell’azienda a un trust e a una non profit ambientalista: «Il nostro unico azionista ora è il Pianeta».
La critica
di Dario Donato
(pubblicato sul suo profilo LinkedIn il 18 settembre 2022) Questo arzillo signore classe 1938 due giorni fa è diventato un social eroe globale, milioni di condivisioni, dopo aver deciso di “cedere” la sua bellissima azienda Patagonia (3 miliardi di valore) a una non profit e aver detto “ora la terra è l’unica azionista”.
In realtà, come spiega Bloomberg, con questa operazione che vogliamo credere non intacchi i buoni propositi del fondatore, Yvon Chouinard risparmia circa 1 miliardo di dollari tra tasse sulla vendita e tasse di successione nel caso avesse lasciato la società ai due figli di 40 anni (in passato aveva detto che stava pensando a vendere).
Tra le altre cose il fondatore ha deciso di cedere la società a una nonprofit che si configura come 501(c)(4) e cioè secondo la normativa americana può fare donazioni illimitate anche di carattere politico e senza pagare tasse, cosa che non sarebbe successa se avesse optato per 501(c)(3).
Il restante 2% delle azioni è nelle mani del Patagonia Purpose Trust di cui continua a far parte con la sua famiglia e che ha tutti i diritti di voto sulla società. Cioè la controlla e la indirizza ancora saldamente e così continuerà a fare con i circa 100 milioni di profitti annui, che andranno stanziati per operazioni “per combattere la crisi ambientale e difendere la natura”, ma solo dopo aver pagato il board e i top executives.
Insomma, sicuramente questo miliardario da sempre così attento all’ambiente conserva e mette in atto buoni propositi, ma ad oggi il dato oggettivo è che con questa operazione ha risparmiato un miliardo di tasse, quello soggettivo è che ha speso belle parole per il futuro.
Come spesso accade i social creano miti e mostri spargendo presunte notizie o racconti solo parziali in modo virale.
Ma il buon giornalismo fa un mestiere diverso, in questo caso Bloomberg (articolo di Devon Pendleton e Ben Steverman, pubblicato il 15 settembre 2022, NdR), e rimette le cose nella giusta prospettiva.
Questo caso è emblematico delle distorsioni cui siamo soggetti quando incappiamo in contenuti proposti unicamente dai social network.
Personalmente continuerò a comprare abbigliamento da montagna Patagonia e quando arriverò alla cassa (è bello, ma caro come il fuoco) penserò che i miei soldi piantino qualche albero in giro per il mondo… fino alla prossima verifica.
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Carlo, forse cerchi il pelo nell’uovo, o forse hai ragione tu: è tutto marketing, Patagonia is a fraud. Boh 🙂
Dico che può essere una buona idea coltivare fibre in modo etico ed eco, però se poi gli faccio fare il giro del mondo in aereo o in nave torno per cosi dire indietro. Mi sa un po’ di green wasching….come piantare alberi per poter continuare a inquinare. Non darebbe meglio usare materie prime e manodopera del paese di vendita e utilizzo???
Carl, è solo tradotto male. Dal sito americano si legge: “Patagonia has worked hard to ensure that workers in our partner factories are paid according to the law with regard to the minimum wage, overtime pay and statutory benefits, and yet we know that those wages are too often not enough to afford a decent standard of living” (Patagonia ha lavorato sodo per assicurare che i lavoratori presso i nostri partner produttivi siano pagati in ottemperanza alle leggi sul salario minimo, lo straordinario e ogni contributo obbligatorio, ma sappiamo che troppo spesso questo non basta a permettersi uno standard di vita decente). Di conseguenza, Patagonia si impegna a sviluppare “an approach to improving wages in our partner factories” (in altre parole si impegna a fare sì che presso i suoi partner produttivi i lavoratori siano pagati meglio, se necessario anche più del minimo di legge). L’originale si trova qui: https://www.patagonia.com/our-footprint/living-wage.html
Da notare che Patagonia non possiede impianti produttivi, di conseguenza deve cercare fornitori dove possibile, e negli USA non se ne trovano più. Ed è evidente che qui si parla di Asia e Sud America, non certo di Italia (a meno che non si pretenda da un’azienda americana di incidere sulle politiche salariali del nostro paese: va bene tutto, ma in un paese evoluto, allo scopo, ci sarebbero anche i sindacati).
Per quanto riguarda la seconda tua affermazione, non capisco: qual è il problema? Dicono che il loro obiettivo è fare uso esclusivo di materie prime certificate. Quindi?
Mah,
…..dice che dal 2025 darà stipendi da sussistenza (cioè 1000 euro al mese per 160 ore in italia????).
…..dice che dal 2030 il cotone e la canapa sarà certificato (ma continueranno a spostarlo da una parte all’altra del mondo in cerca di stipendi da sussistenza più bassi possibili ???
“Mah non saprei. Quello che so è che su un mio capo in goretex Patagonia è scritto : made in Vietnam. Significa che è stato progettato in america, tessuto in europa (magari dalla miteni ex azienda vicentina pare responsabile dell’inquinamento da pfas) confezionato dove la manodopera non ha alcun diritto sindacale”
Non necessariamente:
https://eu.patagonia.com/it/it/social-responsibility/
Io non so se sia vero quello che riporta il loro sito, ma il fatto che prendano in considerazione le tue perplessità mi pare significativo.
Quanto ai trasporti, penso sia più probabile siano via mare.
Prati. Infatti si parlava di abbigliamento e di qualche anno fa, prima della “decadenza” di quel marchio come di molti altri marchi tradizionali che non hanno saputo reinventarsi. Era solo comunque un esempio del fatto che nell’abbigliamento il comportamento di consumo e’ influenzato anche da fattori fortemente simbolici e la distribuzione commerciale lo sa bene quando fa le sue scelte di offerta. Il caso Patagonia è un caso di scuola. Per ora di grande successo, la vera sfida, come per tutte le aziende padronali, sarà la successione. Partita da una posizione di nicchia ha saputo diventare leader nel settore puntando su tanti fattori, dai materiali, ai punti vendita monomarca che in USA sono anche luoghi di incontro, alla comunicazione, alle relazioni industriali interne…questa mossa, a prescindere dalla valutazione sulle intenzioni del fondatore, rafforzerà il marchio presso la maggior parte del suo pubblico, anche se qualcuno magari un po’ più scettico e diffidente storcera’ il naso di fronte a qualche esagerazione comunicativa, ma sui grandi numeri avra’ un impatto positivo, molto spinto dai media, peraltro.
Le peggiori corde sul mercato. Basta guardare i test.
Roberto. Grazie. Conoscevo l’animale preistorico solo per le corde. Buona domenica.
Angelo. La valutazione si riferiva al posizionamento di questo marchio svizzero (un animale preistorico, capito mi hai ?) di qualche anno fa. Poi anche lì, come nel famoso marchio bolzanino, è arrivato lo stile elegante italico (ineguagliabile per nostra fortuna): nuovi stilisti, taglie aderenti, modernizzazione del logo, colori alla moda e originali, campagne pubblicitarie brillanti. E conseguente innalzamento dei prezzi. L’immaginario costa, a volte più della qualità intrinseca o almeno altrettanto. Patagonia, così mi dicono, ha un prezzo più elevato di circa il 20%rispetto ai suoi competitor di fascia alta e questo per vari motivi, concreti ma anche simbolici e comunicativi. Il cliente di Patagonia infatti non è certo quello di Decathlon. Eppure in pochi anni ha raddoppiato il fatturato. Non fa utili straordinari ma li fa, e se producesse in California se li scorderebbe, a meno di alzare ulteriormente i prezzi. E allora non rimarrebbe nulla da distribuire all’azionista Pianeta Terra 😀 Buona domenica, aspettando Godot.
9@Roberto. Vorrei conoscere, se è lecito e non disturbo, la marca svizzera che fa prodotti di grande qualità ad un prezzo equo. Potrei diventare politicamente scorretto.
@ 17
Sí. Si chiama globalizzazione.
È quella cosa di cui ci hanno raccontato mirabilie.
Mah non saprei. Quello che so è che su un mio capo in goretex Patagonia è scritto : made in Vietnam. Significa che è stato progettato in america, tessuto in europa (magari dalla miteni ex azienda vicentina pare responsabile dell’inquinamento da pfas) confezionato dove la manodopera non ha alcun diritto sindacale e trasportato in aereo dove io posso acquistarlo e devolvere l’1% del suo costo alla cura del pianeta ??
Mario. Piacevole confrontarsi in modo pacato e poi piove 😀 Io la vedo cosi’. Il fondatore ha probabilmente messo insieme esigenze diverse (mantenere fedeltà ai suoi valori personali e a quelli del marchio, sistemare la questione ereditaria, mantenere il controllo della società, garantire risorse adeguate da destinare alla causa in cui crede, assolutamente condivisibile e meritoria, senza retrocedere troppo alla fiscalità generale…) e ha trovato la soluzione nelle pieghe della legislazione societaria americana, con l’aiuto sicuramente di qualche buon legale d’impresa. Poi la comunicazione di Patagonia ha colto l’occasione e ha un po’ gonfiato il tutto, magari spingendo un po’ su alcuni tasti in coerenza con la clientela target. Niente di particolare o scandaloso. La verità, come sempre articolata, emerge nell’incrocio e nel confronto tra i tre pezzi. Come ha correttamente fatto in questo caso la Redazione. Ovviamente la tifoseria non apprezza e preferisce colori netti, più funzionali all’adesione entusiasta o all’invettiva.
14@Roberto, Patagonia e’ un marchio che ha fatto del marketing ”green” la sua filosofia da sempre , forte di questo e delle iniziative correlate ha sempre venduto prodotti costosi anche al netto dell’uno per cento dedicato e della ricerca sviluppo sui materiali. Business. Lo ho sempre preferito ad altri marchi per questa atmosfera familiare e sinceramente anticonformista che la sua comunicazione trasmetteva. Ma questa ultima operazione mi suona mendace e votata al ‘conformismo d’avanguadia ‘ , non mi pare che la comunicazione stavolta sia sincera e da utilizzatore di prodotti Patagonia mi sento preso per il culo. Vale per me, che mi fido delle impressioni, il pianeta intero puo’ applaudire, ma io mi tolgo dal numero dei suoi clienti. Ciao e grazie
Mario. Esageruma nen. A volte normative un po’ ambigue possono essere usate anche a fin di bene, dove però il bene è opinabile, ovviamente. Vedi l’esempio di Bloomberg sull’imprenditore antiabortista che ha usato questa normativa per sottrarre imposte alla fiscalità generale e dirottarle alla “Difesa della Vita”. La realtà è complicata e i toni sono sfumati, esattamente come i colori che usa Patagonia, che non sono mai violenti e netti come quelli di altri marchi. Purtroppo questo non sempre corrisponde al nostro bisogno di semplificazione. In ogni caso la scelta dei tre pezzi da parte della Redazione è molto acuta e didattica. Si potrebbe proporre a scuola con il titolo “Scopri le differenze, ovvero come la realtà viene costruita socialmente a partire dallo stesso evento”. Piove. Meglio così: per chi decide di andare comunque nella “gabina” si sente meno l’odore ed è più facile turarsi il naso. Saluti.
Non e’ tutto oro quello che viene fatto luccicare davanti agli occhi del pubblico zelante e belante. Ottimo imprenditore che fa i suoi interessi nel modo che ritiene il migliore possibile. Non credo ne’ ai santi ne’ agli eroi, nemmeno a quelli pitturati sui muri e dopo questa manovra che mi sa di falso smettero’ di buttare soldi in Patagonia Non credo che francamente il pianeta guadagnera’ qualcosa di minimamente significativo da questa manovra politico-contabile. Amen
Andrea 61. Se leggi l’articolo di Bloomberg troverai un’analisi delle luci e ombre del meccanismo societario consentito dalle leggi USA e utilizzato ultimamente da molti imprenditori americani per mantenere il controllo e al tempo stesso creare con le fondazioni un veicolo esterno per agire con più flessibilità anche nell’arena sociale e politica. Questo a prescindere dalle nobili e rispettabilissime intenzioni dichiarate dal fondatore, al di là di qualche esagerazione comunicativa come “Adesso il nostro azionista è il Pianeta”. Questo è il compito del giornalismo: dare informazioni e far riflettere, senza fare sconti, anche verso i Santi e i Beati. Confronta a questo proposito i tre pezzi: il redazionale di Patagonia, l’articolo del Corriere e quello di Bloomberg.
Piccolo …angolo… pubblicita’!
Parapapa…
Il mio primo martello fu una mazzetta Cassin presa usata e consumata a 10.000¥£. ero giovane e spiantato.
Il secondo uno con becca Camp da 40 mila cera qualche soldo ma poca esperienza.
Il terzo fu un Chouinard anni ’90 dalla forma strana pagato una fortuna ma fu decisamente un gran martello; bilanciato al punto giusto , manico in legno senza plastiche inutili, una forgiatura perfetta.Super!
Haa il martello anima di tutti mestieri!
Patagonia ditta e marchio simbolo!
Mi sfugge il ragionamento sul miliardo risparmiato. Si spogliano della proprietà dell’azienda e così sarebbero colpevoli di risparmiare sulle future imposte di successione su un’eredità che però di fatto hanno regalato perdendo perciò molto più di quel miliardo ?
Polarizzazioni, Proiezioni & Marketing. Conosco da molti anni la responsabile abbigliamento del negozio di Milano di una grande catena di articoli sportivi. Alla mia domanda perché non vendevano una marca svizzera che fa prodotti di grande qualità e durata e con un buon rapporto qualità prezzo mi rispose: caro mio qui va solo Patagonia, per i politicamente corretti, e Montura, per i fighetti. Mi ha ricordato i mods e i rockers e il mitico film Quadrophenia. Quando chiesero a Ringo Starr se era un mod o un rocker rispose “I’m a mocker”.
Esiste anche un modo etico di fare imprenditoria, come dimostra Chouinard (leggere Let my people go surfing), od Olivetti o Cucinelli attualmente. Ovviamente per qualche salottiero di sinistra il denaro è frutto del demonio e va sempre condannato. A meno che si faccia parte dell’intellighenzia snob illuminata e allora può frequentare Capalbio, avere lo yacth o abbigliarsi con maglie di cashemere o scarpe da 1000 €!
Sarà probabilmente vero che in tutta questa operazione la famiglia Patagonia abbia risparmiato in tasse, ma di fatto hanno sicuramente diminuito i loro guadagni futuri.
Io credo fortemente all’impegno di Chouinard di fare di Patagonia un esperimento per rendere l’azienda un esempio che si possano conciliare gli obiettivi ambientali, quelli sociali con un’azienda efficiente e in grado di fare utili e fatturato: non è una sua idea degli ultimi anni in cui queste parole vanno di moda, ma sono convinzioni forti e che durano da decenni. Anni fa lessi il suo libro “Let my people go surfing” e ne rimasi estremamente colpito: già li c’era tutte le sue idee.
Per l’ammirazione che tutto questo mi ha provocato da anni compro solo capi Patagonia e ben due volte ho avuto la prova tangibile che la filosofia di questa azienda non fosse una facciata utile a farsi pubblicità, ma che fosse ben radicata.
Anni fa avevo acquistato una giacca impermeabile in goretex e dopo circa 4 anni mi sembrava che entrasse acqua. Non avevo più lo scontrino e avevo acquistato la giacca almeno 4 anni prima, ma mi rivolsi lo stesso al negozio Patagonia di Milano per chiedere se fosse possibile e loro mi chiesero di spedirla per provarla. Qualche giorno dopo mi chiamarono per dirmi che era vero che la giacca non era più impermeabile e quindi, visto che i loro prodotti sono garantiti a vita me l’avrebbero cambiata con un analogo modello nuovo dello stesso prezzo (300 euro).
Un’altra volta ho portato dei pantaloni per farli riparare, visto che hanno un programma di riparazioni per incoraggiare al riuso. Dopo una settimana mi hanno chiamato dicendomi che visto che non erano riusciti a ripararli me li avrebbero sostituiti con un modello nuovo.
Credo che nessuna azienda di quel livello faccia cose di questo genere
Moglie, sci e felicità, basta?
Mai comprato e mai comprerò Patagonia. non sopporto la loro fiolosofia e se parlano di etica o altro mi viene l’orticaria. Cui sono migliaia di aziende migliori di Patagonia
Chouinard ha sempre dimostrato di essere un grandissimo arrampicatore (il free climbing è nato in California) e oltretutto da buon americano un grande imprenditore. Non ha mai venduto prodotti scadenti, la Patagonia fa abbigliamento d’eccellenza ed è quindi giusto che la si paghi per quel che vale. E’ giusto che si goda i soldi che ha guadagnato con il suo talento e l’intuito che lo ha sempre caratterizzato. Sempre meglio avere milionari così che quelli che sperperano i loro soldi in cose superflue ed indecenti, come traspare nella nostra bella Italia.
Caro Salvatore, un abbraccio umano, non politico naturalmente.
E per una volta concordo con aLorenzo, evviva!
Dopo le prime righe sono passato alla “critica”. Legittima e fino a prova contraria probabilmente giusta.
Ora passiamo a Chouinard, che forse per un soffio non ho conosciuto di persona.
Ma la contemporaneità delle nostre vite mi permette di dire la seguente banalità.
L’opera e l’azione di Chouinard hanno – tra l’altro – germinato in più generazioni di alpinisti e non solo il pensiero della natura come soggetto.
Che si goda il miliardo di dollari risparmiati. Lasciamo agli amministratori della vita vedere il dito e perdersi la luna.